Google
This is a digitai copy of a book that was prcscrvod for gcncrations on library shclvcs bcforc it was carcfully scannod by Google as pari of a project
to make the world's books discoverablc online.
It has survived long enough for the copyright to expire and the book to enter the public domain. A public domain book is one that was never subjcct
to copyright or whose legai copyright terni has expired. Whether a book is in the public domain may vary country to country. Public domain books
are our gateways to the past, representing a wealth of history, culture and knowledge that's often difficult to discover.
Marks, notations and other maiginalia present in the originai volume will appear in this file - a reminder of this book's long journcy from the
publisher to a library and finally to you.
Usage guidelines
Google is proud to partner with librarìes to digitize public domain materials and make them widely accessible. Public domain books belong to the
public and we are merely their custodians. Nevertheless, this work is expensive, so in order to keep providing this resource, we have taken steps to
prcvcnt abuse by commercial parties, including placing lechnical restrictions on automated querying.
We also ask that you:
+ Make non-C ommercial use ofthefiles We designed Google Book Search for use by individuals, and we request that you use these files for
personal, non-commerci al purposes.
+ Refrain fivm automated querying Do noi send aulomated queries of any sort to Google's system: If you are conducting research on machine
translation, optical character recognition or other areas where access to a laige amount of text is helpful, please contact us. We encouragc the
use of public domain materials for these purposes and may be able to help.
+ Maintain attributionTht GoogX'S "watermark" you see on each file is essential for informingpcoplcabout this project and helping them lind
additional materials through Google Book Search. Please do not remove it.
+ Keep it legai Whatever your use, remember that you are lesponsible for ensuring that what you are doing is legai. Do not assume that just
because we believe a book is in the public domain for users in the United States, that the work is also in the public domain for users in other
countiies. Whether a book is stili in copyright varies from country to country, and we cani offer guidance on whether any specific use of
any specific book is allowed. Please do not assume that a book's appearance in Google Book Search means it can be used in any manner
anywhere in the world. Copyright infringement liabili^ can be quite severe.
About Google Book Search
Google's mission is to organize the world's information and to make it universally accessible and useful. Google Book Search helps rcaders
discover the world's books while helping authors and publishers reach new audiences. You can search through the full icxi of this book on the web
at|http: //books. google .com/l
Google
Informazioni su questo libro
Si tratta della copia digitale di un libro che per generazioni è stato conservata negli scaffali di una biblioteca prima di essere digitalizzato da Google
nell'ambito del progetto volto a rendere disponibili online i libri di tutto il mondo.
Ha sopravvissuto abbastanza per non essere piti protetto dai diritti di copyriglit e diventare di pubblico dominio. Un libro di pubblico dominio è
un libro clie non è mai stato protetto dal copyriglit o i cui termini legali di copyright sono scaduti. La classificazione di un libro come di pubblico
dominio può variare da paese a paese. I libri di pubblico dominio sono l'anello di congiunzione con il passato, rappresentano un patrimonio storico,
culturale e di conoscenza spesso difficile da scoprire.
Commenti, note e altre annotazioni a margine presenti nel volume originale compariranno in questo file, come testimonianza del lungo viaggio
percorso dal libro, dall'editore originale alla biblioteca, per giungere fino a te.
Linee guide per l'utilizzo
Google è orgoglioso di essere il partner delle biblioteche per digitalizzare i materiali di pubblico dominio e renderli universalmente disponibili.
I libri di pubblico dominio appartengono al pubblico e noi ne siamo solamente i custodi. Tuttavia questo lavoro è oneroso, pertanto, per poter
continuare ad offrire questo servizio abbiamo preso alcune iniziative per impedire l'utilizzo illecito da parte di soggetti commerciali, compresa
l'imposizione di restrizioni sull'invio di query automatizzate.
Inoltre ti chiediamo di:
+ Non fare un uso commerciale di questi file Abbiamo concepito Googìc Ricerca Liba per l'uso da parte dei singoli utenti privati e ti chiediamo
di utilizzare questi file per uso personale e non a fini commerciali.
+ Non inviare query auiomaiizzaie Non inviare a Google query automatizzate di alcun tipo. Se stai effettuando delle ricerche nel campo della
traduzione automatica, del riconoscimento ottico dei caratteri (OCR) o in altri campi dove necessiti di utilizzare grandi quantità di testo, ti
invitiamo a contattarci. Incoraggiamo l'uso dei materiali di pubblico dominio per questi scopi e potremmo esserti di aiuto.
+ Conserva la filigrana La "filigrana" (watermark) di Google che compare in ciascun file è essenziale per informare gli utenti su questo progetto
e aiutarli a trovare materiali aggiuntivi tramite Google Ricerca Libri. Non rimuoverla.
+ Fanne un uso legale Indipendentemente dall'udlizzo che ne farai, ricordati che è tua responsabilità accertati di fame un uso l^ale. Non
dare per scontato che, poiché un libro è di pubblico dominio per gli utenti degli Stati Uniti, sia di pubblico dominio anche per gli utenti di
altri paesi. I criteri che stabiliscono se un libro è protetto da copyright variano da Paese a Paese e non possiamo offrire indicazioni se un
determinato uso del libro è consentito. Non dare per scontato che poiché un libro compare in Google Ricerca Libri ciò significhi che può
essere utilizzato in qualsiasi modo e in qualsiasi Paese del mondo. Le sanzioni per le violazioni del copyright possono essere molto severe.
Informazioni su Google Ricerca Libri
La missione di Google è oiganizzare le informazioni a livello mondiale e renderle universalmente accessibili e finibili. Google Ricerca Libri aiuta
i lettori a scoprire i libri di tutto il mondo e consente ad autori ed editori di raggiungere un pubblico più ampio. Puoi effettuare una ricerca sul Web
nell'intero testo di questo libro dalhttp: //books. google, comi
CONFESSIONI
DI UN METAFISICO.
^ ;
CONFESSIONI
DI UN METAFISICO
TEEENZIO MAMIANI.
VoLUHB Secondo
PKINCIPJ DI COSHOLOeiA.
FIRENZE,
G. BARBÈRA EDITORE.
• • • • • • •
• • • •, • • •
• • •' • • •
V.
Libnzy
• • •
• • • •■.■:;
LIBRO PRIMO.
DEL, FINITO IN SÉ.
■^ k.
Mamuri. — II.
550386
• •
• • • • • •
•• • :.
% •
• •
• _•• ••••• • •
• ,•••• •• •••
• _ •
• • «
• • •
• • • • •
CAPO PRIMO.
ALTBB INTIME CONFESSIONI.
I.
1. — Sebbene la cronaca (a volerla così chiamare)
ilei miei pensieri, delle mie mutazioni e delle conclu-
sioni mie intorno alla metafisica dovesse avere compi-
mento col primo volume, dapoicbè questo secondo non
è altro più che un'applicazione dei principj già fermi
e accettati, pure v' à alcuni concetti e alcune opinioni
importanti in filosofia che possono grandemente pro-
fittare di quella storia. E voglio significare che giova
r andar raccontando con semplicità e con ordine co-
m' esse sbocciarono a poco a poco dentro alla intellet-
tiva e crebbero a competente maturità; e per quali
vicende di dubj, di pentimenti e di emendazioni per-
vennero alla serenità d'un convincimento perfetto, quasi
fiorì che tra le nebbie ed i temporali si aprirono in
ultimo alla patente luce d'un bel sole di primavera.
Io, dunque, allora che sentirò il bisogno di illu-
strare con più chiarezza e persuadere con più forza
alcune dottrine, userò ancora di questo mezzo di esporre
• » » • • • •
4:-\: ;••: ;•':*.• ':: .LfBÈ(^ 'Primo.
altrui brevemente le occasioni, V esitanze, le correzioni
e le risoluzioni finali e gagliarde, in fra le quali la
mia povera mente pervenne alla verità non mai con
prestezza e sempre con travaglio penoso dell'animo.
Attesoché egli mi sembra di poter dire con ischiettezza
non presuntuosa ch'io mai non ò tenuto in picciolo
conto ne valutato come poco saldi e poco fruttiferi i
sacri studj della filosofia e massimamente quelli della
Scienza Prima.
2. — Sappiasi, impertanto, che avendo io da lungo
tempo ordito in mente la tela di questa mia cosmologia,
volle fortuna che io capitassi in paese il più ricco forse
e glorioso d' antiche memorie di quanti se ne incontrano
sulla superficie del nostro pianeta. E un giorno fra
gli altri procacciando alcuna distrazione piacevole
alla protratta meditazione, salii ad un colle dove
grandeggiano ancora gli avanzi augusti e venerabili
del tempio maggiore e più bello che l'arti umane ab-
biano saputo alzare e dedicare alla Dea della scienza.
Di quivi girando l'occhio all'intorno e avvisando con
più attenzione quella pianura che stendesi di là dal
Ceramico e rasenta la colonna sepolcrale del Miiller
(il lettore conosce ora di che luogo si parla), io vi cer-
cava con desiderio melanconico e inutile qualche vesti-
gio visibile degli orti celebratissimi di Accademo, i quali
si sa con certa notizia che dentro quella landa nuda
e polverosa fiorivano. Se fossi poeta o scrivessi roman-
zi e impressioni di viaggi, curerei di descrivere con vi-
vezza le ricordanze solenni e le immagini non volgari
che risorge vanmi in mente al cospetto di quella terra
deserta, ma pure insigne e ossequiata da tutto il ge-
nere umano. E s'à un bel dire: colà non resta più nulla
e la venerazione tua à del superstizioso, o per Io man-
co, dello astratto. Quella terra che tn vedi e puoi
DEL FINITO IN SÉ. 5
loccai-e e pass^giare, sostenne i piedi di Platone e ri-
cevette Torma de' suoi sandali, e quivi scrisse, o con-
cepì per lo manco, i suoi dialoghi divini e dispensò ai
discepoli il tesoro delle sue dottrine eccelse ed impe-
riture. Che se in ogni tempo tali riflessioni e ramme-
morazioni m'avrebbero commosso altamente e legato
i'auimo di parecchi affetti sublimi, giudichi il lettore
quali fossero i miei pensieri ed i miei sentimenti in
quel punto della mia vita in cui, cessando da ogni
dubiezza, avevo con persuasione non più alterabile ab-
bracciato la verità della dottrina delle idee, e dopo
Pittagora salutato Platone siccome il solo maestro e
il solo fondatore dell' ontologia.
3. — Ma se descrivere una commozione profonda
e quasiché religiosa dell' animo non è facile, ne riu-
scirebbe gran fatto opportuno, credo d' altra parte
che la sostanza dei miei pensieri in quella congiun-
tura è facilissimo d'essere iììdovinata; perocché alla
mente mi si affacciavano due contrarj troppo vi-
sibili: la caducità e mina delle opere materiali del-
l'uomo e la eternità e gloria dell'opere dell'intel-
letto. Caddero le mura, io diceva, della tua patria,
o figliuolo di Efestione, e i platani e le fontane della
tua silenziosa Accademia non potettero venir custo-
dite e salvate da quelle Muse che tu invocavi con-
servatrici delle tradizioni né da quelle Grazie il cui
simulacro ponevi sulle soglie medesime del tuo ri-
t^etto innocente e ospitale. Ma dopo venti e più se-
coli il fulgid'oro e incorrotto delle tue dottrine ca-
vato dalla più schietta e profonda miniera della
verità mantiensi bello ed immacolato come quel pri-
mo giorno che tu il traevi dallo stampo della tua
mente ispirata; e in ciò pagano gli uomini un giusto
tributo non pure alla tua sapienza e facondia non pa-
6 Uhm PRIMO.
reggiabìle, ma 8i alla dignità e grandezza del nostro
essere da té rivelata. Perocché tu infondendo quasr
un colirio immortale nelle umane pupille facestile ca-
paci di avvisare e discernere le forme ideali e spiri-
tualmente toccai'e la realità loro eterna e assoluta.
4. — Ne contento a questo e pieno ancora tutto
r animo della filosofia Italica e levato sopra te dalla
solenne armonia degli inni di Cleante, annunziasti agli
uomini il governo amoroso di Dio sul mondo e ogni
cosa rìvocasti potentemente air idea del bello e del
buono. Fortunato me, se un qualche raggio del tuo
divino intelletto si spanda su questo mio libro che la
teorica delle idee studia di rinnovare con quei comple-
menti ed emendamenti che recò per sé medesimo il
tempo e il variare e il permutarsi di cento scuole.
II.
5. — Cotesti pensieri, com' é naturale, mi s'aggirava-
no allora per la fantasia; quando sopravvennero i dubj,
cosa che sempre m'accade, e fecero poco lùeno che
naufragare le mie speranze. Platone è sommo, dissero
i successivi pensieri, ma non gli è conceduto di preoc-
cupare le vie nuove ed intentate dell'umana medita-
zione. Se tu porgi orecchio alle cose strane e diverse che
suonano oggi nel mondo dei metafisici, udirai parlare di
Platone per incidenza e solo perchè indovinò la im-
manenza dell'idea in tutte le cose, e disse che la dia-
lettica simigliava al movimento generativo di quelle.
Ma quanto al povero libro tuo che va sulle orme an-
tiche e pretende di romper guerra così spietata, agli
avversarj del teismo, persuaditi bene ch'egli sarà o
non letto o, subito letto, dimenticato. In tale disposi-
zione di animo io scendevo quel giorno dal Partenone e,
DEL FINITO IN SK. 7
]K)co allegro de' miei studj, volgevo la mente a cure
molto diverse e remotissime dalla filosofia.
6. — Il dì dopo gli stessi pensieri mi risorgevano in
animo e la stessa amaritudine li accompagnava. Oh la
l)ella scoperta che avrai tu fatto, dicevo io in fra me,
ilopo tanto meditare e leggere e scrivere; ecco alla
line ài provato che il senso comune à ragione e in ciò
si raccoglie tutta la sostanza di tua dottrina ! Invece,
il mondo à sete di novità; e chiede non così il vero
come l'inaspettato e il fantastico a quegP ingegni in-
ventori che s'arbitrano d'insegnare al genere umano
in che guisa sia costruita la fabbrica dell'universo.
Platone e Aristotile furono poco meno che gittati via
tra i vecchiumi appena quel francese fortunatissimo si
)i06e con gran sicumera a promettere agli uomini che
«'gli avrebbe con lo stropicciamento dei dadi e la ma-
teria sottile da indi cavatane mostrato il modo pre-
ciso col quale furono fatti i mondi e quello che ci sta
rientro e cioè le piante e gli animali; né dubitò con li
suoi dadi vertiginosi e la sua materia sottile costruire
])ersìno le forme organiche e insegnare una notomia e
tisiologia tanto diversa dal vero, quanto un orivolo
dall' uomo.
7. — Ora tu di cotesta sorta di novità e di ardimenti
non ài vestigio; ed anzi tu presumi in filosofia di po-
ter ripetere con sincerità il detto di Newton hypotheses
non fingo, che è il detto medesimo stato pronunziato da
(ralileo mezzo secolo prima. Smetti dunque ogni fidu-
«•ia di buon successo. Che negli studj fisici domanda
ognuno la novità dei fenomeni e nei razionali la no-
vità per lo manco delle combinazioni delle idee.
8. — Intrattenendomi io in cotali pensieri, mi trovai
per accidente seduto di rimpetto ad un tavolo su cui po-
sava una statuetta rappresentante la Venere famosa di
8 LIBRO PRIMO.
Milo che io porto meco dovunque mi vada, e subito
mi corse alP animo questa considerazione: Egli non
accade così della vera bellezza ; che il tempo mai non
la invecchia e la logora; l'antichità invece, non le
scemando novità e vaghezza, le cresce venerazione e
quasi la converte in qualcosa di santo e degno di
culto. Ecco qua una effigie bellissima uscita la prima
volta dalle greche officine, or fanno ventiquattro se-
coli. E tornata poi inopinatamente a ricreare lo sguardo
degli uomini, il volgo e gl'intendenti incoro la lodano
a cielo e non si saziano d'ammirarla, appunto come
facciamo delle rose e degli altri più dilicati fiori di
maggio i quali sempre che riappariscono dopo i rigori
del verno ci riescono cari e avvenenti a uno stesso
modo e con una stessa misura.
9. — E qui mentre gli occhi miei fermi nella testa e
nel corpo della bellissima statua giudicavano di scoprirvi
ancora alcuna nuova leggiadria per innanzi non sa-
puta avvertire, una voce dell'animo quasi genio fami-
gliare incominciommi dentro a parlare con accento sì
vivo e con tale spedito e stretto concatenamento di
ragioni, ch'io avrei giurato non essere io l'autore ed
espositore di quel soliloquio, ma sì una mente stra-
niera e molto migliore della mia che avesse per beni-
gnità grande pigliato cura di pol'mi in pace e in con-
cordia l'animo e l'intelletto.
in.
10. — Diceva, impertanto, la voce: dunque la bel-
lezza sola è immutabile, e mutabile la verità ? e quella
tornerà sempre nuova, questa non mutando parrà cosa
volgare e sazievole? Ma se il bello esce dalla perfezione,
qual cosa al mondo è più perfetta della verità? e se
DEL FINITO IN SÉ. 9
tutti ripetono con Platone il bello essere splendenza
del vero, come può l'ornamento esteriore differir di
natura dal suo subbietto? Ma la bellezza figurativa
nell'arte greca ti si mostra appunto perfetta; laddove
la perfezione di quel vero di cui discorriamo non è
visibile ancora e in ninna scuola raggiungeva il suo
compimento.
11. — Oltreché la bellezza figurativa o plastica seb-
bene può rivestire a manca mano aspetti infiniti, nien-
tedimeno in ciascuna forma particolare, colto che sia
e delineato l'archetipo suo rispettivo, tu dèi pensare che
non v'è salita al migliore e al diverso; avvegna prin-
cipalmente che in quell'archetipo è la intenzione me-
desima della natura e quindi v'è l'assoluto di là dal
quale non può cercarsi e ritrovarsi che il falso.
Ma il vero non imbattendosi nei limiti della materia
come ciò è forza che accada alla bellezza figurativa, ri-
sulta infinito e nelle parti e nel tutto. Il perchè nel-
l'uomo è naturale quanto legittimo voler sempre salire
alla novità nello studio del vero. Ma tal novità, bada qui
bene al nostro concetto, debb' essere rintracciata nella
ascendente perfezione e dee risplendere dentro una
sintesi ognora più larga e feconda tuttoché uguale e
coerente a sé stessa ne' suoi principj e ne' suoi svi-
luppi.
12. — Dopo ciò, considera che quel proverbio che dice,
tvx populi^ vox Dfii non à valore solamente nei ne-
gozj civili e politici ma serba la certezza sua eziandio
nella scienza. Per fermo, se tu avviserai la riposta
saggezza dei parlari antichissimi nel modo che il Vico
insegnava a noi Italiani segnatamente, conoscerai che
mentre i Latini non avrebbero mai asserito essere
r uomo partecipe di volontà od anche del pensiero o
della libertà, perchè in essi atti è troppo manifesta
10 LIBRO PRIMO.
r attività nostra, ei dissero invece che noi siamo par-
tecipi di ragione, dichiarando con questo che la ragione
non è punto opera nostra, ma è divina rivelazione. Ghè
qualora tu ti rammemori dei lavoro dello spirito intorno
alle idee e come guardando nei loro concetti e nelle
loro attinenze, noi componiamo i giudicj ed i raziocinj
e tutto questo nel fatto sia opera umana, io ti verrò
altresì ricordando che di tutto quel cumulo di ope-
razioni mentali, parte risulta dalla riflessione varia
fluttuante e meditativa del filosofo, parte è comune ad
ogni sorta dMngegni in quanto la forma stessa innata
delle facoltà nostre mena quelli necessariamente e con
metodo uguale a riconoscere e persuadersi di certo no-
vero di supreme verità. Così V uomo partecipa alla di-
vina ragione, in quanto è dotato della visione delle
idee e imita come può per felice istinto il divino
discorso 0 V eterno Verbo che tu il domandi. Conosci
da ciò essere verissimo che il senso comune è voce di
popolo e similmente è voce di Dio.
13. — Però quando la filosofia con isforzo inaudito del
meditare e dimostrare perviene per le sue vie al ri-
sultamento medesimo cui giunge di balzo la mente
del popolo mediante certa divinazione arcana e pas-
siva, la scienza umana tocca il sommo di sua nobiltà
e di sua potenza perchè tutto quello che aduna, or-
dina, prova ed illustra, tutto esce dall'attività pro-
fonda del nostro essere intellettuale e morale. E la
facoltà del ragionamento apodittico per ciò riesce la
pili severa, la più gelosa e quasi a dire non n\ai con-
tentabile delle facoltà del pensiere e dell'animo per-
chè tiene le chiavi della nostra coscienza e dell'auto-
nomia nostra. Quindi il traslatare il vero dall'ordine
<leir istinto a quello della scienza pura, o vogliam
dire dimostrativa, è opera lunga, travagliata e sopra
DKL FINITO I2f SE. 11
Ogni credere difficilissima. Laonde noa s' inganna la
scienza stessa a scorgere in coiai fatto il maggiore
de' suoi trionfi. E però se la scienza mediante T opera
ina fossesi approssimata notabilmente a cotesto alto
s^no, lascia ridere a posta loro i poco avveduti a cui
paresse un bel modo di screditare cotesta tua onto-
logìa, dicendo ch'ella conclude col gran pronunziato
che il senso comune à ragione.
14. — E non badano cotestoro che il riscontrarsi
una dottrina con gli adagi del senso comune vale in
filosofìa quello che nelle fisiche l'essere un supposto
verificato appunto dall'esperienza. Quindi ne i prin-
cipj ne il termine della metafisica debbo riuscir nuovo
ed inopinato, essendo che la natura e certo dirozza-
mento ed erudizione comune delle genti civili ap-
prende a tutti certa notizia ed intuizione delle verità
più larghe e profonde e su cui si fondamentano la
logica naturale, l'etica, la religione e l'altre discipline
più necessarie al viver sociale. E questo progredire
lento e quasiché istintivo della scienza popolare da cui
direbbesi come costituita e serbata una perenne filo-
sofia capace di sviluppi come di correzioni, è un fatto
notabilissimo della civiltà che la superbia dei metafi-
sici fece male a non avvertire e a non tenerne gran
conto.
IV.
15. — Ciò veduto e posta da banda ogni impossibile
novità nel principio e nel termine della metafisica, debbe
la tua dottrina venir sindacata per gli altri rispetti.
Ed ei si vedrà che in tutte le scuole e per ogni tempo
materia del filosofare sono stati i fatti e le idee. Ma
il difficile è pur sempre di porli in concordia e in
12 LIBRO PRIMO.
connessione tale in fra loro da ricavarne una Scienza
Prima tutta coerente e tutta dimostrativa.
16. — Né già l'armonia loro poteva essere rinvenuta
in sino a che rimanevano incertezze ed oscurità intorno
all'essere delle idee e all'essere dei fatti e sulla fa-
coltà e maniera di pigliarne cognizione. E quando a
te fossero bene riuscite queste tre cose di definire con
esattezza la natura delle idee e quella delle percezio-
ni ; di trovare la cagione e ragione vera ed essenziale
del loro collegamento e di esibire prova non dubbia e
non impugnabile di tutte le realità, fondando a priori
(e ciò forse per la prima volta) l'ontologia, la tua dot-
trina, antichissima di principj e di conclusioni, avrebbe
largamente coiTetto e innovato tutto ciò che debbesi
edificare su que' principj e a quelle conclusioni avviare.
17. — Al che debbesi aggiungere una luce nuova,
la quale rifletterà del sicuro abbondante e purissima
sulla scienza del Cosmo il quale, per lo certo, venne
architettato dall'autor suo in conformità mirabile con
le prefate conclusioni e j)rincipj. Ed anzi dal seno di
essi principj tu se' venuto ritraendo la vera e sola for-
ma possibile di unità che può legare tutte le scienze,
perchè lega necessariamente il finito all'infinito, e con-
ducendo le cose create al colmo del bene partecipabile
le ritorna a queir infinito dal quale movevano.
18. — Questi pensieri ed altri consimili andò espri-
mendo con voce interiore chiarissima quel grazioso spi-
ritello che mi si svegliò dt^ntro 1' animo quasi improvvi-
samente e pareva non già discorrere quel che il pensiere
dettava ma leggere franco e spedito dentro a un libro
stampato. Io non so bene dell' indole sua e se tiene
del sogno ovvero dell' apparizione. Ciò solo che il caso
mi fece di lui sapere si è il nome impostogli quando
fu tenuto a battesimo e lo chiamarono Amor proprio.
DEL FINITO IN 8È. 13
Ad Ogni modo, io me gli tengo un poco obbligato,
perocché quelle sue parole tanto sicure e baldanzose
m'incorarono all'opera che andremo esponendo ai
lettori.
CAPO SECONDO.
DEL PRINCIPIO DI CAUSALITÀ.
I.
19. — Abbiamo dimostrato, ci sembra, che Dio è
creatore attuale e perpetuo. Conciossiachè egli vuole con
atto liberissimo e assolutissimo il bene intinito, e dentro
di questo è una incommutabile relazione coi beni finiti,
come nella sapienza increata è la ragione di farli
esistere e nella potenza è la causa efficiente di tutti
essi. Il che poi dicemmo costituire la eterna fattibilità
e la possibilità metafisica di tutte le cose.
20. — La creazione non à materia preesistente e non è
dì soli fenomeni, perchè la dualità eterna e assoluta è
contradittoria; e il creato esistendo fuori dell'infinito,
esiste come essere e non come modo, è subbietto e non
qualità, è sussistenza e non inerenza.
21. — Similmente abbiam dimostrato che la crea-
zione accade nel tempo e senza moto ninno della virtù
efficiente, la quale e prima e poi è sempre nel medesimo
atto. Però nessun concetto è più fallace di quello che
immagina la creazione siccome un atto singolare, com-
piutosi il quale, V Opifice eterno ritirasi dalla natura
lasciata in governo alle proprie sue leggi ed entra nel
sempiterno riposo. L'atto creativo è impartibile e in-
14 LIBRO PRIMO.
terminabile; conciossiachè opera fuori del tempo; ed
è parimente sì fatta la immanenza di Dio nella na-
turante natura come nella naturata.
Cotale immanenza mantiene fra Dio e il creaU»
una sorta di relazione e di connessione tanto intima
quanto inconoscibile nella sua forma; atteso che questa
sia differente per essenza dalPaltra che lega il modo alla
sostanza e 1' atto all' agente ; e però differisce altresì
per essenza da quella che predicano i panteisti sotto
varj nomi e sembianze.
22. — Ora, diciamo che la cosmologia intera debbo
provenire appunto dallo studio indefesso intorno di talo
immanenza, invisibile nella sua specie di atto e di
nesso, visibile e maravigliosa ne' suoi influssi ed effet-
ti. E perchè in ogni cosa che appare nel tempo incon-
transi queste due condizioni deir essere ella un sub-
bietto sostanziale finito e dello splendervi F immanenza
della buona, santa e providissima potestà e mentalità
del sovrano artefice, conviene sia da noi meditata la
creazione partitamente sotto V uno e V altro rispetto.
Da essa relazione perpetua tra il finito e V infinito
escirà poi la scienza a priori della natura ; e inten-
diamo quella poca e modesta che è lecito per al presente
di statuire con lucidezza e persuasione. E per essere
brevi e precisi, e dall'altro canto per non mescolare
i dati sperimentali e le prove empiriche alle deduzioni
rigorose, verranno queste significate come sentenze e
aforismi; ed a ciascuno aforismo, dove bisogni, faremo
succedere qualche nota, onde sia meglio chiarito ; ovvero
affine che se ne scorga 1' applic^azione ai fatti speciali
che mal si presume di rivelare e stabilire a priori.
23. —Tre larghe divisioni prenderà la nostra specula-
zione a norma della gran sintesi che noi imitiamo dal
Vico e la qual dice la creazione mover da Dio, in Dio
DEL FINITO IN SÉ. 15
consistere, in Dio ritornare. E perciò se ritoma, essa
in qualche modo sene alienò e fece contrario cammino.
La qual cosa importa che il finito, siccome tale, opponesi
air infinito e da lui si disgiunge. E questa è la prima
divisione. La seconda guarda il finito nelle sue attinenze
con la mentalità e potenza divina. La terza lo guarda nel
suo progressivo congiungimento con l'infinito medesi-
mo, in quanto questo è accessibile alla creatura e co-
municabile.
24. — Simili partizioni nella sostanza nuove non
sono ; che la natura fu meditata e conosciuta da troppo
gran tempo Ma nuovo è considerarle intrinsecamente
in tutto quello che valgono e nelle applicazioni loro
air ordine vero dei fatti. Aristotele, dicendo ogni male
della materia e ogni bene della forma, volle parlare da
un lato delle necessità e impotenze de! finito, dall'altro
degl'influssi incessanti dell'infinito; e questi da ninno
furono ravvisati e misurati con più giusto compasso
quanto da quel platonico, il quale domandò la bellezza
una vittoria della forma sulla materia, e volle appun-
to significare una vittoria universale dell'infinito sul
finito. La terza partizione dal Vico accennata sentirono
gU altri platonici quando pronunziarono col lor maestro
che fine dell' uomo è la perfetta imitazione di Dio.
n.
25. — Ma prima per fare che tutte le parti di questo
breve trattato riescano chiare e muovano diritte e
spedite al loro termine, ci accade di dover qui esporre
succintamente la dialettica del principio di causa. Con-
ciossiachè tutta la' materia della cosmologia è gover-
nata da tal principio, il quale d'altro lato fu strana-
mente descritto e abusato dai fondatori di sistemi.
16 LIBRO PRIMO.
Forse sì fatta dottrina ed altre che servono di pro-
pedeutica alla scienza della natura vorrebbero èssere
state di già discusse in luogo piìi confacevole. Ma noi
aggiungiamo sollecitamente cotesta pagina alle confes-
sioni nostre prima che il lettore ve la inserisca egli
con un pò* d' impazienza; e intendiamo dire che bene
si riconosce da noi la metafisica essere un grande si-
stema connesso in ogni suo membro assai strettamen-
te; ne si può per avventura trattarne una parte dis-
giuntamente da tutte le altre, e massime quando non
si ripetono i detti più vulgati di tale e tale autore, ma
i proprj pensieri si proferiscono. Nullameno, ci mancò
r agio e più la forza intellettuale di architettare un
edificio vasto insieme e compiuto di scienza specula-,
tiva e di murarlo da ogni banda con sodezza e con or-
dine, tanto che in cima al tetto non s'avesse a dubitare
dei fondamenti. Fuggimmo anche la noia di ricercare e
definire per minuto le usuali categorie ; proponendoci
in quella vece di dirne all'occasione il poco od il molto
che sarebbe stato opportuno. E qui giunge il caso per
appunto ; né rincresca al lettore l' indugio non lungo
che gli si fa, dopo il quale diverrà il nostro cammino
e più diritto e più spedito.
26. — Noi provammo altra volta la intrinseca neces-
sità di cotesto principio di causa e vogliam dire il per-
chè tutte le cose le quali cominciano e più in generale
ancora tutte le esistenze nuove sono precedute da una
cagione. Né basta affermare con un filosofo insigne
italiano * che tal principio risolvesi nella proposizione
identica : ad ogni atto dover corrispondere a forza un
agente. E per fermo, nessuno domanda la interna ca-
gione degli atti essenziali e perpetui degli agenti sem-
* Roiiiiini.
DEL FINITO IN SE. 17
plicì, ma si domanda la cagione del mutare di quegli
atti ; imperocché essa non può stare nella natura pro-
pria intema e immutabile degli agenti medesimi, e
conviene cercarla altrove e fermarsi alla perfine in una
ragione suprema, universale e apodittica ; e cioè a dire
che la ragione causale d' ogni mutamento nel mondo
creato debbe fondarsi ella pure nel piii generale prin-
cipio della identità e della contraddizione. E simiglian-
temente, tutta la dialettica della ragion sufficiente, come
Leibnizio la volle denominare, debbe avere per riscon-
tro e per prova ultima il detto principio. Che in al-
tra guisa la teorica della causalità fondandosi sopra
un adagio di senso comune creduto e non dimostrato
non cancellerebbe mai il suo carattere empirico ; ed anzi
lo imprimerebbe in ogni materia a cui venisse ap-
plicata.
27. — E qui notiam di passata il progresso che fa la
filosofia teoretica intomo a questo subbietto della cau-
salità mediante la nostra particolare dottrina della Per-
cezione. Per fermo, quando l'Hume sentenziava univer-
salmente non apparire in alcun fatto il carattere del-
Tefficacia causale, ma solo i fenomeni legarsi fra loro per
contiguità di luogo e di tempo, insorsero i psicologisti
a provare che T anima testifica tuttogiorno a sé stessa
di essere cagione formale de' proprj atti. Il che forse
poteva concedere anche V Hume senza troppo dannifi-
care le sue negazioni. Nella medesima impotenza, a
nostro parere, sono tutti q uè' metafisici i quali o ne-
gano l'intuito immediato della compenetrazione nel
nostro essere degli atti esterni ed interni; ovvero lo
spiegano siccome una specie d' immediata divinazione.
Invece, per la nostra dottrina diventando evidente e
certissimo quello che abbiam domandato contatto men-
tale del subbietto e dell' obbietto. la filosofia possiede
Mahuhi. — M. %
18 LIBRO PRIMO.
una prova scientìfica della nozione di causa efficace o
vogliam dire di quella che opera fuori di sé e penetra
nel subbietto passivo.
m.
28. — Nel generale, domandasi causa ciò che per
virtù propria e immediata origina alcuna esistenza o
dentro o fuori di se; quella che opera dentro venne
chiamata formale ; V altra, efficiente.
Egli è chiaro che la esistenza causata non può
essere lo stesso atto causale, salvo che quando l'agente
0 il subbietto dimori per natura o per abito in quel solo
atto primo che domandasi facoltà o virtualità. Perocché
allora la esistenza causata è un'esplicazione di atto,
sebbene vi occorra un' altra forza eccitativa e determi-
nativa come si vedrà più tardi. Ma se l'atto è immanente
e sempre ad un modo è spiegato? Allora, ripetiamo, il
dargli per causa il proprio agente o subbietto è poco
meno che un'astrazione e un paralogismo e si viene
a dire che l'agente con un atto fa esistere quel suo
medesimo atto. Per fermo, la mente stessa distingue
con pena il subbietto dall'atto essenziale e imma-
nente. Ad ogni modo, diciamo il subbietto non essere
causa infino a tanto che non si considera siccome
agente, perchè la cagione è qualcosa d'intimamente
ed essenzialmente attivo. Che se il subbietto è mai
sempre in atto e con quell'atto s' immedesima, e per-
ciò vogliamo dire eh' egli è continua causa, doman-
deremo allora dove sia l' effetto e come distinguesi
dalla causa. Laonde, com'io notavo più sopra, quando
parlasi delle qualità e degli atti essenziali e imma-
nenti d'una sostanza semplice, e taluno ne richiedesse
la ragione e cagione interiore, subito gli saria rispo-
DEL FINITO m SÉ. 19
!jto: perchè ella è fatta cosi, e cioè a dire così venne
costituita originalmente; onde la vera cagione è cer-
cata e riconosciuta esternamente e superiormente nel-
Tatto creativo medesimo non nel subbietto operante.
Domandi quale sia la causa deir attrazione generale?
Se tu non credi ch'ella provenga da un altro fatto
più ancor generale ed intrìnseco alla materia, ma tu
la giudichi una facoltà originale e costituente la es-
senza di quella, tu sei pervenuto all'ultimo termine,
e vale a dire all' effetto immediato dell' atto di crea-
zione.
29. — Del resto, il solo teismo à un chiaro e rilevato
concetto della causa efficiente, dacché non pure la
distingue dagli effetti mediati e immediati, ma la se-
para sostanzialmente da quelli. E perchè, a nostro
giudicìo. nell'Assoluto vera causa formale non opera,
non vi si distinguendo l' atto dalla potenza, ne segue
che ai panteisti il concetto di causa dee comparire
mal contornato e d'incertissimi lineamenti. E sebbene
discorrono assai volentieri dell'azione reciproca delle
sostanze, egli si può sfidarli alla prova del dar ra-
gione sufficiente delle cause esteriori operanti in noi
con violenza, di qualità che l'anima nostra vi rilutta
con ogni forza e con fatica angosciosa e infruttifera.
Strana cosa, davvero, che l' ente uno ed universale
voglia patire la propria azione e continuamente addo-
lorarsi e straziarsi.
IV.
30. — Raccogliendo le cose discorse, abbiamo che la
causa è latamente sinonimo di sostanza attiva, sinonimo
di potenza e di forza, la quale se opera, è attuale; se
non opera, è virtuale. E quando non esce dal proprio
20 LIBRO PRIMO.
essere piglia (si disse) nome di formale; quando esce^
di efficiente. Ed è formale ed efficiente nel tempo stesso
quando per impiegare l'efficacia sua al di fuori in al-
cun subbietto esteriore à d'uopo di passare innanzi
dentro di sé dallo stato virtuale all'attuale e sussi-
stente.
31. — Vollero alcuni dialettici che qualcosa tramez-
zasse fra la potenza e l' atto e la chiamarono conato. Noi
non conosciamo il conato se non là dove l' effetto o
vogliam dire l'esplicazione dell'atto è impedita este-
riormente 0 per lo manco ne è impedita la manifesta-
zione sensibile; come l'atto di gravitazione è sempre
in conato ne' corpi cui è impedito da altre forze di
cadere verso il centro. Ogni rimanente è sottigliezza
ed equivoco di parole.
32. — La causa trae sempre qualche cosa dal nulla,
eziandio se produce da tutta l'eternità. Perchè, dove
la causa non operasse, l'effetto non sarebbe in nes-
suna maniera, ovvero uscirebbe dal nulla senza ca-
cone. E sia pure preesistente la facoltà, ovvero la
materia, l'esplicazione dell'atto nell'un caso e la forma
determinata nell' altro saranno esse dedotte dal nulla.
Se entrambe poi esistevano, il modo, 1' accidente o
che altro viene causato escirà parimenti dal nulla. Pe-
rocché se tutto debbo preesistere e nulla cosa è pro-
dotta, non v' à più causazione, ovvero la causazione
stessa diventa impossibile, come sembrò affermare la
scuola Eleate. Produrre adunque alcuna cosa vuol dire
condurla dal non essere all' essere. E appunto perchè
la causa è creatrice e l'atto onde qualunque essere
od anche qualunque modo di essere esce dal nulla è
misterioso, noi non avremo mai concetto cfciaro e ana-
litico della nozione di causa, e intendo causa propria-
mente efficace.
DEL FINITO IN SE. 21
33. — Menare, per altro, una cosa dal non essere
all'essere, inchìude, chi ben guarda, una potenza infi-
nita; perchè è infinito V abisso che separa Pente dal
nulla.
Ogni specie adunque di causazione o sostanziale o
modale che sia, opera in virtù d'una potenza infinita.
34. — Di qui si traggo che una sola causa sussista
nell'uniTerso a cui tal nome compete veramente e asso-
lutamente ; perchè due infiniti di potenza sono impos-
sibili, e questa causa prima ed ultima è Dio.
35. — Da ciò rampolla (e sia qui detto per transito)
una dimostrazione assai rigorosa e poco avvertita così
dell' esistenza di Dio come del principio di causa. La
quale dimostrazione appena vuoisi affermare che pro-
oada a posteriori, bastando a costituirla qualunque atto
del pensiere. E per lo certo, si noti il legamento delle
infrascritte proposizioni. Io penso, dunque esisto. Tal
mia conclusione è un secondo pensiere diverso dal pri-
mo ; io esisto, adunque, mutando. Ma ogni mutamento
o sostanziale o modale è una nuova esistenza; ed ogni
si fatta ricerca un potere il quale la tragga dal non
essere all'essere; e perchè dall'uno all'altro corre in-
tervallo infinito, lo può solo riempiere una potenza
infinita. Va dunque l'infinito che crea e determina
tutte le esistenze nuove e fornisce altresì al pensiere
la facoltà di mutarsi.
3G. — Impertanto, dopo Dio tutte le altre cause
sono per partecipazione e si domandano cause seconde.
Nel vero, se può esistere il finito possono ezian-
dio esistere le cause finite o seconde; e se esiste una
sola causa assoluta, non perciò non possono esistere
cause relative e cioè a dire partecipi di virtù effettrice.
37. — Ma v' à chi sostiene che il mondo creato è in-
finito ed è intrinseco alla sua cagione. £ prova il primo
22 LIBRO PRIMO.
eDunciato con questo, che da causa infinita può solo
provenire effetto infinito.
38. — Al che si obbietta col presente dilemma : o le
cose create sono consustanziali con Dio o non sono.
Chi afferma il primo, cade nel gran paradosso d'im-
medesimare il finito coli' infinito; poiché T esperienza
ci prova che nel mondo è il finito. Chi afferma il se-
condo e tuttavolta sostiene la infinitudine della crea-
zione, ammette due infiniti V uno fuori dell' altro ; e
poicliè r uno debbo all' altro mancare, ei sono finiti
ambedue. Né si scampa dal dilemma dicendo con Hegel
la cagione e l' effetto essere a un dipresso identici ;
espressione, che toma a ripetere, sotto diverso sem-
biante, il gran paradosso della parità dell'ente e del
nulla. Ma in realtà cagione ed effetto differiscono tanto
quanto il finito dall' infinito. Gonciossiachè questa è
vera e assoluta cagione, come vero effetto è l' universo
creato. Ne gioverà di vantaggio il pronunziare insieme
col Bruno o con altri più moderni che l' effetto dimora
nella cagione come l' atto nella potenza, ovvero che la
cagione infinita ed implicata diventa esplicita nell' ef-
fetto pur rimanendo uguale a sé stessa. Cotesto ambi-
gue parole di atto e potenza e di estrinseco e intrin-
seco anno corto dominio laddove si ragiona schietto e
preciso.
39. — Quando l' effetto non trapassi per niente fuori
della sostanza divina, la risposta fu già espressa e chia-
rita più d' una volta. Quando trapassi al di fuori,
r effetto non é spiegamento ed emanazione, ma crea-
zione reale dal nulla. Quindi la potenza rimanendo
scissa dall' atto, e l' implicazione dalla esplicazione, la
causa non più possiede l'infinito determinato nel pro-
prio effetto e quindi é incompiuta e manchevole.
Adunque, dicendosi che da cagione infinita può
DEL FINITO IN SÉ. 23
solo uscire effetto infinito, ei si fa impossibile al tatto
la creazione e si nega la esperienza la quale atte-
sta invittamente a ciascuno che il finito esiste. E sia
questo un mero fenomeno; ciò non lo confonde col
nulla. V à nella natura serie e specie di modi, serie e
specie di affezioni, atti e accidenti che si succedono e
passano e dei quali si può aver il numero, la quantità
e la misura. Ma la quantità e il numero sono sempre
limitati e per nessuno sforzo e nessun miracolo si con-
vertono neir infinito, ed anzi è provato evidentemente
che ciò racchiude una logica ripugnanza.
40. — D' altra parte, V efficienza infinita mostrasi
tale eziandio nell' effetto, in quanto tragge le cose dal
nulla. Cavarne un granello di sabbia od un infinito è
sotto questo rispetto un medesimo. Altrettanta potenza
infinita vi vuole a conservare la creazione in ciascun
attimo di tempo, altrettanta a partecipare agli enti
finiti alcun grado di causale efficacia.
41. — Da ultimo, ciò che davvero riuscirebbe defi-
ciente e però non divino e non infinito nella virtù crea-
trice, sarebbe se la natura non diventasse tutto quello
che mai può essere a rispetto del fine ; il che non fu
mai dimostrato da alcuno ed anzi fu dimostrato il
contrario, e noi ne terremo speciale e lungo ragiona-
mento.
42. — Giordano Bruno aiuta vasi di provare con venti
diversi argomenti la infinità del mondo. Ma prima
avrebbe dovuto liberar la sua tesi dalla logica impos-
sibilità che racchiude ; e intendesi che gli conveniva
mostrare la compossibilità di due infiniti, V uno dei
quali è fornito di tutte le perfezioni e ciò non ostante
nell'altro è certa positiva infinità che vuol dire per-
fezione. Poi gli conveniva mostrare come una serie di
finiti può costituir V infinito, e il sempre manchevole
24 LIBRO PRIMO.
costituire, il perfettamente compiuto. Ne solveremo il
Bruno da tali contraddizioni ripetendo quello che
abbiamo testé ricordato e combattuto e cioè ch'egli
concepisce in fondo un solo infinito distinto per altro
in potenza ed in atto ; la natura naturante essere
una infinita facoltà o virtualità; la natura naturata,
un atto infinito. Ma oltre alle ragioni esposte qua
poco addietro, subito ricorre alla mente la contraddi-
zione manifesta di chiamare facoltà o potenza ciò che
dee permanere mai sempre in atto; ed è un voler fare
a forza certa distinzione e certo separamento dove non
può sussistere. La distinzione tra facoltà ed atto à
luogo unicamente (chi non lo sa?) nelle cose finite dove
del sicuro l' atto non sempre accompagnasi alla facoltà,
e dove V atto è pur sempre una esplicazione di lei; e
come altri disse è un atto secondo o perfetto a riscon-
tro della facoltà che è un atto primo e iniziale. Certo
nella natura, parlandosi al modo di Bruno, le mani-
festazioni dell' atto assolutissimo sono diverse e succes-
sive. Ma se queste sono altrettanti atti separati, l' As-
soluto è composto e finito; se escono da un solo infi-
nito atto, riviene l'opposizione qui innanzi toccata. Per
tale rispetto, il sistema dello Schelling e quello del-
l' Hegel tornano nella sostanza un medesimo col si-
stema del Bruno; tutti tre fondamentano il loro edificio
sopra una distinzione assai positiva di potenza e di
atto che è impossibile nell' Assoluto.
43. — Quindi si badi che in fondo una sola e per-
petua è la questione la qual pende fra noi e costoro.
Noi concepiamo e3 asseveriamo un vero infinito ed una
pienezza intera ed assoluta di essere; quelli un infinito
che vassi facendo e compiendo, e cioè qual cosa di ri-
pugnante con la germana definizione del concetto e col
falore del vocabolo.
DEL FINITO IN SÉ. 25
V.
44. — Le cagioni seconde come sono tali per sem-
plice partecipa/ione così non possono contenere una eflS-
cacia diversa o maggiore dì quella che è loro infusa
originalmente e la quale costituisce la loro essenza.
Di quindi gli assiomi che valgono solo per 1' or-
dine delle cagioni di cui parliamo ; e i principali sono :
Che nelle cause formali T effetto esser non può dif-
ferente di natura e di essenza ; e nelle cause efiicienti
che il tutto diverso non opera sul tutto diverso:
Che l'eflFetto non può superare di quantità né di
qualità la cagione, come non può essere minore e in-
feriore, se parte dell' eflScienza causale non è impedita :
Che se V essere della cagione è meramente facolta-
tivo o potenziale che voglia dirsi, il principio il quale
determina la facoltà o la potenzialità air atto non è
insidente nell'essere stesso, ma gli viene dal di fuori:
Che ogni atto è ricevuto secondo il modo del ri-
cevente.
Vi sono altre massime più agevolmente apprensi-
bili, derivandole per egual maniera da ciò che doman-
deremmo la proporzione delle cause con gli effetti, e
delle cause in fra loro.
45. — Ripetiamo poi che tutte le cagioni seconde si
adunano nei due grandi ordini delle formali e delle effi-
cienti od efficaci che le si chiamino. Nelle prime mi sem-
bra di non ravvisare distinzione di genere sebbene si di-
stinguono per la natura dell' atto. Conciossiachè la ca-
gione formale talvolta opera spiegando la facoltà e
attuando la potenza ; talaltra. ricevendo l' azione este-
riore nel modo determinato e speciale della propria
indole; dacché in quanto l'estrinseco atto è ricevuto
26 LIBRO PRIMO.
cosi o cosi la sostanza passiva opera in sé medesima
ed è cagione formale.
46. — Invece, noi giudichiamo che delle cagioni effi-
cienti sieno da notare se non tre generi diversi, certo
tre gradi molto distinti, e sono Tefficienza fattiva, la pro-
vocativa e r occasionale. Do il primo nome a quelle
cagioni che modificano direttamente e prc^ondamente
un subbietto per la insinuazione del proprio atto. Per
centra, do il secondo nome alle cagioni efficienti, le
quali, meglio che imprimere in altri la virtù propria
particolare, suscitano nel subbietto passivo alcuna po-
tenza latente ovy?ro alcuna mutazione nelle qualità e
maniere attuali. In fine, cotesta provocazione può tanto
scostarsi dalla natura della sostanza da onde muove
che meriti nome di pura virtù occasionale.
47. — Ma d' altra parte cotesti tre gradi o sorte di
azione efficace si mescolano di leggieri insieme, ed i loro
confini a mala pena si discernono. Anzi tratto si può di-
sputare se v^ à mai cagione propriamente fattiva e non
sieno in quel cambio tutte cagioni provocative. Per
fermo, se ogni mutazione nel mondo fisico accompa-
gnasi col movimento e questo è promosso e non già
trasfuso, tutte le cagioni fisiche, quando pure sieno fat-
tive, riescono altresì provocative ed occasionali. Queste
ultime poi allora si mostrano neiressere proprio, quando
uè provocano né modificano ma tolgono V impedimento
a qualche azione diretta; ovvero, sebbene cooperano a
qualche effetto notabile, lo fanno per solo accidente e
per caso o con atto remotissimo dalle ultime effettua-
zioni e troppo da loro sproporzionato.
48. — L' esperienza induce chiarezza, precisione e mi-
sura in tutte queste gradazioni; invece, la speculativa
giunge a mala pena a riconoscere alcun che di assoluto,
per la ragione che quanto è certo V operare delle cause
DEL FINITO IN SÉ. 27
efficaci altrettanto è oscuro il lor modo di penetrare le
sostanze e modificarle. Nondimeno, è lecito di affermare
nel generale che tra essenze omogenee interviene un'azio-
ne fattiva e fra le meno ed anche eterogenee quasi al
tatto succede V azione provocativa e Y occasionale.
49. — L' oscuro modo di operare delle cagioni pro-
veniente dal fondo ignoto ed inconoscibile delle sostan-
ze, dette agio agli scettici di negare a dirittura l'ef-
ficienza delle cagioni. La contesa ci appare quotata ed
estìnta per sempre, argomentando dai fatti e conclu-
dendo in una cognizione, cei*ta, Kebbene di forma, spe-
rimentale. Nel nostro agire e patire e nelle intuizioni
die sempre lo seguono è dimostrato con evidenza che
noi siamo causa formale e causa efficiente e che a vi-
cenda il nostro corpo e le forze ambienti sono causa
efficiente sull'animo nostro, senza distinguere ora la
sorta e il grado della loro virtù effettrice.
50. — Ma volendosi intorno al proposito ragionare
a priori e con ordine deduttivo, credo che dovremo ri-
stringere ogni conclusione in questi pochi pronunziati.
51. — Esservi una potenza infinita determi natrice
di ogni finito; e però esservi una cagione suprema ef-
fettrice deir universo. Il perchè quando anche si po-
tesser negare tutte le cause seconde, sarebbe necessità
riconoscere una causa efficiente perenne ed universale
per tutte le sussistenze finite e per ogni lor mutamento.
52. — Nessuna delle condizioni e limitazioni che
debbonsi attribuire alle cagioni seconde, qualora esi-
stano, conviene di assegnare alla efficienza infinita, a
cui sono possibili tutte le sorte di relazione causale fra
lei ed il mondo, salvo quelle che implicano ripugnanza
logica manifesta. Però l'Assoluto potrà effettuare ad
extra il simile quanto il diverso; ed anzi il creato
avrà del sicuro essenza diversa da lui.
28 LfBRO PRIMO.
53. — E cotesta è dottrina teistica. Invece nel
panteismo, in quella maniera che poco o nulla si può
concepire la causa operante fuori di sé, del pari non
vi s' intende com' ella eflFettui ancora il diverso da sé;
in fatto, nel sistema della sostanza una ed insepara-
bile ogni mutazione debbe da ultimo essere un atto e
un modo di quella sostanza. Ora, chi può farsi capace
di questo che il modo e V atto non sieno d' una es-
senza e d^una natura col subbietto e l'agente?
54. — Dicemmo, ed or confermiamo, poter esistere
le cause seconde e cioè alcuna specie e grado di ef-
ficienza partecipata.
55. — Atteso poi che ogni sostanza per operare
al di fuori conviene sia fornita di attività e questa di-
mora in due stati diversi, e vale a dire in implicazione
di potenza, ovvero in esplicazione; seguita che ogni
causa efficiente sia innanzi tratto causa formale entro
sé medesima.
56. — Da ultimo, considerando che la creazione
esce dall' assoluta bontà di Dio, e che però ella dee
contenere tanto bene quanto il finito ne sia capevole.
deesi giudicare che, mercè d' una meditazione intensa
e rigorosa sulla dispensazione divina del bene, la mente
à facoltà di costituire la certezza scientifica della esi-
stenza delle cause seconde e ben definire i modi es-
senziali d'ogni loro operato; il che appunto procaccerò
d' indagare e fermare la nostra cosmologia ; fondan-
dosi precipuamente su quel gran vero che la sola e
mera passività nelle cose non è nettampoco apprensi-
bile e che il bene risolvesi in attività essenziale e per-
manente. Questo poco è lecito di argomentare intorno
alla categoria delle cause per sola virtù discorsiva.
57. — Altre analisi più minute della materia sono
da lasciare ai grammatici e ai logici, nelle cui distin-
DEL FINITO IN SE. 29
zioni, per altro, incontrasi le più volte una chiarezza
apparente ed è mantenuta l'occasione di molti dubj
e la noia dell' ambiguità. Né credere, per via d'esem-
pio, che dopo studiate le trattazioni loro tu avrai netta
dentro al pensiere V idea della causa generale e della
particolare, ovvero l' idea d' una efficienza che opera
sostanzialmente e d'altra che opera per accidente.
58. — Sul che diremo pur di passata essere generali
(come suona il nome) le cause che operano in tutto
un genere e nel comune delle cose, laddove sono par-
ticolari quelle che operano nelle specie e nel proprio.
Le prime appariscono in ogni atto del genere e però
sono continue. Le altre o sono discontinue e appari-
scono qua e colà; ovvero, se operano sempre, non di-
morano in tutte le specie. Fondamento delle prime
è la identità, la diversità delle seconde. In ogni cosa
v'è il mutabile e l'immutabile. Nel primo sono gli
accidenti, nel secondo sono le essenze. Gli atti del
primo sono cause accidentali, gli atti dell'altro sono
cause sostanziali. E perchè il mutabile e l'immutabile
anno spesso del relativo, così le cagioni cambiano non
rade volte il nome di sostanziale e d'accidentale; e
perchè gli accidenti per la loro incostanza non la-
sciano spesso conoscere le cause minute e fuggevoli
alle quali appartengono, di tal guisa sono chiamate
cause fortuite; sebbene alcuna volta paiono condur
seco effetti di suprema importanza, il che avviene per
virtù occasionale, come più sopra fu notato.
VL
59. — Le cause finali non esistono nella natura,
in quanto le cose sfornite di ragione obbediscono solo
alla intrinseca necessità della loro forma. Però ogni
30 LIBRO PRIMO.
cosa d' altro Iato è causa finale ìd quanto è governata
da una perenne mentalità che le coordina, o a dir più
esatto, le preordina ; onde esse cose operando fatalmente
giusta le necessità della propria natura si conformano
a capello air attuazione del fine.
Chi afferma che Dio opera nell' universo creato
senza rispetto a fine viene ad affermare ch'egli opera
senza ragione; percliè la causa propria del diventare
delle cose è nella natura di esse, ma la ragione è nel
collegamento loro all' ordine od al fine che voglia dirsi.
Rimane di chiarire questa idea medesima del fine.
60. — Certo, la idea del fine non è applicabile a
Dio considerato nella sua eterna e perfetta esistenza;
conciossiachè V infinito non diventa e non si perfeziona.
Del pari, la idea del fine non è applicabile alla na-
tura se questa è necessariamente tutto ciò che può
essere e non v' è distinzione tra il bene ed il male, in
quanto il bene ed il male sono entrambo necessarj, en-
trambo debbono venire all' atto sino allo esaurimento
ultimo della possibilità assoluta e sono manifestazioni
parziali e transitorie di Dio.
61. — Invece la distinzione profonda tra il bene ed il
male è cosi propria dell' intelletto quanto quella del
vero e del falso, dell' essere e del non essere. Ora il bene
si converte col fine, e ciò che non è bene ed al bene non
serve, usurpa il nome di fine ma tale non è in sostanza.
Il fine adunque è il bene conseguibile dell' universo.
Impertanto per compiere lo intendimento del concetto
di fine è bisogno intendere il termine col quale essen-
zialmente si converte, io vo' dire il bene. Ciò posto, io
affermo che il bene assoluto in Dio si converte con
l' essere. Ma nell' Universo creato mescolandosi il male
al bene è impossibile convertire quest'ultimo col puro
essere.
DEL FINITO IN SÉ. 31
E converieiìdolo di tal ^uisa è chiaro che non v^ è
più modo di distinguere il mezzo dal fine; e se ogni
cosa è fine, il fine più non esiste.
62. — Va dunque nel creato il bene ed il male e
delle cose che conducono al bene ma che il bene non
sono. Da ultimo, egli non si può concepire il bene in una
forma positiva e quindi desiderabile, qualora non sia si-
nonimo di beatitudine; e la beatitudine vuol dire la pe-
renne coscienza, soddisfazione e armonia di tutte le fa-
coltà deir ente personale nel colmo delP attività loro.
Tutti gli altri beni sono un vestigio di questo, salvo il
bene morale in quanto è legge divina prescrivente Por-
dine secondo il quale V universo creato aggiunge il suo
fine, e però è bene assoluto e convertesi con esso Dio
l^slatore supremo. Oltreché, la beatitudine e il bene
morale come eziandio la perfezione dell' essere sono
termini i quali da ultimo debbono insieme incontrarsi
ed unificarsi; imperocché sotto un rispetto umano e
finito r uno è mezzo e V altra é fine, e V una é un po-
stulato della assoluta ragione delT altro.
63. — I vecchi panteisti, conseguenti a sé stessi, quanto
fu loro possibile negarono la distinzione del bene e del
male e però negarono le cause finali ed ogni progresso
come ogni moralità. I panteisti moderni incoerenti ad
ogni tratto con sé medesimi pongono l'indefinito sviluppo
dell'Assoluto e però Tordi uè dei mezzi e dei fini. Vedemmo
altrove che le nozioni o idee sono le eterne possibilità
delle cose e quindi le loro vere cagioni efficienti. Ma
rispetto al pensiere umano e in quanto elle porgono
a lui r esemplare di ciò che attua nelle opere d' arte
e di pratica, torna più convenevole registrarle nelP or-
dine delle cause finali, facendo parte essenziale delle
intenzioni delT uomo.
64. — Le altre condizioni proprie e specificate del
32 LIBRO PRIMO.
principio causale nei secondi agenti o vogliam dire nelle
cause create e finite, verranno descritte nel Capo che
segue. I cenni dati qui sopra ci paiono convenienti e
bastevoli a chiarire e ordinare quanto bisogna il pro-
gresso della trattazione.
65. — Malebranche, gran filosofo, conforme fu detto
nel Libro quarto dell'ontologia, negò a dirittura le
cause seconde per la ragione che nemmanco Dio può
loro fornire V assoluta causalità. Ciò prova troppo dav-
vero 1 E perchè potrà egli il Signore Iddio partecipare
r essere, la bellezza la mentalità ec. e non l' efficacia
causale? Noi siamo sempre allo stesso discorso. Oltre
r infinito può esistere il finito. Dunque oltre la po-
tenza ed efficienza infinita possono esistere gradi e ma-
niere finite di efficacia causale; e come Dio è imma-
nente nelle sostanze e pure non le immedesima a sé,
del pari egli è immanente nelle efficienze finite che
sono air ultimo non altra cosa che attività sostanziali.
Che se al Malebranche manca ardimento di ricusare
air uomo la facoltà degl' impotenti desiderj e conati,
come non s' avvede che impotenti o no, que' conati e
que' desiderj sono cause formali ? Ora, introdotta nella
natura in qualunque via e maniera una poca parteci-
pazione di causalità, è lecito di supporre una parteci-
pazione maggiore e il quanto ci verrà discoperto e in-
segnato dalla coscienza e dall' esperienza.
66. — A rispetto poi del sapere come un atto pe-
netra in altro subbietto e lo modifica, concedo che mai
non vi perverremo, perchè converrebbe avanti disvelare
r ultima essenza delle cose. Quindi tale impossibilità
di conoscere non è maggiore intorno le cause che in-
tomo a tutte le essenze. Chi conoscesse intimamente il
subbietto dell'anima, scorgerebbe il perchè dell'esser
ella fornita di certe facoltà e non di certe altre. Perciò
DEL FINITO IN 8E. S3
quando dicesi che nei finiti il diverso non à balia
d'operar sul diverso, è ragionevole d'intendere che
sono diverse compiutamente due cose della quale l'una
non può farsi passiva dell' altra, ovvero che non v' è
fra loro ne somiglianza di natura ne possibile rela-
zione di causa e di effetto. Quello, pertanto, che è ac-
cettabile nella teorica del Malebranche chiamata occa-
sionalismo, si è che noi vediamo tra esseri, i quali giu-
dicheremmo diversi affatto, sussistere una relaziono
causale e ciò non per un atto speciale della potenza di
Dio, ma per una originale disposizione e costituzione
di quelle sostanze; il che torna a dire che la diversità
loro non va sino al punto di fare impossibile ogni ef-
ficacia causale dalFuna all'altra.
67. — In mano poi degli occasionalisti il concetto
medesimo di causa occasionale si va alterando e fal-
sando ; dacché siguifica una relazione di contempora-
neità e concomitanza determinata per arbitrio non per
necessità delle cose. Nel vero e nel fatto, pur le ca-
gioni occasionali operano con necessità intrinseca le-
gata e connessa all' estrinseca di tutti gli enti.
68. — Ma nel generale è da dirsi che la categoria
di causa fu la peggio trattata in filosofia ; e Aristotele
ne parlò felicissimamente da logico, scarsamente da
metafisico ; e mentre negava a Platone l' intrudersi delle
idee nelle essenze effettive, chiamava del pari cause
formali le nozioni e il principio attivo e interiore delle
cose. Onde per lui le definizioni erano cause ; e dedurre
per sillogismi era dimostrare dalle cagioni. Ne mai
sospettò che dovesse farsi luogo alla controversia pro-
mossa dall' Hume tanti secoli dopo. E se nell'undecimo
della metafisica discorre delle cagioni con maggiore pro-
fondità e le quattro classi riduce a due, sembrami avere
egli concluso bene intorno al concetto della ragione
Mamuhi - 11. S
34 LIBRO PRIMO.
prima assoluta, ma lasciare incerta e incompiuta la
dottrina delle cause seconde. Kant, postosi a rifare, come
ognun sa, il libro dei Predicamenti e venuto a parlar
della causa, la estenuò di maniera che le tolse persino
il principio attivo, convertendolo in un concetto appli-
cabile a tutte le mutazioni che accadono con qualche
legge.
CAPO TERZO.
AFORISMI DELLA FINITÀ DELLE COSE.
Aforismo I.
69. — Ora seguono gli aforismi annunciati più so-
pra intorno alla condizione e natura della finità in sé
medesima considerata. E primo nell'ordine dialettico
viene l'infrascritto.
Il finito in quanto tale si diversifica necessariamente
dall' infinito. E se questo è 1' uno, V altro è il molte-
plice. Quindi il finito per sé opponesi altresì all'unione
e va diviso e disgregato.
70. — Del pari, non è omogeneo, ma eterogeneo e
diverso. Perocché V unione e la somiglianza contiene
certa effigie di unità. Non è ordinato, concorde ed ar-
monico, ma confuso e discorde per la ragione medesima
che la concordia e l' armonia, e però V ordine inchiuso
in entrambe, s' accostano all' unità ed stnzi sono certa
unità relativa. Oltreché l'ordine e l'armonia dovun-
que appariscono fanno forza al pensiere di ricono-
scere quivi entro certa mentalità e certa intenzione
finale. Mentre nelle cose contingenti a sé medesime
abbandonate si dee concepire o la immobilità o il tu-
DEL FINITO IN SE. 35
multo; e quando nella immobilità si scorgesse qualche
ordine, sarebbe per accidente e senza alcuna razionalità.
Perciò se nella creazione tu scorgi spesso V omogeneità,
la somiglianza, la concordia e così seguita, non dèi
guarì attribuirle al finito siccome tale ed a ciò che ne
proviene immediatamente, ma sì ad un altro principio
che è necessario di riconoscere, onde sia possibile di
spiegare e dMntendere la natura.
71. — Ne si obbietti che V uno può molto bene sus-
sistere nel finito salvo che non ci può stare perfetto e
senza limitazioni. Conciossiachè V unità è per se mede-
sima qualche cosa di assoluto, ed è carattere eminente
dell' Infinito; talché uno e infinito sono termini che si
convertono. Adunque il finito siccome tale aver dee il
carattere della moltiplicità. E se tu fingi che esista un
solo finito e quindi non altro che certa unità relativa
e finita, certo eh' ella rimane smisuratamente indietro
dalla possibilità del finito, il quale può essere ripetuto
innumerevoli volte e cioè a dire che può sussistere come
moltiplicazione e reiterazione. Perchè quell'uno finito che
pure ài finto cosi solitario sarà molteplice nelle mutazioni
de' suoi fenomeni o negli atti di lui necessariamente suc-
cessivi o nelle stesse qualità che s'aggiunge e s'ap-
propria o per ultimo nella possibilità di venir replicato.
72. — Il simile discorso torna per le diversità. Con-
ciossiachè se tu le sopprìmi, tu abolisci quasi tutta la
creazione ; e se tu le ammetti e le vuoi sussistenti, le
dovrai disgregare ; perchè 1' uno e il diverso per sé me-
desimi si respingono.
A.
73. — Qui si vede quanto errano coloro i quali
danno al mondo per prìmo ed essenziale carattere la
36 LIBRO PRIMO.
unità, e coloro che vi cercano certa causa prima e sem-
plice e conosciuta la quale (dissero gli enciclopedisti)
l'intero universo sarebbe spiegato. Intanto la scienza
che ancora bambina sperava di risolvere tutto il creato
corporeo in quattro soli elementi ne confessa oggi ol-
tre a cinquantasei, non contando gV imponderabili.
74. — Così pure incontra che appena stimiamo di
avere raggiunta certa unità di causa e con essa ci
poniamo a render ragione d'innumerevole varietà di
fenomeni, insorge la difficoltà di spiegare il perchè
delle differenze. Tu affermi, per via d' esempio, che i
quattro fluidi imponderabili sono uno soltanto. Tro-
vami adunque il principio della diversità in ciascuno
per se e in ciascuno a rispetto degli altri.
75. — Hegel aggiusta ogni cosa ponendo il contra-
rio e il diverso ed anzi la stessa contraddizione nell'Uno.
Ma ciò sta bene pel solo Hegel il qual disconobbe sem-
pre il vero e positivo infinito e quindi sempre la vera
unità.
Fu eziandio presunto e cercato nella grande sfera
mondiale un centro. Ma esso disparve piii sempre quanto
la osservazione nostra venne armata di poderosi stru-
menti.
76. — Né si opponga che i fisici anno mille volte
presentita e scoperta la unità e semplicità delle cause;
e che rimovendosi questa divinazione dell' uno nel vario
e del semplice nel composto, le scienze naturali cadono
in confusione e diventano ciò che furono lungo tempo,
un elenco vale a dire di fatti e fenomeni sdrusciti e scon-
nessi. Nói più tardi considereremo questa maraviglia in-
cessante dell'uno e del semplice, apparente in mezzo alle
divisioni ed implicazioni della materia; e vedremo allora
che entrambo i termini procedono da un principio su-
periore e alla materia stesso straniero ; e nulladimeno^
DEL FINITO IX SÉ. 37
noi manteniamo che il molteplice, il disgregato, il di-
verso, il particolare e simili sono i caratteri proprj
tanto ed essenziali del finito che non perverrebbe ad
annientarli nemmanco la potenza di Dio ; e che il pro-
gredire delle fisiche sebbene ritrova partitamente e in
certi ordini speciali di esseri la unità relativa e la
semplicità dei principj e dei mezzi, tuttavolta va di-
lungandosi ognora più dalla sintesi generale, testimo-
nio a' nostri giorni il Cosmos di Alessandro Humbolt.
AroRisMo II.
77. — Ne il finito apparisce in una parte dell' es-
^re e in altra cessa o decresce. La finalità circonda,
per così dire, e contorna a forza l' essere intero e pe-
netra ogni sua condizione atto accidente e relazione.
Del che non bisogna dar prova, tanto è per se mani-
festo ed apparisce in ciascuna umana esperienza. Solo
conviene recarselo a mente in ciascuna trattazione, par-
ticolare o generale di cosmologia.
78. — Dal tutto insieme poi delle condizioni essen-
ziali e innemendabili del finito fu dagli antichi ritratta
r imagine del Caos, che nella più parte delle cosmogo-
nie dai popoli celebrate segna la prima epoca della
storia della creazione. Nullameno, il Caos debbesi in-
tendere che è mera astrazione; in quanto che in niun
momento di tempo il finito venne, a così parlare, ab-
bandonato a sé stesso, e la divina mentalità presedeva
air ordine di lui.
79. — Non pertanto, come dall' esordio della crea-
zione al regno della ragione e della legge morale v' à
certo un corso di durata intermedia ; perchè il finito
anche sovvenuto dalla divina mentalità non vince la
propria limitazione e impotenza che a grado per grado
38 LIBRO PRIMO.
e mediante la cospirazione e coordinazione dei mezzi;
in tal guisa è giusto considerare i primordj dell'uni-
verso come un'alienazione da Dio. E l'immagine del
Caos è appropriatissima a figurare il finito a sé mede-
simo abbandonato e cozzante in perpetuo contro di so.
Afobismo m.
80. — Diventa per ciò manifesto che altresì l' Uni-
versale non è in natura. Atteso che esso è proprio
insieme dell' uno e dell' infinito e vuol dire il tutto
compreso nell' unità. La natura invece risulta di par-
ticolari, i quali noi contempliamo sotto forma univer-
sale cioè rappresentandoci le simiglianze loro comuni
ovvero le eterne loro possibilità. Vero è che le forme
universali sono applicate da noi a qualunque cosa, e
la scienza della natura generalizza il proprio subbietto
non meno di tutte l' altre scienze. Ma ciò rimane sem-
pre esteriore ad essi particolari, come la luce per la
quale si vedono i corpi.
81. — Similmente, quel concetto d' alcune nature
attive ed universali che pensò Aristotele ci sembra
vano, nel modo che fu dimostrato più d' una volta da
noi. Come trovare nelle cause seconde una causa
determinata e individua da cui tutte le altre del ge-
nere stesso dipendano e perciò sia ricca di virtù pro-
priamente infinita sì per la latitudine e sì per gli effetti ;
nel modo che egli figurava il primo mobile e gli altri
cieli e forse anche il suo intelletto agente? Imperocché
tale infinita efficienza, tuttoché speciale, limita di neces-
sità la efficienza increata che non può essere due volte
infinita, l'una in sé stessa, l'altra nella sua creazione.
£ si dica il simile d'ogni natura universale positiva e
feconda.
DEL FINITO IN SÉ. 39
82. — Di qui si scorge V abbaglio di tutti coloro
che Togliono rinvenire le idee nel fondo concreto degli
esseri naturali. Le idee sono tutte a priori e quindi
tutte ante rem^ e non sono mai confondibili con la po-
tenzialità giacente in quegli esseri di spiegare le intime
forze. La possibilità ideale troppo differisce dalla con-
tingente e dinamica, secondo che altrove abbiamo
chiarito.
JB.
83. — Esce pure da questi concetti un principio
metodico, ed è che si dilungano troppo dal vero quelle
c^)smoIogie tendenti a trasmutare in iugaci apparenze
il particolare e T individuo; od anche immaginano con
Aristotele la universalità dell'Ile (y>>j) e con Platone
Tanima una del mondo, ovvero cercano nel tutto visibile
qualcosa di più vivente e di più sostanziale che la cospi-
razione coordinata delle parti all'effettuazione progres-
siva dei fini eccelsi di creazione ; e di là dal visibile
non credono ad altri mondi alieni da noi ed affatto esclusi
da quella unità che possono attingere in qualche grado
mediante la nSstra geometria e la nostra fisica. Ma di
([uesto si parlerà meglio più tardi. Giova poi di osser-
vare (e altrove se ne farà alcuna parola) che l'anima
del mondo descritta dal Timeo può essere interpretata
sanamente, perchè forse nel concetto di Platone quel-
r anima è la idea del mondo, e cioè la etema efficienza
e la eterna mentalità che regge ed anima la natura
tutta quanta e di cui mostreremo in fra breve potersi
anzi doversi dire che vive immanente in essa natura.
40 LIBRO PRIMO.
C.
84. — Il sistema dell'Hegel dà air infinito le limi-
tazioni del finito e a questo il potersi mutare nel suo
contrario. Ma se taluno andasse pensando di applicare
cotali concetti alla sola natura o (parlandosi col dizio-
nario hegeliano) al solo diventare, potrebbeglisi consen-
tire? Non già, perchè colui ne formerebbe certa entità
universale e universalmente feconda che non può esistere.
Afobismo IV.
85. — Discende per altro dal sopradetto che sono
impossibili solamente le nature universali attive e
perfette. Ma quelle che fossero universale sostegno di
modi sempre finiti e costituenti con esse una entità
inferiore e valessero come un limite ed una negazione
allato all'universale vero e perfetto? Affermo che in
simili universali non giace veruna contradizione logi-
ca ; e penso ve ne sia forse un esempio nel subbietto
dello spazio che è una virtuale ed universale capacità
d' indefinite estensioni. Ma di ciò si discorse altrove.
86. — Se non che un subbietto universale e cioè
infinito può egli essere negativo? 0 possiamo concepire
un che positivo il quale torni ad imperfezione assoluta
introducendolo nell'infinito? Certo sarebbe tale un sub-
bietto universale (quando esister potesse) di tutte le cose
deformi ossia se fossevi il brutto universale efi'ettivo
come altri va pensando del bello; il simile si dica se
tutte sorte di mali fossero un che positivo e congiunto e
si risolvessero sostanzialmente in vera unità. La natura
finita, appunto perchè finita, incontra certe condizioni e
opera certi atti che sono contrarj alla perfezione seb-
DEL FINITO IN SÉ. 41
bene BÌeno positivi e in mera negazione non si conver-
tano. Il dolore, per esempio, non è mera negazione; ma
è nn positivo che parte si concorda con l'ordine e parte
proviene dalla finità delle cose. Del pari, il mal mo-
rale non è semplice negazione tuttoché provenga fon-
talmente da negazione; imperocché, sarebbe impossibile
in ogni maniera, se gli enti morali avessero cognizione
perfetta dell' infinita verità sapienza e bontà. Il sentire in
generale è cosa ben positiva ma del sicuro non é in Dio.
87. — A quell'assoluta asserzione adunque di pa-
recchi metafisici che tutto il positivo della creazione e
dell' uomo esiste infinitamente in Dio, conviene apporre
la distinzione tra il positivo che convertesi con una
perfezione e 1' altro che é cagionato fontalmente da
qualche condizione d' insufficienza e di finità. Le quali
conclusioni si ragguagliano esattamente con quelle del
primo e secondo Libro della nostra ontologia.
A.
88. — Ora, seguiterebbe forse il considerare se nella
virtù estensiva, o nello spazio in potenza che altri lo
chiami, dimora mai un universale che possa stare nel-
l'Assoluto, e vogliam dire se in quella virtù di esten-
sione giace un positivo che sia perfezione; o per lo
contrario, debba venir registrato fra le esistenze le quali
procedono dall' assoluta finità delle cose. Ma questo
venne trattato da noi largamente in altra scrittura.^
B,
89. — Pe^ rimanente, dal non potersi negare un
subbietto infinito di spazio e cioè capace d' un inde-
* AppeoUiee I.
42 LIBRO PRIMO.
finito numero di estensioni particolari dovrebbesi ri-
trarre senza dubitazione che il subbietto delle esten-
sioni è un positivo che in niuna guisa è convertibile
in una perfezione divina. Conciossiachè il nudo e mero
capimento, sfornito di attività, non è perfezione e non
può diventare mai tale con V aumentazione infinita o
superlazione che s'abbia a dire. Laonde il concetto piii
confacente a cogliere la natura della immensità di Dio
consiste, per nostro avviso, nel figurarci la onnipotenza
e la ubiquità, per così chiamarla, dell' atto creativo.
90. — Ad ogni modo, per dissipare qualunque dub-
bietà e qualunque pericolo di riuscire a dottrine incoe-
renti, giova di affermare che quando la virtii estensiva
abbia in se alcun principio perfettivo, ella del sicuro
non è infinita, e se diventa capace d'ogni indefinito
numero di estensioni, ciò le avviene per infusione rin-
novatale perpetuamente dall' atto creativo.
a
91. — Questo negare a dirittura gli universali nella
creazione e non far luogo che ai soli particolari, con-
tradicendo opinioni inveteratissime debbe ofi'endere
molti ingegni e dispiacere ai moltissimi partigiani delle
cosmologie animate ed organiche, i quali recitando di
gusto quel virgiliano spiritus intits cdit et tato se car-
pare miscet non cercano guari più là e scambiano la
scienza col lor sentimento. Nondimeno confidiamo che
a poco a poco si vedrà la necessità e certezza dei no-
stri pronunziati. E d'altra parte, crediamo ogni ge-
nerazione di fisici starsene dal nostro lato e ripetere
in coro che nel creato visibile non sussistqpQO salvo che
i singoli esseri perfettamente individuati. 11 concetto
delle specie e dei generi oltre all'insegnare intorno
DEL FINITO IN SÉ. 43
alle cose quello che è sostanziale od accidentale e la
maggiore o minore larghezza e profondità delP opera
delle cagioni più diffuse e frequenti, rivela eziandio la
realità d'infinito numero di attinenze col nostro spirito
e con le possibilità eterne. Il che sia detto per coloro
i quali reputassero la nostra teorica troppo in ciò
dissomigliante dalla, platonica. Del divario poi tra il
positivo della specie e il positivo dei generi si parlerà
in altro luogo.
Afoeismo V.
92. — Le precedenti proposizioni esprimono dèi
finito ciò che dobbiamo considerare come una aliena-
zione da Dio e una confusione e discrepanza intestina
del Caos. E V attuazione di tutti i possibili se dee co-
minciare dal meno e salire per grado a maggiore acqui-
sto di essere, principierà del sicuro da una specie in-
fima di sussistenze in cui le angustie del finito sieno
le più appariscenti, e cotale è la materia. Ma questo co-
minciamento debbe venir contemplato piuttosto in senso
logico di quello che in cronologico. A ninna sostanza
originale ed elementare può dar nascimento un'altra
sostanza. Quindi escono tutte immediatamente dal-
l'atto creativo. Nondimeno vi escono giusta 1' ordine di
Convenienza, conforme verrà spiegato nel Libro secondo.
•
A.
93. — Nella stessa materia, per altro, v' è diversità
e gradazione di essere. Conciossiachè i metalloidi sono al
certo superiori di attributi a molti metalli e l'ossigeno
primeggia senza paragone fra i metalloidi medesimi.
Oltreché, si può immaginare alcuna cosa più bassa e
44 LIBRO PRIMO.
più limitata d' ogni metallo ; ma l' esperienza non ci
consente di conoscere né cosa più alta dell' uomo ne
più infima delle basi metalliche.
Atorismo vi.
94. — Pure bisogna che il particolare, il diviso, il
disgregato e simile abbiano essi medesimi un limite e
però terminino in elementi incapaci di divisione. L'am-
mettere, sotto qualunque rispetto di passività o di
attività, r infinito reale in atto in ciascuna monade
0 in ciascun aggregato di monadi dà nell' assurdo ;
perocché avremo o composti senza ultimi componenti,
ovvero esseri semplici contenenti un vero infinito ;
laonde noi moltiplicheremo ciò che è uno assoluta-
mente. E asserire con Aristotele che nella materia è
un infinito meramente potenziale e intendersi una infi-
nita possibilità di esser divisa, non ischiva il para-
dosso enormissimo. Perocché la potenza, a cui in eterno
è impossibile ed anzi è contradittorio venire tutta in
atto, per quella parte che in atto non viene e non
può venire, non é potenza. E perchè la potenza at-
tuabile è sempre minima a rispetto dell' infinito non
attuabile che lasciasi dietro, ognun vede a quali ter-
mini si riduce il pensamento d'Aristotele. Oltreché,
come altrove fu dimostrato, qualunque progresso al-
l'infinito à bisogno d'un sostentamento infinito.
95. — Qui poi non fa mestieri spiegare come da
parti inestese paia provenire 1' estensione. Conciossia-
ohè queste parti, o meglio, questo molteplice si trova
nella estensione ma non la produce; e sebbene cia-
scuna monade o atomo in quanto inesteso non occupi
luogo, ciò non vieta alla sua forza di operare in luogo
e nel luogo farsi sentire.
DEL FINITO IN 8È. 45
Afobismo Vn.
%. — Adunque ogni elemento corporeo è semplice
in quanto è inesteso. Ma potrebb' egli essere costituito
(li più parti inestese? o vogliam dire di più esseri
semplici sostanzialmente congiunti ? Al che si risponde :
La congiunzione sostanziale non può mai pervenire a
confondere l'uno nel piii ed il più nell'uno; insino a
tanto che la congiunzione non si trasmuta in medesi-
mezza di essere. Però a rigore di dialettica quel so-
stanziale composto di cui si parla risulterebbe di più
atomi o monadi; e vogliam dire di più elementi sem-
plici e inconfondibili, ognuno de' quali possiede un
essere proprio, individuo e incomunicabile. Egli biso-
gna, pertanto, che 1' essere, quando esce dal nulla, sia
necessariamente o uno o più; ma se è più, risolvesi da
capo in tanti esseri costitutivi e in altrettante unità.
97. — È perciò impossibile di negare alle cose
create questa unità di ultima attenuazione (per co&ì
domandarla) che fa che non sieno un altro ente ne
parte e modo di esso, ma le distingue dal nulla e da
ogni rimanente; e in fine congiunte alle altre le fa ca-
paci di costituire il molteplice ed originare il composto.
A.
98. — Per ciò similmente due monadi uguali e
conformi in perfetto modo, nullameno non sono iden-
tiche o sia non fanno uno ; e se 1' occhio e il senso
non può distinguerle, lo può molto bene il pensiere ;
perocché i due esseri permanendo in^^oraunicabili ed-
impenetrabili, permangono, a così parlare, l' uno fuoii
dell' altro e costituiscono un doppio e però un molte-
46 LIBRO PRIMO.
plice.In algebra tutte le quantità simili sono forse uno ?
o la simiglianza loro è imperfetta? Ripetiamo, adunque,
che il principio leibniziano, degl' indiscernibili, non à
valore alcuno ontologico e riducesi ad una vista sub-
biettiva dell' uomo. In natura, invece, il perfettamente
simile non è necessario che termini nella unità obbiet-
tiva ; egli bisognerebbe per ciò negare quella distin-
zione e separazione metafisica e realissima che anno
in fra loro due subbi etti sostanziali per questo sol-
tanto che ciascheduno d' essi è impenetrabile nella sua
propria unità ; e se anno attributi simili, non gli anno
comuni e indivisi.
99. — Onde a noi sembra quasi puerile quella ob-
biezione: or di', 0 valentuomo, che cosa li distingue
e li separa, dacché sono similissimi e indiscernibili.
Risponderò sempre che li distingue e li separa la entità
propria e incomunicabile ; e però la dualità loro è so-
stanziale, primitiva ed originale. Per lo Spinoza, in-
vece, il simile è sempre comune e si risolve nell' unità;
di quindi egli deduceva eziandio la impossibilità della
creazione. Perchè poi si neghi per esperienza la perfet-
tissima somiglianza di due o più esseri, converrebbe
poter conoscere le ultime molecole dei corpi le quali
si dee in quel cambio supporre che essendo inalterabili
sieno similissime. Ad ogni modo, chi sosterrà mai che,
per via d' esempio, nella copia innumerabile dei piccioli
regolari cristalli d' una qualche sostanza delle comuni
e diffuse per tutto il globo, non ve ne sia neppure uno
perfettamente identico a qualcun altro?
100. — Aggiungeva Leibnizio che quando in natura
sussistessero due enti così uguali da non essere discer-
DEL FINITO IN SÉ. 47
nibili, Dio ed essa natura opererebbero senza ragiono
trattando V uno di quelli diversamente dall'altro. Ma il
simile perfettissimo, diciamo noi, verrà per lo contra-
rio dalla natura e da Dio trattato ugualissimamente, e
manca il supposto di Leibnizio. Oltreché mi sembra
ch'egli s'impeusierisca troppo del creduto impaccio della
natura e di Domeneddio. Sapranno entrambo trovar la
ragione assai bene, tuttoché non sia visibile a noi.
Così neghiamo da capo e togliam di mezzo il princi-
pio chiamato degl' indiscernibili.
Afobismo Vili.
101. — La divisione e disgregazione originaria e fa-
tale in ogni finito, produce che 1' uno rimanga escluso
dall' altro, e sebbene possono congiungersi, mai non
possono penetrarsi. Di quindi, eziandio la impossibilità
pel sapere umano di pervenire alla cognizione della
essenza ultima delle cose ; avvegnaché per conoscerla
direttamente converrebbe innanzi penetrarla ; e d' al-
tra parte, ogni cognizione nostra immediata e propria-
mente peculiare e specifica dimanda l'attinenza pure
immediata del conoscente e del cognito.
A.
102. — Da ciò si raccoglie quanto vana cogitazione
sia quella di alcuni filosofi che dannosi a credere co-
tale ultima essenza degli enti creati non rimanere na-
scosta all' uomo ed impenetrabile ; o per lo manco pre-
sumono che il sapere umano presto o tardi vi arriverà.
Noi diciamo in quel cambio, che sempre un che di più
intimo e di più profondo giacerà nelle cose oscuro al
tutto e sepolto al nostro giudicio per la ragione testé
48 LIBRO PRIMO.
allegata che i finiti sono necessariamente, l' uno fuori
dell'altro. Onde poi segue che dentro la percezione
accade bensì la compenetrazione degli atti, non mai
quella dei subbietti.
JB.
103. — Per simile, coloro i quali attribuiscono al-
l' Assoluto la stessa coscienza dell'uomo, invece di con-
fessarla non perscrutabile e aliena dai nostri concetti,
non considerano, siccome fanno, impossibile a quello la
cognizione intera ed intrinseca di sé medesimo. Peroc-
ché, la coscienza umana induce nello spirito una du-
plicità fra oggetto e subbietto. Laonde, affine che l'As-
soluto colga al modo umano la coscienza di tutto sé
stesso, occorre che egli sia interamente nel subbietto
e interamente nell'obbietto; ovvero raddoppi sé stes-
so, e v' abbia due Assoluti in vece di uno. E questo
è ciò, al nostro parere, che dovrebbe succedere del-
l'Assoluto di Hegel.
AroRisMo IX.
104. — Ma se il finito negli ultimi suoi componenti
è semplice ed è impenetrabile, non si scontreranno nel
inondo creato che sole unità; e i composti assoluti
sono impossibili, e tali due nomi s' irritano di trovarsi
annodati insieme, dacché 1' Assoluto non può cessare
di essere uno, e il composto di essere più. Quindi,
esclusa la compenetrazione e 1' assoluta composizione,
resta possibile ai finiti la congiunzione in fra loro, e
questa in diverse maniere e gradi secondo la natura
(li ciascheduno; e vorrebbesi domandarla una parziale
e ristretta penetrazione di atti ; quindi proviene il com-
DEL FINITO IN SÉ. 49
posto effettivo o dir vogliamo certa totalità con qualclie
grado di relativa unificazione.
A.
105. — Se consultiamo la sola esperienza, ei non ci
viene fatto di rinvenire un ente isolato in perfetto modo
e senza verun legame concreto con alcun altro^ e il
legame concreto è ciò per appunto che domandasi con-
giunzione 0 reale attinenza. D' altro lato, come avverte
l'Aforismo, chi nega cotesta congiunzione e attinenza
reale, nega eziandio il reale composto; e chi nega que-
sto ultimo, riconosce in natura la^sola unità ed escludo
il molteplice. Avvegnaché il molteplice vero risulta di
parti sostanzialmente divise e non già di modi e attri-
tributi d'un solo subbietto. Ma se fra esse parti non
corre che un legame ideale e cioè di relazioni avvisato
da un intelletto e senza una rispettiva e obbiettiva
realità, il molteplice stesso diventa ideale e mentale e
non vi sarebbe in effetto fuor del pensiere altra cosa
che le divise unità, con un abisso in tra mezzo dal-
l' una air altra. Dunque tra la identità e la separa-
zione interponesi un terzo termine diverso dai due che
è il congiungimento di cui nulla è più certo e più
manifesto in via di fatto, ma il quale essendo cosa ele-
mentarissima e così semplice come primitiva, ne ap-
partenendo a genere alcuno ma formando genere per
sé stesso, non rimane capace di analisi precisa e dimo-
strazione diretta.
106. — Leibnizio pieno di geometria negò arditamente
che le monadi avessero finestre e porte onde alcuna cosa
vi entrasse ed alcuna ne uscisse. E veramente, i nu-
meri né agiscono né patiscono, e i loro composti sono
mentali e nominali. Per lo contrario, le quantità estese
Uahuri. — li. 4
50 LIBRO PRIMO.
sono fenomeni nello spazio che mai non dividono e se-
parano il comune subbietto o il continuo dell'esten-
sione che voglia dirsi. Ma tra le sostanze reali finite
come appariva impossibile al Leibnizio qualunque con-
giungimento effettivo ossia qualunque parziale com-
penetrazione? Certo, fra l'assoluta identità e l'asso-
luta diversità, tra 1' uno e il più nessuna cosa tramezza.
Ma njei finiti v' à V esterno e V interno, e cioè a dire
che oltre al subbietto intimo v' anno gli atti, i modi
e le accidenze ; e non è punto contradittorio che due
sostanze poste in certa mutua condizione di essere
sieno un molteplice quanto alla diversità del sub-
bietto loro incomunicabile e sieno parzialmente uno
quanto alla compenetrazione di certi atti; ne dimen-
ticandoci mai che questa espressione parziale pene-
trazione è al tutto metaforica e vuole da ultimo signi-
ficare r attinenza reale e reciproca dell'azione e passione
fra due sostanze, escluso qualunque intermezzo. Una
cosa è per sé patente e non può cadere in controversia,
e cioè che mentre Leibnizio aflPermava la solitaria vita
delle sue monadi, cento minimi atti di forze esterne lo
penetravano; onde egli veniva costretto a negare da
mane a sera il suo senso intimo e la evidenza intuitiva.
Afobismo X.
107. — Può, pertanto, un finito per eff'etto di con-
giunzione : 1° occasionare od anche promuovere gli atti
delle facoltà degli altri finiti; ed e converso^ venire
eccitato esso medesimo o trovar l' occasione degli atti
proprj ; 2" può per la cooperàzione dei simili e la par-
tecipazione dei diversi dilatare e variare la propria
efficienza, come quelli mediante la sua; 3" da ultimo,
può gli esseri inferiori a se abilmente coordinare a
DEL FINITO IN SÉ. 51
guisa di suo proprio strumento. In questi tre modi si
raccolgono le tre generali possibilità di ciascun ente
finito di estendere la sua esistenza mediante gli altri
finiti. Il che diciamo mirando a ciascuno di essi in di-
sparte e come se tutte le creature si riferissero a lui.
Invece, considerati nel lor tutto insieme e rispetto al-
l'economia intera e continua della natura, debbesi oltre
alla comunicazione dei simili e partecipazione dei di-
Tersi rassegnare eziandio un' altra maniera di crescere
la potenza della finità, o, per dir meglio, scemare la
insufficienza, e consiste a coordinare i simiglianti e i
diversi per modo che ne risulti un fatto complesso e
terminativo al quale aiutino e cospirino tutti gli altri ;
e perciò debb' essere tale sorta di congiunzione doman-
data la coordinazione dei mezzi ed ancora un macchi-
namento e un sistema, pensato e procurato dalla na-
tura, secondo i principi che andrà spiegando il Libro
a questo successivo.
AroBisMo XI.
108. — Ma d' altro canto, la intima essenza della
finità, che noi teste abbiamo avvisata, oppone a tutto
ciò alcune invincibili necessità e limitazioni. L' essere
da altri eccitato genera la dipendenza dagli altri e mo-
difica r attività propria secondo il modo dell' eccita-
tamento esteriore. La cooperazione dei simili non muta
la qualità ma solo accresce la quantità; e se non in-
terviene il diverso ed anzi l'opposto, la coopcrazione
cade subito nella immobilità e più non rinviene l'ef-
fetto che cerca. Cosi, per grazia d'esempio, l'attrazione
delle masse non combattuta da forze contrarie mene-
rebbe air eflFetto finale che i corpi disseminati pel vano
unirebbersi tutti in una compagine enorme ed eterna-
52 LIBRO PRIMO.
mente inerte ed immobile, ove cesserebbero per questa
solo tutte le azioni meccaniche e ciò diverrebbe, a cosi
parlare, un congiungimento di morte. E si voglia notare
che intanto operano quelle masse 1' una inverso del-
l' altra, perchè la direzione dei moti loro non è identica
ma convergente, e, consumata la convergenza, cessa da
capo il moto e col moto la mutazione.
Afokismo Xn.
109. — Del pari, la partecipazione del diverso no»
può andare di là da quel limite in cui il simile al di-
verso si mischia. Avvegnaché il tutto diverso è contra-
dittorio che operi nel tutto diverso e però modifichi a
sua somiglianza la natura di questo. Negli enti finiti
il semplice agire in altri e patire da altri suppone certa
omogenea e reciproca recettività, il che importa certo
grado di simiglianza.
Aforismo XUI.
110. — Nello stesso modo non può il simile operare
nel compiutamente simile. Dacché 1' operare dell' uno
riscontrandosi a capello con l' operare dell' altro, ne
segue, come a dire, la neutralità dell' atto medesimo.
Ili. — Né si trascorra a sentenziare che il tutto
diverso non esiste e non può esistere, attesoché gli enti
finiti anno in comune, il manco che sia, le condizioni
più universali dell'essere e queste medesime angustie
e necessità del finito di cui discorriamo. A ciò si risponde
per primo che le condizioni comuni dell' essere da noi
DEL FINITO IN SEf 63
dÌTisate e dedotte per virtù logicale guardano pres-
soché tutte a certa forma costante ed inalterabile, le
cui nozioni fondamentali traemmo originalmente dai
generi superiori delle cose a noi manifeste per espe-
rienza: ma il mondo dei possibili allargarsi molto di
là da que' confini. Certo, le cose aliene dai generi più
universali a noi noti non contraddiranno giammai alle
conclusioni logiche stabilite intórno di essi ; e per via
d'esempio, in niun lato della creazione avverrà che
sussista un modo e un'attribuzione senza subbietto cor-
respettivo, né una sostanza priva d' ogni qualunque de-
terminazione; e ciò si ripeta per tutte l'altre conclu-
sioni assolute circa l' essere di sostanza. Ma con tutto
ciò,, nulla non c'impedisce di concepire che possano
nella creazione sussistere altre forme e nature di enti
che non sieno sostanze a propriamente parlare, ma sì
altra cosa infigurabile e inconoscibile a noi mortali. 1
limiti del nostro pensare non sono del sicuro i limiti
dell'essere; e benché gli enti i quali sono fuori dei nostri
concetti non possono contravvenire agli adagi assoluti
della nostra logica, non però dimeno possono essere
altra cosa, e cioè appunto il diverso affatto da quello
che conosciamo e pensiamo.
112. — Né questo inconoscibile della natura pen-
sato da noi per mera supposizione é inutile ed infrut-
tifero nella scienza. Dacché, se non produce altro bene,
aiuta la mente a vincere l' abito inveterato di giudi-
care impossibile tutto ciò che oltrepassa i limiti natu-
rali del nostro sapere. E di ciò torneremo forse a
discorrere in qualche altro Capo.
113. — Quanto alle necessità del finito, per lo certo
non può fuggirle nemmanco il tutto diverso. Se non che
quelle necessità chi bene le avvisa, risolvonsi tutte o
in privazione di essere o in cosa positiva che à per
54 ' LIBRO PRIMO.
cagione fontale la privazione medesima. Laonde per
questo rispetto, la simiglianza degli enti riducesi a ne-
gazione 0 Yogliam dire a somiglianza non più che men-
tale. Ma come ciò sia, e non costringendo nessano in-
gegno a seguirci in tale ardita dialettica, basterà pel
proposito nostro di dire che noi vedremo più tardi es-
sere cònsono alla ragione la esistenza del tutto diverso
in questi confini almeno che vi sieno e£fettualmente
mondi di natura ignotissima a noi ed aliena compiu-
tamente da ogni forma la quale consente fra i diversi
una qualche recettività di scambievole azione e pas-
sione.
B.
1 14. — Sarebbe una istanza affatto contraria quella
di affermare che il tutto diverso può, nondimeno, operare
con efficacia fuori di se, allegando, per esempio, l'azione
dell' anima sul proprio corpo organato, ovvero l' atto
medesimo creativo che fa esistere fuori di se il diverso
da sé. Noi dell' atto creativo parlammo nell' altro vo-
lume e già nel Capo che precede toccammo della di-
versità assoluta la quale interviene tra la cagione in-
finita e r effetto finito. In quanto all'esempio dell'anima
agente sul corpo, sarà materia che verrà sotto la no-
stra penna un poco più tardi.
a
115. — Ma qui si avverta da capo, come quando i
tìsici e i metafisici discorrono a posta loro della unità
delle leggi dell' intero creato si avvolgono col pensiere
senza avvedersene in quel picciol mondo che discemono
e sperimentano ; il quale appunto perchè lasciasi scor-
DEL FINITO IN SÉ. 55
gere e in qualche modo sperimentare da noi non può
al tutto riuscire dissimile né fuggir da ogni banda ogni
specie di unificazione, per lo manco, intellettuale.
AifOBisMo XTV.
116. — L'operare poi sopra gli enti inferiori e tra-
mutarli in esistenze strumentali ed appropriabili implica
una serie e un ordinamento di atti il quale non è conce-
pibile dove non sieno subbietti razionali e morali, e cioè
congiunti in alcuna maniera e grado con Y infinita men-
talità. E per fermo, la finità, in quanto tale, è cieca e non à
senso e ragione del fine, mentre ogni ordine strumentale
ed ogni sorta di organamento richiede il concetto razio-
nale del fine. Ma tutto ciò che è razionale è similmente
universale -, mentre, come vedemmo poc' anzi, la finità
per sé non possiede nulla di universale, essendo que-
sto mai sempre alcuna cosa d' infinito. Se, pertanto,
nella natura scorgesi da ogni parte una virtiì organa-
trice, ella proviene da altro principio alla natura su-
periore. E se gli enti finiti eseguiscono le intenzioni
finali per disposizione ed atto della propria natura,
questo disporre e atteggiar la natura di tutte le cose
in modo conformissimo al compimento di tutti i fini
coordinati é opera che alle cose non appartiene, e rac-
chiude una virtù trascendente solo possibile alla onni-
potenza dell' atto creativo.
Aforismo XV.
117. — Ma pure premettendosi cotale principio in-
finito di virtù ordinatrice, la essenza dei finiti involge
ad extra V azione di lei in molte necessità ineluttabili
che verremo via via esponendo. E prima, nella moltitu-
56 LIBRO PRIMO.
dine differentissima degli enti creati si debbono avvisare
la somiglianza, la diversità, la varietà e V opposizione.
Intende ognuno quello che vogliono significare simi-
glianza e diversità e la mistione delle due. Domandiamo
più propriamente varietà il diverso che appare nelle
attribuzioni particolari e individuali degli esseri; tanto
che per essa ogni singolo si difierenzia dagli altri della
sua specie, quanto pel diverso le specie si differen-
ziano fra di loro e dal genere. La opposizione eziandio
debbe venir ripartita in tre sorte e cioè nelP opposi-
zione metafisica nella morale e nella fisica. La prima
interviene tra il finito e l'infinito; e riduconsi a que-
sta le altre tutte assolute come del sì e del no, del-
l' essere e del nulla, dell' essere e della privazione ; e
così r altre del bene e del male, del bello e del brutto,
della verità e dell'errore. Dico che obbiettivamente noìi
avvi opposizione essenziale di termini, salvo cotesta del
finito e dell' infinito ; dacché l' altra opposizione uscente
dalle contradittorie è sempre ideale e nella stessa idea-
lità il pensiero non giunge a raccoglierla mai sotto
l'unità sintetica del concetto.
118. — L* opposizione morale, e intendesi del bene
e del male assoluto, può agevolmente convertirsi, come
testé accennammo, nella esclusione del finito dall'in-
finito, dappoiché il male à le sue radici secreto ed
ultime nelle condizioni del finito.
119. ^- L'opposizione fisica (e domandiamo così ogni
specie non rassegnata nelle anteriori) risulta da un
misto speciale di simile e di diverso. Atteso che l' intera-
mente diverso non genera opposizione. Un suono per via
d' esempio, o un odore non opponesi al fantasma mentale
d'un circolo o d' una quantità algebrica. Le forze, invece,
si oppongono l'una all'altra, sempre che abbiano azione
identica nel genere e contraria nella determinazione.
DEL FINITO IN SÉ. 57
120. — Conviene, pertanto, ai finiti o rimanersi inat-
tivi l'uno rispetto all'altro, ovvero, mescolando l'essere
loro di simile e di diverso, incontiare gli opposti e quindi
dagli opposti dipendere e sottostare eziandio alla ne-
cessità o di superarli o di venire da essi predominato.
Le rimanenti necessità, o per meglio dire le principali,
saranno mostrate e chiarite piii avanti.
A.
121. — Ora, anticipando un poco le prossime dedu-
zioni affermiamo, che questo dipendere continuo dal-
l' esterno e cercare la dilatazione o dell' essere o del-
l' efficacia propria mediante la congiunzione coi simili
e la partecipazione dei diversi ; questo incessante biso-
gno di rinvenire e coordinare i mezzi gli strumenti e gli
aiuti al conseguimento parziale del fine ; questo dovere ad
ogni tratto superare gli opposti; e da ultimo, nel modo
che verrà significato più avanti, questo dover procedere
sempre con grado e misura e alternando lo scomporre
al comporre e i decrementi agli incrementi e resistendo
ai conati gagliardi e assidui delle potenze distruggitive,
fa e mantiene lo stato generale e perpetuo della na-
tura materiale ed organica, e ciò domandiamo con pro-
prietà di vocabolo il suo diventare. Espressione esatta,
(vuoisi ripeterlo ancora) nella sola natura; e cosi l'in-
tendeva Aristotele laddove scrisse : tra V essere e il noìi
essere tramezza pur sempre la generazione, come tra
Venie e il non ente ciò che va generandosi,^ Ma il di-
ventare medesimo quale l' abbiamo descritto, riesce fat-
tibile in virtù d' un principio superiore e diverso dalla
natura, com' è proposito nostro di venir dimostrando.
* MtlafUUn, libro II, cup. S.
58 LIBRO PRIMO.
122. — A Ogni modo, vedesi per ciascheduno quanto
tutto ciò diflFerisca dalla teorica la quale sostiene che
non pure la diversità e V opposizione, ma la ripugnanza
compiuta dei termini è intrinseca all' ente ; e che il sem-
pre diventare e mutare dell'assoluta esistenza esce per
intero da questo scorrere essa uniformemente per V arco
d' una eterna cicloide varcando e tornando infinite volte
sotto diverso sembiante dall' essere al nulla ovvero dal-
l'essere in sé all'essere in altro. Di guisa che le necessità
invincibili le quali rampollano dalle viscere del finito e
lo violentano a guadagnar l' essere con fatica e lentezza
e ognora imperfettamente né gli consentono di muover
piede salvo che tra forze contrarie e mediante un con-
flitto durissimo e interminabile, coteste necessità, dico,
delle finite e caduche esistenze vengono invece attribuite
alla sopraeminente natura di Dio, il quale non conosce
contrari né opposti, non sostiene trapassi né alienazioni
e in cui il diventare, qual che si fosse, varrebbe il di-
scendere nella impotenza e nella caducità. Lo Schelling
pensò a far precipitare dal cielo empireo certo numero
d' idee. Ma presso Hegel la divinità intera ruit ad in-
teritum.
CAPO QUARTO.
dell' azione dei finiti.
AroBisMo I.
123. — Le proposizioni tutte quante, per altro, le
quali escono dal supposto del legamento dei finiti in
fra loro, mediante la congiunzione, e intendesi dire me-
DEL FINITO IN SÉ. 59
dìante ciò che intramezza fra la identità e la separa-
zione, inchiudono la possibilità, anzi il fatto dell' azione
e passione reciproca ; essendo che il solo combacia-
mento delle sostanze sfornito d'ogni atto reciproco,
quando pure non si riconosca impossibile, lascia del
sicuro i subbietti contigui, per così chiamarli, nell' iner-
zia ed inefficacia anteriore. Ma intorno a ciò non avendo
noi pronunziato nulla di rigoroso e apodittico, facciamo
luogo a questo aforismo ed ai susseguenti ripigliando
il filo delle deduzioni là dove fu stabilita la necessità
per le cose create d' un subbietto onninamente impar-
tibile e semplice (Afor. V e VI).
124. — Posto che il semplice e l'impartibile costi-
tuisca r ultimo fondo dell' ente finito, segue che ogni
ente finito in questa sua forma non capace di divi-
sione è pure non capace di mutazione ; e che mutare
per lui varrebbe quanto annullarsi. Per fermo, l'ente
rimane integro non ostante le mutazioni, ognora che
queste sieno atti, modi e accidenti di quello. Ma il
subbietto concreto ed ultimo che non racchiude alcuna
composizione e non à nulla di piiì occulto e di più
intrinseco e tutto consiste in certa forma peculiare e
immediata di essere, debbe o rimanersi qual è, o la
mutazione reca un altro essere in luogo suo. Del si-
curo A quantità incomposta non mutasi in B senza
cessare di essere A. Quindi mal si direbbe ch'egli è
mutato ; ma parlandosi con rigore dovrebbe esser detto
che r ente B è succeduto all' Ente A.
A,
125. — Hegel a ciò non pensava, quando dalla no-
zione pura dell' ente e del nulla (elementi semplicis-
simi) volea ritrarre una mutazione che fosse il diven*
V
60 LFBRO PRIMO.
tare di quelli. Ma ciò era invece una evidente surro-
gazione. Il diventare o significa il suo contrario ov-
vero implica di necessità una permanenza di essere
anteriore alle mutazioni e poi simultanea con esse.
Quindi r essere astratto e puro e tanto indeterminato
da pareggiarlo e scambiarlo col nulla non può diven-
tare nessuna cosa; stantechè conviengli per ciò esi-
stere innanzi del diventare ed esistere identicamente
cosi nella forma anteriore siccome in quella che in-
dice le mutazioni e per cui può essere detto eh' egli
diventa. E neramanco si può qui pensare all'antece-
denza d'un ente possibile o di qualsivoglia astratta
virtualità. Perocché 1' ente puro e iniziale dell' Hegel
è appunto il mero possibile.
126. — Adunque, insino a che certi vocaboli serbe-
ranno intatte le loro significazioni comuni a tutte lo
lingue, niuna sottigliezza dialettica terrà gli Hegeliani
alle dure morse entro cui li stringe la logica d'ogni uomo
sensato che è pur la sola conceduta al genere umano.
Aforismo n.
127. — Ogni cosa, impertanto, nelF ultima sempli-
cità ed attenuazione del proprio essere rimansì perpe-
tualmente quella che è ; né può venire annullata salvo
che da Dio. E Dio (vedremo ciò meglio nel progresso
di questo trattato) non annienta le sue creazioni, sì
bene le moltiplica in infinito e in infinito le differen-
zia. Egli crea sempre e mai non distrugge.
Afobismo ih.
128. — Certo é poi che cotesto ente impartibile può
sottostare ad alcune qualità od a molte. Qualora le
DEL FINITO IN SÉ. 61
maocassero tutte le qualità e modificazioni possibili,
già non sarebbe un che di determinato e di sussi-
stente.
A.
129. — Ai Panteisti succede non radamente di porre
in dimenticanza questo sostegno uno e impaitibile delle
determinazioni. Notammo ciò nel terzo Libro dell' on-
tologia rispetto. al Dio di Spinoza; epotrebbesi, sottiliz-
zando un poco l'analisi, scoprire forse la deficienza me-
desima nel Dio di Hegel. Imperocché se il fondo fondo
di tutte le cose è l' idea e tutta la idealità nel sistema
hegeliano spunta e germoglia dalla nozione dell' ente
puro e indeterminato, le determinazioni che seguono ri-
mangono tutte in aria come tetti e camere senza so-
laio. E perchè quel diventare dell'Assoluto non à vera-
mente principio di successione e il tempo e V eternità
in lui s' immedesimano, noi dovremmo reputare che le
ultime forme non cancellino già le anteriori ma tutte
compongano il maraviglioso sviluppo dell' ente, il quale
sebbene acquista coscienza chiarissima della identità
propria nella Idea, nella Natura e nello Spirito non
però dimeno à per fondamento e sostrato l' essere in-
determinato e identico al nulla.
130. — Errore forse non meno grave ci sembra
quello del Kant di convertire i subbietti quali ohe
sieno in forme e rappresentazioni del nostro spirito.
Nel vero, se i fenomeni non anno subbietto sono essi
medesimi un reale subbietto. Per fermo, il fenomeno
apparisi e 1' apparire è un atto e l' atto inchiude
r agente. E quando si neghi essere un atto, conviene
ammettere per lo manco che sia mutazione di qualche
cosa ; e perchè giusta il Kant lo spirito nostro riceve
G2 LIBRO PRIMO.
ma Bon produce il fenomeno a cui impone le forme
del sentire e dell' intendere ; seguita di necessità che
il fenomeno sia o mutazione od atto di qualche sub-
bietto diverso e separato dal nostro.
Afobismo rv.
131. — Ma se l'ente finito è un che di determina-
to, non si riconosce che debba essere altresì necessa-
riamente determinabile e vogliam dire capace di mu-
tazione. Muta egli poi da sé ovvero per efficacia este-
riore? e il mutar suo è un nuovo agire e un nuovo
patire, o semplicemente un mutare di qualità senza
alterazione e partecipazione del subbietto ? Come, per
esempio, sarebbe un atomo di materia nel quale la
forma esterna cambiasse non per atto di potenza pro-
pria 0 d'altrui, ma in virtù solamente di certo or-
dine fatale prestabilito? Per vero, supporre un ente
finito e determinato incapace di qual che sia cambia-
mento e modificazione nuova non è concetto contra-
dittorio, ma ci riesce inesplicabile. Conciossiachè non
vedesi a che servirebbe in tal caso l' atto creativo. Si
dica il simile nel presente nostro subbietto di altri
supposti non impossibili, ma di cui la scienza non
trae costrutto nessuno.
Invece, è importante e profittevole a ricercare se
l'ente finito è sempre e necessariamente una forza
e intendiamo dire un principio attivo come sembrò a
Leibnizio.
Afobismo V.
132. — Per primo, dal concetto del finito in quanto
finito esce piuttosto la necessità del patire che del-
DEL FINITO IN SÉ. 63
r agire ; badando anzi tutto che il principio attivo as-
soluto non può risedere fontalmente ed essenzialmente
in nessuna creatura ; mentre in lei può risiedere il prin-
cipio contrario e intendesi quella passività che senza
implicazione logica non può essere traslatata né punto
né poco neir infinito. Certo é che tutto il creato è as-
sunto dal pensiero assai convenevolmente come la
generale e perpetua recettività dell'azione divina; e
tale apprensione ebbero già della materia i filosofi
antichi. Senza 'di che, basterà porre in considerazione
che dire cosa finita viene a significare cosa, la quale
non determina sé medesima ; sì veramente è determi-
nata ; e ciò esprime passività e impotenza piuttosto
che altro.
133. — Ad ogni modo, perchè l' infinito è atto pie-
nissimo e assolutissimo e determinante ogni cosa, se-
guita che r attività nel finito trasfusa mai non riesca
né originale, né intera, né indipendente, ma sempre
mescolata di mera potenza e circoscritta per ogni parte
e vale a dire che contenendo tale facoltà manchi di
tale altra e toccando questa misura desideri vana-
mente di raggiunger queir altra.
A.
134. — Né arbitriamoci di affermare che il patire
medesimo inchiude una qualche sorta di agire, essendo
tale, per ultimo, la facoltà recettiva. Fondasi tutto
ciò, a parer nostro, nella equivocazione del vocabolo,
il quale cavato dalle espressioni che tengono riferi-
mento al sentire degli animali trae seco mai sempre
un qualche vestigio, a così parlare, delle vitali reazio-
ni. Ma neir universale, e rimovendo ogni significazione
traslata, perchè una cosa operi efficacemente in un' al-
64 LIBRO PRIMO.
tra, basta che cotest^ altra sia naturata e congenerata
a quella penetrazione di atto, il che induce una dispo-
sizione e non guari una facoltà. Cosi niuno vorrà man-
tenere che lo spazio operi un qualche atto passivo
nella recezione dei corpi. E dico ciò per coloro i quali
opinano come noi che lo spazio, o vogliam dire il sub-
bietto comune delle estensioni, non si risolve in mera
entità subbiettiva e in certa relazione di ordine.
B.
135. — È da stimare il medesimo per rispetto della
congiunzione della mente con la verità, la qual con-
giunzione essenziale ed originaria accade per una di-
sposizione recettiva innata del nostro spirito e indi-
pendente da qualsiasi movimento ed atto speciale
dalla parte di lui. Sebbene non avvi^nga poi senza un
atto dello spirito V accorgersi eh' egli fa di avere pre-
sente r idea, e del pari non sono inattive le forme
diverse d' intuizione ed ogni lor mutamento.
Aforismo vi.
136. — Nondimeno, se negli enti finiti in fra loro
considerati esiste la passività nel senso, per lo manco,
di ricevere alcun' azione esteriore, bisogna altresì che vi
esista un' azione respettiva e corrispondente ; il patire,
chiama senza meno l'agire. Per escludere, adunque, dalla
creazione 1' attività, occorre che la pensiamo o tutta e
per ogni dove incapace di mutamento o che Dio lo
produca egli stesso con azione immediata entro ai sub-
bietti sostanziali. Nel primo supposto, la natura inope-
rante ed immobile non à alcuna ragione di essere. Nel-
r altro supposto, cessano di esistere tutte le cagioni
DEL FINITO IN SE. 65
becQpde e mediate e la creazione non partecipa nem-
manco in minimo grado della potenza infinita. E per-
chè d' altra parte, il bene è potenza ed attività, man-
cherebbe di nuovo il creato d' ogni ragione d' esistere.
afomsmo vn.
137. — Per le distinzioni che precedono egli si dee
pertanto fermare che altra cosa è un essere qualificato
o determinato, altra un essere passivo nella più astratta
accezione, ed altra un essere fornito di attività. Un
ente qualificato è sostanza; un ente passivo è natu-
rato con certa recettività; l'ente attivo è causa; pe-
rocché, se non altro, egli è causa immediata della espli-
cazione del proprio atto. Ora, abbiam conosciuto che
privando gli enti finiti d'ogni virtù causale e però
d' ogni specie d' azione, essi perdono la capacità del
bene e quindi non anno ragione di esistere. Ma d'altro
lato, essere essenzialmente causa e principio è ciò pro-
priamente che all'infinito appartiene, quindi i finiti deb-
bono per se medesimi possederne sol qualche grado;
e le cagioni che usiamo chiamar seconde riuscir deb-
bono poverissime, ciascuna per sé, di eflScacia; perocché
r efficacia cresce con la cooperazione, l' ordine, l' ar-
monia e r unificazione tutte cose opposte all' indole
dei finiti in quanto finiti. Occorrerà, dunque, una mente
la quale preordini la cospirazione delle cagioni seconde,
come si verrà sponendo nei Libri successivi.
A.
138. — Con tutto questo non sembrami da negare
la possibilità d' un ente capace di sola passività e d'ogni
potenza spogliato a un dipresso come Aristotele con-
llABUNI - II. 5
66 LIBRO PRIMO.
cepiva la universale materia per contrapposto della
forma o del principio attivo che la si chiami. £ a noi
sembra eziandio un parlar tropologico quello che af-
ferma r essere doversi manifestare ed ogni manifesta-
zione voler dire un atto ed ogni atto emanare da qual-
che energia causale. L' ente finito è già manifesto per
sé con r esistere determinato e qualificato così o così ;
la qual cosa non inchiude alcuna necessità logica che
la determinazione e specificazione di lui esser debba
un atto della sua propria energia ovvero che a qual-
che energia debba a forza andare congiunta. Vero è che
r esperienza non ci fa imbattere in niun subbietto for-
nito di sola recettività. Imperocché eziandio nella na-
tura meccanica niun corpo mostrasi privo per intero
d' elasticità, ninno di virtù attrattiva e tutti obbedi-
scono a certe leggi e impulsioni speciali, e diverse di
affinità chimica. Ciò non ostante, egli é lecito d' imma-
ginare che alcune sostanze appunto per la condizione
infima di loro essere e la mera e nuda passività in cui
dimorano non mai venissero avvertite e considerate da
senso 0 da mente umana. Atteso che noi conosciamo
gli enti esteriori per ciò propriamente che operano in
noi e vogliam dire per le reazioni loro inverso le azioni
nostre..
B,
139. — Comunque ciò sia e pur concedendo che ogni
sostanza in natura sia prò veduta d'alcuna specie d'at-
tività, non se ne dee concludere che tale sia di neces-
sità la forma dell' ente finito, siccome parve a Leibni-
zio, il quale, peraltro, mai non ne dette dimostrazione.
V à il mutamento nel mondo, disse egli, e questo dee
provenire o solo da Dio e cadesi nello spinozismo fa-
DEL FINITO IN SE. 67
cendosi Dio autore unico d'ogni azione e operazione
nel mondo, ovvero dee provenire dalle cause seconde ;
e qualunque ente finito sarà una causa sì fatta perchè
r una monade non opera dentro V altra e ciascuna è
principio d' ogni mutamento suo proprio. Ognuno vede
che negandosi tale ultima supposizione è pur negata
la necessità per gli enti finiti di essere tutti provveduti
di attività. E in tale sentenza di Leibnizio avvi ancora
un altro supposto non dimostrato, e cioè che non possa
nel creato sussistere cosa immune al tutto da muta-
mento. Dall' altro canto, perchè alle cause seconde
s'attribuiscono tutte le mutazioni degli enti creati, ba-
sterà supporre che abbiano facoltà di promovere scam-
bievolmente i loro principi attivi nel modo che sarà in
fra breve significato ; e ciò importa un ordine al tutto
contrario a quello che pigliò nome di armonia presta-
bilita.
a
140. — Giova di ricordare a cotesta occasione la prin
cipale differenza che corre tra la dottrina nostra e quella
del Leibnizio o d'altri assai metafisici che tengono dalla
sua. A noi sta in cospetto innanzi ogni cosa la natura
del finito e come essenzialmente si diversifica dallo in-
finito. In quel cambio Leibnizio piglia le mosse da una
presunta simiglianza dell'ente finito con Dio. Dal che
discendono tre pronunziati ch'io reputo falsi in gran
parte ed i quali poi informano del loro carattere la
cosmologia tutta quanta così appo Leibnizio, come appo
una schiera numerosissima di filosofi antichi e moderni.
L' un pronunziato dice che qualunque ente creato rac-
chiude certo principio attivo di spiegamento e perfe-
zionamento, un che d' infinito, una semenza immortale
68 LIBRO PKIMO.
donde può uscire ogni cosa; perocché tutto è virtual-
mente in questo e in cotesto ma vi si attua in modo
diverso. Il secondo pronunziato afferma che il fondo
d' ogni qualunque entità è il medesimo e dichiara esso
Leibni/io ciò costituire una massima la quale regna in
tutte le parti della sua filosofia. Il terzo pronunziato
ne fa sapere che noi giudichiamo tutte le cose per si-
militudine con r animo nostro. Ora, la finità in ogni
condizione di esistenza e i germi dell' infinito non posso-
no naturalmente combinarsi in un essere qualechessia.
La medesimezza generale e comune delle esistenze è con-
tradetta da ciò che dentro al finito padroneggia invece il
diverso e non già l'identico; stantechè la vera moltipli-
cità sempre inerente al finito risolvesi nel diverso e non
già nel medesimo. La terza massima fu dissipata da noi
neir ontologia, laddove mostrammo che la percezione
degli oggetti esteriori accade immediatamente e per
contatto spirituale fra il conoscente ed il cognito.
Afobismo Vili.
141. — Tenendo, impertanto, l'occhio mentale bene
addirizzato ed aperto sulle necessità e limitazioni delle
cose create in quanto seguono la cieca natura o ne-
cessità inconsapevole che tu la dimandi, affermiamo nel
generale che le cagioni seconde possederanno : Primo,
un' attività potenziale più presto che viva e attuosa ;
e ciò importa che bisognerà loro un esterno eccitamento
e il concorso d' una cagione, per men che sia, di
virtù occasionale. Secondo, il termine dell' attività loro
non sarà in sé medesimi tutto e compiuto e spesso
nemmeno in parte; onde ella è sempre qualcosa che
cerca il suo complemento e da chiamarsi appetizione
con miglior senso ed uso che non fece Leibnizio di
DEL FINITO IN SÉ. 69
«]uesta voce. Terzo ; V eflicacia produttiva di lei sarà
modale e non mai sostanziale. Quarto ; andrà operando
per gradi e ognora imperfettamente a rispetto dell' ec-
cellenza archetipa la vuoi di genere e la vuoi di spe-
cie alla quale può venir riferita. Quinto ; sarà sempre
e tutta particolare; avvegnaché, come in cosa niuna
finita può dimorare V universale che è infinito, cosi
nemmanco nella virtii eflfettrice delle cagioni seconde.
A.
142. — Aggiungasi che V esperienza in conferma di
tutto ciò non rivela alcun subbietto operante solo da se
e non conoscendo stato di mera virtualità. Aristotele,
già si disse, oltre alla natura perennemente attiva ed
universale che pose nei cieli, od almeno nel primo
mobile, parlò eziandio d'un atto perpetuo ed essen-
ziale del nostro intelletto. Il che mi sembra fosse
imitato dai Cartesiani, ponendo la essenza dell' anima
umana nel continuo pensare ; e parecchi platonici opi-
nano avere la mente nostra una intuizione innata di
certe idee originali e anteriori a qualunque atto di
sienso e di percezione. Tutto questo, per altro, non si
dimostra; e quanto al supposto ultimo delle idee in-
nate potrebbesi ad ogni modo affermare che la mente
nostra viene eccitata continuamente all'atto di sua
visione. Oltreché in quel fatto e in altri consimili
d'intuito e contemplazione intervenendo un congiun-
gimento speciale e immediato dell' anima con l' Asso-
luto abbiamo altresì l' intervenimento d' un altro prin-
cipio che non è il finito e l' efficienza creata. E perchè
la volontà non si move e la libertà non si determina
senza la cognizione anteriore, perciò il libero arbitrio
medesimo, tuttoché partecipi dell' assoluta causalità.
70 LIBRO PRIMO.
ricerca 1' antecedenza dell' atto conoscitivo, e, questo
rimosso, giace eternamente in istato di mera virtualità.
143. — L'esperienza afferma il medesimo per la se-
conda necessità e limitazione notata nell' aforismo.
Conciossiachè in nessun luogo ed in nessun tempo
manifestasi a noi nelle cose finite un atto il quale non
abbia o in tutto o in parte fuori di sé il termine suo.
Nulla è più intimo e più personale e però meno espan-
sivo e comunicabile, quanto l'amore di noi medesimi
e il desiderio ed il godimento del nostro bene indi-
viduo. Eppur nondimanco nell' esercizio di tale atto
la materia ed i mezzi non sono immediati ed intrinseci
e r una e gli altri il più delle volte sono cercati fuori
dell' anima o noi senso mediante i corpi o nella so-
cialità mediante gli altri uomini o nel vero e nel
bene assoluto che sono tanto all' uomo superiori quanto
esteriori.
144. — Affermasi che la materia corporea qualeches-
sia determinata ad un qualche moto da qualche impulso
esteriore proseguirebbe a moversi perpetuamente nella
immensità dello spazio per una retta infinita e cioè
nella direzione della forza impellente; il quale atto
parrebbe quindi non più dipendere se non da sé stesso
e non più ricadere nello stato di semplice virtualità.
Forse più avanti discorreremo di tale attività motrice
interiore. Basti per al presente avvertire che nel Cosmo
a noi visibile neppure un sol movimento accade di
corpi siderei il quale manifesti di non venir governato
dall' attrazione, e cioè a dire il cui termine non sia
fuori di ciascuno di essi corpi. Quanto al supposto
del moto incessabile e rettilineo, è pur degno di av-
DEL FINITO IN SÉ. 71
vertimento che se nel vuoto infinito nulla cosa lo può
mutare o interrompere esso avrebbe sembianza di
quiete perfetta e ninna potenza nel mondo riuscirebbe
piii improduttiva; ed infine, l'efiFetto manterrebbesi
identico a sé medesimo in maniera tale da potersi
aflFermare eh' egli è mai sempre quella passiva deter-
minazione che fu nel momento primo del moto.
145. — Ma lasciando la materiale natura e consul-
tando i fatti piii proprj del nostro spirito, V esperimento
cotidiano e comune ci apprende che gli atti medesimi
della coscienza inchiudono un qualche termine estemo
e diverso dalla intima attività loro. Per fermo, egli si à
coscienza o del pensare o del percepire o del volere. Ma
gli oggetti del pensiere speculativo, come qua addietro
avvertimmo, si compiono in un che di esteriore ; la
percezione è dai sensi e dagli organi, e la volontà ap-
petisce il di fuori. Solo per astrazione e dimezzando
r oggetto della consapevolezza nostra giungiamo a tutta
radunarla e addensarla soj>ra materia interiore ; come
quando riflettesi sulla volontà in quanto tale e non
sulla cosa voluta; ovvero, riflettesi sull' atto cogitativo
in disparte dall' oggetto determinato della cogitazione.
Né opponsi minimamente a ciò queir afi'ermazione
nostra nel Capo primo del Libro che ogni subbietto
sostanziale in cui succeda lo spiegamento di un atto
è causa formale dell'atto medesimo; imperocché questo
sebbene s' inizia e sustanzia dentro al proprio subbietto
può in altro avere il suo termine e in altro avere il
principio.
Aforismo IX.
146. — Dicemmo l' attività del finito non mai poter
contenere l'energia creatrice delle sostanze; il che par-
72 LIBRO PRIMO.
landosi empiricamente non sembra bisognevole di mag-
gior prova oltre quella fornita dalla pili costante e
comune esperienza di tutti gli uomini. Nientedimeno
una dimostrazione a priori intorno al proposito non
è agevole a rinvenirsi. Veramente, tra l'essere e il
nulla correndo intervallo infinito, ricercasi per riem-
pierlo un potere eziandio infinito o che si tratti di
creare subbietti sostanziali o semplici modi e feno-
meni; perocché questi ancora sono fatti trapassare
dal niente alla realità, secondo venne notato da noi
altra volta. Come, dunque,* daremo al finito la po-
testà del creare i modi e i fenomeni? E se questa gli
diamo, perchè interdirgli quell'altra del creare le
sostanze, non cadendo d' altra parte alcuna contrad-
dizione nel supposto che Dio faccia operare ad un
ente finito la creazione di finite sostanze, converten-
dolo in istrumento immediato della onnipotenza sua?
147. — In tutto ciò è dimenticato, per nostro avviso^
che noi meditiamo al presente sulla natura peculiare dei
finiti in disparte dall'infinito, o, per dir meglio, in con-
trapposto con esso; e da un^ banda consideriamo
tutto quello che proviene dal contrapposto medesimo,
dall' altro tutto quello che è pur necessario all' ente
'finito onde possa esistere ; e vi si aggiungono le rela-
zioni del molteplice in fra sé o vogliam dire dell' un
finito con l'altro, e da ultimo quel minimo che con-
viene attribuire al molteplice per la minima ragion
sufficiente della esistenza de' suoi componenti. Ricor-
date cotesto cose sulla natura dei finiti, abbiamo ar-
bitrio di affermare che non possedendo essi verun
principio informativo e dispositivo del proprio essere
e della propria energia, non solamente sono inabili a
crear le sostanze, ma niuna maniera di creazione può
loro competere. Ciò che producono i finiti, in quanto
DEL FINITO IN SÉ. 73
li consideriamo quali subbietti attivi e passivi, rìsol-
Tesi in emanazione appunto di atti immutabili, i quali
se vengono ricevuti da altri finiti, condizionano e va-
riano costantemente i modi e gli atti di cotesti altri ;
essendo primamente state naturate le cose a queir agire
«*d a quel patire.
Afobismo X.
148. — Le altre due necessità menzionate qui sopra
delle cause seconde, e cioè di dover progredire grada-
tamente e dover essere particolari e singole, sono ma-
nifeste per sé medesime. Di vero, del non essere uni-
versali né come sostanze né come cause videsi il per-
chè nel secondo aforismo del terzo Capo. Una causa
finita poi non vale a produrre eflfetto infinito. Quindi,
se cresce di produzione e di quantità, ciò accade per suc-
«essione e vale a dire gradatamente.
Aforismo XI.
149. — La emanazione degli atti poc'anzi accennata
non può differire dalla essenza del subbietto operante ;
conciossiaché quella emanazione è da ultimo esso me-
desimo il subbietto in quanto opera; ed ogni opera-
zione è poi ricevuta nel subbietto passivo secondo il
modo del ricevente e vale a dire con tenore immutabile.
150. — Di quindi, quella universale persuasione degli
uomini che tra la facoltà e 1' atto e tra la cagione e V ef-
fetto proprio e immediato debbe sussistere compiuta
omogeneità di natura. Di quindi pure V altra sentenza
comune che i subbietti causali non mutano né alte-
rano comecchessia la loro essenza e gli atti loro essen-
ziali. Per fermo, da noi non s' ignora che il subbietto
74 LIBRO PRIMO.
intimo e sostanziale è semplice e il semplice assoluto
è incapace di mutazione; e perchè tal subbietto è causa
formale de' proprj atti ninna mutazione può entrare in
questi se in quella non entra.
A.
151. — Qui cade, per verità, uno de' punti più astrusi
dell'ontologia, perchè quasi non sembra possibile scam-
pare dalla contraddizione. Si affermò il finito essere mol-
teplice e però essere ancora diverso, in quanto il di-
verso scostasi dall' unità più che il simile. Pure, se
neir ultima attenuazione del finito o vogliam dire nel-
r ultimo elemento suo impartibile egli non racchiude
il diverso, tutta la natura convertesi in certa unifor-
mità infeconda ed immobile. Tu dirai: ponvi dentro
non il diverso ma il vario. Rispondo che il vario diver-
sifica dal diverso in quanto è pure il diverso ma iden-
tificato con certa unità di subbietto. L' omogeneità, im-
pertanto, fra tutto quello che statuisce certa natura
determinata di cosa, altro non vuole significare se non
certa temperanza originale primitiva ed inalterabile del
diverso e dell'identico. D' altra parte, non è concepibile
che ogni qualunque diverso possa unificarsi con ogni
qualunque identico, ma debbevi esistere qualche ragione
di attinenza e qualche perchè unitivo di tali forme e se-
parativo di tali altre; ciò appunto noi esprimiamo col
vocabolo omogeneità. Tengasi, adunque, per sicuro che
il solo infinito unifica e semplifica eminentemente ogni
])erfezione infinita quantunque diversa. Ma per opposto
nel finito bisogna che tal diverso escluda cotale altro
e quello che è omogeneo escluda una serie innumere-
vole di forme a sé eterogenee, e tale esclusione avvenga
ella pure per gradi tenendo l' ultimo luogo quelle so-
DEL FINITO IN 8È. 75
stanze in cui il diverso è tanto da escludere ogni qua-
lunque reciprocazione di causa e di effetto, il che esa-
mineremo di nuovo più tardi.
152. — Ciò si accorda con quanto si disse nel primo
e secondo Libro dell' ontologia intorno alle facoltà dello
spirito nostro, le quali rinvenir debbono nel più secreto
di noetra essenza quella omogeneità di forma che negli
atti non apparisce. Conciossiachè chi non procaccia di
violentare il significato delle voci e il valor delle cose
dee tenere per evidente che la volontà, l'intelletto ed
il senso differiscono intimamente in fra loro benché
sieno facoltà d' uno stesso principio attivo.
AroBisMo Xn.
153. — Però è manifesto che se un ente finito è con-
dizionato ad un atto, quell'ente permarrà sempre in
queir atto; e per simile, se le disposizioni primigenie di
lui in risguardo di certi atti sono meramente virtuali,
egli non rinverrà mai in sé medesimo le cagioni che
lo determinino a trapassare dalla potenza all'attualità.
Conciossiachè supponendo tali ragioni insidenti nell'es-
sere suo, elle vi opererebbono sempre o non mai; ov-
vero converrebbe cercare una terza cagione la qual
traesse la prima dal virtuale all' attuale e così all'in-
finito. È poi manifesto eziandio che qualunque sorta
d' azione quando verrà esercitata dal di fuori nell' ente
finito di cui si parla, sarà ricevuta sempre ad un modo,
e cioè secondo lo stato e l' indole della propria pas-
sività.
76 LIBRO PRIMO.
Afobismo XIII.
154. — Questo perseverare nelle condizioni assortite^
qualunque sieno, fu dai fisici domandata legge d'iner-
zia. Ciò riscontrasi parimente con l' assioma popolare
che dice le leggi della natura riuscir tutte e sempre e
in ogni dove immutabili; ovvero, com' altri significò la
cosa con più eleganza, le leggi della natura essere iden-
tiche a sé medesime in ogni spazio ed in ogni tempo.
Per fermo, considerandosi gli aforismi di già esposti, non
può sorgere dubbio veruno che le monadi o subbietti
sostanziali che si domandino, qualora sortiscono la es-
senza medesima, non ripetano in qualunque punto dello
spazio i medesimi atti e fenomeni, mancando loro per
ogni dove la ragion sufficiente per mutare in sé stessi
0 l'uno a rispetto dell'altro. E del pari, in ogni lun-
ghezza di secolo non alterandosi per niente le essenze
degli esseri e ricevendosi in modo invariabile tutte le
azioni esterne secondo la natura propria e l'altrui,
debbe proseguire in perpetuo la precisa reiterazione
de' medesimi atti e fenomeni.
Aforismo Xrv.
155. — Vero é, nondimeno, eh' egli non sembra farsi
contradittorio il concetto d' una forza, la quale fosse
originalmente costituita a mandar fuori una serie di
atti r uno diverso dall' altro. Il che sarebbe, tutta volta,
un serbarsi costante e identico alla natura propria ; e
tutte le simili monadi nella lunghezza del tempo ed in
ogni spazio riprodurrebbero identicamente la serie stessa
di mutazione : come, per via d'esempio, dee dirsi costante
e medesima la natura del filugello, il quale trapassa
DEL FINITO IN SE. 77
pure con vicenda non alterabile dallo stato di verme
a quello di crisalide e dalla crisalide esce trasmutato
in farfalla.
156. — Ma chi ben guarda nell'intimo della cosa,
dovrà procedere con più distinzioni ; e innanzi a tutto
supporrà le forze finite operanti da sé e per sé ; nel qual
caso, tali forze saranno in un primo tempo tutto ciò che
possono essere giusta la propria essenza immutabile. Per
fermo, nel secondo tempo e ne' successivi, non interve-
nendo dal di fuori alcuna cagione eflScace, come spie-
gherebbero esse forze un diverso atto e di seguito molti
atti diversi, mentre nulla non à cambiato nella forma
intrinseca del subbietto o vogliam dire nella forma es-
senziale della cagione? e certo si rimanendo che gli
atti emanati debbono riuscire infallantemente a quella
omogenei, anzi dovendosi dire che sono la stessa forma
causale in ispiegamento di atto? La qual cosa apparisce
più chiara con questa considerazione che l'ultima muta-
zione supposta giaceva antoriormente in potenza entro al
subbietto causale; come dunque tal mutazione trapassò
dalla potenza nell' atto? quando non operava, secondo
il supposto, alcuna cagiono esteriore ne superiore?
157. — Ma non si à differenza nessuna nell' altro
supposto di un' azione esteriore. Perocché questa opera
sempre con lo stesso tenore e con lo stesso è ricevuta ;
e però nel secondo momento non accade azione este-
riore diversa da quella che nel primo si compieva.
158. — Bimane il supposto dell' azione superiore di-
vina, alla quale certo non é impossibile il recare per
entro i subbietti finiti una serie di mutazioni eziandio
diverse tutte e slegate. Salvo che in questo caso non
opera il subbietto finito ma la potenza infinita imme-
diatamente, e in quel subbietto è soltanto una conforme
disposizione di recettività.
78 LIB^O PRIMO.
159. — Mirandosi, impertanto, alle forze attive finite
per ciò che possono in se medesime e V una a rispetto
deir altra, ei si debbe con gran saldezza affermare ed
asseverare che in ogni tempo ed in ogni luogo sono
identiche con se medesime e quindi manca loro ogni
facoltà di emanare in successivi momenti diverse forme
di atti e fenomeni.
A,
160. — Scorgesi da questo aforismoe dagli anteriori
quanto sia bizzarro il sistema leibniziano delle monadi
non già solitarie ma al tutto isolate e le quali però effet-
tuano il mondo intero delle mutazioni per una serie inter-
minabile e variatissima di atti successivi, spontanei. E
molto strano è quel dire che una percezione nasce dal-
l'altra, quando sono diverse tra loro e il subbietto cau-
sale è semplice ed immutabile. Stranissimo poi in par-
ticolar modo per esso Leibnizio negante a dirittura ogni
realità obbiettiva di spazio e però ancora di moto, che
è la sola eflScienza, come tra poco sarà conosciuto, onde
può scaturire la mutazione. Vero è che il Leibnizio
impone a tutto ciò il bel nome di armonia prestabilita,
e vale a dire una serie di fatti diversi che in sé me-
desimi non racchiudono l' eflScacia del proprio esistere
ma ranno superiormente dall'atto assoluto e immediato
di creazione. Quindi non provengono da spiegamento
naturale e omogeneo di atti o vogliam dire da cause me-
diate 0 seconde come si usa chiamarle, ma sì provengono
senza mezzo da causa divina che opera continuamente
ne' subbietti immutabili e semplici ; di diretto contrario
a quello che voleva e cercava con massima cura Tautor
del sistema, desideroso anzitutto di costituire l'ente
finito in certa perenne essenziale e spontanea operosità.
DEL FINITO IN SÉ. 71)
B,
161. — Che se Pente qualechessia può differire di
mano in mano da se medesimo e quindi operare e mu-
tare senza cagione, Hegel non debb' essere rimprove-
rato di far diventare V ente suo astratto ogni cosa senza
anteriorità di cagione; salvo che conveniva perciò risol-
vere quella specie di mezza infinitudine che appresso il
Leibnizio ripetevasi in monadi innumerevoli, risolverla,
io dico, in una monade sola ed universale. Altro esem-
pio del travasarsi gli errori di età in età pel potere
e r influsso d' un nome grande e riverito.
Aforismo XV.
162. — Non pertanto, se il naturale e perenne princi-
pio di mutazione non è insito ne'subbietti finiti ne s'invo-
ca l'intervenimento immediato della efficienza suprema,
da onde il trarremo noi ed in qual maniera saranno di-
leguate le incongruenze che paiono andar seco di compa-
gnia? Perocché, nel modo che già venne accennato nei
superiori aforismi, sebbene si forniscano gli enti finiti di
certa virtù di operare V uno nell' altro quali cagioni
provocative o modificatrici, nientedimeno, noi non ve-
dremo da ciò suscitate le mutazioni e moltiplicata la
varietà degli effetti. Per fermo, posti i finiti in presenza
r uno dell'altro, egli è chiaro che subito emaneranno la
loro efficacia causale reciproca e subito saranno indotte
da ogni parte tutte mai le modificazioni ed eccitazioni
convenienti all' essere loro; le quali, non mutandosi
punto i subbietti né le facoltà passive ed attive, rimar-
ranno identiche e inalterabili dal primo istante del
80 LIBRO PRIMO.
proprio apparire insino alla estrema consumazione
del tempo.
A questo dimando della ragione risponderanno gli
aforismi del Capo seguente.
A,
163. — Ad ogni modo e trovato anche il principio
naturale e perenne di mutazione, la immutabilità delle
essenze e degli atti essenziali dee comparire nel fondo
medesimo dei cambiamenti. E non soltanto la immu-
tabilità delle essenze, ma la immobilità degli atomi e
dei loro composti, laddove dal di fuori non sopravvenga
azione nuova causale. Guardisi alla immobilità delle
roccie di primitiva formazione, e, con maggior maravi-
glia, guardisi ai composti organici più delicati, ognora
che non sia mutevole 1' ambiente dove dimorano ; il che
si avvera nei gracili semi di grano stati sepolti nei
sarcofagi egizj o nelle buste delle mummie, e quivi du-
rati un qualche migliaio d' anni senza cambiare un mi-
nimo che della propria struttura, di qualità che con-
segnati di poi alla terra e in debito tempo inumiditi
e scaldati svolsero il germe racchiuso e maturarono il
frutto loro aspettato per almeno quaranta secoli.
164. — Per lo certo, cotesta immobilità è relativa
e non assoluta; ma ci rende figura di quel che sarebbe
tutto il finito, qualora gli accadesse di dover ritrarre
dalle sue condizioni proprie e non declinabili un prin-
cipio perenne e fruttuoso di attività e di mutazione.
DEL FINITO IN SE. 81
CAPO QUINTO.
PRINCIPJ DI MUTAZIONE E DI CONGIUNZIONE
E LORO INSUFFICIENZE.
AroRiSMO I.
165. — Adunque manteBendoci nella considerazione
di quello che possono e fanno i finiti per se e posto che
sieno yere cagioni seconde e però autori immediati degli
atti proprj, noi dobbiamo escludere la efficienza di Dio
quale operatrice diretta delle mutazioni del mondo
creato e ci conviene indagar novamente da che e come
possa procedere cotal principio perenne del mutar delle
cose. E ci risolviamo a supporre che la mutazione debba
essere insita nello stesso atto primo essenziale ed ori-
ginale di quelle ; talché per esse la causazione for-
male intema consista per appunto nel sempre modifi-
car sé medesime in certa maniera identica ad una e
diversa ; e cioè a dire, che per un lato Tatto loro essen-
ziale in un primo attimo di tempo consista in certa
mutazione determinata la quale nel secondo momento
ripetendo sé stessa in ugual maniera e aggiungendosi al-
l' altra di già compiuta divenga di là a qualche tempo,
per la somma degli aggiungimenti, causa provocatrice
od occasionale, od anche efficiente d'altre mutazióni.
Poniamo caso, impertanto, di un atomo o di piii atomi
ineéeme congiunti il cui atto essenziale consista in tra-
scorrere da un punto dello spazio al punto più pros-
simo. £i non si avvisa in tale ipotesi alcuna contraddi-
zione col detto di sopra. Atteso che questa virtù di moto
è congenita ed essenziale air atomo, anzi compone la
JIaiiaiii — II. 6
82 LIBRO PRIMO.
forma stessa dell'atto di lui. È certo altresì che giunto
r atomo neir istante primo ad occupare l' attiguo spa-
zio, quivi la natura medesima della sua forza costitu-
tiva permanendosi identica, lo sospinge a ripetere lo
stesso trascorrimento di spazio ed occupare il luogo
immediatamente contiguo, e così di seguito.
A,
166. -— Non occorre qui di avvertire che sebbene in
ogni molecola risiede un essenziale principio di moto
il che vuol dire di mutazione, esso vi può risiedere in
atto ovvero in semplice facoltà; nel qual caso è biso-
gno d' un' azione esteriore per far trapassare il detto
principio dalla mera virtualità all' atto. Ma di ciò verrà
proposito di ragionare più oltre.
Afobismo il
167. — Appar manifesto eziandio che movendosi due
atomi ovvero due molecole l' una inverso dell' altra per
iscambievole eccitazione e determinazione, e aggiungen-
dosi d' ambo le parti all'impulso primo il secondo e a
questo il terzo e così di seguito, cresce nella ìstessa mi-
sura la intensione del moto e scema altrettanto lo spazio
interposto.
168. — Del pari, ei si può fingere che alcun' altra
specie di azione e passione reciproca rimanga virtuale
ed occulta insino a che due molecole non sieno venuta
per un maggiore accostamento prossimissime l' una al-
l' altra ovvero non si tocchino o non si urtino. Da tutto
questo risulta una serie di mutazioni e una serie di
varietà nelle mutazioni medesime, il cui vero e comune
principio dimora sempre nella essenza del moto.
Né la sopraddetta finzione è suppositiva al tutto
DEL FINITO IN SÉ. 83
e arbitraria. Cionciossiachè, se lo spazio il tempo ed il
moto sono elementi inseparabili, e però ancora inse-
parabili dal principio di mutazione, questo apparirà
tanto più attuoso, quanto non solo nel moto ma nello
distanze e in altri accidenti di estensione e di durata
mostrerà in diversa guisa T efficacia sua. Quindi si
può statuire a priori che V azione vicina o remota,
lenta o spedita, suscitata per entro gli atomi ovvero
per entro le masse, riuscirà differentissima e ne pro-
verrà una lunga serie di differentissimi effetti.
A.
169. — Nessuna cosa è più abituale e quasi a dire
più domestica air uomo quanto vedere le mutazioni ed
il moto. Eppure, come testé avvisammo, è difficilissimo
di rinvenirne il principio speculativo; e l'essenza stessa
del moto racchiude una sorta di antilogia; perocché
mette insieme un subbietto immutabile il quale à per
atto proprio essenziale una certa guisa uniforme di
mutazione. Dal che si disceme quale stima dobbiamo
pur fare d' alcune cosmologie audacissime in cui pre-
tendesi di fabbricare a priori la costituzione intera
della materia e tutte le leggi della meccanica e della
chimica. Nessuna necessità logica sospinge la mente a
figurare e affermare che gli atomi materiali, o a dir me-
glio i loro aggregati, divisi e distanti si attraggano mu-
tuamente e sieno forze accelleratrid V uno inverso del-
l' altro, e che venuti in contatto spieghino virtù diverso
di coesione e di affinità chimica. Parlandosi con rigore,
l'antecedente aforismo ne dichiara solo in modo apo-
dittico la possibilità astratta, e quindi prova ancora la
possibilità della varianza indefinita e interminabile dei
fenomeni e solo v'aggiunge l'efficacia d'alcune pix)ve
84 LIBRO PRIMO.
indirette e d'alcune giuste illazioni. NuUameno, vedremo
nel progresso della trattazione come oltre ai cenni dati
qui sopra e in virtù di nuovi principj quelle astratte
supposizioni e possibilità una volta trovate e pensate
nei loro elementi è necessario se ne effettuino tutte le
conseguenze. E però qui pure avremo un nesso stretta-
mente dialettico. Ma quello che mai non può provenire
a priori si è la forma speciale delle nature corporee;
e giudichiamo eziandio impossibile di dedurre per legge
assoluta d' identità e causalità il concetto del moto dal
concetto della materia e dai due insieme il concetto
dell' attrazione e da questo ultimo il concetto delle af-
finità chimiche.
Afobismo m.
170. — Nella impulsione motrice dei corpi non di-
mora certo una efficacia infinita; e d' altra parte, come
nei finiti ogni cosa procede gradatamente, cosi accade
per la impulsione motrice. Avremo dunque che i corpi
movono 1' uno inverso l' altro con certa ragione di di-
stanza, la quale tanto sarà maggiore e tanto farà mi-
nore il grado dell'impulsione e da ultimo segnerà un
termine all' impulsione medesima.
A.
171. — Non cade dubbio che oggidì la meccanica
non sia razionale tuttaquanta e dimostrativa e però la
non si annoveri tra le glorie maggiori e più salde della
scienza umana e della umana speculazione. Non per-
tanto, ella pure à i suoi postulati e questi non s'in-
dovinano. Onde Cartesio, che volle tentarlo, fu dai
filosofi sperimentali trovato in errore e con ciò solo man-
darono a fondo il sistema. Gli Hegeliani, a cui non è
DEL FINITO IN SÉ. 85
lecito d' ignorare le leggi del moto, mi sembra che ado-
perino peggio di Cartesio, interpretandole in modi
strani e facendo sembiante di dedurle a priori col
taHsinano di quelle loro generalità della nozione este-
n<Mre a se stessa ovvero della materia che cerca una
forma, ovvero anche della idea che alienandosi in
mille particolari e in mille individualità procaccia
di pervenire alla vita, al senso ed all' intelletto. Ma
non si tratta, o signori, di adattare ai casi concreti
quelle vuote concezioni che tutto abbracciano e nulla
strìngono. La difficoltà, o parlandosi con esattezza, la
impossibilità giace in quel punto in cui converrebbe
dedurre a priori le specie peculiarìssime delle cose ; e
intendiamo quella entità singolare, onde la materia
ed il moto, per via d' esempio, differiscono da ogni
altra esistenza ; e cosi d' ogni rimanente.
« Avvi una prima e astratta manifestazione della ma-
» teria; e come questa possiede una esistenza distinta
» dalla natura, avvi una relazione della materia con
» se medesima, la quale in tal guisa si pone in istato
^ d' indipendenza a rimpetto delFaltre determinazioni. E
» simile identità universale della materia è la luce. » Con
qu^te parole deirHegel tu, mi penso, ài chiarissima in
mente, o lettore, Tidea della luce, e comprendi a mera-
viglia quello che sia e la vedi procedere dal concetto di ma-
teria con la necessità logica che il rettangolo esce dalla
somma dei tre ! Con gli stessi vocaboli più universali e
indeterminati del mondo e col metodo stesso di deduzio-
ne è spiegato e dimostrato a priori quello che sia V aria,
il fuoco, la terra, l' acqua, il calore e va' discorrendo.
172. — Scherza coi fanti e lascia stare i santi, dice
un proverbio italiano: ed io volgendomi agli Hegeliani
86 LIBRO PRIMO.
direi loro per amicizia: scherzate con le nozioni e le
concezioni, se v' aggrada ; ma i fatti lasciateli stare ; che
nonostante che vi rimaniate sempre nelle inaccessibili
astrazioni della vostra idea che va viene e non si trat-
tiene, pure non iscanserete le smentite dei fatti e sbu-
giardarli non è possibile e dalla loro sentenza non e' è
appello ; e quando anche vi pronunziate sopra cose non
possibili a sperimentare, la evidenza dei teoremi geome-
trici vi condanna. Citiamo un sol caso per mille. Hegel
asserisce che se il pendulo dopo alquante oscillazioni si
ferma, ciò non proviene per l' attrito e per V aria am-
biente, ma si perchè la gravitazione supera ed annulla
in poco di tempo la forza accidentale contraria. L'esem-
pio fu scelto con finissimo accorgimento. Gonciossiachè
il fatto non darà mai prova sensata della perpetuità e
inalterabilità del movimento del pendulo. Nientedime-
no, scordò il grand^ uomo che V impulso accidentale
suscita bensì e determina nel pendulo la forza motiva
ma non la crea. Né pose mente che ogni qualunque
forza meccanica à questo carattere di perseverare uni-
forme ed inalterabile appunto perchè V impulso este-
riore opera occasionalmente e non efficientemente. It
perchè le forze meccaniche, o picciole o grandi, acci-
dentali o no, sono valutate a capello e in anticipazione
dal calcolo. Ed eziandio, rispetto al pendulo, può il cal-
colo misurare con esattezza squisita, quanto saranno
(poniamo) più veloci o quanto più durevoli le oscil-
lazioni secondo che V aria verrà rarefatta o sce-
mato r attrito od altre circostanze mutate. Quindi la
legge chie apparisce nel moto del pendulo (per chi
non nega la intera fisica matematica) à la stessa ne-
cessità e permanenza di tutte le altre moderatrici del
sistema solare e le quali tutte non cambieranno tenore
<* Se r universo pria non si dissolve. »
DEL FINITO IN SE. 87
AroRiSMO IV.
173. — Gli antichi per virtù di traslato fecero il mo-
vimento sinonimo di mutazione; ma bene è manifesto
che dove non fosse spazio ne corpo, nemmanco sarebbe
il moto ; e pure vi si potrebbe concepir mutamento o
per dir meglio tornerebbe strana cosa e non concepibile
che in un mondo spirituale si ma finito non accades-
sero mutazioni. Imperocché ei si rimarrebbe inferiore
d' assai al mondo corporeo, in quanto questo mediante
le mutazioni potrebbe ampliare e perfezionarsi. Noi
dobbiamo adunque aggrandire e universaleggiare il con-
cetto di mutazione e cercarne un principio applicabile a
tutto il creato.
174. — Ora cotesto principio non può consistere salvo
che nel riporre la mutazione nell' atto essenziale me-
desimo del subbietto operante, al modo che fu avvi-
sato per le forze corporee. Sarà dunque il subbietto
operante una causa conforme sempre a sé stessa e cau-
sante sempre ad una maniera; se non che questa sarà
per appunto costituita in un certo mutare uniforme-
mente ripetuto. E per via d' esempio, gli enti spirituali
per una mutua promozione usciranno prima dal loro
essere potenziale e troverannosi in certo atto e grado
di volontà. Poi nel secondo momento per la essenziale
natura delF atto medesimo il grado sarà replicato e così
nel terzo ed in seguito; di maniera che, conforme
accade fra i corpi ne' quali prosegue tuttavia il moto
per aggiungimento d'impulso e di spazio, così prò-
}^ua tra gli spiriti T incremento del volere; il quale
con lo incremento suo stesso può quindi venir promo-
vendo altre facoltà e vogliam dire altra sorta di mu-
tazione.
88 LIBRO PRIMO.
Afobismo V.
175. — Tuttociò per altro è suppositivo non solo ma
puramente analogico e piuttosto che discoprire le leggi
del mondo spirituale dimostra la insufficienza della
fantasia uman^, che sentesi astretta a pigliare dalle
figure del mondo corporeo il concetto e l' immagine di
quel mondo spirituale
« Dove chiave di senso non disserra. »
176. — Ed anzi quanto pili guarderemo dentro Tipo-
tesi, più parrà malagevole a intenderla per non dire
affatto impossibile. Attesoché imparammo non molto
addietro V attività degli enti finiti trovare al di fuori
r oggetto od il termine suo ; e simile oggetto o termine
doversi proporzionare air attività siccome questa a
quello. La volontà, pertanto, svegliata nel supposto ente
spiiìtuale ricerca non solo un oggetto, ma eziandio
certa proporzione e convenienza con esso. E per fermo,
sente ciascuno che per volere, bisogna voler qualche
cosa e un più forte volere seguita a più forte impulso
oggettivo. Perchè, dunque, nell'ente spirituale cresca via
via il grado di volontà, occorre che cresca in antece-
denza l'oggetto di quel volere. Ma quando poi cotal
moto dell' animo non conseguisca ne poco ne molto
l'oggetto suo, la relazione costituita fra q uè' due ter-
mini è falsa, e quindi viene abolita fra loro ogni pro-
porzione ed ogni convenienza. l'orza è dunque che
l'oggetto, 0 parte di lui per lo manco, sia conseguita.
E però accade non solamente che vi sia un potere
proporzionato all'oggetto e alla volontà, ma che va-
dano tutti e tre in infinito. Dappoiché, se il volere
soddisfatto si ferma, non v' é più mutazione. Se ri-
comincia nel modo stesso anteriore, del pari muta-
DEL FINITO IN SÉ. 89
zione non à più luogo. D'altro canto, ogni successione
progressiva ed interminabile à suo fondamento nel!' in-
finito ; il che sta fuori della nostra considerazione ; dac-
ché noi intendiamo per al presente conoscere quello
die i finiti sono e valgono Tuno a rispetto dell'altro.
177. — Quando poi si ricorra all' ipotesi d' un in-
cremento limitato e nondimeno sì fatto che avendo mu-
tate le condizioni dell' ente spirituale diventi cagione
promotrice d' altro cambiamento e poi d' altro, noi av-
vertiamo per prima cosa il soverchio cumulo di sup-
posti che accade di mettere insieme per ricavare da
•essi tutti un principio di mutazione; e quanto somigli
cotal principio al presupposto non guari accettabile del-
l' armonia prestabilita. Indi ci rechiamo al pensiero che
tal principio non è perpetuo. Conciossiachè, provocata
che sia da lui la serie intera dei supposti incrementi
e quelle altre mutazioni ohe abbiam figurato a quelle
connettersi, toma la necessità o di ricominciare ogni cosa
nella maniera stessa o di fermarsi. £ ciò è »i vero, che
Leibnizio volendo perpetuare le serie delle mutazioni
po6e a dirittura nelle monadi una specie d' infinito.
Aforismo vi.
178. — V à per altro un' altra forma pensabile del
principio di mutazione in un mondo al tutto spirituale
ed è soprammìsura più alta e più confacevole a quella
grande maggioranza che tener debbo lo spirito sulla
materia ; e la forma consiste nelP attribuire ad esso ,
spirito parte della causalità prima e incondizionata o
vogliam dire la libertà. Per lo certo, ponendosi in
un' anima la potestà di accrescere, sminuire, interrom-
pere o proseguire a sua posta quell'impulso operoso
ch'ella diflFonde nelle sue facoltà e negli organi, ovvero
90 LIBRO PRIMO.
resistere od agevolare ad arbitrio suo l'effetto delle azioni
esteriori, ne ridonda una serie di mutamenti che può
quindi eccitarne ed occasionarne innumerevoli altri. E
posto ancora che non si conceda cotesta sequela non ter-
minabile d' innovazioni, certo è che la libertà muta ed
innova sempre le cose in tale significato eh' ella è nel-
r arbitrio continuo di volere o disvolere, di romper
l'azione o di proseguirla; nel che risiede un principio
opposto alla necessità per la quale ogni cosa dee pro-
seguire identicamente e invariabilmente nelP atto o
nella virtualità in cui trovasi.
179. — Ma contro cotesta forma sublime di causa, o *
tu la chiami partecipazione di prima e incondizionata
efficacia, insorgono le necessità tutte e le insufficienze
del finito che abbiamo discorse; onde occorrono altre
nature di fatti e altre considerazioni per rimoverle e
superarle così nell' ordine delle realità come del pen-
siere. Rimanga qui dunque per al presente cotesto cenno
e ripigliamo la trattazione al termine dov' è pervenuta.
E veggasi, intanto, come la pura speculazione intomo
all' attività e spontaneità del finito conduca il pen-
siero a fermarsi nel supposto del libero arbitrio; ri-
mosso il quale, viene sottratta al finito incorporeo
perfino la possibilità del mutare e quindi la possibi-
lità di accrescere e perfezionare sé stesso.
Aforismo vii.
180. — Visto e fermato che la forza motrice è in-
sita negli atomi e nelle molecole, almeno quale facoltà,
se non quale determinazione, diciamo ch'ella non è
mai trasferibile in altro; perchè ninna sostanza vale
il trasmettere l'attività in un subbietto non attivo o
non fornito di quella speciale efficacia. Trasmettere o
DEL FINITO IN SÉ. 91
infondere un' attÌTÌtà vuol significare che s' infonda in
altri una forza o principio efficiente e però si crei den-
tro a un subbietto sostanziale un nuovo subbietto. E ciò
lignifica o produrre una sostanza la quale sia modo o
produrre un modo il qual sia sostanza. Di più; torna
contradittorio asserire che la sostanza divenga attiva
per UDO stato passivo; conciossiachè quello che si ri-
ceve induce una reale passività in quanto induce un
effetto e dal di fuori viene operato.
181. — La comunicazione del moto è però non una
prestanza di forza e di efficacia motiva impossibile a
darsi, impossibile a riceversi, ma certa modificazione
profonda ed appariscente dell' attività propria del corpo
eccitata dal di fuori; è insomma la forza stessa mo*
tiva del corpo la quale per V impulso esteriore o tra-
passa dalla potenza all' atto e dall' occultazione alla
manifestazione, ovvero è libera dell'impedimento che
la costringeva alla forma e ai limiti del solo conato.
AroRisMo Vin.
182. — Posto, dunque, che il moto non si comunichi,
gli effetti esteriori delle forze istantanee debbono pro-
seguire perenni e immutabili. Onde la pietruzzola, a
pur citare un esempio, scagliata dalla mano di un putto
quando fosse libera nel moto suo e da ninno impulso
contrario sollecitata proseguirebbe a correre equabil-
mente negli spazi infiniti per la serie di tutti i secoli. Ma,
certo, sarebbe la essenza costitutrice della pietruzzola
non il braccio del piitto cagione di ciò.
183. — Per simile, egli è sicuro che il moto libero
degli atomi si compirà sempre in linea retta e perfet-
tamente uniforme a sé stesso. Perocché, dovendo il moto
degli atomi nel secondo momento tornare ugualissimo
92 LIBRO PRIMO.
air altro accaduto nel primo, non possono per nulla,
alterarsi né la direzione di esso moto né la velocità
né altra condizione e accidenza.
Aforismo IX.
184. — Ed anche conseguita dal principio annunziato
che la somma delle forze motrici dee sempre riuscire
la stessa invariabilmente; siccome venne osservando
Leibnizio contro il supposto cartesiano che avesse a
permanere medesima eziandio la quantità di moto. Pei*
fermOy se le forze sono piìì che spesso impedite di spiegare
il lor movimento e possono giacere assai tempo in istato
virtuale od anco tornarvi, nessuna necessità costringe la
mente a giudicare la somma del moto identica sempre
a sé stessa, quando anche ciò si avverasse nel fatto.
A,
185. — Né contraddicono a ciò le veramente mirabili
corrispondenze ed equivalenze trovate oggidì dai fisici
tra tutte le sorte di moto e comunque sieno suscitate
o per affinità chimiche o per forze meccaniche o per
vibrazioni di etere. Tali sorte diverse di moto, noi ri-
petiamo, si rispondono e misurano esattissimamente,
sempre che sieno in atto ; e la mente altresì presume
e prenunzia con somma precisione quello che accaderà
di loro varcando dalla potenza all'atto.
186. — Nel modo stesso che il movimento non si
comunica, egli nemmanco trasmutasi in questo speciale
significato che una forza si trasformi in un' altra, come
usano dire oggidì con poca precision di parlare molti
naturalisti. Le forze le quali da ultimo sono atti o po-
tenze formali ed essenziali dei subbietti entro cui risie-
DEL FINITO IN SÉ. 93
dono, serbano inalterabile Tessere loro e la loro effi-
cacia per la ragione che non possono farsi causa di
perdere e annullare sé stesse diventando un altro, ossia
facendo che un altro essere pigli il luogo ed ufficio
loro. Oltreché, notavasi già più sqpra che ogni natura
di cosa mantiensi perpetuamente quello che é e quello
che opera nelT istante primo dell' esistere ; e sebbene
paò soggiacere a molte azioni e modificazioni esterne,
rintimo subbietto suo non cambia, e quelle azioni sono
ricevute secondo l'innata disposizione del ricevente.
Afobismo X.
187. — Egli é chiaro che una virtù motrice quale-
chessia non sale dalla potenza all'atto quando le manchi
ogni direzione di moto. Nelle esistenze finite ogni cosa
è determinata e singola, e però un moto esente da ogni
direzione non é determinato né singolo. Ma d'altro
canto r impulso esteriore che sveglia la virtù motrice,
essendo determinato e singolo esso medesimo, non può
altramente eccitare che in modo a sé conformissimo,
e però suscita la virtù motrice insieme, e certa dire-
zione di lei. Quindi e il moto e la direzione si perpe-
tuano e mai non si mutano. Come poi da qualchessia
mutamento possono venirne eccitati altri o per promo-
zione o per efficienza o per mero impulso occasionale,
di simile maniera può il moto passivo farsi causa oc-
casionale del moto attivo, secondoché andremo spie-
gando a convenevole luogo.
Aporismo XI.
188. — Si fa manifesto che tra forze uguali in-
terverrà pure uguaglianza perfetta e perfetta recipro-
94 LIBRO PRIMO.
cazìone dell' agirle del patire. La qual cosa i mate-
matici esprimono dicendo la reazione dover pareggiare
r azione. Così un corpo attrae con tanto dì forza con
quanta viene attratto e giusta la proporzione rispettiva
di loro masse.
Apobismo XII.
189. — Abbiamo veduto qua poco addietro che nello
spazio e nella materia il principio di mutazione con-
siste in un atto essenziale di moto che sempre e unifor-
memente ripete sé stesso. Ma perchè a svegliare cotale
atto è spediente l'impulso esteriore; e questo medesimo
racchiude un atto essenziale di mutazione, egli accade
che nel secondo momento l'impulso non può tornare
identico assolutamente se non in quanto dee contenere
il principio stesso di mutazione che forma V essenza
dell' atto, e sebbene d' altra parte tal mutazione riesca
simile e costante con se medesima. Laonde, a dir tutto
in breve, consiste la mutazione in solo incremento ed
aggiungimento di quantità. Occorre adunque che 1' atto
secondo essenziale aggiungasi al primo e così di se-
guito, e da ciò è spiegata evidentemente l'origine, e de-
finito il perchè universale e astratto delle forze acce-
leratrici.
A.
190. — Di tal guisa, tenendo la mira alle nozioni e
definizioni che noi ricaviamo dialetticamente dai pri-
mitivi concetti dell'ente finito e della materia movi-
bile, non sembra malagevole venir dimostrando per
semplice raziocinio i principj più generali della mec-
canica.
DEL FINITO IN SE. 95
Aforismo XIII.
191. — Co8Ì questo fatto generalissimo dell'attra-
zione delle masse o parlandosi più preciso questo vo-
cabolo cUtrasione, a cui si rimprovera di significare un
che di misterioso di suppositivo e d'indefinibile, con-
vertirebbesi in un principio razionale e patente e vor-
rebbe esprimere nulla più che 1' atto impulsivo e reci-
proco onde le masse acquistano 1' efi'ettuazione e la
direzione di loro forza virtuale motrice, la qual vedremo
più avanti in che guisa piglia e mantiene il carattere
attivo.
Aforismo XIV.
192. — Ma pervenuti i corpi al contatto scambie-
vole, credo che la mente può pronunziare la loro im-
penetrabilità. Per fermo, se la penetrazione vuol dire
annullamento dello esteso, i corpi cessano d' essere tali,
perocché sta nella essenza loro di comparire nello spa-
zio e con certa individuata determinazione dello spazio
medesimo. Quando poi s'intenda della penetrazione delle
fòrze, egli è chiaro che gli atti possono bene compe-
netrarsi, salvo sempre il subbietto distinto e incomu-
nicabile. Una penetrazione ulteriore equivale alla con-
sumazione totale dell' essere.
A.
193. — In tutti questi aforismi ci sembra con suflR-
cienza aver tratteggiato l' ente finito siccome subbietto
e cagione attiva e indagando il suo principio di mu-
tazione massime nelle nature corporee. Ma noi toc-
96 LIBRO PRIMO.
cammo più sopra della congiunzione e come i finiti
\aIgono per essa a fuggire in piìi modi le loro limita-
zioni più anguste e immediate. E sebbene cotesto allon-
tanamento, 0 se piace meglio, cotesta vittoria sopra i
limiti accader non possa per un' azione cieca e fortuita
quantunque scambievole, e qui pure sia necessario l'in-
tervenimento continuo della ragione e delle finalità, non
di meno per compiere questa parte della trattazione che
è volta a far conoscere la impotenza del finito in se
stesso e le necessità ed insufiicienze che d'ogni banda lo
stringono, verremo in breve delineando parecchie di tali
necessità ed insufiicienze che incontra la congiunzione
medesima e non ostante che il raziocinio introduca in
lei senza quasi avvedersene certa ragione e finalità
nelle sue specie e ne' suoi conseguenti.
Aforismo XV. ^
194. — Primamente, fu avvisato più sopra, che la
insuflBcienza e tenuità dei finiti à potere di compen-
sarsi in più guise, e fra l' altre di spiegare le facoltà
proprie ovvero dilatarne 1' eflScacia mediante la con-
giunzione e cooperazione dei simili. Ma questi, dove non
abbiano alcun che di diverso, o non operano affatto ov-
vero non inducono alcun moto di variazione. In secondo
luogo, la cooperazione non à efScacia veruna se negli
aggregati stessi dei finiti non è un qualche principio
di permanenza e di resistenza il quale risponda per li
composti alla impenetrabilità dei semplici o vogliam
dire degli atomi. Salvo che questo principio medesimo
di conservazione e di resistenza non sembra venir de-
dotto dalla natura universale dei finiti corporei; av-
vegnaché dall' incontro disordinato delle forze corporee
giudicheremo dover risultare un congregarsi e un di-
DEL FINITO IN SE. 97
sciogliersi altrettanto disordinato, ovvero una immobilità
generale e senza riscossa. Non è dunque il detto principio
essenziale ai corpi e nativo; e conviene pensarlo come
fatto in essi e costituito originalmente e razionalmente,
e vale a dire con intendimento del fine.
Allora è lecito d' immaginare che gli aggregati sieno
fatti e mantenuti da tali forze di coesione e di aflBnità,
le quali non solamente resistano con vigorezza a forze
contrarie, ma, turbate nel loro equilibrio e nell' ordine e
forma delle molecole dove risiedono, ristaurino gagliar-
damente si Funo e si T altro; il che domandasi general-
mente la elasticità dei corpi. Nel caso, adunque, più
semplice delP aggregazione e cooperazione dei simili, fa
bisogno certa diversità almeno di forma e collocazione
tra le molecole; e nel complesso loro ordinato e confi-
gurato fa bisogno certa energia naturale da non potere
essere coatta salvo che in certi limiti. D'altra parte, que-
sto resistere d' ogni ente alle azioni esteriori dove non
fosse nel più dei casi tonfinato entro gli ultimi com-
ponenti de' corpi, ma esteso invece ad ogni composto
e ad ogni molecola, farebbe impossibile quella continua
trasmutazione di figure, di qualità e di atti, che è ne-
cessario al mondo chimico e al mondo organico. Di tal
guisa la finità tragittando le cose da un estremo ad un
altro sempre ricerca una qualche legge di proporzione
e di misurata varietà e medesimezza.
Afobismo XVI.
195. — Dicemmo i finiti poter fuggire i limiti loro
con la varietà degli atti e dei modi raccolta ed eccir
tata nella unità del subbietto, ovvero con la quantità
estensiva e intensiva accresciuta in ciascuno di essi;
e tatto ciò mediante la congiunzione del simile, la par-
Mahiari. — li. *> 7
98 LIBRO PRIMO.
tecipazione del diverso e Y appropriazione dell' uno e
dell'altro per virtù dell'organamento, assumendo cotal
vofe nelle sue diverse accezioni e dilatazioni. Imperocché
il finito, insino a tanto che è solo, non esce dalla identità
inalterabile della sua essenza primitiva ed ingenita.
Ma in tutte queste sorti e maniere d' ampliazione in-
contrasi un limite molto prossimo e contro il quale è
inefficace l'azione medesima di principj superiori spi-
xituali quando sieno creati e finiti. E prima, sebbene
tu voglia dentro un subbietto fingere assai numerosa
la varianza delle facoltà e dei modi, tuttavolta simile
varietà e numero non può uscire dalla specie a cui ap-
partiene il subbietto medesimo; e se contiene, per via
d' esempio, le qualità minerali, esclude da se le gazose
ovvero le vegetabili o le animali. Conciossiachè nel sub-
bietto deve sussistere una natura semplice insieme e
determinata e le sue condizioni ed attribuzioni deb-
bono serbare con lei certa omogeneità e coerenza.
•
A.
196. — Ciò torna contrario a coloro che fanno della
natura un essere talmente proteiforme che nessuna spe-
cie vi è separata e permanente ; ma l' una trasmutasi
o può trasmutarsi nell' altra ; dacché ogni cosa per
detto loro è virtualmente in ogni cosa. Intanto, i chi-
mici vanno riconfermando ciascun dì maggiormente che
le trasformazioni degli elementi non sono possibili; e
se le forze strumentali onde fanno uso crescono di mano
in mano di potenza scompositiva, ne risulta bensì un
numero sempre maggiore di principj semplici, ma non
mai la essenziale metamorfosi dell' uno nell' altro. Anzi
fu deriso, non fa molti anni, quel Brown di Edimburgo
che disse avere trasmutato il ferro in rodio e il para-
DEL FINITO IN 8È. 99
cianogene in silicio; non volendo qui ricordare la va-
nità dei vecchi alchimisti vissuti qualche secolo nella
speranza di cambiar gli elementi per congegno di for-
nelli e lambicchi.
197. — Noi, concordi pur sempre col senso comune,
didamo invece che non potendo nei finiti apparire la
pienezza e compitezza della unità vi apparisce in cam-
bio suo e spartitamente la disgregata e inesauribile
diversità; e le forme poi diverse degli enti durano nella
sostanza loro perpetue e non alterabili, perchè niuna
forza creata varrebbe ad annullarle; e la mutazione
introdotta per sino nell'intimo atto essenziale sappiamo
che porterebbe un annullamento ed un porre altro es-
sere in luogo del primo.
Afobismo XVII.
198. — Toccammo in parecchi aforismi delle neces-
sità insuperabili entro^cui si stringe cosi la congiunzione
del simile e la partecipazione del diverso, come il per-
venire a qualche maniera ed opera di macchinismo e
di organamento. Ora aggiungiamo che ad ogni orga-
namento il pili raaraviglioso e squisito, e ancora che
tutto pensato e voluto in ordine al fine, aderisce un
limite oltre il quale non può valicare. Per fermo, esso
debbe mantenersi omogeneo con sé medesimo e con le
forze che lo governano. Quindi il ruminante, per via
d'esempio, si muore nudrito di carne, e il carnivoro nu-
drito di fieno. Debbe venire disposto a un fine determi-
nato e diciamo pure a più fini, ma sì analoghi in fra
di loro e non diversi ed eterogenei ; l' uccello è disposto
al volo, al canto e ad ovificare, non al nuoto od allo
strisciare sul suolo od a filare il suo bozzolo. Né mai può
r organamento uscire da certa misura e compensazione
100 LIBRO PRIMO.
tra la semplicità dei mezzi e la grandezza ed efficacia
dell' effetto finale. Che se V organamento si dilata e si
complica, di leggieri eziandio si scompone e disordina.
Se il contrario accade, riesce non sufficiente o poco
efficace. E quando i mezzi coordinati all'opera finale
del tutto sono inferiori e sono distolti dagli abiti proprj
e sottratti in parte alle leggi loro ordinarie, essi per
virtù della essenza nativa procacciano sempre di ri-
tornarvi, e però la distruzione procede ognora di costa
alla produzione. Del pari, quando lo strumento supera
di natura e di nobiltà la materia sopra la quale dee
spiegare la virtù sua intrinseca, trova ciò impedito
dalla sproporzione e inferiorità del subbietto passivo.
Per centra, quando lo strumento si ragguaglia troppo
bene col mondo ambiente, può di leggieri discordare
e sproporzionarsi dalla potenza a cui serve. Ma è
troppo lunga faccenda registrare ad una ad una le im-
possibilità, le privazioni, le incompatibilità e le insuffi-
cienze d' ogni cosa creata ; e certo più entreremo nel
suo midollo e più ne diverremo capaci.
Afobismo XVni.
199. — Ben si afferma che nel finito è nascosto l'in-
definito ; e che ponendosi da una parte un numero in-
terminabile di varietà e differenze; e dall'altra, un
numero altresì interminabile di combinazioni, ei se ne
può dedurre una cotale sembianza e maniera d'infinito.
200. — Ma coloro che la discorrono così, paiono di-
menticare che l'indefinito o la serie sempre crescente
ed inesauribile che s' abbia a dire, tuttoché manifesti
un effetto determinato e finito, move da una potenza
infinita, come altrove dimostrammo, e la quale poi si
prova essere superiore ed estrinseca all' indefinito me»
• 9 ,
DEL FINITO ÌN*.8È. ::":''': :• : IQl
d^mo. Adunque l'indefinito, lo vuoi nell'atto, lo vuoi
nella facoltà, proviene da un principio che non à limite
ed è opposto al finito. Questo invece, à ben circoscritte
e ben numerate le sue varietà e combinazioni. Laonde
Aristotele o le scuole da lui nominate pensarono, le
cose tutte create dover ritornare identiche con se me-
desime infinite volte, posto che il mondo, o la mate-
ria per lo manco, non abbia mai principiato.
AroBTSMo XIX.
201. — Per ultimo, se la creazione è attuata a fine
di bene e questo debbe venir conseguito a grado per
grado; conciossiachè ogni ampliazione del finito non
può essere se non successiva, necessario è che la crea-
zione sempre si muova. Quindi è pur necessario che i
principi ^* ^^^ conosciuti più sopra di durabilità e
di mutazione, di azione e di resistenza si avvicendino
con regola e in ogni modo operino coordinatamente a
rispetto del fine. Ma d' altro lato, quelle due sorte di
principi dimorando in certe nature determinate ed inal-
terabili 0 trovano le une inverso le altre un punto di
equilibrio, ovvero noi trovano. Nel primo caso, abbiamo
la costanza e l'identità nell'ordine stesso delle muta-
zioni ed è sbandita la forza innovatrice perpetua. Nel
secondo supposto, abbiamo confusione e scomposizione
soverchia ed improduttiva od abbiamo da capo la im-
mobilità generale per compressione o separazione di
tutte le forze.
202. — Se, pertanto, il mondo diventa e si perfe-
ziona, intendasi bene che ciò non accade e accader non
potrebbe mai per alcuna virtù eflSciente cavata dalle
essenze finite operanti in se o fuori di sé. Queste,
in quanto che anno per intrinseco e per essenziale la
J02 : . : : LIBRO PRIMO.
privazione e limitazione, sono il molteplice, il disgre*
gato, il diverso, l' eterogeneo, il discorde e il disordi-
nato come si disse in principio di questo libro.
A.
203. — Gli Hegeliani nel modo che disconoscono af-
fatto, per mio giudicio, la idea del vero infinito, cosi
non sembrano aver riguardo alla natura e necessità
del finito da noi descritta. E per fermo, se le nozioni
sono appo essi il principio d' ogni cosa, è da chieder
loro come le originano e le sviluppano. Quando le fac-
ciano determinazioni eterne d' una increata idea e po-
tenza, non vi sarebbe divario fra me e loro; e converrebbe
poi domandare in che guisa tali idee o nozioni increate
discendono nel contingente, nel temporale e nel limitato;
ed anche precederebbe a tutte logicamente una ca-
gione ed una sostanza infinita contro il dogma profes-
sato da essi Hegeliani. Ma se invece quelle loro no-
zioni escono una dopo altra dal nulla e diventano
effettualmente quello che sono, per lo certo elle fug-
gir non potranno alcuna delle necessità e insuffi-
cienze descritte e la terminazione continua e la im-
potenza generale che abbiam notato in ciascuno ente
finito, il che tutto ripugna al carattere universale e
assoluto della nozione. Nessuna ragione poi dee va-
lere a persuaderci che la nozione uscendo dal nulla
non torni similmente nel nulla. Perchè dura ella e di-
venta alcun' altra cosa e non piuttosto si consuma
e ritorna indietro e diventa da ultimo quello Assoluto
dei Budisti che l' Hegel à talvolta citato a favore di
sua dottrina?
DEL FINITO IN SE. 103
CAPO SESTO.
DEL FINITO, IN QUANTO È ACCAGIONATO
DELLA ESISTENZA DEL MALE.
Afobismo I.
204. — Chiedi a chicchessia se le impotenze, le an-
gustie e le necessità del finito debbono esser credute
un bene od un male, subito affermerà questo secondo.
E se per lo contrario verrai componendo la idea della
perfezione assoluta col levare ogni limite a tutte le
cose che paiono buone, come la bellezza, la scienza e
simili, ognuno estimerà che quella perfezione interis-
sima ed illimitata si fa sinonima col bene infinito. Ap-
pare dunque evidente che la finità delle cose è cagione
comune e perpetua di male. Bonum ex causa integra;
malum ex quolihet defectu,
A,
205. — Questo concetto di porre immediatamente e
sostanzialmente la cagione del male nella privazione e
limitazione non removibile delle cose è più moderno
che antico; o, a dir più giusto, la espressione sua ricisa
e assoluta come suona o^gi nelle scuole, non trovasi,
per ciò che io conosco, in nessun antico a noi perve-
nuto e nemmanco in Platone. Questi esclude, certo, ogni
male da Dio e lo' confina nella materia e cosi fanno
Aristotele e gli altri. Quindi se nella materia giace un
subbietto sostanzioso eterno e increato, rettamente giu-
dicò Zoroastro, e Manete dopo lui, che a costa al prin-
0
104 LIBRO PRIMO.
cipio del bene sedesse in trono eziandio il principio del
male.
206. — Ognun sa che sant'Agostino da prima credette
a Manete. Ma forse per deviare da lui giovògli non
poco lo studiar meglio in esso Platone ed accorgersi
che il divino filosofo attenuava con ogni sforzo la so-
stanzialità della materia (in quanto non fatta da Dio)
e giungeva a dichiararla una mera recettività. Il per-
chè, se il male si origina dalla materia, à per genitore
piti presto una negazione che cosa effettuale ed assai
positiva. 1)' altra parte, sant' Agostino apprendeva nelle
scuole cristiane ortodosse la materia essere stata come
tutte le altre cose creata dal nulla ; e però, se il male
proviene da lei, conviene recarlo né più ne manco a
Dio autore della materia. Quindi fu pronunziato net-
tamente da sant' Agostino il male originarsi da quella
limitazione delle cose a cui non le può sottrarre nep-
pure la onnipotenza divina. Leibnizio d' accordo col
maggior numero dei teologi e dei moralisti rinnovò
quella sentenza nella sua celebre Teodicea. Salvochè
nel corpo dell' opera e nel Compendio della controver-
sia dettato da lui medesimo, sembra concedere agli
avversarj eh' egli era possibile di fare un mondo esente
dal male. Il che non venendo spiegato ed interpretato,
combatte 1' assioma del non potere nem manco Dio as-
solvere la creazione da ogni specie di finità ; e però da
ogni specie di male.
Afobismo U.
207. — Ma il finito, benché converso in principio cau-
sale, à carattere privativo e non eflSciente; e però gli
manca ogni potenza di creare effetto positivo. D'altro
canto, i torti giudicj umani e le azioni malvage ; il do-
DEL FINITO IN SÉ. 105
lore ed altre miserie e sofferimenti delle nature sensi*
bili; la bruttezza e deformità naturale di alcuni og-
getti; r impulso alla strage e alla crudeltà insito in
fMurecchi animali; i terremoti, le pesti ed altri flagelli
che troncano anzi tempo le vite dMntere generazioni,
sono aspetti diversi di mal positivo a cui bisogna asse-
gnare altresì una positiva cagione.
Quindi non par dileguata per niente la difficoltà
del dilemma espresso con mirabile brevità e forza
da Severino Boezio : Si Deus est, unde malum ? Si
iim% est^ unde banum?
208. — Di vero, parlandosi con rigore, la limitazione
delle cose create necessita solo la limitazione del bene.
DoTea perciò comparire in esse una bellezza finita;
negli enti sensibili un finito godimento; negli intel-
letti una finita cognizione e dentro gli animi certa bontà
nativa operante in certi confini. È lecito anzi di figu-
rare un ente razionale e sensibile che ignorando al tutto
quello che giace o potrebbe giacere di là dai limiti
suoi naturali, e perciò ignorando ch'esistere possa il
dolore, la falsità, la malizia e V altre miserie, non sia
contristato nemmanco o dal timore del danno o dal
desiderio del meglio. Costui del sicuro vivrebbe felice
tuttoché circoscritto nelle facoltà e nelle opere. Laonde
ripetiamo dalla limitazione del creato non provenire
alcuna necessità del male positivo, anzi è contraditto-
rìo che ne la si faccia provenire immediatamente; pe-
rocché cagione negativa ed effetto positivo sono ter-
mini che fanno implicanza.
Afobisho IIL
Le risposte a tutto ciò sono le infrascritte.
209. — Primamente, la creazione debbe venir raffron*
106 LIBRO PRIMO.
tata non pure con la divina sapienza e bontà, ma sì an-
cora con la onnipotenza. Sotto tale rispetto convien giu-
dicare che una efficienza infinita dee produrre non già la
replicazione sua (che non potrebbe) ma l'indefinito e
r interminato dei possibili, e intendiamo dire tante esi-
stenze finite da non capire in verun numero assegnato
e assegnabile vuoi pel tempo e vuoi per lo spazio. Fra
queste v' à tutte le forme diverse del mal positivo.
210. — In secondo luogo, il finito non solo è restrin-
gimento di bene, ma racchiude una essenza contraria
alla essenza divina, come provammo ampiamente nei
superiori aforismi mostrando quello che importa la
finità nelle sue conseguenze le quali non vengono per
affatto annientate neppure dalla potestà infinita crean-
te, perocché le essenze non mutano.
211. — In terzo luogo, Dio operando ad extra per
atto di assoluta bontà vuole il bene più sostanzioso e
durabile, e sì lo vuole partecipato al maggior numero
di enti. Ma d' altro lato il bene, come più volte fu
espresso, è attività suprema e feconda e fassi onnina-
mente impossibile di ricavarlo dalla passività e dalla
inerzia. Bisogna, impertanto, che il bene venga trovato
e posseduto per atto delle cause seconde, la qual cosa
importa eh' elle a poco a poco uscendo dal puro stato
di passività e recettività diventino cause efficaci e rag-
giungano in questo atto il maggior grado asseguibile.
212. — In ultimo, siccome il bene non è meramente
attività ed efficienza, ma sì è perl'ezione e quindi rac-
chiude le condizioni contrarie al finito in quanto finito,
come sarebbero 1' uno e il vario nell' uno, il coerente,
il medesimo, l' ordinato, l' armonizzato e simili, deb-
bono altresì le cagioni seconde, per appropriarsi il bene,
superare a grado per grado le condizioni contrarie, tut-
toché compiutamente noi possono m£ti.
DEL FINITO IN SÉ. 107
213. — Queste tre cose, adunque, à messe in cou-
oordia la sapienza increata e cioè di lasciar fluire la
serie interminabile e innumerevole dei possibili ; di fare
che il bene sia conquistato a poco per volta dalle ca-
gioni seconde con uscir le medesime dalla impotenza,
dalla inerzia e dalla passività; di preformare esse ca-
gioni in maniera da farle vincere ad oncia ad oncia
gran parte delle oppugnazioni che incontra il bene
nella essenza del finito.
Aforismo tv.
214. — Ora, in cotesto ordine maraviglioso costi-
tuito nella natura delle cause seconde e dilatato al
maggior numero dei possibili non poteva non compa-
rire certa quantità e certa forma di male positivo.
Conciossiachè, alloraquando il pensiere guarda al vero,
al bello e al buono meramente chiuso da limite e senza
mescolamento alcuno di male positivo, non avvedesi di
comporre un' astrazione ideale che non è compossibile
con le necessità perdurevoli della essenza del finito. Per
fermo, la moltiplicità non vuol dire soltanto la non
unità, ma qualcosa di positivo che è disgregato, ov-
vero è composto e però è dissolvibile. Del pari, la di-
scordia e il disordine, oltre a non essere unione, ordine
ed amicizia, sono una mutabilità cieca, irrazionale e
confligente. Il diverso, oltre a mancare dell' unità è
qaal cosa di positivo e di opposto, dacché la stessa
moltiplicazione del simile serba certo leggiero vestigio
dell' uno, dove che il diverso noi serba. L' inerzia e
passività non solo anno privazione di forza determi-
nata efficiente, ma dipendono dal di fuori e soggiac-
ciono air altrui veemenza.
215. — Già disse Spinoza che ogni qualunque de-
108 LIBRO PRIMO.
terminazione è negazione; e disse bene, discorrendo
delle cose finite; male, applicando ciò alP infinito, pe-
rocché quivi ogni determinazione è perfezionamento
compiuto che si unifica insieme con tutti gli altri. Ma
se nel finito, qualificare vale determinare e questo vale
negare o^ni rimanente e cioè tutte le cose diverse da
quella special qualità, s'intende subito come questa
serie quasi infinita di negazioni o privazioni che le sì
chiamino induce seco efi'etti positivi molto più rincre-
scevoli,a così parlare, delle privazioni medesime. E per
fermo, se il finito assumendo tali qualità e tali altn^
diversifica da tutte quelle che non assume, e sono in-
numerevoli, egli à bisogno di uscire sempre di sé per
dilatare l'essere proprio; il che subito lo costituisco
nella dipendenza di tutto e di tutti. E perchè sono
molto più le nature diverse da lui ed eterogenee che le si-
mili ed omogenee, dovrà operare molte azioni poco o
nulla fruttifere a sé e soggiacere a molte passioni gra-
vose e nocive. Ora, questo dipendere perpetuamente
dal mondo estemo ; questa poca efficacia di molti atti,
e questo dover sostenere azioni contrarie ed eteroge-
nee, vede ciascuno che non riesce a pura negazione e
limitazione ma sì a qualcosa di positivo e che ad ogni
poco si ripete. Ed appena vadasi immaginando al-
cun ente fornito di senso e ragione, subito convien pen-
sare al suo perpetuo desiderio di tutto quello che gli
manca e all' altrettanta avversione sua per tutto quello
che discorda da lui ; né il desiderio e 1' avversione
sono cose meramente privative.
216. — Ma gli è manifesto eh' esse medesime le
qualità del finito non possono dilatarsi infinitamente;
e questa loro restrizione è ciò che domandasi il quanto.
Nel finito, adunque, ed i)i ogni suo atto, modo, dispo-
sizione e correlazione entra a forza il più ed il meno
DEL FINITO IN SE. 109
o r essere quantitativo che s^ abbia a chiamarlo ; sia
esso discreto o continuo, estensivo o intensivo. Ora,
sebbene la quantità provenga dalla finità, tuttavolta
è più che mera negazione e partecipa al reale ed al
positivo. Di quindi pure alcuna specie di mal positi-
vo. Conciossiachè, dovendo sussistere pel quanto alcun
grado di omogeneità come per le qualità i modi le
azioni ed ogni altra cosa, se ne origina il gran bisogno
universale della proporzione, e dove questa manchi,
sorge il mal positivo. Imperocché gli è chiaro che
mancando la proporzione fra V attivo e il passivo debba
nelle cose materiali generarsi il disordine e la distru-
zione e nelle cose organate e animate il dolore. Di quindi
pure il bello diventa difforme e Tazion morale uscendo
di sua misura diventa non buona; e persino tutti gli
errori mentali con agevolezza possono tramutarsi in
concetti senza proporzione e misura, o vogliam dire
talvolta difettivi e talvolta per lo contrario eccessivi.
217. — Pros^uendo di tal maniera si scorge come
da ogni condizione finita (e sono finite tutte le con-
dizioni dell' ente creato) procede per indiretto alcun
che di effettivo molto diverso dalla nuda e pretta li-
mitazione che per sé sola convertesi in nulla.
218. — Il mal positivo adunque, oltre all' essere nei
possibili chiamati all'attuazione, à la sua fon tale ca-
gione nella essenza del finito, la quale, vogliamo ripe-
tere, non solo à certa privazione di essere ma infor-
masi di condizioni contrarie all' essenza dell' infinito o
del bene che tu lo chiami.
Aforismo V.
219. — Tale deduzione a priori è di somma im-
portanza per ispiegare a rigor di scienza l' esistere del
no LIBRO PRIMO.
mal positivo nella creazione, e gioverà grandemente ai
concetti della cosmologia razionale come ai concetti della
stupenda teodicea che dentro vi si rivela a chi la consi-
dera attentamente. L'argomento del Leibnizio che il mal
positivo esiste a fine di potere introdurre nelle cose
create una maggior dose di bene à un carattere supposi-
tivo che disdice alla scienza; e il quale, per altro verso,
non possono l'induzione e l'esperimento del tutto can-
cellare, non iscorgendosi per virtii d'esperienza che un
maggior bene esca mai sempre da certo male visibile. 01-
tredichè, Leibnizio, per mio giudicio, danneggiava tal suo
supposto aifermando che può sussistere un mondo esente
al tutto d'infelicità e di peccato; il che vuol dire un
mondo costituito da certo bene limitato. E per fermo,
con tal concessione dassi arbitrio agli avversarj di chie-
dere perchè Dio invece di mescolare il male al bene non
abbia aumentato al possibile cotest' ultimo mantenen-
dolo tuttavolta dentro certi confini, come è necessario
*
alle nature finite.
A.
220. — Posta la necessità del mal positivo nell'uni-
verso come conseguente ineluttabile della essenza del
finito, e perchè dalla efficacia infinita debbono prove-
nire tutte sorte di esistenze quante sono compossibili
col maggior bene delle creature, egli si vedrà dall' espe-
rimento e dalla induzione uscire questo gran vero, che
Dio rivolge in occasione di bene sostanziale e durevole
ogni dose di mal positivo che dalla essenza del finito
è prodotta. E ninno vorrebbe, a cagion d' esempio, ve-
getare come arbore senza dolore veruno, piuttosto che
godere come può 1' uomo sebbene con mescolamento
di male. Per simile, ognuno ricuserà le poche intelle-
DEL FINITO IN SK. Ili
zioni e notizie (poniamo) d' un selvaggio d' Australia
quando anche sceverate d'errore a paragone della scienza
d'un Leibnizio ancora che mista d'abbagli o con pericolo
di commetterne. Possono dunque i beni ed ì mali es-
sere librati sebbene di opposta natura, e il peso traboc-
care secondo i casi verso gli uni o verso gli altri.
Esempio notabile di ciò danno pure i fisiologi, provando
con abbondanza la utilità somma del dolore nella
economia generale del mondo organico. E se tu rifletti
che la libertà, come vedemmo ad altra occasione, è per
gli enti spirituali principio unico di mutazione (Afo-
rismo IV, Capo Quinto) e mena 1' uomo bel bello ad
appropriarsi e immedesimarsi la legge morale che è
r essenza del bene partecipato, intendesi chiaramente
perchè sia posta nelF uomo la facoltà di traviare e
commettere colpa. Questi e altrettali riscontri e indu-
zioni possono venire moltiplicati quasi a piacimento
nostro, e Leibnizio v' à ragionato sopra con finissimo
ingegno e copia di esempj. Ma ripetiamo che nella
sostanza concluderebbero poco, quando fosse fattibile a
Dìo mutare in tanto la essenza del finito da colmarlo
di bene sommo, tuttoché limitato, spegnendo ogni mal
positivo e conducendo altresì al colmo l'attività delle
nature create senza che vincano a grado per grado
gl'impedimenti di loro impotenza ed insufScienza.
Aforismo vi.
221. — Con tuttociò non sembra che il male esser
possa in niun caso cagione di bene ed anzi di bene
maggiore, perchè l' un contrario non nasce dall' altro.
E pure, ammettendo per al presente cotesta massima,
non ne discendono Tanzi espresse conseguenze. Avve-
gnaché quel bene maggiore avuto in vista da Leibni-.
112 LIBRO PRIMO.
/io procede dal male accidentalmente e vuoisi dire,
come apparirà manifesto nei ' casi particolari, che
il male è occasione e accompagnamento del bene e
non mai cagione diretta, formale e completa di esso.
Dal dolore, per grazia d'esempio, viene suscitato spesso
il coraggio, l'energia e la previdenza dell'uomo, tutte
forze che operano anzi ih contraddizione ed oppugna-
zione del dolore medesimo. Per simile, il mal morale
provoca talvolta per gli effetti suoi dolorosi e ango-
sciosi il pentimento e la correzione. Esso è adunque
indiretta occasione del bene.
A,
222. — Del resto, secondo Hegel ogni cosa, invece,
nasce dal suo contrario, perchè l' essere diventa negan-
dosi e opponendosi mille volte a se stesso. Ma queste, a
nostro parere, sono astruserie fatte e trovate per iscom-
buiare qualunque criterio piano e comune di verità e di
scienza. I contrarj assoluti si escludono e in eterno si
escluderanno, come vedesi nell' ente e nel nulla, nel sì e
nel no, nel finito e nell'infinito. Ma dentro alle cose finite
i contrarj sono un mescolamento di diverso e di simile.
Quindi esser non possono del sicuro cagione formale
r uno dell' altro, ma sì cagione provocatrice e forse
anche efficiente secondo la mistione del simile e del
diverso. E però la legge di polarità, così efficace nel
mondo fisico, sembra risultare da mescolamento di
contrarj in un medesimo genere.
B.
223. — Ancora che non appartenga al presente
trattato di controvertere sui principj dell'Etica, io
DEL FINITO m SÉ. 113
•
non mi perito di affermare che la massima non esse
facienda mala ut eveniant bona à carattere di asso-
luta verità e Dio stesso non può con l'opera sua
contradirla. Ondechè le prove contrarie recate in mezzo
da Leibnizio, o per dir meglio, le interpretazioni sotti-
lissime che ne fa e le distinzioni che v' introduce non
giungono a persuadermi ; e il lettore ne leggerà il mio
gìndicio ad altra occasione ; ed allora vedrà che il
mal positivo di tutte le opere avverse sostanzialmente
alle prescrizioni assolute della legge morale mai non
fa volato da Dio in considerazione del maggior bene
che indi sarebbene germogliato.
224. — Per al presente si replica che il mal morale
è una sorta di mal positivo, ed ogni sorta di mal po-
sitivo vedemmo trovare le sue radici profonde e ama-
rissime nella essenza del finito, la quale a torto è
giudicata una sola e mera privazione e limitazione;
perocché questa in sé e per sé riducesi al nulla ;
e r essenza del finito vorrebbe significare l'ente in-
compiuto. Né si considera ch'eziandio sotto tale ri-
guardamento il finito contrae subito una essenza
diversa dall' ente compiuto ; avvegnaché s' egli non
è intero, qualcosa gli può essere aggiunta ; ed una
delle sue condizioni é la quantità che dell'infinito
è assolutamente rimossa. Tal ragionamento può di
l^gieri venir replicato sopra altre non poche ne-
cessità della essenza del finito. Ma basti per ora, e
da capo si voglia concludere che la limitazione pene-
trando neir essere non lo scema soltanto, ma, per modo
di parlare, lo spezza e profondamente lo altera ; come '
ogni diminuzione che tu facessi all'integrità d'una
bella scultura greca non solo la renderebbe incom-
piuta, ma vi scorgeremmo alterata e quasiché spenta
la formosità sua.
UiHunt. — 11. H
114 LIBRO PRIMO.
Afobismo vii.
225. — È per altro da notare come il male positivo
proyenendo fontalmente e mediatamente dalla finità
rincontra in sé medesimo una più pronta e ferma
limitazione di quello che avvenga ad ogni bene creato,
e facilmente urta e consuma sé stesso. Il dolore, esem-
pligrazia, rampollando da qualche disproporzione o
lesione di organi, laddove cresca e moltiplichi sforma-
tamente distruggerà gli organi e a sé medesimo darà
fine. La schifa bruttezza che apparisce nella putrefa-
zione dei corpi dileguasi tosto col dileguare di quelli.
L'errore, doveché aumentasse soverchio, distruggerebbe
sé e la mente, la quale à natura conveniente con la
realità e non coli' opposto che è il falso, e falsità ed
eiTore perfettamente si convertono. In fine, il mal
morale o 1' azione perversa, invadendo V altrui bene,
incontra la reazione delie forze contrarie ed offese.
Quindi la ragione ci rivela questo gran vero, che
il mal positivo tende per ultimo risultamento al ter-
mine onde ebbe origine Contale e mediata e vogliam
dire la privazione dell'essere.
A.
226. — Da cotesta intrinseca e fortunata limita-
zione e consumazione del mal positivo sorge quel pre-
cetto in cui fondasi ogni giustizia repprimente e che
ordina di punire il male col male. E simile precetto
esprime in sostanza la legge forse più universale del
mondo etico, e ciò è a dire che il male debbe riscuotere
male. Il che si avvera, come io avvisavo, nella rea-
zione continua delle forze contrarie ed offese, la qual
DEL FIKITO IN SÉ. 115
reazione governata dalla autorità pretoria e dalla
equità della misura piglia nome di giudicio e condan-
nazione publica.
B.
227. — Che quando in un popolo la reazione contro
r azione del mal morale è poca e debole, tosto quegli
degenera e va consumando rapidamente ogni sua forza
civile. Quindi si avvera la l^ge storica avvertita dal
Vico, che cioè tale popolo diverrà preda d' uno più
integro e vigoroso di lui.
Afobismo Vin.
228. — Debbesi ancora notare qualcosa intorno alla
natura del mal morale. Noi toccammo più sopra della
necessità per gli enti spirituali finiti di farsi capaci di
mutazione mediante un principio attivo interiore e il
quale pigli cagione da sé medesimo e con altro voca-
bolo sia una virtù di libero arbitrio. Ora, un principio
tale negli enti spirituali dotati d' intelligenza diventa
a forza una facoltà di deliberare intorno alle verità
pratiche, e quindi sorge V arbitrio di confermarle con
r opera o di contradirle. Così dalle leggi del finito che
per addietro abbiamo avvisate emerge primamente la
necessità del mutare, se vuoisi che le cose nel tempo
fuggano gradatamente i limiti proprj e spieghino tutto
quello che è in loro di virtuale. Ma mediante il moto
mutano solo gli enti corporei. Le anime non incarce-
rate nella materia bisognano d^ altro principio di mu-
tazione ; e se non ne avessero uno proprio, quando anche
le fasci qualche costruttura di corpo, sarebbero più sog-
gette alle forze ambienti che non sono le macchine; ed
ogni automa imperfettissimo prevarrebbe di nobiltà ed
116 LIBRO PRIMO.
efficacia a tutte le anime; uè dalla materia potrebbero
uscire senza pur sempre cadere nella immutabilità del-
l'atto in cui si trovassero. Perciò, fornite come sono
di libera attività, secondo che ella è accresciuta o di-
minuita 0 sospesa, variano gli effetti d'ogni loro facoltà e
potenza e le opere si conformano ovvero si differenziano
dalle nozioni del bene. Se dunque il mal morale appa-
risce nel mondo, la sua ragione precipua debb' essere
ricercata nella necessità di sottrarre gli spiriti al giogo
della materia ovvero alla immobile potenzialità me-
diante il libero arbitrio, ossia mediante un' attività che
possiede la propria cagione, sola e tutta in sé stessa ;
quantunque non esente ella pure da limitazione e da
suggezione.
A.
229. — Ne alcuno obbietti che negli animali bruti
è uno spirito eppure non è principio autonomo di at-
tività. Dacché noi prestamente risponderemo che per
ciò appunto quegli spiriti non anno progresso né re-
gresso e la materia comanda loro assiduamente con
r impulso degli organi ; e dove questi mancassero e ogni
moto al di fuori venisse meno, debbesi giudicare con
sicurezza che il principio spirituale dei bruti giacerebbe
invariabilmente nella quiete e nel sonno. Salvo che
egli non si conviene d' indovinare tutte le sorte e i tra-
passi serbati a quelle animate sostanze le quali d' altra
lato compaiono assai superiori a qualunque forma di
corpo e di corporale organamento.
B,
230. — Vero é che la libertà può venire esercitata
in condizione più alta e gloriosa di vita deliberando e
DEL FINITO IX 8É. 117
scegliendo fra il bene ed il meglio ed anche fra il meglio
e r ottimo, conforme sarà veduto nelF ultimo Libro e si
accennò neir ontologia. Ma i gradi inferiori come sono
possibili, così debbono avverarsi a certo tempo in certi
enti razionali ; e di questo si toccherà nel capo seguente.
Ajoaismo DL
231. — Noi siamo ora pervenuti alla conclusione del
primo Libro che mira a discemere il fondo della na-
tura dei finiti, senza la qual cognizione non è fattibile
di condurre la mente con sicurezza e verità nelle in-
dagini cosmologiche.
232. — Ma sarebbe stato vano il cercare quello che
sia il finito in sé e per sé, qualora la ragione ci avesse
negato non pure di conoscere la possibilità del suo esi-
stere ma il suo reale esistere in atto. Perocché Tespe-
rienza avrebbe certo supplito abbondantemente a tal
mancamento della ragione speculativa, ma la scienza
ne avrebbe subito contratto un carattere empirico,
quando noi ci travagliamo di stendere quanto si possa
il più la cognizione a priori dell'universo creato.
233. — Noi stimiamo di avere esibita prova salda
e apodittica del dovere esistere in atto il finito, mo-
strando la possibilità del bene finito e la necessità sus*
seguente che cotal bene si efi'ettui.
Ma noi schivammo Terrore grave occorso a molti
cosmologi di considerare il bene creato quale una con-
trazione del bene assoluto. Avvisammo invece con dili-
genza quello che sia il finito neir intima sua essenza
privativa e positiva.
Nel che £are V abbiamo riscontrato di mano in mano
con le categorie comuni e le convenienze necessarie
dell' ente.
118 LIBRO PRIMO.
234. — Studiammo il finito come sostanza e come
causa, e scoprimmo le sue insufficienze ed angustie nel-
r uscire dalla virtualità all' atto, nel pervenire al ter-
mine deir atto medesimo, nella quantità dell' azione,
nel diversificare ed unire le facoltà proprie e lo spie-
gamento loro correspettivo.
235. — S^uitammo indagando il principio di muta-
zione nella materia e nello spirito ; appresso, studiammo
le relazioni da finito a finito o vogliam dire la recipro-
cazione degli atti e le maniere di congiunzione per la
quale è possibile l'ampliamento dell' essere. In tutte le
quali cose fu forza di ravvisare le necessità, i limiti,
le dipendenze e le insufficienze più generali d' ogni ente
finito in se medesimo considerato.
Aforismo X.
236. — Ma, come è agevole a concepirsi, non potette
il pensiere distendersi in ricerca si fatta senza talvolta
paragonare il finito al contrario suo; perocché dal pa*
ragone medesimo usciva più netta e più contornata
quella diversità che costituisce il proprio ed il pecu-
liare della natura del finito. E per via d' esempio, men-
tre abbiamo scorto evidentemente nel bene sommo una
somma attività e l' unificazione d' ogni specie di per-
fezione e che il bene non pure non può essere fiitto
senza una estrema energia, ma nemmanco può esser
fruito ; dall' altro lato vedemmo il finito essere per sé
inattivo ed inerte e contrario a tutte le specie di unità.
237. — Dai quali riscontri si é ricavato un primo
cenno di alcune massime che sono il pernio ed il fon-
damento della nostra cosmologia e specificano di mano
in mano quel pronunziato supremo del Vico onde ella
piglia le mosse. Per fermo, il creato in quanto consta
DEL FINITO IN SÉ. 119
di finiti sebbene esce da Dio, à certa essenza che
r aliena e dilunga da Ini ed è espressa terribilmente
dalla immagine del caos, intorno di che versa quasi
per intero il preseiite Libro.
238. — Ma il creato, afferma il Vico, in Dio si so-
stenta, ed è come dire che per la mentalità eterna o la
finalità perenne che l'abbiamo a chiamare il creato
sdoslìesi dair ombra e confusione del caos e tragge di
se medesimo tutto quello che ne può uscire di meno
difettoso, anzi di più attivo e coordinato. Che se il bene
è attività e unità e V ente passivo in quanto è tale noi
può a oiun patto possedere e fruire, forza è che le cause
seconde operino e producano, e mediante la congiun-
zione si dilatino neir essere e incontrino qualche forma
di unificazione vincendo a grado per grado ogni ma-
niera d'impedimento. Tutto il che, per altro, non
varrebbe a condurre le cose verso la vera e assoluta
finalità, la quale è poi conseguita col ritorno della crea-
zione a Di^, secondo che verremo esponendo nei libri
successivi.
LIBRO SECONDO.
DEL FINITO
IN RELAZIONE CON L'INFINITO.
CAPO PRIMO.
DEL POSITIVO NEGLI ENTI FINITI.
I.
1. — Gli enti finiti mai non possono scompagnarsi
dalla finità loro, e questa(come fu provato) ne penetra
e intacca, per modo di parlare, la sostanza e il fondo ; di
qualità che non risolvesi tntta in privazione soltanto
ma in piii maniere di mal positivo; e conviene altresì
radunare sotto tale considerazione tutte le forme di
essere che sono incapaci deir infinito, o come V abbiam
domandata, della superlazione ; avvegnaché tutte que-
ste mostrano chiaramente di provenire per diretto o
per indiretto dalla limitazione ; e tali sono la materia,
la sensibilità, il moto corporeo e simili.
2. — Nondimeno i limiti e pure le forme che ne
provengono non costituiscono del sicuro tutto Tessere;
anzi sono come T ombra che contoma i corpi luminosi;
e il mal positivo può venire rassomigliato a quella
penombra che occupa gli orli di quelli. Ma il resto
è propriamente il positivo delP essere ed è la sede na-
turale del bene che di sua natura è tutto positivo.
124 LIBKO SECONDO.
3. — Dopo ciò, viene il domandare perchè V atto
creativo non riempie quanto è possibile il più questa
parte dell'essere, e onde avvenga che il finito cominci
dagP infimi gradi deir esistenza e non pervenga ai su-
])eriori salvo che a lentissimi passi e con un travaglio,
a così parlare, lungo e sempre combattuto. Toma il
discorso medesimo a rispetto della congiunzione del-
l'anima con r Assoluto e alla partecipazione diretta
eh' egli fa di se stesso alla creatura. Attesoché, se tal
forma di congiunzione e partecipazione non è impedita
dalla finità, onde accade che sia tanto scarsa in pa-
ragone del desiderio, anzi del bisogno che ne sente
continuo la nostra miseria?
4. — Leìbnizio a queste interrogazioni ed alle con-
simili rispondeva con un argomento ab ahsurdis. Dio
è infinitamente buono, e non potendo comunicare al
creato il bene infinito ne partecipa la quantità mag-
giore possibile, e con altri termini egli attua il me-
glio, attuar non potendo la perfezione assoluta. Ora,
come di ciò non è lecito dubitare, così rimane certis-
simo che l'ordine a cui vediamo soggette le cose è il
migliore di quanti al divino intelletto sono presenti ;
e tutto quello che a noi apparisce inferiore di bontà
di bellezza di appagamento e va' discorrendo trova
nell'ordine universale la sua ragione ed il sno com-
penso, tanto che non potrebbe essere né diverso ne
superiore a quello che è.
IL
5. — Non diciamo che a cotesto argomento man-
chi compiutamente la verità e la drittura dialettica ;
o prima di Leibnizio molti metafisici e moralisti, se-
gnatamente cristiani, trovarono a un di presso tale
DEL FINITO IN RELAZIONE CON L' INFfNITO. 125
norma di ragionare a difesa della bontà e provvidenza
di Dio. Sembra tuttavolta che la scienza vi scapiti ; ed
il pensiere nmano si arrende con pena alla forza delle
remote illazioni, mentre si acqueta e compiace infini-
tamente nelle ragioni dedotte per dritto filo dai prin-
cipj superiori e quando le vede germogliare dall'es-
senza stessa delle cose. Stantechè, come notavasi nella
ontologia, r uomo ragionando converte in attività pro-
pria il vero e Y assimila a sé quanto è lecito al subbietto
di assimilare l'oggetto assoluto. Io mi reputai dunque
in debito di assaggiare da ogni parte il tema proposto
e indagare se alla cosmologia razionale fosse fattibile
mai di produrre in mezzo alcuna dimostrazione del-
l' ordine che regna dentro il creato di maniera che la
mente sia, per lo manco, disposta di più ed avvicinata
a capirlo e senta come in realtà esser non potrebbe mi-
gliore di quello che i fatti da ogni parte lo manife-
stano.
6. — Né voglio raccontare per quante perplessità
f^ono trapassato e quanti disegni ed abbozzi del tenia
sieno stati dentro il mio povero ingegno rifatti ridi*
pinti e rilavorati. Perocché gli é negozio facile a figu-
rarsi da ogni sorta lettori ed io ne ò già fatto qual-
che descrizione ad altro proposito. Invece, raccogliendo
in un tutto con certo metodo e certo rigore di dedu-
zione quei raziocinj sparti sciolti e sconnessi che in
più tempi esercitarono la facoltà mia discorsiva, ne
porgerò al lettore il risultamento ed il frutto con lar-
ghezza maggiore di meditazione e di stile che non fu
usata qua sopra negli aforismi. Perocché in questi è
certa indole di ragionare compendiosa ed austera che
non torna sempre confacevole ad ogni genere di ra-
ziocinio.
126 LIBBO SECONDO.
III.
7. — Dico dunque per prìma cosa che in ogni
mutazìon di pensiere sempre tornò a rappresentarmisi
come evidente che nel mondo creato adempiesi di con-
tinuo una convenienza ed una conciliazione fra due
termini opposti, non che diversi, quali pur sono T in-
finito e il finito. Quindi venni persuaso della necessità
di tener 1' occhio assiduamente all' uno ed all' altro e
cogliere il concetto mezzano che n' esce.
8. — Così raffrontando, per primo, le cose finite
con la efficienza infinita, mi fu manifesto eh' ella dee
volere mettere in atto la sua pienezza profonda ed
inessiccabile. Ma d' altro lato, come i possibili in grembo
di Dio sono realmente infiniti, così rimane dimostrato
che ogni attuazione loro nello spazio e nel tempo si
mostrerà inferiore d' intervallo non misurabile a quel-
r infinito. E ciò non ostante aggiungerà tutta la
dovizia la diversità e il numero che può capire nella
contenenza e nel contenente finito. Conciossiachè, l' ef-
ficienza divina, dove non intervenga altra necessità
razionale, dee solo fermarsi ai limiti estremi della ca-
pacità del creato, non potendo rimanere di lei porzione
nessuna (facendomi lecito di sì parlare) la quale non
produca effetto nessuno.
9. — D'altra parte io consideravo che l'effettua-
zione del maggior numero dei possibili riscontravasi
molto convenientemente col fine voluto dalla suprema
bontà. Mercechè, io sempre sonomi sentito fare forza
alla mente quando ò voluto negare che l'esistenza,
qualechessia, non sia migliore del nulla. Tuttoché io
confessi l' essere non convertirsi onninamente col bene,
salvo che nella sostanza divina e il nulla tornar
DEL FINITO m RELAZIONE CON L'INFINITO. 127
preferìbile al male positivo per sé solo considerato.
All'ultimo mi à sembrato disciogliere il groppo avvi-
sando che lo spinto della bontà e intelligenza infinita
Telando, a parlare con le Scritture, sopra l'oceano delle
esistenze le fa convergere tutte quante al fine o come
partecipi di esso fine o nella condizione di mezzo, ov-
vero per qualche attinenza remota o prossima diretta
o indiretta col mezzo e col fine. Di quindi si origina
che la esistenza in universale, e soppressa qualunque
notizia delle nature speciali, ci si rappresenta migliore
a marcia forza del nulla. Dovea, pertanto, dalla po-
tenza divina balzar fuori il possibile non certo infinito
ma indefinito e maggiore d' ogni termine assegnabile.
Che se tornandovi sopra con la meditazione mi ven-
nero poi vedute alcune necessità razionali restringenti,
per 81 dire, la sfera immensa dei possibili, non x)er
questo mi si dileguò la persuasione che quelle neces-
sità vi operano a maniera eccettuativa nel modo che
andrò mostrando a suo luogo.
IV.
10. — Tra gli ammendamenti e i rimutamenti oc-
corsimi nel proposito, un altro concetto permaneva
saldo e chiarissimo, ed era, che il bene finito essendo
fattibile la divina bontà l'avea del sicuro menato al-
l'atto, e che quindi alla creazione intera sopraponevasi
sempre una ragione finale e questa la conduceva alla
fruizione massima del massimo bene partecipato. Con-
vernva, impertanto, a volere intendere il proposito
secondo i principj, intendere e penetrare la natura
del bene. Sopra il che mi sgomentavano le parole di
Platone, il quale in ninna cosa fermò piiì lungamente
il pensiere e aguzzò l' occhio intellettuale quanto nella
128 LIBRO SECONDO.
nozione del bene. Eppure da ultimo confessava non
potersene avere giusta definizione e T essenza di lui
chiudersi nell'altezza inaccessibile della suprema unità.
Con tutto ciò Platone medesimo non nega air uomo
la cognizione di molti caratteri sopraeminenti del bene
e di molti segni, accompagnamenti e misure che ce ne
discoprono le attinenze, diremmo, più sostanziali. Quindi '
raccoltomi più d' una volta in me stesso per meditare
intorno al bene, parvemi di conoscere con evidenza che
la forma sotto la quale il bene ci si manifesta compiuto
e desideratissimo e per ogni lato si converte col fine è la
forma della beatitudine ; e questa, a considerarla nella
sua ragione e cagione, consiste nell'esercizio attivissimo
e libero di tutto l'essere o dir si voglia nel possesso e
però nella fruizione della unità sostanziale d'ogni es-
senza positiva ed attiva le quali sinonimano con tutte le
sorti di perfezione. E ancora che il pensiere distingua
pur sempre la beatitudine dalla perfezione dell' essere,
per lo certo non si distinguono in Dio, e fuori di Dio
al pensier nostro è altrettanto impossibile separarle
sostanzialmente; conciossiachè dov' è perfezione asso-
luta sentiamo non potere la beatitudine far difetto, ed
e converso sentiamo che dove è beatitudine deve stare
la perfezione ; e questa seconda intanto ci sembra differir
dàlia prima in quanto nell'animo nostro il più puro e
sublime dei sentimenti e compiacimenti serba ognora
un vestigio di passività e dipendenza; ne la possiam con-
vertire in una forma essenziale del nostro libero volere.
11. — A prima giunta, ninna cosa mi parve diffe-
rir maggiormente dal bene quale l' ò descritto, quanto
la finità; perocché questa è molteplice mentre il bene
è uno; e se la perfezione racchiude sempre una forma
attiva (ed anzi la pienezza del bene vuol dire pienezza
di attività), il finito per sé richiama la idea della di-
DEL FINITO IN RELAZIONE CON L'INFINITO. 120
pendenza e della passione o per lo manco richiama
la idea d' una attÌTità mai sempre angustiata e biso-
gnosa del diverso da sé.
12. — Nullameno, ei non mi comparve impresa
difficile il conciliare cotesti estremi, e vidi e conobbi
non essere vietato alle cose finite certa unità relativa;
e del pari la lor passione richiedere altrettanta azione
nelle sostanze circonvicine. Che se col finito pup stare
l'attività, ^li si può eziandio figurare un ordine, me-
diante il quale V attività proceda in aumento continuo.
13. — Che poi il bene risieda sostanzialmente nella
virtii attìva e tale che possieda per intero sé stessa e
r opera sua, mi diventava certo e chiarissimo quanto
più conducevami innanzi nella indagazione dei beni
umani e della loro essenza e ragione. Quel detto volgare
mens sana in torpore sano che altro si vuole significare
salvochè il postulato della felicità sulla terra consistere
in una disposizione di membra e di animo per la quale
il libero e pieno esercizio delle facoltà nostre sia facile
intenso ed armonico? è dunque la felicità umana sul
mondo un'attività proporzionata ed agevole di tutto
il nostro essere. E le voluttà dei sensi perciò saziano
e stancano e viziano a breve andare lo spirito perchè
sono passive la maggior parte, ancora che T animo si
sforzi di tramutarle in attività concentrandosi tutto
in esse, non patendo di esserne distolto e distratto,
schiudendovi incontro le porte di tutti i sensi e stu-
diando cento arti fi cj e congegni per accrescerne la
intensione la varietà e la durata.
V.
14. — Si fa manifesto d'altra parte che il compiaci-
mento più immediato e proprio delF animo e a inter-
ÌHìmia.xi. — 11. 9
À
130 LIBRO SECONDO.
rompere il quale non bastano tutte le forze esteriori si è
quello che sgorga dk\ cotidiano esercizio della virtù, e
cidè a dire dalla pronta e facile determinazione della vo-
lontà secondo i dettami della ragion morale ; dettami che
r attività stessa virtuosa immedesima a grado a grado
con noi per maniera che libertà ed autorità piii non
fanno che uno e la legge morale diventa legge nostra
volontaria ed autonoma propriamente. Il perchè dee
sembrar naturale che cot^ta profonda e continua pa-
dronanza di noi medesimi e della nostra ragione siesi
manifestata agli stoici come il maggiore dei beni, per-
chè è la maggiore e migliore delle attività e il piii
sicuro dei possessi e ninna cosa può conturbare la
serenità veramente beata che l' accompagna.
15. — Ma oltre di ciò, io venni guardando nelle
diverse condizioni e fortune delP uomo ragguagliate
tutte a quel punto in cui egli si stima e sente felice
a rispetto delle sue potenze e degli abiti suoi ; e vidi
pur sempre che questo aweravasi nell' attivo operoso
ed intero possedimento di sé e dell' oggetto desiderato,
talché nulla gli reca soddisfazione compiuta ed imma-
colata s' egli non è autore e facitore del proprio bene.
Per ciò vidi e conobbi che se V imparare, a modo
d' esempio, è sempre gradevole e utile, quel sapere ci
torna grandemente più accetto che noi produciamo a
noi stessi mediante V efficacia della ragione e dei prin-
cipj. Avvegnaché sembra allora, già lo dicemmo, che
r attività nostra fabbrichi essa il vero e lo assimili
alla nostra natura e della sua certezza ed assolutezza
intimamente godiamo, perocché, come disse il Vico, cri-
terio supremo del vero è farlo.
16. — Alle conclusioni medesime giunsi con pre-
stezza e facilità scendendo a meditare suU' operazioni
dell' arte. E per fermo mi si rappresentò fortunato e
DEL FINITO IN RELAZIONE CON L' INFINITO. 131
felice sopra tutti i cultori dell' arte colui il quale è più
attivo e fecondo autore dell' opera sua ; quel poeta, per
esempio, e quello scultore che ogni cosa anno tratto dal
fondo proprio, tanto che suolsi dar nome di creazione
ai poemi ovvero alle statue loro. E certo, se gli ac-
cidenti esteriori o le proprie passioni non li tribulas-
sero, essi in quanto spiegano nei prodotti dell' arte
quella ricca ed originale attività e padronanza debbono
di necessità godere e sentirsi partecipi di beatitudine.
17. — Dall'altro canto, perchè l'attività libera e
somma del bene non può giacere discosto dall'unità, io mi
diedi a cercare per lungo tempo se a rispetto dell'unità
r^perienza mia propria e quella degli altri uomini
confermavano i risultamentì dell' astratta speculazione.
E non tardai guari ad avvedermi che l' unità del nostro
spirito vivendo isolata in mezzo della natura è insuffi-
ciente ai suoi fini e convienle studiare il modo di cre-
scere e dilatarsi all' intomo con quelle tre specie di
ampliazione che abbiamo avvisato essere soltanto pos-
sibili agli enti finiti, e cioè la congiunzione dei simili, la
partecipazione dei diversi e la coordinazione dei mezzi
od organamento che la si chiami. Quest' ultimo, assunto
segnatamente nella sua forma migliore ed istrumentale,
è del sicuro la specie più prossima all' unità e che più
le somiglia, e però di tutti i modi di congiunzione e
composizione che intervengono tra gli enti finiti quello
si è che mostra maggiore efficacia ed arreca frutto
maggiore di bene. Ma che vuol dire organizzare se non
dispiegare tale e tanta energia che l' uno assimili a
sé il molteplice e nel molteplice diffonda quasi e pro-
paghi r essere proprio? Di tal maniera, diventa beato
il legislatore che informa della sua volontà e del suo
pensìere lo Stato, il quale opera quindi siccome fosse
un organo nobilissimo e fornito di mille attitudini; e
132 LIBRO SECONDO.
obbedisce con ispontaneità e con ingegno alla mente
legislatrice. Una pari felicità è nel capitano che regge
i moti diversi ma sempre coordinati di quell'esercita
da lui scelto adunato e disciplinato e che pende do-
cilissimo dai cenni di lui nelle vicende prospere e nelle
contrarie. Così da ogni parte e dalla natura più dif-
ferente dei fatti mi ridondava un concetto medesimo.
e vale a dire che il bene nella creazione è certa unità
sommamente attiva e operosa e la quale si fa centro
d' una varietà pressoché infinita per via dell' organa-
mento.
VI.
18. — Esce da tutto questo la conseguenza che Dio
pur volendo fornire le creature d'ogni abbondanza di
attributi noi potrà fare se non per gradi, essendo quelle
necessitate a condizioni finite e vale a dire sempre in-
compiute, come sempre capaci di incremento maggiore.
In secondo luogo, esse creature mai non potranno di-
latarsi nel bene insino a tanto che si rimangono in
essere meramente passivo e sono una schietta e sola
recettività dell' azione divina. Per lo contrario, è loro
grandemente mestieri essere dotate di attività somma
od a tale attività poter pervenire ; e similmente fa loro
mestieri di agire continuo sugli esseri circostanti e di
convertirli, quanto è possibile, in mezzo e strumento
proprio.
19. — Se non che, pur sottoponendo l'intero uni-
verso al loro ihtento del bene, questo non uscirà mai
del temporaneo e del relativo e la serie delle varietà
ed ampliazioni avrà un termine non valicabile. Atte-
soché il finito (si disse più d' una volta) per ispaziare
crescere senza termine domanda il fondamento e la
DEL FINITO IN RELAZIONE CON L' INFINITO. 133
conn^sione deli' infinito. Per lo certo, Dio può provve-
<lere a questo, partecipando direttamente sé stesso alle
creature. Ma pongasi mente che qui torna intera in*
tera la difficoltà poc'anzi accennata e vogliam dire
che la partecipazione stessa divina conviene che sve-
^li Fattività delle creature e divenga, per modo di par-
lare, una conquista e un possesso loro, senza di che
non germoglierà da essa il frutto prezioso del bene.
20. — Entrato io a volta a volta in cotesta sequela
«li raziocinj e convintomi della loro sodezza, mi accorsi
<lella gran luce che spandono sopra molti problemi di
^mUÀùgia, e cosmologia e qualmente al riflesso di quella
luce r aspetto di molte cose comparisca diverso ed anzi
opposto al giudicio che se ne fa per ordinario dagli
scrittori non che dal volgo. Allora io vidi manifesto
perchè la intuizione nostra di Dio incominci così velata
ed ombratile e perchè dobbiamo pensare ad appro-
priarci a poco per volta Y infinito dell' idea che sempre
incombe al nostro intelletto. Né feci diverso giudicio di
sifueir altro stato dell' animo nostro che io notava nel
libro secondo, Capo settimo dell'ontologia, dove definii
brevemente le quattro maniere d' influsso che movono
immediatamente da Dio ed operano con viva efficacia
nel fondo dello spirito umano. Quivi, ricordi il lettore
che io m' intrattenni a spiegare siccome di quelle ma-
niere d'influsso manifestansi unicamente gli effetti, i
quali sebbene riescano maravigliosi ed abbiano suffi-
cienza di risv^liare in diverso modo la nostra energia,
non però dimostrano senza velo e senza intermezzo
giammai la fonte sublime ed inaccessibile da onde pro-
vengono. Quindi ella non è intuita ma propriamente
argomentata. Mi sembrò del pari discernere allora con
distinzione e chiarezza che quando lo spirito umano
«enza buona preparazione e senza spiegamento propor-
134 LIBRO SECONDO.
zionato dì attività e di opera venisse in contatto im-
mediato con la verità o la bellezza o la santità od
altra perfezione divina, questa a se il rapirebbe e in
se medesima il terrebbe assorto invasato ed immobile
come per povera similitudine fa la nostra terra delle
stelle cadenti e il Sole delle comete che gli cascano
dentro.
vn.
21. — Pervenuto a questo punto della mia medi-
tazione intorno al principio deir universo, mi persuasi
della verità e certezza delle massime infrascritte.
22. — Che, cioè nell' universo spiegasi l'indefinito
della possibilità non però ciecamente e per la sola
necessità del dovere ogni potenza venire alF atto, ma
in maniera a Dio convenevole e in virtù del decreto
della bontà infinita, la quale, scorgendo che il bene
finito è fattibile, lo chiamò air esistenza e di quanti
esseri cava dal nulla nessuno vuole che sia onnina-
mente alieno dal cooperare all'attuazione del bene.
23. — Quindi non si dee chiedere perchè la natura
comincia da questo grado dell'esistenza ovvero da
quello. Perocché nella catena degli enti creati qualun-
que punto sia scelto da noi ovvero posto dall' espe-
rienza ordinaria nella comune veduta comparirà sem-
pre, a chi ben lo guarda, ne il primo assolutamente né
l'ultimo; e sempre al pensiero si affacceranno dei
possibili antecedenti e inferiori come de' susseguenti
e superiori non numerabili, i quali tutti, replichiamo,
anno qualche attinenza remota o vicina all'attuazione
incessante ed universale del bene.
Nemmanco si dee cercare in qual parte delle cose
create e in qual punto di loro durata si aduni maggior-
DEL FINITO IN RELAZIONE CON L'INFINITO. 135
mente o per lo contrario si diradi quel mal positivo che
dalle limitazioni proviene come da fontale promozione.
E se cotal male si spanda invece con poca disparità nel
mondo visibile e neir invisibile. Egli mi parve che inda-
gare la giusta misura di tutto ciò sia temerario e a qua-
lunque altezza di scienze non conceduto. Salvo il sapere,
come altrove fu notato, che nel generale ampliandosi la
virtù del finito e l' operare coordinato degli enti par-
tecipi di ragione debbe al mal positivo venir scemando
Tia via la latitudine e T efficacia. Quindi mi persuasi
che r economia del creato debbe sempre venir divisata
nel suo tutto insieme e nell' àmbito immenso de' suoi
contenenti. Ed una cosa essere l'indefinito svariatis-
sìmo e strano e incomposto, a cosi chiamarlo, di tutti
i possibili ; altra la sapienza infinita che pensa e or-
dina le combinazioni loro. Quindi sono come caratteri
che mescolati nella grande urna del Caos riescono
informi ed incoerenti; ma combinati da una mente espri-
mono (poniamo caso) V Iliade o la Divina Commedia,
24. — In secondo luogo, visto e riconosciuto per
raziocinio e per induzione che il bene tragittandosi
dall'infinito al finito non cambia essenza ne attribu-
zione e che il sol modo di possederlo consiste nel farlo
e la sua pienezza massima convertesi con la massima
attività ; e in fine che convertendosi egli eziandio con
r Uno, bisogna che il bene creato cerchi tutte le simi-
glianze e imitazioni dell' unità mediante ogni maniera
di congiunzione e coordinazione e quella segnatamente
che piglia nome di strumento o di organo; perciò è
da giudicare con sicurezza che il mondo creato risulta
di una catena immensa e correspettiva d' azione e pas-
sione, e parte fa e s' appropria il bene, parte fornisce
alcuna materia o alcun mezzo per 1' attività intorno
al bene.
136 LIBRO SECONDO.
25. — In ciò si comprende un principio fondamen-
tale e fecondo della scienza cosmologica, il quale dice :
che Dio nella natura tutto crea e nulla opera, tutto
preordina e nulla eseguisce.
26. — Ultimamente, perchè la impotenza ed in-
sufficienza congenita d'ogni qualunque finito e il mal
positivo che ne proviene e la diversità sregolata e di-
scorde di tutti i possibili viene parte impedita e parte
corretta dall' artificio divino delle combinazioni ; ed
oltre di ciò, i subbietti attivi destinati a partecipare
il bene debbono coordinare a sé stessi la serie dei
mezzi e degli apparecchi, necessario è che nella natura
apparisca quasi un' immagine di fatica di tardità e di
stento ; mentre invece non può figurarsi cagione alcuna
la quale si muova ed operi con prestezza ed agevolezza
maggiore, in quanto né mai si spende nella natura
un attimo di tempo di più né le cose adempiono un
solo atto contrario minimamente all'indole loro ed al
loro fine immediato.
Vili.
27. — Ò raccontato a filo a filo il succedersi de' miei
raziocinj intorno al proposito ; ancora che in fatto sia
nel corso loro intervenuta piii d' una incertezza ed
abbia toccato alla riflessione la cura e il disagio del
tornarvi sopra assai volte. Ciò non ostante, io vorrei
pure che tutte le pagine di queste mie Confessioni as*
somigliassero alle qui presenti, non vi essendo occorsa
necessità di pentirmi né obbligo di disdire innatizi al
pubblico il fatto mio proprio ; e quanto all' aver dile-
guato dalla mia mente quell'errore volgare di credere
che il fondamento della felicità sia nel riposo, nella
passività e nel ricevere il bene senza produrlo, io mo-
DEL FINITO IN RELAZIONE CON L'INFINITO. 137
strai di stimare il contrario insino da quando furono»
mandati fuori i Dialoghi di Scienza Prima.
28. — Intanto, egli pare che da coteste mie medi-
tazioni rampolli una ragione gagliarda e feconda con-
tro gli scettici, i quali non finano mai di chiedere ai
metafisici perchè nel mondo è il mal positivo e per-
chè il bene potendo essere partecipato ^Ue creature,
ciò non accade immediatamente e con abbondanza per
lo manco sì fatta che pareggi il bisogno e il desiderio
che se ne à ; ed infine perchè la natura sembri dannata
a certo travaglio incessante per attingere lo scopo suo
e da per tutto compariscano sequele e concatenamenti
di mezzi di apparecchi di organi, laddove una potenza
e una sapienza infinita ebbe piena balìa di costruire
c^ni cosa nella maturità e compitezza delF essere
proprio.
29. — Noi, dunque, in cambio di argomentare dal
solo assurdo come fece Leibnizio ed altri prima e dopo
di lui, provando che la spiegazione di tutto ciò debbe
esistere comunque non apparisca, da poiché Dio bontà
e potenza infinita vuole del sicuro il bene del mondo
anzi il massimo bene partecipabile, noi, dico, in luogo
di questo inferire e arguire dalla impossibilità del
contrario rispondiamo agH scettici soprallegati con
ragioni dirette e palmari tutte ricavate dalla essenza
stessa di ciò che riceve V esistere e dalle relazioni es-
senziali tra il finito e T infinito.
138 LIBRO SECONDO.
CAPO SECONDO.
DELLA IMMANENZA DI DIO NEL CREATO.
I.
30. — AfFermano i moderni filosofi, segnatamente
alemanni, che il maggior pregio de' panteisti da Gior-
dano Bruno a Spinoza e da questi all'Hegel vuol
essere riconosciuto in ciò che Dio nelle cosmologie
loro vive presente e immanente nella natura ; come se
il teismo disgiungesse la creazione dall'autor suo; e
noi per la parte nostra già non avessimo dimostrato
centra ogni sorta di atomisti e materialisti la necessità
continua per entro al finito di una mente e d'una ra^one
nella assenza di cui regnerebbe informe e sconvolto il
Caos e la notte perpetua. E sebbene non sia una mente
ed una ragione dilatata per le membra infusa per
artus a modo di anima, è tuttavolta più essenziale ed
intima ad esse che un' anima dentro ad un corpo ;
perocché le fa esistere e le mantiene. Sicché il teismo
afferma ed assevera senza dubitazione veruna che tatto
non è Dio ma Dio é in tutte le cose. NuUameno, per-
ché noi d'altra parte affermiamo il moto lo spiega-
mento e la vita della creazione uscire dall' opera in-
cessante e coordinata delle cause seconde, occorre di
sciogliere con più disteso discorso la contraddizione
apparente. E si fatte contraddizioni apparenti, da capo
il diciamo, debbono rinnovarsi ad ogni definizione
d'alcun principio supremo ed originale; perocché quivi
si toccano l' infinito e il finito e i modi nostri abituali
DEL FINITO IN RELAZIONE CON L' INFINITO. 139
di ragionare e concludere vi riescono insafficienti. Tal-
ché dee bastare ad ogni savia speculazione di sciogliere
r incongruenza e concludere in una realità così vera
e certa, come poco o nulla esplicabile. L'arcano oc-
cupa sempre il varco estremo della scienza.
n.
31. — In antico, per Aristotele e i suoi seguaci la
patena del mondo e la potenzialità sua esistendo ab
eiemo e indipendente da Dio, ebbesi arbitrio di con-
cepire un primo atto efScieute di moto bastevole a su-
scitare tutte le forme e dato quasi fuori delle inten-
zioni di esso Dio. Ma chi piglia, siccome noi, le mosse
dalla creazione ex nihilo è invece costretto a fare im-
manente e perpetua nella natura la efficienza divina,
rimossa la quale per ancora un istante, le cose tor-
nerebbero al nulla onde uscirono. Ne simile legamento
è parziale o comechessia limitato, anzi limita esso
tutte le cose. Per fermo, nulla nell' ente finito sussiste
che non sia causato, l' interno quanto V esterno, il sub-
bietto come le qualità, gli. accidenti non punto meno
dell' essenza. Le stesse limitazioni ed insufficienze di
luì sono dalla cagione assoluta determinate, ancora che
nell'universale la limitazione e l'insufficienza sieno
cosa negativa e da Dio non provengano; ma che tal
limite ovvero cotesto altro accada in un essere e in
quella maniera e in quel grado Dio solo prescrive nel-
r atto sue creativo ; e da ultimo, perchè ogni condizione
delle create esistenze è finita, appare manifesto che
l'infinito da ogni banda le involge e le penetra. Quando
una molecola sola di qual sia corpo e un solo atto di
qual sia spirito valessero a slegarsi dalla efficienza di-
vina quell' atto e quella molecola o annichilirebbesi.
'J40 LIBRO SECONDO.
come testé si notava, o per lo contrario sarebbero tras-
mutati subito in enti assoluti e sarebbero Tuna e
r altro due Dei.
32. — Ma viceversa eotesta divina efficienza crea e
determina delle sostanze emananti certi atti e fornite
della capacità di promovere altri atti in altre sostanze.
Laonde tuttociò che operano le cause create non è atto
divino e non sono esse veicolo dell" atto divino ; ancora
che la forma, le condizioni, il modo, la misura ed ogni
accidente dell' operazione venga determinato da Dio. Il
perchè, sebbene i subbietti creati sono causa immediata
delle proprie azioni e modificazioni, non sarebbe sotto
diverso rispetto un parlare sconveniente quello di dire
che Dio è cagione pure immediata di qualunque azione
e modificazione dacché ogni subbietto operante riceve
r esistenza di sé e del suo principio attivo eziandio in
quel momento in che opera. Ad ogni maniera (e que-
sto conviene pur sempre tenersi a mente) Y atto crea-
tivo e Teffetto, quale che sia, sono divisi sostanzialmente.
E poniamo che Dio fosse cagione immediata delle azioni
di certe sostanze o di tutte, ciò neir ultimo vorrebbe
significare che Dio fa comparire certe forme attive ade-
renti a certi subbietti; ma quelle forme attive già non
sarebbero azioni di Dio rimanendo fuori di lui e so-
stanzialmente da lui divise. Onde poi seguita che quelle
forme non potendo essere azioni di Dio né azioni dei
subbietti in cui appariscono o sarebbero non atti ma
fenomeni, ovvero conterrebbero in sé medesime il
principio d' azione, che vale quanto dire che sarebbero
un subbietto causale dentro un altro subbietto. Cosa
(lo notiam di passata) che Malebranche non avvertiva
quando pose in mezzo la sua teorica delle cause oc-
casionali e si arbitrò di privare d' ogni efficienza i sub-
bietti creati.
DEL FINITO IN RELAZIONE CON L'INFINITO. 141
111.
33. — Veduto quello che sia la causa efficiente su-
pirema, e che, non ostante il partecipare eh' ella fa alle
cause seconde il principio attivo, questo medesimo creato
e determinato tuttora da lei a lei connette e lega ogni
cosa ad ogm momento, sembra strana la sentenza dei
panteisti, la qual non vuole che nel nostro sistema Dio
r^ni e viva presente e immanente nella natura, come
:9e Dio non fosse continuo nell' atto suo creativo e de-
terminativo d'ogni esistenza.
34. — Ma oltre di questo nessuna ragione ci vieta
d'immaginare che fra le determinazioni, a così dire,
impresse negli enti ve ne sia alcuna o molte od innu-
merevoli le quali consistono in qualche modo di con-
giunzione di essi enti con Dio. Che anzi di parecchie
abbiamo notizia manifesta come dell'intelletto congiunto
con la infinita idealità. E quelle aspirazioni nostre no-
bilissime e cotidiane al vero, al bene, al bello e al santo
assolato dicemmo altrove essere provocate da certo in-
flusso od azione divina particolare, la quale, sebbene
non intuita nella sua fonte e cagione, pure è sentita
<la noi nell' effetto mirabile prodotto dentro dell'animo
?30tto forma di spontaneità, e la quale venir confusa non
può con veruna delle cagioni finite in noi operanti.
Quindi noi non poniamo limite alcuno così al genere
di congiunzione delle cose con Dio, come all' intensione
e penetrazione di lei. Soltanto affermiamo, che se tali
sorte di unimento con Dio corrono al fine universale
del bene, porta la necessità che gli esseri creati e con-
giunti vi spieghino il supremo dell' attività e s' appro-
priino r unione sì fattamente da convertirla in loro fa-
coltà e possesso.
142 LIBRO SECONDO.
Dicemmo pure altrove, e qui ripetiamo, che sebbene
o V unimento nostro con V atto creativo od altra spe-
cie di congiunzione possa venir giudicata più intrinseca
a noi e alle cose di quello che V altre tutte congiun-
zioni ed unioni delle cose create in fra loro, nientedi-
meno ella è di tale essenza e forma, che non trasmuta
noi e le cose in modi e azioni di Dio e noi vuole e
conserva autori dei nostri atti imputabili e ad ogni
subbietto creato mantiene la inalterabile e sostanziale
individualità che sortiva. Del pari, a discorrerla con
rigore, non puossi dell' unimento di Dio con la crea-
zione asserire né la specie né il quanto, e dire che è
più intrinseco o meno o altrettanto di quelli unimenti
fra le cose a noi conosciuti per esperienza. Come non
è possibile dire, a modo d' esempio, che i corpi si con-
giungono più strettamente allo spazio di quello che
noi con essi quando li tocchiamo ovvero li sollecitiamo
al moto ; perocché sono due maniere di unimento af-
fatto diverse ed incomparabili.
IV.
35. — Dopo tali dichiarazioni non avvi dubbio nes-
suno che il divario capitale che passa tra noi ed i pan-
teisti circa al proposito raccogliesi in questo, ch'eglino,
incapaci per condizione di nostra mente di intuire per
via diretta l' azione creatrice di Dio e non concependo
altra forma d'immanenza eccetto che quelle manife-
stateci dai subbietti e dalle cagioni finite, trasmutarono
le operazioni e le leggi della natura in atti necessarj
e immediati di Dio medesimo. Quindi la immanenza
suona per essi perfetta consustanzialità. Né solo Dio
è in tutte le cose, ma tutte le cose sono Dio. In co-
testa guisa abbassarono, per mio giudicio, la divinità
DEL FINITO IN RELAZIONE CON L'INFINITO. 143
•
altissiina insino alla nostra miseria e di più dimezza-
rono e impoTerìrono la scienza umana. Avvegnaché
quella dai teisti professata oltre alle opere della na-
tura ed all'universo creato largheggia nella contem-
plazione di un atto infinito che senza moto ne succes-
sione dalla cima di tutti i secoli fa esistere i mondi e
li mantiene e gì' innova e da ogni parte gì' involge e
li penetra, come lo spazio, a parlare per immagini, in-
volge e penetra tutti i corpi in qualunque lor parte;
e nella maniera che lo spazio rimane esteriore alle forze
che sono inestese, del pari l' atto creativo penetrando le
sostanze con esso loro non s' immedesima.
36. — Avvi dunque una efficienza che crea e de-
termina ogni ente finito e lo regge e mantiene. Peroc-
ché, dove lo tramutasse in propria sostanza od in pro-
prio atto, tanto varrebbe annullarlo. In quel cambio
mentre lo produce e dispone e dagli forma e limite e
lo circonda e lo penetra, pure lo mantiene fuori di sé.
37. — Similmente, mentre fluisce perenne e inces-
sabile r attuazione dei possibili e ciascuno si distingue
e scevera da tutti gli altri e tutti gli altri da lui e ne
risulta un complesso tanto diverso e bizzarro quanto
la più inventrice fantasia può andar figurando e nulla
tu non ravvisi ne' loro subbietti salvo che le necessità
permanenti di loro natura, una mente invisibile e ad
essi esteriore senza alterare per niente 1' essere proprio
di ognuno e solo ponendo ordine nelle loro combina-
zioni tragge quell'universo di essenze strane, sconvolte,
incongruenti ed insufficienti ; le tragge, dico, non consa-
pevoli all'adempimento del fine, che è la partecipazione
del bene massimo al massimo numero di creature.
38. — Così é immanente nella natura non solo un
atto mirifico di potenza infinita ma una mentalità che
mentre non fa nulla, predispone e preordina il tutto e
144 LIBRO SECONDO.
mentre le cose non la contengono o non la ravvisano,
sono invece contenute e informate da lei, e Virgilio parlò
esatto e profondo con dire Mens agitai. mólem. Di tal
maniera torniamo ad accertare uno de' fondamentali
prindpj della cosmologia, e vale a dire ogni cosa esser
fatta dalle cagioni seconde e queste obbedire in tutto
alle facoltà ed attribuzioni dell' indole propria, la quale,
per altro, non è a caso, ma porta scritta in se una
lettera che unita ad altre ed altre dell' infinito alfabeto
compone il poema eterno del mondo creato.
Laonde nella natura una cosa è chiedere la ragione
immediata di ciò che diventa, e una diversa è chiedere
la immediata cagione. Questa emerge sempre dalla
forma essenziale dei subbietti finiti e particolari; quella
è riposta nella suprema mentalità che dispose le com-
binazioni e della quale può dirsi col poeta :
< L' arte che tutto fa nulla si scopre, »
conciossiachè l'arte divina combinatoria che concilia
stupendamente la possibilità inesauribile con la infinita
provvidenza non può essere veduta dentro alle cose
salvo che dall'occhio dell'intelletto.
V.
39. — Ora, io non dubiterei di afi^ermare che tale
cagione e tale ragione così distinte fra loro e per un
certo rispetto così divise e separate sono confuse indebi-
tamente nei sistemi de' panteisti moderni ; e ciò appunto
per la immanenza consustanziale di Dio nel grembo
della natura. Per fermo, giusta i dogmi hegeliani l'idea
dimora essenzialmente dentro le cose ; queste anzi, sono
la idea medesima in quanto si esterna e per mezzo
della vita ricupera la unità dispersa nella materia e
DEL FINITO IN RELAZIONE CON L' INFINITO. 145
giunge alla perfetta e assoluta esistenza dello spirito.
Quindi gli oggetti dell'esperienza non sono altro che
riferimenti e rapporti diversi della idea con sé, la quale
facendosi astratta o concreta, subbietto od obbietto, me-
diata o immediata e così conoscendo e ripetendo mil-
lanta volte le alienazioni sue ed i suoi ritorni, trasmuta
e si svolge, tanto che il mondo visibile intero può esser
detto una esternazione della logica, ovvero delle ca-
tegorìe prìncipali tra cui si muove il pensiere rappre-
sentativo. Laonde le sostanze e forze speciali operanti
par propria virtù e con leggi inserite nella essenza loro
immutabile dove sono? Bene si affermava, impertanto,
qua sopra che delle due entità che sempre sono da
cercare nella natura, la cagione cioè e la ragione, quello
che costituisce la cosa e 1' atto e quello che ne mostra
il perchè finale, la prima, che è la cagione, si annulla
per mio avviso ne' sistemi de' panteisti moderni ; e la
seconda è ragione d' una fatta così diversa dalla co-
mune degli uomini che conviene innanzi metter mano
ai vocabolarj e le vecchie accezioni cambiar nelle nuove.
40. — Noi dunque, raccogliendo le massime definite
per entro questi due Capi del Libro secondo e antici-
pando un poco su quello che verrà dimostrato quando
d avverremo nella necessità che incombe a tutti gli
enti razionali di congiungersi in modi particolari con
r infinito, crediamo di poter fermare con ragione sal-
dissima i principj infrascritti che sono effettualmente
sostegno e luce delle teorie cosmologiche.
La efficienza divina crea e determina tutto.
La divina mentalità preordina tutto.
La natura naturata fa tutto.
La infinitudine partecipata termina tutto.
41. — Né si vuol negare che tra la prima propo-
sizione e la terza non intervenga l' apparenza d' una
Uknuni — II. iO
146 LIBRO SECONDO.
insolubile antilogia, e, per dir più esatto, tali due pro-
posizioni così accostate riaiFacciano al pensiere con
vivezza maggiore V antilogia perpetua che sembra ne-
gare la possibilità della creazione ex nihilo^ sembrando
negare che V effetto mentre sussiste tutto quanto per la
cagione, sussista separato sostanzialmente da lei. Seb-
bene una miglior riflessione persuade più tardi la mente
che ogni specie di creazione accade dal nulla e per tale
rispetto fare esistere un modo e un atto ovvero un sub-
bietto operante è sempre arcana cosa e inintelligibile.
Salvo che, la necessità di ammettere la creazione so-
stanziale dal niente, rivela al pensiere questa verità
che tra la cagione e l' effetto oltre il legame per espe-
rienza conosciuto di modo a sostrato e di atto ad agente
debbe venir divisata una terza specie che nominiamo
metafisica, non manifestandosi mai nelle cagioni infe-
riori ed essendo arguita solo e indovinata dalla virtù
discorsiva.
Per cotesto nesso metafisico, adunque, effetto e ca-
gione esistono V uno fuori dell' altro ; e nell' effetto
può radunarsi tutto il cumulo delle cose finite, senza
che questo cumulo perda o scemi per niente la sua
condizione di effetto. E del pari, nel cumulo detto può
dispiegarsi una serie indefinita di atti senza che uno
solo di essi fugga alla determinazione del primo atto
efficiente. La natura naturata, impertanto, opera tutto
perchè il tutto finito venne in lei predisposto e deter-
minato insino all'ultimo apice; e questo predisporre
e determinare è atto assoluto universale e impartibile
ad intra ; è atto sostanziale successivo e molteplice ad
extra. E perchè il primo non è visibile, è solo din-
nanzi a noi la natura naturata e a lei sola dobbiamo
chiedere la cagione dei fatti.
DEL FINITO IN RELAZIONE CON L' INFINITO. 147
CAPO TERZO.
DEI PROGRESSI DELLA TEODICEA.
I.
42. — La natura è il magno volume in cui cia-
scuna pagina dee portare scritto un segno lucente della
bontà di Dio; perocché nell' ontologia vedemmo la crea-
zione fluire da essa bontà e divenir necessaria per ciò
appunto che la possibilità del bene finito era una delle
idee archetipe sussistenti ab eterno nel pensiere divino.
Ufficio adunque della cosmologia è mostrare come tutti
i principj che va trovando e provando confermano
quello che dai platonici fu domandato il trionfo della
forma sulla materia ovvero il trionfo della bontà e men-
talità divina, sulle oscurezze, le impotenze, le angustie
e le necessità del finito, già descrìtte minutamente da
noi nel labro anteriore.
43. — Quivi abbiamo scoperta con troppa chiarezza
(ci sembra) la origine vera del mal positivo, il quale
per lo certo non risolvesi in negazione e che d' altro
canto non fu evitabile nemmanco alla infinita potenza
volendo pure che il finito esistesse.
44. — Ora ci si è fatto manifesto eziandio che tale
finito 0 come fu domandato poc' anzi tale natura na-
turata opera ogni cosa. Di questo principio accade di
avvisare le conseguenze più rilevate a rispetto della
Teodic^, non bastando forse di aver conosciuto che
la essenza del bene esige negli enti che ne partecipano
uno spiegamento di attività intensa ed uno appropria-
mento continuo del mondo circostante.
148 LIBRO SECONDO.
II.
45. — Ricordiamo, dunque, in breve che la natunt
non è una, anzi quanto alle condizioni sue finite è av-
versa dell' uno e di ciò che all' uno maggiormente si
approssima. La moltiplicità, impertanto, assoluta è
carattere indelebile del mondo creato, e cioè a dire
eh' egli risulta di enti divisi sostanzialmente e uell' ul-
timo fondo di loro sostanza non penetrabili. Del pari
vedemmo nel primo Libro che necessita alle cose finite
il permanere nel proprio essere sostanziale invariabil-
mente. Quindi nella natura in mezzo a continue mu-
tazioni di modi e accidenti serbarsi incomunicabili
impartibili e sempre medesimi gli elementi estremi, o
vogliansi dire i subbietti primi ed originali. Possono
questi aggregarsi e congiungersi e in guise innumere-
voli modificarsi l'uno per azione dell'altro; ma le es-
senze, giova ripeterlo, ne si annullano né si trasmuta*
no. Per simile, possono in maniere sublimi ed intrinseche
unirsi con 1' Assoluto senza diventare altro subbietto
per ciò, e senza che il fondo loro sostanziale mai con-
vertasi neir Assoluto medesimo e in lui si perda come
stilla d'acqua dentro l'oceano.
46. — Certo, in questo persistere dei subbietti finiti
è il fondamento del nostro egoismo ; che vuol dire di
quella finità esclusiva e di quel particolare e individuo
onde non possiamo uscire senza annullarci e mettere
un ente diverso in luogo di noi stessi. Avremo agio nel-
l'ultimo libro di riconoscere alcune di quelle arti divine
per le quali nel modo che ogni ente con l' accompagna*
tura di altri dilata l' essere proprio, così l' ente umano
scorda e annega la propria individualità e vive ed opera
nell'universale e il genere suo tutto quanto sembra farsi
DEL FINITO IN RELAZIONE CON L' INFINITO. 149
persona che pensa e vuole e delibera ^con effettiva
unità di mente e di animo.
Per al presente, notiamo che il perdurare delle
nature finite spianta dalla radice V orgoglio di quei
sistemi ontologici e cosmologici a cui piace di per-
suader r uomo di essere la vagina di Dio, ed anzi il
pensiere e la coscienza stessa di lui.
47. — D' altro canto, questa durata impermutabile
dei subbietti finiti porge fondamento a due forme essen-
ziali della nostra dignità ; e V una consiste a perpe-
tuare la imputabilità nostra morale e che ninna forza
o benigna o nemica può trasmutarci in automati. La
seconda consiste nel non potersi con la mera passività
raggiungere il bene ; e per conseguente noi destinati alla
partecipazione del bene e al desiderio indomabile del
fine assoluto fammo altresì dotati di essenziale energia
a quel fine proporzionata, conforme si venne spiegando
nel Capo Primo e si vedrà in più luoghi dell' opera.
48. — Tutto ciò viene anche a mostrare con evidenza
la nostra vita immortale. Che non solo per necessità di
natura debbo eternarsi il nostro essere sostanziale come
tutti i principj semplici e forniti di quella unità senza
cui non avrebbero esistenza e medesimezza propria e
incomunicabile; ma debbe sussistere di là dal tempo
presente con le qualità essenziali ed ingenite dello spi-
rito che sono le determinazioni innate e costitutive di
lai, perocché egli non venne all'essere come una cosa
astratta, indefinita e ideale ma con certa compita in-
dividuazione che sotto il cumulo dei modi e degli ac-
cidenti variabili si serba conforme e perenne. E dove
in questo mutasse, muterebbe l' essenza sua, e ciò vale
qaanto che si annullasse. Rimane che si distingua per
via di fatto quello che in un dato essere forma parte
dell'essenza e quello che no. Sopra il qual sunto la psico-
150 LIBRO SECONDO.
logia risponde con altrettanta precisione quanta evi-
denza. E ninno dirà nelFanima nostra essere accidentale
il volere, il pensare e il saper di pensare; ninno che la
visione ideale e l' intuito del subbietto comune della
verità non accadano dentro di noi per qualche legame
essenziale dell' anima con 1' Assoluto medesimo ; ninno
che il sentimento e il concetto del bello, del giusto e
del santo sieno accidenze fugaci promosse dalle cose
esteriori finite e senza fondamento veruno in qualche
facoltà primogenia di nostra natura.
Tutto ciò, impertanto, noi rechiamo del sicuro con
esso noi di là dal sepolcro^ in quanto almeno sono
principio spirituale di azione ; e similmente noi vi
rechiamo la libertà che è quella disposizione essen-
ziale deir anima di poter essere, come disse Platone,
principio di moto a sé stessa. Vero è che noi im-
parammo nel primo Libro alle cose attive finite toc-
care questa general condizione di non potere uscire
da sé medesime d' ogni stato virtuale in cui si ri-
trovino, ma sì abbisognare d' alcuna cagione esteriore
o promuovitrice od occasionale. Ed è questione troppo
involuta e inopportuna al nostro trattato cercare quello
che dentro V animo è attivo per sé e quello che è vir-
tuale. Che anzi lo stesso libero arbitrio tuttoché parte-
cipi della natura di causa prima, nullameno à bisogno
per operare che lo preceda la cognizione, e questa non
è facile a dire se è sempre in qualche specie di atto
ovvero é primamente ed originalmente in sola potenza.
49. — Di quindi nasce che l' anima umana, sebbene
reca, sempre con essolei le sue facoltà, può abbisognare
in altro mondo di altra sorta di promozione per giungere
air atto ; ma considerandosi che la materia sembra
pochissimo idonea a tal promozione, perché é inferiore
sommamente allo spirito in ogni qualità ed attribu-
DEL FINITO IN RELAZIONE CON L' INFINITO. 151
zione, il naturai criterio ci porge che dovunque vada
lo spirito vivrà in ambiente piuttosto più acconcio che
meno a spiegare Tatto delle sue mirabili facoltà. E
a noi sembra che a ninna persona assai ragionevole
debba venire in capo che esse facoltà sieno state al-
l' anima distribuite solo per attuarsi nel tempo brevis-
simo della vita presente, che al dirimpetto della eter-
nità è come un punto nella immensità dello spazio.
Lasciando stare cento altre ragioni che V uom deduce
dalla filosofia morale e da altre fonti. E noi medesimi
nel progresso dell' opera scorgendo con evidenza sic-
come neir universo visibile e intelligibile regna una
legge di apparecchiamento di organamento e di svi-
luppo, ci sentiremo persuasi ed anzi costretti a pen-
sare che la presente vita essendo tutta un apparecchio
e un organamento spirituale e mentale dell' anima
rivolto air assolata finalità, toma impossibile che essa
anima se n' esca alla fine senza serbare ed anzi accre-
scere a dismisura alcuno spiegamento delle facoltà sue
pili degne e ricaschi affatto in quel suo stato virtuale
e inattivo in cui nacque; posto, peraltro, ch'ella abbia
veracemente e con la libera energia propria svolte e
ampliate le sue potenze più nobili, e non invece piegate
di lor dritto cammino servir facendole a intenti pravi
e bestiali.
III.
50. — La natura naturata, si disse, fa tutto ; e questo
suo fare apparisce eminente più che in altra cosa negli
esseri razionali e morali. Perocché ad essi appartiene
in particolar modo conquistare il bene e con opera
faticosa e travaglio incessante appropriarselo e diven-
tare uno con lui. Il che manifesta ad un tempo la
152 LIBRO SECONDO.
gran dignità umana e quanto mai le si opponga la
passività e l'inerzia.
Ma per rispetto al male ed all'origine che con-
viene assegnargli giudichiamo di aver provato che esso
nasce dalla essenza non emendabile della finità, secondo
le definizioni e spiegazioni date da noi; per le quali
fu dimostrato che quella essenza non risolvesi tutta in
mera limitazione, ma sì conduce seco certe forme di
realità positiva che sono le forme del mal positivo.
51. — Ciò non ostante, come la essenza della finità
rimaner poteva giacente nel nulla e Dio ne la cavò
fuori, Dio certamente per volere il massimo bene finito
volle altresì il male che vi si meschia. Laonde quelle
distinzioni del Leibnizio fra il concorso materiale e il
formale, tra il volere e il permettere e tra la volontà
universale ed antecedente o la decretoria susseguente,
trattandosi dell' autore primo e della cagione efficiente
assoluta del tutto, mi sembrano da lasciarsi ai vecchi
disputatori di Ck)imbra e di Salamanca e a torto un' in-
gegno sì alto le andò pescando ne'lor volumi. Più strano
mi si rappresenta 1' altro sotterfugio del Leibnizio di
porre la prima radice del male dentro le forme astratte
che sono le idee, perchè queste, disse egli, essendo in-
create, non si può affermare che fossero fatte da Dio.
Certo, ci voleva il coraggio d' un metafisico a sbal-
larla così grossa ; e fu davvero ordito un assai brutto
scherzo a Domeneddio. Perocché il male da questa
valle di lacrime, come si usa chiamarla, fu traslatato
non pure in cielo ma nella sostanza divina; che le
idee eterne a Dio appartengono ed ogni cosa in lui è
sostanzialissima. Salvo che non si potea dir cosa più
contraria alla verità. Le idee del male, chi non lo sa?
sono in Dio non per somiglianza ma sibbene per ana-
logia, e in che consista cotale forma di analogia nes-
VKL FIXITO IN RELAZIONE CON L'INFINITO. 153
snno lo intende. Che se poi discorriamo della possi-
bilità del male, o dir si voglia della efficienza divina
a lui relativa, basterà notare quello che altrove ab-
biam dimostrato, e cioè che nella onnipotenza divina,
appunto perchè infinita, è piena balia di creare fuori
di sé il diverso da sé ; quinci nelle cose finite v' à due
sorte di positivo, 1' uno capace di superlazione, l' altro
incapace.
IV.
52. — In somma, egli non si dee dubitare dal leale
iilo6ofo di asserire che Dio à voluto il male commisto
a bene sovrabbondante, dacché questo senza quello non
era possibile; considerato che la essenza del finito è
immutabile. Dio à voluto quel poco o molto di male
perchè di gran lunga è sempre inferiore al bene e per-
chè il tempo e la divina mentalità l' andrà viemeglio
attenuando e stremando in qualunque angolo deir uni-
verso, e ogni danno sarà compensato e ogni perdita
ristorata a lai^a misura.
53. — Quanto poi al mal morale che di tutti è il
peggiore, anzi può taluno mantenere che sia solo esso
il mal sostanziale. Dio volle che apparendo di neces-
sità fra gli enti razionali e morali non vi producesse
più guasto che una perturbazione transitoria e sem-
pre mai circoscritta dell' ordine universale del bene, e
provvide sapientemente perchè a grado per grado e in
lungo trascorrere dell' età si adempia a capello la legge
mirabile annunziata dal Vico, e cioè che nel mondo
morale e civile quello che è diventi di mano in mano
quel che debb' essere.
54. — Ma intorno di ciò accadono schiarimenti pa-
recchi e di somma importanza. Si contenti però il let-
154 LIBRO SECONDO.
tore di metter l' occhio in un' altra pagina della storia
secreta de' miei pensieri; ai quali confesso che era
mancata consistenza e compitezza circa il proposito
prima di pubblicare i Dialoghi di scienza Frima. Io
narrerò dunque in breve per che occasioni e ragiona-
menti io ne venissi pure s> capo.
V.
55. — A poche miglia da Parigi avvi uno stagno
che quelli del luogo domandano lago, si perchè è molto
grande e sì per quel fare francese di magnificare ogni
cosa. Ma come ciò sia, l' industria e 1' accorgimento
francese à pur convertito quello stagno o laghetto in
un sito amenissimo e fabbricatovi palazzine eleganti
che arieggiano quelle cascine di Svizzera così piacevoli
a riguardare e comode ad abitare, sebbene tutto sia
legno e qualunque parte e ornamento tenga del rustico.
Colà, dunque, io m' era recato nel 1842 e dalle gio-
vinette Frankland, tre signorine inglesi oneste ed ama-
bili, era sovente menato in barchetta su per quelle acque
maneggiando esse medesime il remo a vicenda; e se
r una remava, 1' altre intonavano una romanza con
istraordinaria abilità e grazia di canto. Ma questi ac-
cidenti che a me sono carissimi a ricordare com' è fa-
cile intendere, non importano del sicuro al lettore. Io
li sopprimo adunque e mi stringo a dire che la mez-
zana delle tre giovinette per nome Elena e a cui nel-
r anno vegnente fu dedicato un mio idillio intitolato
Manfredi, piacevasi oltremodo nella poesia e nella filo-
sofia quanto conveniva alla sua età e alla sua modestia.
Egli avvenne che un giorno, entrato io in certo stu-
diolo laddove solcano gli amici di casa essere intro-
dotti, trovai la bellissima Elena in atto di chiudere un
DEL FINITO IN RELAZIONE CON L' INFINITO. 155
libro, e il libro altre volte da me veduto conteneva i
Drammi di Giorgio Byron. « Voi non vi potete staccare
da quel poeta, le dissi io allora, e noi tutti che un poco
vi corteggiamo sentiremoci obbligati a pigliarne gelo-
sia. » — «Non quest'oggi, rispose; che sono stizzita più
presto che innamorata del mio poeta. Per vero, io leggo
troppo mal volentieri questo suo Manfredi. E quel con-
cetto che gira per tutto il dramma della soverchia po-
tenza del male e come il genere umano vi sia dannato
senza pietà e incappi nella colpa quasi contro sua vo-
glia, mi fa spavento e mi agghiaccia l'anima. Oltreché
mi è sovvenuto quello che voi mi diceste or fa pochi
giorni, che v' à un filosofo, non mi si ricorda il nome, il
quale sostiene la massima stessa con formidabile appa-
recchio di sillogismi, e conclude che se la ragione mo-
lina da sé e non bada alle cose reali, trova non po-
tere esistere salvo che un solo principio, autore buono e
saggio di tutto il creato. Ma per lo contrario, chi studia
i fatti e r ordine del mondo visibile noi può altramente
spiegare se non concedendo che sussistono due prin-
cipj assoluti, buono l' uno, V altro malvagio. »
56. — «Ben si vede, risposile io, che avete immagina-
zione assai giovanile ed ogni cosa lascia là dentro im-
pronta profonda. Oggi i versi di Byron fannovi signo-
reggiare quella figura odiosa e terribile di Arimane
che egli descrive nel dramma ora letto da voi. Domani,
spero, immagini più serene e più confacevoli all' in-
dole vostra balzeranno di seggio quell'Iddio fosco e
perverso. Il filosofo di cui accennate è francese e chia-
masi Bayle. Né mi disdico sopra il giudicio che di lui
esprimevo; che propriamente egli fa sudar freddo a tutti
questi scolaretti di logica e di dogmatica. Non pertanto,
voi avete a leggere le confutazioni di Leibnizio scritte
quasi sempre a maniera conversevole e popolare; e
156 LIBRO SECONDO.
quando anche fossero di dettato astruso, V inclinazione
fortissima che v' accosta ogni giorno più a tale sorta di
studj vel renderanno piano ed aperto. » Si convenne che
io le avrei procurato quel libro siccome fu fatto; e
mentre ella sei veniva sfogliando in sua camera, io re-
catomi a posta per meditare più alla libera nel bosco
vicino di Chantilly ripensavo a tutt' uomo e rivangavo
da ogni parte quella gelosa materia, e parvemi alla
fine di averne trovato il bandolo. Ciò non pertanto
volli aspettare a vedere quello che uscito sarebbe della
mente e del cuore d' una giovinetta così svegliata
d'ingegno come religiosa di sentimento, e tanto cu-
riosa della verità quanto illesa di pregiudicj e con
animo per nulla preoccupato da spirito di sistema.
VI.
57. — « Ecco, io vi rendo il libro che mi prestaste
a leggere per gentilezza e premura, » mi disse ella un
giorno con volto mezzo serio e mezzo ridente. « Che ve
ne pare? * soggiunsi io alla prima. « Farmene bene, »
replicò ella, « e forse migliori risposte non potevano esser
trovate contro quell'acerrimo oppugnatore. Con tutto
ciò, vale meglio uscire a un tratto di simile ginepraio
e scordare una controversia tanto spinosa; io me ne
sentivo pungere e lacerare la pace dell' anima. Onde
ieri me la racconciai bel bello col mio libricciolo di
preci e col leggere iteratamente e di gusto qualche ca-
pitolo del mio Da Kempis. » — «In buon'ora, le dissi io, il
Da Kempis è sempre ottima medicina allo spirito; mail
vostro avea dunque la febbre. » — « Che febbre ? » rispose
ella rizzatasi in piedi e tinta nel viso d' una fugace
fiammolina di sdegno. « Già io non posso non dirla co-
m' io r intendo, e sappiate che io non sono al tutto al
DEL FINITO IN RELAZIONE CON L'INFINITO. 157
tatto contenta di Leibnìzio. È un gran testone e un
ragionatore da sbalordire. Ma quando à ben bene con-
futato e sconfitto il Bayle, costui mi sembra piuttosto
sopraffatto che vinto e vibra ancora da terra delle stoc-
cate che guai se le arrivano. »
58. — Si rise da tutti gli astanti della faceta con-
clusione ed io ne risi più degli altri, e voltomi presta-
mente alla giovine, ridendo pur tuttavia le dissi : « Bel-
lissima Elena, or che pensereste voi di tal caso quando
sapeste che il Bayle tacque forse la più sicura e ga-
gliarda di tutte le istanze ; e d' altro canto riferendo
il sistema de' Manichei ne guastò il concetto ; o par-
lando più giusto, il concetto guastò del maestro loro
antichissimo e vale a dire di Zoroastro? Prova di que-
sta seconda accusa la raccoglierete da un libro che
io vi porrò in mano scritto da un diligente discepolo
di Anquetil du Pen*on. La istanza taciuta sono per
dirvela subito, quando non vi tedii ora di entrare in
simili filastrocche. * La giovine punta com' è naturale
da non poca curiosità e scordando a un tratto il pro-
posito suo di chiuder la mente ed il cuore a si fatte
investigazioni, « Su via, rispose, recitate ora voi la parte
di Arimane e di Satana. Forse vi tornerà men diflScile
che non sarebbe quella dì angelo. » E da capo rise la
brigatella quivi adunata e -disposesi con silenzio e pa-
catezza ad udirmi.
59. — « La obbiezione taciuta, ripresi io a dire, sa-
rebbe stata, per quel eh' io penso, un modo sicuro
d* invalidare l' affermazione continua del Leibnizio che
il male veniva permesso a cagione di essere egli in-
volto nel gran disegno del migliore dei mondi. Al che
dovea replicare il Bayle che se trattasi di mal morale
Dio poteva permetterlo unicamente come transitorio e
cosi ristretto nel danno quanto nella pena; di guisa
158 LIBRO SECONDO.
che quel disegno del migliore dei mondi non involgesse
la perdizione eterna ed irredimibile neppure di un
solo ente razionale e imputabile. In diverso caso è con-
tradittorio il dire che tal perdizione possa conciliarsi
con r ordine il quale attua il migliore dei mondi. E
per fermo, i precetti morali assoluti non sopportano
mai eccezione, perchè significano propriamente la so-
stanza medesima dell' ordine universale e perpetuo me-
diante cui la creazione perviene al possesso del mag-
gior bene possibile. Quei precetti, impertanto, esprimono
dalla parte nostra V economia stupenda e non mai dis-
solubile delle cose tutte quante a rispetto del bene;
ed esprimono ad intra, e cioè in risguardo di Dio, la
saggezza infinita la quale pensò quella eccelsa eco-
nomia e dispensazione di esso bene. Fa dunque ripu-
gnanza nei termini che Dio stabilendo il migliore or-
dine di, creazione contro venga a quale che sia di quei
precetti assoluti, e voglia appostatamente permettere il
mal morale per ricavarne il bene e sia pure un bene
infinitamente maggiore.
60. — » Ora a me sembra certissimo che non tor-
nando lecito all'uomo, per modo d'esempio, di afi9ig-
gere un innocente in aspettazione non dubbia di qual-
che somma utilità, né tampoco ciò debba essere voluto
da Dio per accrescere e spandere ogni dose di bene.
Del pari, se non è lecito all' uomo di oltrepassare nella
giustizia punitiva il paraggio tra i due mali della pena
e della colpa. Dio per sicuro non vuole e non può va-
licare cotesti termini. E se gli uomini sono chiamati
in colpa quando pensano di guadagnare il lor meglio
per mezzo delle altrui scelleraggini o comandate e pro-
curate 0 pur solamente permesse e non impedite, gli è
manifesto che la reità e perdizione piena ed intermi-
nabile d' un solo essere razionale e morale non dee
DEL FINITO IN RELAZIONE CON L'INFINITO. 159
mai comporre nemmanco tra le mani di Dio una con-
dizione di ordine dal quale scaturisca il maggior bene
del mondo. Perocché suona ed echeggia per tutti i se-
coli questa verità solenne ed irrefragabile che il fine
oon legittima il mezzo; e tanto è impossibile che il
bene rampolli dal mal morale, quanto che la retta ge-
neri il circolo. Dio è permettitore del mal morale, per-
chè questo aderisce pur troppo al libero arbitrio e nella
essenza del finito giace la necessità che il principio di
mutazione e d' innovazione delle anime non possa al-
tronde venir dedotto che da esso libero arbitrio, senza
parlare di altri profitti sostanzialissimi e nobilissimi
che la libertà porta seco.
» Oltre di che, la bontà divina fa il mal morale assai
circoscritto e soverchiato in immenso dall' abbondanza
del bene. E ciò nonostante, sarebbe contradittorio che
il mal morale, o la colpa che voglia dirsi, esistesse ac-
canto del bene semprechè ogni autore di quello noi
disdicesse e non l'emendasse o presto o tardissimo, e
però racquisti quando che sia la potenza e l' abito di
rettamente usare della libertà, e quindi raggiunga il
fine a cui venne creato e sia nei termini della giusti-
zia e della misericordia ammesso alla partecipazione
del bene. Ondechè ninna creatura imputabile perde,
ripeto, l'essere suo di fine e serve onninamente per
mezzo procacciando col male proprio perpetuo un in-
cremento di felicità ad altre creature. In quel cambio
egli medesimo partecipa a tale incremento dopo la
convenevole espiazione, e nonostante il mal morale da
lui prodotto.
VII.
61. — » Né si schermisca Leibnizio dicendo che bene
può r uomo nei confini della giustizia punire il reo e
160 LIBRO SECONDO.
dalla punizione ricavare il vantaggio comune. Il per-
chè Dio non controvenne ai precetti morali assoluti
traendo il massimo bene da un ordine di cose che im-
plica non già V oppressione dell' innocente ma la pena
del colpevole. Facile torna a rispondei^e, primo, che tal
pena prolungandosi nella eternità soverchia di certo
ogni proporzione con la finita malizia del reo. Secondo,
che la colpa commessa à per causa formale 1' arbitrio
abusato ma per causa prima efficiente il medesimo Dio.
E vanissimo sotterfugio è il dire con Leibnizio che (cito
le parole sue testuali) : — Si Dieu n'avait pas choisi le
meilleur monde ou le peché intervient, il aurait admis
quelque chose de pire que tout le peché des créatu-
res; car il aurait derogé à sa propre perfection la
divine perfection ne doit pas s'abstenir du choix du
plus parfait et que le moins bon enveloppe quelque
chose de mal. —
62. — » Vanissimo sotterfugio, ripeto, è cotesto, av-
vegnaché niente è peggio del mal morale assoluto, ed
è ripugnante volerlo porre per condizione d'un ordine
da cui sorga T ottimo di tutti i mondi, allorché Dio
stesso ci fa conoscere che 1' avversare qualunque pre-
scrizione della legge morale é direttamente contrario
all' ordine. Come dunque Dio permettendo la perdizione
finale di un qualche ente imputabile può far difetto
alla perfezione propria? la verità è nell'opposta sen-
tenza.
63. — » Quanto poi al trovato di alcuni scolastici che
la pena del mal morale è protratta nella intermina-
bilità del tempo a cagione che la volontà del dan-
nato rinnova in eterno la colpa sua ribellandosi ad
ogni momento contro Dio e i precetti morali, a me
sembra un concetto de' piìi paradossi ed orribili che
cader possano nella mente d' un uomo. E nulla cosa
DEL FINITO IN RELAZIONE CON L'INFINITO. 161
fa più oltraggio alla bontà infinita dì Dio quanto figu-
rare eh' egli abbia fornito di esistenza attuale un essere
capace di rinnovare in eterno la propria malvagità e
rinnovarla continuamente negando la evidenza della
verità, della bontà e della giustizia; essere inconcepi-
bile, assurdità reale e vivente, a fabbricar la quale ap-
pena si può intendere che torni bastevole la potenza
infinita, potenza adoperata a produrre un simile mostro !
64. — » Nemmanco si obbietti da taluno altro che
la legge morale assoluta è alla fine delle fini un punto
della libera volontà del Signore Iddio. Quindi ei la può
dissolvere e per lo manco non applicarla alle opere
proprie. Questo altro paradosso fu detto e scritto da
molti, e sarebbe una delle conseguenze del principio
cartesiano che Dio può volere che il quadrato sia me-
desimamente rotondo.
65. — » Non credo mi occorrano molte parole a sven-
tare cotale opinione stranissima; e lasciando di ricer-
care se il bene morale sia bene per sé ovvero perchè
Dio volle che fosse, egli mi sembra sufficiente il con-
siderare che Dio non contravviene ai suoi propri de-
creti i quali da ultimo costituiscono la essenza delle
cose. »
66. — In questo modo io mi provai di far discor-
rere il Bayle in confutazione delle confutazioni leibni-
ziane. E ancora che le parole abbondassero più del do-
vere e non sapessi svestirle di astrattezza ed aridità,
la cortese ascoltazione della giovine e degli altri pre-
senti non venne mai meno.
67. — Anzi, finito io di parlare, proseguì ancora
un poco il silenzio di tutti, non potendosi la mente
disciogliere così a un tratto di quella non lieve medi-
tazione. Pure, alla fine miss Helen, quasi riscossa
d' una visione alta e severa, fatto, come mi parve, al-
Uahiaiii. — li. il
162 LIBRO SECONDO.
quanto di forza a sé stessa, girò gli occhi rasserenati;
e accompagnando il lor movimento con un sorriso mi-
sto di dolce e di amaro : « Chi potuto avrebbe, mi disse,
reggere meglio la persona di Satana e porgli sulla bocca
argomentazioni più strìngenti e più seducenti? Rimane
di udir r altra parte; che la sentenza non è ancor data,
e voi siete in obbligo di fare che noi pronunziamo giù-
sto e imparziale giudicio. » — «L'altra parte che è quella
dell' angiolo, risposi io, s' addice a voi troppo bene e
tutti vi preghiamo di assumerla con onor vostro e onore
della causa.» Applaudì ognuno, e le sorelle segnatamente,
air ufficio proposto: né valsero alla giovinetta cento
maniere di scuse. All' ultimo come stracca del molto
insistere e del molto negare né accettava al tutto né
ricusava; e preso tempo a meditare intorno al soggetto,
levatasi in piedi, s' avviò verso il pianoforte, e quivi
con le sorelle insieme levò di seggio Leibnizio e pose
in luogo suo Donizzetti e Mayerbeer.
68. — Nel fatto sperava l' accorta giovine che gua-
dagnando tempo e succedendo accidenti diversi non
fosse tenuta a conversare e discutere pur da capo su
quel tema scabroso e geloso. Ma era in noi tutti una
voglia spasimata e poco discreta di udirla. Quindi ogni
tre o quattro dì le si veniva ricordando il carico mezzo
accettato; onde ella un giorno si risolvette di uscirne
a ogni modo, e rivoltasi a me con l' usata sua grazia
e vivezza incominciò a dirmi. « Sembra che voi vogliate
cogliere a forza il tristo piacere di discoprire quanto
il mio ingegno sia corto ed estesa la mia ignoranza. Ma
tal sia di voi e del vostro gusto non sano e non dilicato.
Io per isciogliermi dalla promessa meglio carpita che
fatta e meno significata che sottointesa esprimerò i miei
pensieri quali che sieno. Che poi non sono dottoressa
e non ò logorato i banchi di Oxford e di Cambridge.
DEL FINITO IN RELAZIONE CON L'INFINITO. 163
69. — » £ prima ; altra cosa è discorrere di tali mate-
rie con r uso della ragione ed altra con quello delFau-
tonta e con le parole della Bibbia. A me non tocca,
anzi non tocca a nessuno di noi entrare, come dite voi
Italiani, in sagrestia e definire il senso delle Scritture.
Quanto a ciò che possa conoscere la sola ragione, egli
mi sembra essere già gran tempo che la luce s' è fatta
perchè in proposito di moralità gli uomini non aspet-
tano le decisioni delle università e delle accademie, e
un istinto infuso, per mio giudicio, dall' alto precorre
air opera incerta e difficile della scienza. Voi mi deste
a leggere un libro in cui vidi con soddisfazione vivis-
sima che il concetto vero e consolatore della Teodicea
quale la veniste accennando per entro le vostre obbie-
zioni è antica di qualche migliaio d' anni, e mai forse
ne verrà trovato e descrìtto un simbolo piii evidente
insieme e più immaginoso di quello che Zoroastro con-
sonò ne' suoi librì ; di qualità che il Bayle, conforme
venne notato da voi, travisando le dottrine de'Battrìani
e convertendo Ormuz e Arìmane in due principj en-
trambo assoluti, fece torto a Zoroastro e al suo culto
e nocque eziandio alla forza delle negazioni ed oppu-
gnazioni da lui maneggiate. Perchè il senso comune, io
stimo, fuggirà sempre dal credere a due Assoluti e che
il bene e il male abbiano lo stesso peso e non giunga
né r uno né 1' altro a prevaler mai sulle bilance del
destino.
vin.
70. — » Ma già io mi sono troppo allargata nelle
astrazioni e parlo una lingua che non conosco ; e Dio
sa se adoperando vocaboli e frasi accattate da voi e
appiccicate con un po' di saliva alla mia memorìa non
164 LIBRO SECONDO.
mi venne succeduto di convertirli in istrafalcioni e
scambiare il nero col bianco e questo con quello. La
risoluzione dei dubj e la chiusura delle controversie io
la trovo sempre ne' miei libricciuoli da chiesa e nel Da
Kempis segnatamente. Ieri dopo lettone qualche capi-
tolo io mi sono sentita riconsolar tutta con queste pa-
role sgorgatemi dall' anima così sùbite così spontanee e
così impensate che avrei pur detto non essere mie ma,
quivi dentro pronunziate da uno spirito superiore: 0
padre celeste o padre nostro e dell'universo! In que-
sto nome soave in cui tu medesimo e' insegnasti di chia-
marti e di supplicarti è racchiusa una fede invitta nel
bene e nella tua finale misericordia.
71. — » Che se l'amore più tenero insieme ed eroico
degli uomini per li figliuoli loro è immagine poveris-
sima ed ingiuriosa della tua paterna dilezione inverso
le tue creature, nessun oltraggio possiamo commettere
peggiore e maggiore contro la tua santità di quello che
ricercare come e quanto ci ami e se v' à nel mondo un
essere solo di cui tu non sii sollecito e provvido per
tutti i secoli. E se tu, come disse il Redeator nostro di-
vinamente, vesti il giglio del campo con manto sì fatto
che quello non vi aggiunge del re Salomone e custodi-
sci e nudri del più confacevole cibo le nidiate degli uc-
celli, or che farai del genere umano, or che farai di
ciascuno di noi creato capace di adorarti ed amarti? E
che? La natura insegna a ciascuno dei nostri pargoli
a dormir sicuro e quietissimo sul lattante seno della
sua madre, e noi conoscitori per lume di ragione e per
lume di fede, conoscitori dico di questa verità irrefra-
gabile che Dio è bontà infinita, non ci addormente-
remo con altrettanto di sicurezza e di quiete nelle sue
braccia amorose e dubiteremo un istante solo che alla
fine delle cose ogni male non sia riparato, ogni cuore
DEL FINITO IN RELAZIONE CON L' INFINITO. 165
emendato e sulle ruine deir abisso non isventoli sola
e trìonfatrìce la bandiera del perdono e della miseri*
oordia?
72. — » Io sono profana, come porta la mìa età ed
il sesso, alle discipline astruse e severe e perciò anche
a quella che ò sentito chiamare filosofia della storia.
Ciò non pertanto ei mi sembra visibile che la stirpe
umana sia giù per li tempi venuta sempre così correg-
gendo come ampliando il concetto del provvedere di-
vino nel mondo, e più anno potuto appo lei la ragione
e la fede che l' esperienza attuale per giudicare il prin-
cipio, il mezzo e la fine dell' universo. Taluno e forse
voi medesimo, che ben noi ricordo, mi citaste a certa
«occasione il detto di Biagio Pascal che quanto si vede
e 8Ì sperimenta è di soverchio per farci credere a una
mente ordinatrice, ma non è abbastanza per dileguar
le dubbiezze. Con pace di quel sapiente, io giovine in-
dotta sento di rispondere che alla insufficienza notata
da lui supplisce abbondantemente la forza del razio-
cinio, e Cristo afiermando che V uomo vivesi d' altro che
di solo pane venne anche ad affermare che i giudicj
umani nudrir non si possono della notizia sola dei fatti.
73. — Certo è dunque, com' io dicevo, che la ragione
e la fede ci anno col tempo sovvenuti della luce loro di
guisa che la mente à sorvolato le molte e gravi miserie
onde siamo circondati ed afflitti ed à scorto con gli occhi
deir animo le certe e perenni armonie del creato e
quello che il Padre celeste ammannisce perchè il suo
regno discenda sopra la terra e la volontà di lui non
sia qui adempiuta meno che lassù nelF empireo. Ma
queste cose non potè indovinane il mondo che a poco
per volta. Quindi le prime religioni furono terribili e
le genti commosse più da paura che da speranza ado-
rar(Hio con tremore un Dio geloso dei castighi e delle
166 LIBRO SECONDO.
vendette. Oggi impera senza contrasto la religione
d' amore e i castighi convertonsi in purgazione non già
in perdizione. E se la colpa conviene espiarla, dacché
il male genera male e da questa legge non può sot-
trarci nemmanco la potenza divina, la eternità è lunga
abbastanza per abbracciare e sopravanzare ogni ter-
mine più afflittivo e più esteso di risarcimento e ri-
sorgimento morale. »
IX.
74. — Così parlò e conchiuse la bellissima giovine,
e gli effetti che produsse nell' animo nostro la sua na-
turale facondia non narro; può di leggieri indovinarli
il lettore. Oltreché è tempo di tagliar fuori ogni inci-
dente non necessario e raccapezzare il filo delle nostre
meditazioni. Per ciò, seguitando V uso da me introdotto
nel primo Libro, faremo luogo a certo numero di afo-
rismi, e vale a dire alle annunciazioni più positive so-
stanziose ed universali che può la scienza raccogliere
intomo al proposito il quale nel presente Libro si é di
additare ed esprimere le attinenze più rilevate tra il
finito e l'infinito.
75. — Nel primo Libro parve il finito quello che é
nella sua nudità e impotenza e figurata a noi con imma-
gine troppo acconcia dalle tenebre e lotte del caos. E
ancora che mai il caos non abbia esistito perchè il Verbo
divino echeggiò sempre negli abissi del creato, non però
di meno ei bisogna pensarlo continuamente per avere
d' innanzi agli occhi il giusto concetto della finità delle
cose e quindi conoscere la natura del male e gl'impe-
dimenti e i ritardamenti che incontra per ogni lato la
divina mentalità. Ciò tutto abbiam domandato una
sorte di remozione del mondo creato da Dio; perché
DEL FINITO IN RELAZIONE CON L'INFINITO. 167
se, giusta la frase del Vico, il mondo creato ritorna a
Dio, è da giudicare che in qualche modo ei se n' era
scostato. Ma il Vico aggiunge che il mondo creato so-
stiensi in Dio, e vale a dire che nel fatto non può
dilungarsene e per la bontà e sapienza divina supera
la insufficienza propria e a grado a grado raggiunge
il fine relativo e il fine assoluto.
76. — Saranno, impertanto, gli aforismi infrascritti
un' opera continua di riscontro e ragguaglio tra le con-
dizioni immutabili e incorreggibili del finito, il fluire
incessante e diverso di tutte le possibilità e l'azione
eccelsa della potestà sapienza e bontà infinita, la quale
preordina le cagioni seconde in maniera da produrre il
portento universale e perenne (;he mentre esse cagioni
opa*ano il tutto e l' oceano dei possibili inonda e cre-
sce e si diversifica senza mai limite, Y ordine delle
combinazioni adatta e converte ogni cosa alla parteci-
pazione del bene.
CAPO QUARTO.
AFORISMI DELLE PlC GENERALI ATTINENZE
DEL FINITO CON l' INFINITO.
Aforismo I.
77. — Poiché il finito non può mai in modo asso-
luto essere uè uno né semplice; e mai non può riuscire
né perfetto, né a sé sufficiente, né generale, né indi-
viso, l'infinito della potenza causale suprema dfsco-
presi nel far comparire in ogni dove l' indefinito, e cioè
quella moltiplicazione, varietà, diversità e combinazione
168 LIBRO SECONDO.
di esseri alla quale non è assegnabile mai un termine
estremo ed ultimo. Perchè, se il finito non può scio-
gliersi mai da qualunque specie di limite, nondimeno
à facoltà di rimoverli di più in più ; e se questo può,
certo la bontà e sapienza infinita vogliono che ciò ac-
cada delle volte innumerevoli. Quindi è da pronunziare
che in Dio è l'infinito, il finito è in qualunque cosa
particolare, l'indefinito è in qualunque forma del mol-
teplice.
78. — Indefinita è perciò la divisione della mate-
ria, indefinita la sua espansione o moltiplicazione che
dir si voglia ; né il microscopio rinviene l' ultima mo-
lecola mai né il telescopio l'ultima materia stellare.
D' altri indefiniti quasi a dirsi interiori dell' essere
parleremo a' debiti luoghi.
Afobismo II.
79. — E perchè nello spazio in qualunque tempo
determinato la materia dee constare di parti nume-
rabili, il che importa che siano finite, e farle infinite
come pensarono i cartesiani è contradittorio, perciò la
indefinita moltiplicazione loro accade per successione e
l'atto del creare non cessa giammai. Supponendo che
cessi, abbiamo una efficienza infinita e una infinita
possibilità che si fermano di qua dai termini della re-
cettività del finito e senza che ciò provenga per lo di-
vieto della necessità logica o metafisica che la si chiami.
80. — La moltiplicazione adunque della materia pro-
sane incessabilmente di là dai confini attuali, come
oceano sempre più vasto e ponendo in essere reale di
mano in mano la virtuale capacità dello spazio, come
altrove fu dichiarato.* Di quindi pure la formazione
* Vedi Appendice, I.
DEL FINITO IN RELAZIONE CON L'INFINITO. 169
di nuove stelle e nuovi sistemi solari ; sebbene ei com-
pongano ordini mondiali indipendenti da tutti gli altri
quanto tutti gli altri da essi ; e però da ultimo sono
composti più là dei termini estremi dell'attrazione e
influenza degli ordini di già esistenti. Se questo non
fosse, o i moti disordinerebbero non essendo circoscritte
da ninna parte le loro perturbazioni, ovvero cessereb-
bero al tutto per la infinita collisione d' infiniti moti
diversi e continui. Tattavolta può taluno dei vecchi
sistemi per effetto di movimenti iperbolici e dopo bi-
lioni di secoli entrare in qualche comunicazione coi
nuovi. Solo si avverta che questo medesimo non esau-
risce r indefinito dello spazio né del possibile né della
moltiplicazione. Il perchè bisogna compire mai sempre
il nostro concetto col figurare sistemi separati e inco-
municabili, non si volendo attribuire alle parti della
materia una virtù attrattiva infinita.
81. — Ciò, come vedesi, costituisce uno dei principj
solenni della nostra cosmologia il quale debb' essere
così annunziato : La creojsioììe non è infinita^ ma neppure
à fermi cotifini perche è incessante ed interminabile.
A.
82. — Intendiamo assai bene che alle menti vol-
gari paia duro di ammettere questa creazione continua
di materiali sostanze, e ricorderà forse per obbiezione
il convincimento comune che V ultimo fondo della ma-
ìffrìsL in mezzo ad ogni maniera di cambiamenti né
cpesce né cala d'un solo atomo.
83. — Pur nondimeno, se ben si guarda, questa
creazione incessante à qualcosa di necessario; perché
mentre è impossibile la infinità vera e assoluta della
materia, lo indefinito suo incremento, come si disse
170 LIBRO SECONDO.
poc' anzi, risponde solo al flusso non mai esausto
della efficienza divina. D' altro lato, la comune persua-
sione teste ricordata non riceve eccezione ne offesa
veruna dal nostro pronunziato. Perocché i subbietti
materiali o nuovi od antichi sono se^mpre uguali e me-
desimi ciascuno nella quantità propria; e i nuovi ap-
pariscono di là da tutti i confini de' nostri mondi.
84. — Oltreché, nessuno, stimiamo noi, può negarci
a ragione l'arbitrio di fingere che il nostro globo nel-
l'andare di molti secoli aumenti di qualche poco la pro-
pria materia per quella copia considerevole di areoliti e
di bolidi che cascano via via sopra il suo dosso. E nui-
lameno, nessuno giudicherà che la materia del nostro
globo muti ed alteri in nulla il quanto d' ogni suo com-
ponente; perocché le nature essenziali non mutano e
nelle condizioni essenziali della materia entra eziandio
un quanto determinato.
B.
85. — Quello che affermiamo della materia si deo
pensare che accada per qualunque altra natura di ente.
Perchè Dio medesimo sebbene può moltiplicare all' in-
finito ciascuna specie di cosa, tuttavolta noi può fare
in istante, perocché in ogni istante il numero, per im-
menso che tu lo ponga, à il suo termine fermo e pre-
ciso. Ogni numero adunque, allargandosi con la succes-
sione e non altramente, domanda il flusso perenne della
creazione. Così diremo incessante la creazione e mol-
tiplicazione degli enti spirituali e in genere di tutte le
sorte di esistenze che non risultano dall' operare e com-
porre delle cause seconde, ma sì movono immediata-
mente dall' atto creativo. Certo é che il senso comune
non istima di avvenirsi in un paradosso allorché gli
DEL FINITO IN RELAZIONE CON L'INFINITO. 171
si afferma l' ipotesi del cominciare il nostro spirito in-
sieme col nostro corpo. Tutto adunque comincia e mol-
tipllca, e tutto prosegue altresì a durare nella perpe-
tuazione del tempo.
C.
86. — Né questo moltiplicare senza termine dei
subbietti simili si contrappone alla massima professata
da noi, che qualunque sorta d' indefinito attinge la
TÌrtù sua dal vero infinito e non può essere atto delle
cause seconde ne posto e ricavato unicamente dal fondo
loro. La moltiplicazione qui discorsa non è di atti e
modi, ma sibbene di subbietti e move appunto imme-
diate dalla efficienza delP infinito.
Afobismo ni.
87. — Ugualmente non si potendo dal finito rac-
chiudere r uno e il tutto con pienezza intera e sem-
plicità perfetta di essere come succede all'infinito, Dio
pose nella creazione divisamente e spezzatamente quella
pienezza di essere, e vi originò il diverso e nel diverso
altresì distese V indefinito.
88. — Però, dopo avere la mente nostra pensato a
tutte quelle differenze di mondi che serbano qualche
relazione di attività o passività presente o possibile col
mondo che conosciamo od intravediamo, è necessario
sforzarla ad immaginare altri sistemi indefiniti d' altre
creazioni alienissime dalla nostra natura spirituale e
corporea e quindi assolutamente diversi da noi e dal
rimanente mondo visibile.
89. — Né perché tutte quelle specie di mondi sono
infigurabili a noi ed inconoscibili dobbiamo giudicare
172 LIBRO SECONDO.
che non sussistano. Per lo contrario, la esistenza loro
è provata dalla certezza dei nostri principj : ne altra-
mente si può combattere la illazione da questi ritratta
se non definendo le necessità metafisiche per le quali
debbono venir ristagnate le fonti del possibile e 1' efl&-
cienza divina debbe restarsi come dire a mezzo del-
l' opera ; e se è disposta e capace di moltiplicare il si-
mile non è altrettanto del diverso. Certo le fantasie
nostre indovinano meglio V indefinito del primo che
del secondo. Ma debbono oggimai sapere i cosmologi
che di là da ogni indovinamento nostro v' è ancora un
oceano in cui la mente dee compiacersi di far naufra-
gio. Ogni altro concetto rimansi di qua dal punto
« Dov' Ercole segnò H suoi riguardi >
e sono i termini veramente ultimi della scienza.
A.
90. — La mente si riposa nel simile, e si sgomenta
del diverso che la divide e affatica. Ma la natura ob-
bedisce forse ai bisogni di nostra mente? Il diverso è
dapertutto e piii frequente e abbondevole che noi non
vorremmo. E mi sembra credibile assai che quando
r uomo fosse fornito d' un qualche senso oltre i cinque
ora posseduti, un mondo novissimo ed inopinato gli si
farebbe manifesto e quasi direbbegli: io ti stava pur
vicino e tra' piedi e tu nuUameno non mi vedevi.
91. — Ma per la ragione notata il diverso sfugge
più di leggieri alle nostre considerazioni e supposizioni.
Mettiamo caso che i fisici pervenissero con degli spet-
tri stellari a riconoscere in tutti gli astri visibili le
sostanze medesime che sulla faccia della terra, ei mi
sembra certo che i dotti avrebbono per. indubitato la
materia universa essere dapertutto composta degli eie-
DEL FINITO IN RELAZIONE CON L'INFINITO. 173
menti medesimi. Invece se ne dovrebbe solo ritrarre
che di quegli astri ciò che è conoscibile a noi mediante
la luce e le nostre esperienze torna simile ai compo-
nenti del nostro pianeta. Ma possono rimanere colà
infinite cose diverse; e perchè diverse, rimanere aliene
ed inaccessibili alla nostra scienza.
92. — Del resto, sembra che nel caso da noi esem-
plificato la smaniosa voglia di trovar V unità non sia
per essere soddisfatta; perocché mi vien riferito che
r esperienze del Donati sugli spettri stellari fanno con-
cludere per contrario fra gli astri una gran differenza
di elementi.
Aporismo tv.
93. — Ripetiamo che l'infinito è l'uno ed il tutto
assoluto. Ma il finito come non può essere il tutto nel
senso della contenenza infinita, così nemmanco nel
senso del contenente. E ciò che chiamiamo totalità e
universo risolvesi in un concetto, come s' usa dire, sub-
biettivo e in qual cosa di nominale ; nel modo che
certa somma di unità disgregate chiamiamo il tutto
di quelle sebbene esistano fuor del pensiero in islega-
mento e separazione compiuta.
94. — ^NuUameno, un simulacro di vera totalità e
d'infinito universo lo abbiamo nello spazio che è,
come si spiegò altrove, un subbietto comune e sem-
plice d' indefinite estensioni ; e forma nullapiù che
un segno e un' immagine del gran contenente divino
0 che tu il chiami divina immensità ed onnipresenza.
E forse di tali simulacri della contenenza suprema e
infinita ve n'à più specie nel creato e di cui per
altro non ci è lecito d' indovinare né la natura né i
modi.
174 LIBRO SECONDO.
A,
95. — Perchè dunque il divei-so nella creazione non
moltiplica meno del simile e la sua flussione è perpetua
ed inessiccabile, occorre che i cosmologi piglino abito
di simboleggiare la creazione come un complesso d' in-
numerevoli sfere tutte pari di grandezza e tutte con-
centriche sebbene diverse nel contenente e nel conte-
nuto. E se tu fingi una sfera di magnetismo, uguale e
concentrica ad una sfera di luce e ad un' altra di calore
e ad un'altra ancora di ossigene, e di più sopprimi
per astrazione le somiglianze che anno fra loro e solo
badi alle differenze ed in ciascuna di esse sfere ecciti
^n moto diverso, tanto che quella giri da occidente ad
oriente e questa al contrario, e un' altra dal mezzo
giorno al settentrione ed un' altra ancora per traverso
giusta il piano dell' ecclittica e va' così proseguendo, tu
acquisterai forse un' idea lontana non però falsa di
quel tutto della natura in cui s' intersecano (se è lecito
dire) ma non s'impacciano innumerevoli mondi diversi.
•
Afobismo V.
96. — Però, se dentro al creato non può capire
l' unità e la totalità, procedente dalla pienezza sem-
plice ed assoluta dell'essere, rimane di ricercare se
possa per lo manco apparirvi la unità e totalità re-
lativa di organamento. E qui è subito da giudicare
che se domandasi organamento la coordinazione di
cose diflferentissime e quelle serie innumerevoli di
mezzi e strumenti le quali o da lontano o di presso
0 per diretto modo o per indiretto cospirano in qual-
che maniera e grado all' adempimento del fine comu-
ne, ei si vuole affermare che la creazione tuttaquanta
DEL FINITO IN RELAZIONE CON L'INFINITO. 175
compone un sistema immenso e maraviglioso entro cui
sussiste r uno e il tutto insieme congiunti, V unità,
Tale a dire, del fine e la totalità smisurata ed etero-
genea ma pur concordata ed armonizzante degli esseri
strumentali e degli altri i quali partecipano ad esso
fine. Salvochè questa a così chiamarla unificazione
finale ed istrumentale dei mondi diversi è visibile
pur solamente agli occhi di Dio. Noi possiamo pen-
sarla ma non definirla, e le unità e totalità che an-
diam raccogliendo sono sempre circoscrìtte e parziali,
conforme sarà dimostrato più avanti.
A.
97. — Io non mi posso tenere a questa occasione
dal considerare che mentre V efficacia degli strumenti
ottici e una più matura meditazione allargano ogni dì
da vantaggio i termini delF universo e da per tutto si
scorgono segni di moto e trasmutazione e segni di or^*
ganamento e di vita e per conseguente di animazione,
intelletto e moralità, possa farsi innanzi una scuola
di metafisici e cosmologi con proposito di ricondurre i
pensieri umani alle angustie e grettezze de' primi tempi
quando la scienza della natura non pò tea dar che
vagiti e la cullavano piacevolmente le tradizioni vol-
gari e la poesia, e quando i filosofi sperimentali, se pur
re n' erano, imitar dovevano a forza il fanciullo che
tutto paragona e misura da sé medesimo e crede sa-
lendo sul monte vicino di toccare il cielo col dito.
d8. — Ora cotesta scuola ritoma a dire che la ma-
teria siderale variamente diffusa e gli aggregamenti pur
variatissimi di stelle nebulose ed essi gli astri maggiori
disseminati e scintillanti per ogni dove non sono altra-
mente dei Soli somiglievoli a questo nostro e mondi e si-
176 LIBRO SECONDO.
sterni mondiali in via di composizione ovvero pervenuti
al colmo di lor fattura, ma sono invece la inerte materia
neir essere meno concreto e dove regna nuli' altro che
la immobilità e la ripulsione. Di tuttoquanto l' univer-
so visibile al telescopio il sistema nostro solare à unica-
mente pregio e importanza, e in questo il solo pianeta
nostro contiene la vita e qui unicamente la general
natura trascorsa per gli momenti intermedj piglia co-
scienza di se medesima e diventa spirito dentro alle
membra organizzate dell'uomo che è fine ed apice
della creazione. Così sulle orme di Aristotele e di To-
lomeo questo atomo vagante che domandasi terra
torna a farsi centro di tutte le cose, e i cieli gli gi-
rano intorno come cortigiani fedeli e le stelle benché
inutili sono soddisfatte dell' onore di stenebrargli un
poco le notti non allunate. Sebbene egli potrebbe ac-
cadere che il firmamento sparisse un bel giorno, non
essendo ora un momento necessario alla vita dello
spirito ; e me ne dorrebbe assai per le sprecate fatiche
del Piazzi, dell' Inghirami, del Capocci e di parecchi
Tedeschi, i quali travagliansi da lunghi anni intorno al
catalogo delle stelle già incominciato da Ipparco e
non potuto ancora venire al suo compimento. Vero è
che r Hegel afferma essere proprio della natura che i
momenti astratti e particolari sopravvivano,' per cosi
parlare, al fine a cui già servirono. Gran mercè del-
l' avviso. Ma perchè, a dirla come la sento, non leggo
nell'opere sue nessuna ragione buona e apodittica di
quella persistenza, e parrebbemi anzi più logico che si
dileguassero nel modo che sono dileguati i momenti
geologici da cui è sorta l' organizzassione attuale, mi
è forza di rimanere con qualche inquietudine, non sa-
pendo giusto quello che potrebbe succedere disparendo
a un tratto tanti milioni di stelle.
DEL FINITO IN RELAZIONE CON L' INFINITO. 177
99. — Ma fuor di celia, ei mi sembra una neces-
sità infelice quella degli Hegeliani di dovere abbassar
l'universo per innalzare l'uomo e deificarlo; simili
in cotesto a certi monarchi'! quali sopportano che
loro si scemi lo stato purché vi regnino da padroni
assoluti.
AroRiSMo VI.
100. — Dopo il simigliante e dopo il diverso" viene
il misto di entrambi; e di tal misto debbe uscire una
sorta d'indefinito non minore degli altri. Che anzi,
come non si può concepire un essere che altro non
sia che purissima identità la quale in ultimo si ridur-
rebbe ad un' astrazione e a qualcosa di afi^atto indeter-
minato, così deesi affermare che per ordinario dentro
le essenze finite accade il temperamento* del medesimo
e del differente. Il perchè alloraquando si parla di esi-
stenze al tutto diverse intendesi ciò d' un intero ordine
di creazione o d'un intero mondo che tu tei chiami
paragonato ad un altro alieno e separatissimo. Con-
ciossiachè dentro ciascuno di essi, ragguagliando gli
enti in fra loro, si troverà in parte molto divario e in
parte molta conformazione. Allo stesso modo qualora
parliamo di moltiplicazione esatta dei simili si può
intendere, e cosi intendesi per ordinario, che quella
moltiplica/ione consista nel replicare le cose uguali
r una inverso dell' altra tanto per ciò che anno di va-
rio quanto per ciò che anno d'identico.
101. — Questa mescolanza adunque del differente
e del simile nei fiuiti è certissima, e per le ragioni
adotte più volte ella verrà compiendosi nella natura
in tutte le guise per tutti i gradi in ogni condizione,
atto, qualità, elemento e accidenza di essere. Né quindi
Mahuri. — 11. 13
178 LIBRO SECÓNDO.
nella natura si trapasserà mai da una essenza deter-
minata ad un'altra, quando non sieno avanti esaurite
tutte le varietà di genere e specie a lei relative, e cioè
a dire ogni temperamento possibile del medesimo e del
diverso; e ciò non meno negli individui che nelle se-
gregazioni e composizioni di questi.
#
Afobismo Vn.
102. — Perchè poi ciascuno ente finito ancora che
ricco di attribuzioni à bisogno di serbare tra esse certa
omogeneità di natura (Libro Primo, Capo Quinto,
§ 195) e volendo egli applicarle con efficacia al di
fuori bisogna che operi o intorno al simile o intorno
al diversb contemperato col simile ; e infine perchè
r ottima delle dilatazioni pel finito è di organare le
cose intorno di sé né si può organarle senza introdurre
certa unità nelle parti e nel tutto, per ciò consegue
che negli ordini di creazione in cui regna certa cospi-
razione speciale di mezzi e di fini tanto che sembrano
comporre un mondo compiuto e dagli altri diviso, il
simigliante è più universale e quasi a dir più comune,
perché meglio s'adatta alla forma dell'unità.
A.
103. — Di quindi in tutta la natura corporea la si-
miglianza o, per dir meglio, la identità nelle condizioni
più sostanziali, e intendesi l'estensione, la figura, la im-
penetrabilità, il moto, la forza motiva, la divisibilità,
l'attrazione, l'elasticità e forse altre. Quando poi ta-
luno pensasse che ognuna di attribuzioni si fatte da sé
non regge ma legasi a tutte le altre per necessità di
essenza come nel circolo ogni segmento di curva toma
DEL FINITO IN RELAZIONE CON L'INFINITO. 179
necessario per farlo esistere, io non vorrei contraddire;
dacché nella più parte di esse attribuzioni tale carattere
della necessità sembra manifesto. Nulla meno, la legge
di cui discorriamo si lascerà scorgere agevolmente in
altre forme più ristrette di essere. Nei metalli, per via
d'esempio, quello che è maggiormente comune è al-
tresì più sostanziale. Seguono in ristretto numero le
differenze speciali e non attenenti alla essenza, come la
fluidezza nel mercurio, la friabilità nell'arsenico.
Il guaio sta che l' uomo s'inganna non rado nel
riconoscere la sostanza e sceverarla dagli accidenti, e
spesso ne giudica appunto da ciò che è comune e non
viceversa; ma di questo altrove.
B.
104. — Scrive Aristotele che quanto la cagione è più
universale tanto à maggiore efficacia; perchè la infe-
riore cagione non è tale se non per virtù della supe-
riore.
Questa universalità causale riducesi, come vedem-
mo altrove, al comune e al simigliante delle cose che
in fatto sembra più sostanziale e profondo del diverso
e del vario. Il comune, adunque, o come talvolta è
chiamato, l'identico non è maggiormente cagione, ma
opera in molti più individui e sempre mostrasi impli-
cato e presente nei modi speciali e particolari, i quali
appariscono in minor numero d' individui ; e non ope-
rano in ogni luogo ed in ogni tempo. In tutti i corpi,
per via d'esempio, manifestasi la gravitazione; la so-
norità soltanto in parecchi. E méntre un corpo senza
gravitazione non può sussistere, date le leggi attuali
della materia, può molto bene mancare di sonorità. E
perchè domandiamo natura ed essenza d'un genere
180 LIBRO SECONDO.
tutto quello di cui non può difettare nessun individuo
di esso genere, così nell'esempio nostro diremo che la
cagione della sonorità non è universale né sostanziale
siccome V altra del peso. Ma non ne seguita come vuole
Aristotele, che le cagioni diverse e particolari piglino
V efficacia loro dalle cagioni eh' egli nomina universali
e noi diremo di somiglianza e medesimezza. Jl per tor-
nare all'esempio addotto, la sonorità non dipende dal
peso ovverosia dall' attrazione di massa.
105. — Questo confermi la nostra sentenza, che la
logica aristotelica intorno alla categoria di causa è bi-
sognevole di innovazione e riforma da capo a fondo.
Aforismo Vili.
r
106. — Per fermo, .una sorta d' indefinito più alto, e
però una immagine meno scadente della divina infinitu-
dine, apparisce nell'intelletto umano che spazia per en-
tro la immensità delle idee, visita tutti i seni del mar
della scienza, scandaglia i pelaghi dell' arte né si sgo-
menta di ricercare gli abissi medesimi della perfe-
zione di Dio. Ma tale indefinito, come procede dàlia
congiunzione immediata della mente con Dio e però
trascende il principio della natura e l'opera delle cause
seconde, così è convenevole di parlarne in disparte
quando ve^à il subbietto di quel ritorno maraviglioso
della creazione inverso del Creatore.
A.
107. — Giova però di notare a questa occasione
qualmente ogni fatto ed ogni esperienza umana con-
templata in idea diventa materia d' interminabili re-
lazioni pure in idea contemplate. Gò eziandio ne ri-
DEL FINITO IN RELAZIONE CON L' INFINITO. 181
vela come V indefinito nascondesi in ogni parte della
natura; perchè di quelle possibilità discoperte in idea
è del sicuro attuato nelle cose effettive un numero
molto maggiore che l' esperienza non può insegnare. E
per addurre un esempio, solevano gli antichi geome-
tri abbattendosi a vedere una forma nuova di curva
esibita agli occhi loro da qualche accidente, esporne,
come dicevano, la teoria esprimendone gli elementi e
i rapporti in modo astratto e generale. Ma trovato di
poi quel metodo più alto e sicuro di rappresentare e
calcolare per cifre algebraiche ogni quantità in modo
diretto e maggiormente astratto ed universale, fu pure
trovata una formola compendiosa e agevolmente ap-
plicabile, mediante cui si ottiene la teoria di qua-
lunque specie e maniera di curve e cioè a dire di quasi
influite. Ora, appena mi si lascerà credere che nei
mondi innumerevoli disseminati pel fìrmaiAento qual-
cuna di quelle possibili curve sia rimasta esclusa dal-
l' atto.
108. — Aggiungasi che ogni realità finita à per lo
certo maggiori attinenze altresì reali con le cose circo-
stanti di quello che si stima o s' indovina da noi.
Concludiamo che lo infinito della potenza divina tra-
luce per ogni parte della natura e le fantasie nostre
anno corte le ali a seguirne le tracce.
Afobismo IX.
109. — Dopo ciò entra in mezzo il domandare se la
creazione esaurisce tutti i possibili o con altri termini
se le infinite determinazioni dell' eflicienza divina tra-
passano air atto, e se non vi trapassano tutte, quali
rimangono escluse e perchè. Noi già toccammo di que-
sta materia. Ora cogli aforismi ne discorriamo con
182 LIBRO SECONDO.
più rigore di deduzione. E prima, s'intende che l'efl5-
cienza divina pareggia la infinitudine propria non
mai fuori di sé stessa ma nelle perfezione del proprio
essere. Al che badarono poco Giordano Bruno, Spinoza
ed altri di simil pensare, allora che riguardando uni-
camente alla infinità della causa sostennero con fer-
mezza che quando l'effetto non si stendesse agli estre-
mi confini della fattibilità si rimarrebbe inferiore e
sproporzionato al principio suo; e quella fattibilità
intesero che non avesse limite alcuno ; e mentre par-
lavano del fattibile, e cioè di cosa contingente e che
principia ad esistere, nondimeno la unificarono per
ogni verso con Dio.
HO. — Ricaddero qui nella perpetua ed immanente
contraddizione del loro sistema, volendo che il finito sia
tale e non sia nel tempo medesimo; e perchè infinita
è la natura naturante e una sostanza medesima gira
secondo essi nella natura naturata, pretesero questa
ultima uguagliare all' altra, e così di necessità si av- *
vennero nel doppio assurdo o di fare infinito il finito
0 di dare limiti e contingenza al fondo de)la natura
che ne' sistemi loro è l' essere stesso divino. Né bada-
rono d' altra parte che la possibilità ideale, converten-
dosi con la infinita pensabilità, è necessariamente una
e semplice ; laddove i possibili attuati sono un molte-
plice; e mentre nella pensabilità divina giacciono essi
fuori di spazio e di tempo, vanno quaggiù spezzandosi^
in innumerevoli enti secondo le leggi della successione e
della impenetrabilità. Ora, come non v' à misura nes-
suna tra r uno e il molteplice, tra il finito e l' infinito,
rimane certo che 1' effetto ad extra dell' efficienza di-
vina non può uguagliar la cagione per ampio e im-
menso che paia e per moltiplicarsi che faccia in tutta
la lunghezza dei secoli.
DEL FINITO IN RELAZIONE CON L' INFINITO. 183
111. — È mirabile a dirsi come la infinità del possi-
bile si maDifesti al pensiere per ogni dove ed in ogni cosa
e dapertutto sopravanzi d'immensurabile intervallo la
finita realità. Ecco noi ci avveniamo in certo numero
determinato di metalli e di metalloidi; e sebbene ci
fallisce la facoltà d' immaginare il diverso di altre spe-
cie d* entrambi gli ordini, nuUameno ei se ne conce-
pisce fssai nettamente la possibilità. Poniamo cbe esi-
stano il altri pianeti o in altri sistemi solari. Ma che
per ciò? l' opera della concezione nostra non Vi si feima;
e quanlo anche si pensi all' indefinijp dei mondi at-
tuali e futuri, noi ci troviamo sempre al medesimo
punto. Conciossiachè la mente chiede a sé stessa per-
chè qudle in numerabili specie non sono replicate in
ciascun pianeta, considerato che tal concetto non à
nulla di ripugnante in sé stesso. Adunque la possibi-
lità ideae oltrepassa il fatto mai sempre con la di-
stanza ddr infinito ; cosa alla quale dovea^ur pensare
GiordanoBruno, quando volle che la materia e le for-
me naturili e i mondi fossero effettualmente infiniti.
Afomsmo X.
112. — D'altro canto, debbo affermarsi, come fu
espresso aJrove da noi, che una-cagione infinita vuole
almeno rienpiere tutta la capacità del finito e che però
i possibili vogono effettuati di mano in mano così nel
quanto com nel quale con varietà indefinita e senza
mai termine La quale proposizione, parlandosi in ge-
nere, debbo accettarsi per vera ed esatta.
A
184 LIBRO SECONDO.
jM'orismo XI.
113. — Non però di meno, se per formare un con-
cetto ossìa un possibile ideale basta la remozione delle
contradittorie, altre condizioni sono richieste per at-
tuarlo nel tempo. Vero è che a rispetto della potestà
e sapienza infinita quelle condizioni risolvonsi nella
compatibilità delle essenze. La Chimera, la Gorgone
e simili fantasie non sono concetti contradittorj ma il
fatto loro racchiuderebbe incompatibili essenze e ciò
torna all' ultimo ad una reale contraddizione rei ter-
mini; come se taluno, per grazia d'esempio, vaJa pen-
sando ad un corpo il quale sia grave e leggieiD, com- '
posto e semplice elastico e non resistente.
A. I
I
I
114. — La scienza umana, pur così incerta eristretta
com'è nel conoscere le essenze e necessitata di muo-
versi dietro i sensi e l' esperimento nella notzia delle
cose di fatto, giunge nullameno assai volte j scoprire
che tal natura non può èssere compatibile con tale
altra ovvero tal qualità con tale accidenfe. Ben è
vero ch'ella è costretta nel più dei casi di accettare
un certo ordine di cagioni e di atti senza ^der chia-
ramente il perchè. Ma conosce poi in moó assoluto
e per sola virtù discorsiva che, presupposto qielF ordine,
certi fatti e certi altri anno con esso una onvenienza
0 disconvenienza compiuta ; e la" seconda, prchè com-
piuta, è ancora inemendabile. Così data la natura fe-
rina e l' umana, subito vedesi che in niunamaniera se
ne potrebbe fare meschianza ; perocché og;i specie di
corpo organato vive per certa unità uscent dalla con-
DEL FINITO IN RELAZIONE CON L'INFINITO. 185
sonanza delle parti col tutto; e però quando il princi-
pio unitivo è sostanzialmente diverso, il voler mescolare
runo con l'altro diviene ripugnante, come accadrebbe
nel sapposto della Gorgone che à serpenti per capel-
liera, e del Centauro che è mezzo uomo e mezzo cavallo.
Nel Centauro sono due organizzazioni, guasta%;iascuna
e interrotta, quindi senza unità e quindi non potrebbero
supplire a vicenda quello che manca ad entrambe.
115. — Gontuttociò di niun altro genere di portenti
si è compiaciuta più volentieri 1' antichità quanto di
questi mostri biformi, e ninna cosa le è apparita
quasi a dire più facile quanto le metamorfosi delle
sostanze e le trasmigrazioni delle anime. Il che pro-
venne, per nostro giudicio, dalla cognizione troppo
scarsa di quello che statuisce e mantiene la unità or-
ganica, e cioè di quella corrispondenza e omogeneità
delle parti col tutto che rende possibile tale vita in
tali membra. E per fermo l'antichità, laddove conobbe
distintamente il bisogno dell' unità e della medesi-
mezza, fece tacere la fantasia e pose freno e legge ^Ue
stesse favole e allo sbizzarrirsi delle leggende. Così
accadde che ravvisandosi la necessità d'un principio
spirituale imparabile e identico, non si dettero* al cen-
tauro due anime o tre a Gerione; e Proteo stesso, tut-
toché simboleggi il principio trasmutabile universale
della natura, nondimeno è sempre lui sotto qualunque
forma e trasfigurazione; e se Dafne convertesi in lau-
ro e le Kche in uccelli; sotto la scorza dell'arbore
vive e sente l'anima di quella fanciulla, e sotto le
penne uccelline piangono le Piche la loro temeri-
tà. Per lo contrario, a convertire le navi d'Enea in
ninfe bisogna aggiungere a quelle un' anima e così
dar loro un principio unitivo e una immortale mede-
simezza.
186 LIBRO SECONDO.
Aforismo XU.
^16. — Tutte le vere essenze, adunque sono attua-
bili e sono vei*e tutte quelle in cui non cade ripugnanza
di fatto ;^e ciò néll' intrinseco di ciascun essere sem-
plice come in ciascuna composizione. Se noi poniamo
che r oro o* il calcio sia semplice e in ogni molecola
sua identico, e se reputiamo il simile del fosforo ov-
vero dello zolfo, ei non si può concepire un subbietto
impartibile che sia zolfo ed oro o fosforo e zolfo; seb-
bene il calcio, per via d' esempio,- e il fosforo facciano
insieme molte maniere di composti. Dato poi una tale
natura di cosa incomposta e una tale altra, rimane di-
mostrato ch'elle non possono entrare in composizione
e combinazione con tutti gli esseri, ma sì veramente
con quelli Che serbano qualche convenienza misu-
ra ed analogia con l' indole propria. Chiunque per-
tanto andrà immaginando composizioni e combinazioni
fuori di cotal cerchia, figurerà V impossibile o ciò che
torna a un medesimo porrà insieme delle essenze ri-
pugnanti.
117. — Noi definimmo nel Libro anteriore il perchè
il subbietto intimo di qualsia sostanza rimane sepolto
per sempre alla mente umana. E però nei casi parti-
colari non riesce alla nostra scienza d'indovinare il
come da un certo subbietto uscir debba piuttoso tale
forma di atto che tale altra e questa qualità ed attri-
buzione e non quella. Dapoichè la qualità e l'i atto sono
visibili, il sostrato invisibile ; e tuttoché 1' atto ci sem-
bri una espansione della forza e la qualità una espres-
sione della natura della sostanza, l' omogeneità e me-
desimezza perfètta fra entrambe i termini nessuno la
scorge. Kd anzi in parecchi casi ancora che abbia a
DEL FINITO IN RELAZIONE €0N L' INFINITO. 187
su^stere T omogeneità, non può sussistere medesimezza
e Togliam dire parità e somiglianza compita. Guarda
al volere al pensare e al riflettere umano ; guarda al
rammemorare e all'immaginare; ei non sono atti simili
e identici, e nondimeno sono tutti cei'ta espansione
dell' attività nostra impartibile ed una compiutamente.
118. — Ma lasciando ciò stare, noi ripetiamo che seb-
bene non sia lecito alla scienza umana di assegnare
a priori tale qualità, potenza ed attribuzione a tale
subbietto, ciò s'addice troppo bene all'atto creativo;
e però è da concludere che quante unioni sono possibili
di atto e potenza, di qualità e sostanza, tutte esistono
od esisteranno in futuro. E si affermi il simigliante
né più né meno delle compodizioni e combinazioni dei
subbietti in fra loro.
119. — Adunque, il nostro giudicio terminativo in-
torno al proposito sarà pur questo che l'indefinito della
creazione si allarga incessantemente nella immensità
dei compossibili. Ma badi il lettore che il prefato vo-
cabolo è qui assunto nella accezione sua rigorosa e lo-
gica ; considerato che per noi sono compossibili tutte le
unioni di atto e potenza, di qualità e subbietto esenti
da ripugnanza e tutte le composizioni e combinazioni di
esseri separati che similmente non ripugnano nella na-
tura degli elementi. Laonde noi distinguiamo il possibile
dal compossibile soltanto a rispetto di nostra mente. At-
tesoché non è un medesimo per l'intendere nostro il pen-
sabile ed il fattibile; e talun concetto ne può apparire
esente d'implicanza e però possibile, mentre nella con-
cretezza del fatto riuscirebbe a se medesimo ripugnante.
La voce, dunque, compossibile suona per noi dififeren-
temente che pel Leibnizio, al quale apparivano compos-
sibili unicamente le cose che convenivano al gran dise-
gno del migliore dei mondi ; diseguo scelto in fra mille
188 LIBKO SECONDO.
altri possibili e pretendenti tutti all'onore dell' esisten-
za, conforme usò parlare quel metafisico. E insomma,
per noi riesce impossibile ciò meramente che non può
sussistere in se né in unione con altri; laddove per
Leibnizio alle impossibilità reali debbonsi aggiungere
eziandio le morali.
A,
120. — Provenne forse da tale opinione troppo an-
gusta che fecesi Leibnizio del compossi bjle ch'ei si trovò
impacciato fuor modo a spiegare come le essenze pre-
ferite nella creazione del migliore dei mondi respingano
e combattano le innumerevoli altre degli altri mondi,
mentre non si scorge ombra d'incompatibilità nella
serie infinita dei termini schiettamente positivi; e fu
sempre detto e creduto in filosofia che le realità non
si contraddicono. Di questa maniera taluno censurò
il sistema leibniziano affermando che quivi i possibili,
considerato ogni cosa, sono la più parte imponibili.
121. — Noi manteniamo invece che i veri possibili,
o chiamandoli più giustamente i fattibili, trapassano
tutti air esistenza del mondo creato. Ma sì conviene
distinguerli e sceverarli dai meri pensabili. E solo per
ignoranza l'uomo giudica gli uni e gli altri ugualmente
possibili ; 0 forse si può difendere la stessa umana ap-
pellazione, avvisando che nei pensabili è notata unica-
mente la possibilità negativa o logica e però s',intende
che la rimozione della ripugnanza nei termini leva quivi
ogni impedimento alla fattibilità se questa si concilia
col fondo intero delle realità pensate da noi; e vogliam
dire, se le categorie necessarie ed effettive dell' essere
vi stanno tutte d'accordo. Intanto i pensabili sono asso-
lute verità come le astrazioni ideali e i concetti negativi
DEL FINITO IN RELAZIONE CON L' INFINITO. 189
e simili enti di ragione, e cioè a dire che rappresentano
punti parziali e attinenze distanti /> vicine d' alcuna
positiva e distinta determinazione dell' Assoluto.
122. — Nel modo che in Dio i concetti formano una
sola infinita idealità o verità, le distinte determinazioni
della efficienza divina (fonte e sede dei possibih) si ri-
solvono in un solo infinito d'onnipotenza; e certo è die
di questo infinito una parte sola, se" è lecito così par-
lare e vogliam dire l'indefinito che si spande nel tempo,
trapassa ad extra alla sussistenza; e questa sola, a di-
scorrere con rigore, è propriamente possibile; e quelle
determinazioni della efficienza divina cui mancherà <
sempre Tatto di esistere ad extra non convenevolmente,
per nostro avviso, piglierebber quel nome.
Ma perchè la possibilità loro è piena dal lato della
cagione infinita e l'impediménto proviene dal di fuori
e giace nelle limitazioni invincibili del finito, così è pre-
valuto l'abito di accomunare l'appellazione medesima
ai pensabili quanto ai fattibili ; e a noi sovviene che nel
primo liibro della ontologia producemmo la prova d' una
infinita possibilità; né al presente ci vogliamo ricredere.
Considerato che quivi la possibilità infinita è sinonimo
esatto della infinita efficienza. Intanto, sembra che
ninno possa ritorcere contro noi 1' accusa fatta al Loib-
nizìo; perocché nessun possibile vero è giudicato da noi
impossibile; e vero lo domandiamo a rispetto nostro
quando è fattibile. In altra maniera, egli si rimanp,
come dianzi notammo, un concetto di cosa attuabile
solo in risguardo dell'infinita efficienza che non à li-
mite alcuno per sé, e la quale debbe mai sempre ve-
nire avvisata nella originale e indefettibile sua libertà
190 LIBRO SECONDO.
di condurre all'atto le cose finite; perchè Dio è perpe-
tuamente nel prin\p atto del suo esistere.
AroBisMo XIII.
123. — Ignorando noi le intime essenze degli enti
creati, ci è forza d' ignorare altresì il punto dove inco-
mincia la fattibilità loro. Perchè i sensi umani non
sono più che cinque, e i colori e le note musicali non
più che sette? E lo spazio à sole tre dimensioni? A
ciò confessiamo di non saper dare alcuna risposta scien-
tifica, e sembra che neppure Hegel si arrischi di darla
tuttocTiè presuma di ben sapere la essenza d'ogni
qualunque cosa di cui possiede la idea. Vero è che
intornoi ai colori ed alle note musicali e' insegna
per compenso notizie novissime ed inopinate, siccome
questa, per via d'esempio, che i colori sono il risulta-
mento della scambievole immedesimazione della oscu-
rità con la luce, e della luce con la oscurità; né que-
sto secondo termine è quivi assunto come sinonimo
della nerezza che è pur colorata ; essendoché il filosofo
stesso ci avverte che il color nero è solo la oscurità
materiata e specificata. Consente di poi che il verde
è colore composto della mescolanza del turchino col
giallo, e ricorda le singolari trasmutazioni di colore
variamente operate dagli acidi e variamente dagli al-
cali. Salvo che io pretendo che in difetto dell' espe-
rienza l'uomo avrebbe ignorato per tutti i secoli che
' il color verde si generi dal mescolamento di due altri
colori, e il mercurio si tinga di vivo scarlatto a un certo
grado di caldezza e combinandosi collo zolfo. 0 perchè
l'Hegel abbandona molte di queste cognizioni alla
scienza empirica? Invece avrei giudicato che sapere
quali sono i colori primitivi e semplici e quali i com-
DEL FINITO IN RELAZIONE CON L' INFINITO. 191
posti apparteilga di ragione a colui che dei colori dice
coDOscere l'essenza e la deduce a priori,
124. — Intorno alle note musicali non curandosi
egli di scoprire perchè sieno sole sette e non più, ci
rc^la in quel cambio della notizia assai pellegrina che
nel modo che la materia a rispetto semplicemente del
suo esser pesante risolvesi da ultimo in luce, cosi la
j)esantezza o materia specificata che s' abbia a dire si
risolve prima in suono e quindi piiì compitamente in
calore. Chi non vede naturalissima ed anzi necessaria
la metamorfosi della pesantezza in luce e della sono-
rità in calore? Ed affine di chiarir meglio ancora la
essenza del suono e farla più intelligibile col discreto
uso dei tropi, Hegel aggiunge che il suono è il grido del-
l'ideale che trionfa della opposizione della forza esterna
e dimora identico sì nel conflitto e sì nel trionfo.
125. — Quanto alle dimensioni dello spazio, v' à in
geometria la dimostrazione che un punto non potrebbe
essere intersecato fuori che da tre linee rette e diverse.
Ma quando io non pigli eVrore, tale dimostrazione con-
ferma non più che il fatto delle tre dimensioni.
AroRiSMo XIV.
126. — Inteso il possibile come sinonimo del fatti-
bile se ne possono ritrarre conseguenze al tutto con-
trarie. Perocché ignorandosi dall'uomo la ragione es-
senziale ed originaria della fattibilità delle cose può
taluno soverchiamente ristringerla ed altri soverchia-
mente allargarla. Fonderebbesi la sentenza del primo
sulle necessità ed insufficienze da noi registrate nel
primo Libro di questa cosmologia e sul fatto speri-
mentale che nel mondò a noi conosciuto rinveniamo
una sola specie di ente razionale e morale e nella
192 LIBRO SECONDO.
materia non molti più di cinquanta pritcipj semplici
0 forme originali di esseri che s' abbiano a dire. Il che
proverebbe essere indefinita la creazione nel quanto
ma non nel quale. E ciò indurrebbe alla mente un
concetto assai restrittivo della immensità del creato,
e quasi porrebbe in forse lo indefinito ascendere nostro
nella varietà e moltiplicazione del bene. Al quale
ascendere non par sufficiente la dilatazione nel quanto^
e la reiterazione del simile.
127% — A cotesti pensieri così rispondiamo. La espe-
rienza nostra intorno ai principj semplici non va più
oltre di questo globo, il quale è minima parte non pure
dell'intero universo ma di ciò che diventa visibile ai
nostri occhi. Intorno poi all' essere razionale e morale
giova il considerare che le cause seconde, come altrove
fu notato, non pervengono all' attuazione di quello
senza apparecchi e filiere assai lunghe e difficili, pe-
rocché in lui è un principio semplice insieme e dotato
di facoltà diverse e mirabili ed è predisposto da um
lato a coniugarsi con la materia, dall'altro a potersi
unire con la infinita idealità e ricevere dentro se altre
sorte d'influssi divini. È manifesto adunque che l'ente
razionale e morale di cui ragioniamo non è forma
come a dire primitiva ed elementare, ma tiene luogo
nella natura d' un alto e molteplice risultamento e
troppa gran parte ne raduna in se e compendia. La-
onde quello che nell'uomo si scorge sarà indovinato
per tutte le creazioni complesse e veramente sintetiche
della natura, le quali né possono avere intorno di sé
molta copia di specie analoghe né immensamente mol-
tiplicare come alle specie inferiori succede.
128. — Altro concetto accade di fare circa le forme
estremamente più semplici e quali posson fluire dalle
tre fonti abbondevoli descritte da noi del simile, del
DEL FINITO IN RELAZIONE CON L' INFINITO. 19P»
diverso e del misto fra le due. Imperocché capace
dell'esistenza è qualunque subbietto qualificato co-
!neches8ia e contenente alcun grado di attività o pas-
sÌTità. Né le limitazioni ed insufficienze da noi regi-
strate nel libro antecedente difficultano l'apparire e
raoltiplicare inmenso di que' subbietti ; considerato che
sebbene impotenti e d'ogni parte stremati pur nondi-
meno possono esistere; e in generale, la reiterazione
loro emanando direttamentente dall'atto creativo debbe
senza contrasto distendersi nella successione del tempo.
Altra cosa é poi il lor convenire e disconvenire reci-
proco ed altra le composizioni e gli organamenti che
possono uscirne, e di ciò discorreremo nell'aforismo in-
frascritto.
Afobismo XV.
129. — Può taluno per opposto venir divisando cho
le essenze incompatibili ricordate piìi sopra riduconsi
ad alcuna contraddizione o interna all'essenze od ester-
na, e vale a dire riduconsi a certe essenze falsamente
«•oncette nel loro intrinseco, ovvero ne' rapporti loro
immediati. Avvengaché io mi contradico ad attribuire,
\ìOiììB,mo caso, ad A quello che è proprio della natura
di B; e similmente mi contradico a voler comporre un
tutto di A e di B, se le forme loro non furono predisposte
a immedesimarsi. Laonde parlandosi degli enti creati
è lecito di asserire che le cose le quali non sono fat-
tibili, nettampoco sono pensabili, o con più esattezza
non sono pensabili scansando per ogni lato e per ogni
rispetto la ripugnanza logica. E se avviene il contrario
o sembra avvenire, ciò accade perché noi pensiamo i
concetti il pili del tempo senza definirli o con definizioni
nominali ed insufficienti. Nel vero, poniamo ad esempio
Mixuiii. — II. 13
194 LIBRO SECONDO.
che si definisca l'organismo dei corpi animati e sen-
sibili dicendo che sono certa corrispondenza delle parti
col tutto da costituire delle une e dell' altro una
sola unità. Ciò fermato, ei si converrà definire il Cen-
tauro allegato nell'aforismo XI, un organismo ani-
mato e vivente composto di due unità ed anzi di due
unità dimezzate; il che fatto, vedesi per ciascuno che
il concetto del Centauro non è propriamente pensabile
tuttoché sia capace di rivestirsi di fantasma e pigli
figura speciale e ben contornata.
130. — Seguita che si riconfermi il detto qua ad-
dietro, e cioè nessuna realità contradire se stessa (»
le altre; quindi tutte sono fattibili. E quindi ancora
viene il cercare come possa introdursi ordine ed ar-
monia perfettissima in questo quasi infinito di realità
d'ogni sorta, e in cui le più vili cose quanto le più
pregiate e non meno le strane e deformi che le bellis-
sime e così le più inerti ed inutili quanto le maggior-
mente operose e feconde debbono esistere.
Cotesta è la difficoltà in buon argomento fondata.
Cerchiamo con raziocinio pacato e rigoroso la risolu-
zione del nodo.
AroBiSMO XVI.
131. — Quello che insino a qui fu esposto s' attiene
meramente alla onnipotenza divina a rispetto della
quale ci occorre d'immaginare un oceano quasi infi-
nito di esseri che cresce e dilatasi per altri tre grandi
oceani delle fatture somiglianti, delle differenti e delle
miste. Ora conviene pensare a quello che opera in tale
immensità e diversità di esistenze la mente increata e
r amore infinito del bene. E per ciò comprendere con
qualche chiarezza e in maniera meno disacconcia all'al-
tezza inaccessibile del subbietto. ci accade di ricordare
DEL FINITO IN RELAZIONE CON L' INFINITO. 195
]a nostra comparazione delle lettere dell' alfabeto git-
tate a caso in un mucchio, e le quali di poi collocate a
debito luogo pigliano varia e connessa significazione
ed esprimono tutte insieme o V Iliade o la Georgica
0 quale altra composizione onora di vantaggio l'umano
intelletto. Se non che, fa bisogno d'immaginare im-
mensa ed innumerevole la diversità e la replicazione
di que' caratteri e piuttosto che al nostro alfabeto
conviene meno impropriamente ragguagliarli alle cifre
de' Cinesi, a cui basta appena la vita per tutte saperle ;
ma sopra ogni cosa occorre di pensare che di quel gran
pelago di lettere è cavato fuori un eterno volume che
supera di tanto la sapienza di Confucio e di Lao Tseo
quanto lo spirito di Dio sopravanza quello di esse due
creature. Puossi anche far paragone degli esseri elemen-
tari ed originali alla tavolozza dove fossero senz' arte
adunati i colori d' ogni ragione e tutte le mestiche loro,
e delle quali il genio di Raffaele ricava la Disputa
del Sacramento e il Miracolo della Trasfigurazione.
132. — Diciamo adunque che la sapienza infinita
decretando che dentro iLCaos nascesse l' ordine, tutte
le cose accostaronsi a tutte le altre omogenee, e queste
nature che qui cozzavano con coteste, là più lontano,
per modo di discorso, quetarono in compagnia di altre;
e come in mano dell' abile musaicista ogni pietruzzola,
per disadatta che sembri, piglia acconcezza e signifi-
cazione nel luogo ove è posta, così nel creato presero
tutti gli enti significazione e valore dalla convenienza
del composto nel quale entrarono e dalla proporzione
e reciprocazione de' loro atti. E ciò che in principio
non potè stare congiunto né dispiegare le insite forze,
ottenne di farlo apparendo più tardi e appresso a
molti apparecchiamenti e trasmutamenti. Perocché
convien ricordare che se l'atto creativo è uno ed eterno.
196 LIBRO SECONDO.
gli effetti suoi crescono incessantemente nella lunghez-
za del tempo e crescono pure altrettanto le rispon-
denze e gli adattamenti delle cose in fra loro.
Afobismo XVIL
133. — Né mal fu chiamato Iddio da Platone il
gran Demiurgo, o fabbro che s'abbia a dire, con questo
divario dalle nostre fabbricazioni che a noi, è impos-
sibile di creare la materia di nostre macchine ed è
impossibile altresì che, compiuto V ordigno e più ge-
neralmente il lavoro, alcuna parte della materia non sia
scartata come disacconcia o guasta o sovrabbondante od
inutile. E troppo radamente accade eziandio che la ma-
teria con le sue forme naturali soddisfi all'intendimento
dell' uomo tanto che l' opera di lui consista nel solo
adattarle e coordinarle al proposito. Anzi ciò avviene
unicamente nella infanzia primissima di ciascuna indu-
stria fabbrile, e quando le spine de'pesci servono di qua-
drello al selvaggio e le mura ciclopee sorgono e si pro-
lungano mediante il combaciamento che pone il caso
tra le figure dei greggi pietroni. In cambio di ciò, l'opi-
fice eterno in questa macchina portentosa dell' universo
non perde nulla della materia ; conciossiachè nulla non
vi è inutile; e le forme vi sono adoperate quali ap-
punto uscirono dal seno della efiicacia suprema; ed
anzi, a parlare con espressioni meno improprie, le for-
me si cercano scambievolmente e si adattano sotto lo
influsso della divina mentalità; in quel modo che noi
vediamo nelle officine dei chimici compiersi le lente
precipitazioni dove ogni molecola s' adatta alle rima-
nenti secondo il suo peso specifico e le leggi di affinità.
134. — Sebbene non ci paia molto profonda nel
generale la significazione dei miti e volentieri asseu-
DEL FINITO IN KELAZIONE CON L' INFINITO. 197
tiamo al Vico che non vi si debba riconoscere nessun
arcano di scienza riposta e sublime; tuttavolta ci ri-
corre alla mente quell'allegoria d'Anfione e d'Orfeo
i qaali al suono della lira scorgevano i ^assi del Ci-
tepone andarsi movendo é accostando e del loro adat-
tamento risultare la cerchia di Tebe. Che certo non
M può significar meglio il prodigio della coordinazione
itegli enti la quale fu vera armonia, ed anzi è T ar-
monia santa e perenne che mai non cessa di risuonare
in qualunque parte dell' immenso creato. E se vollero
i poeti Orfici rappresentare con quella favola l' accoz-
zamento degli uomini e qualmente nelle città per
l'euritmia naturale dei varj uflScj e studj civili cresca
e prosperi la comunanza delle famiglie e la partecipa-
zione del bene, egli è da avvertire che V intero universo
è la grande città di Dio dove non pure le forme razionali
e morali ma tutte le forme della natura si accostano
e si combinano ed esce di tutte loro quella consonanza
))erfettiva e stupenda la quale è copia esattissima
della prestabilita armonia che fa concento eternale,
^e permettesi questo parlare, nella mente di Dio.,
135. — Non è poi dubioso che questa coordinazione
M tutto come principio d'ogni bene non fosse divinata
da Empedocle quando per prima efficienza della na-
tura nominò l'Amicizia e dir volle la conformità delle
essenze in fra loro; e un concetto poco diverso sem-
brami uscire dalle più vetuste teogonie e cosmologie,
la fatto, Parmenide sentenziava che Amore fu il primo
fra tutti gl'Iddii; ed Esiodo che dopo il Caos appar-
vero la Terra ed Amore.
136. — Segno queste antiche divinazioni a prova che
la nostra Teodicea pretende soltanto al pregio di met-
tere in maggior lume e sotto l' impero del raziocinio i
più vecchi adagi del senso comune. E come potrebbe la
198 LIBRO SECONDO.
mente umana avere aspettato le tarde e penose inve-
stigazioni dei metafisici quanto al concetto salutare e
fondamentale del prò vedere divino?
Aforismo XVin.
137. — Adunque ciò che fu domandato armonia del
mondo provenne primamente dalla armonia ineffabile
delle perfezioni divine. Perchè tanto l' onnipotenza am-
pliava e diversificava il gran fiume dell' essere, altret-
tanto la saggezza increata sceglieva a ciascuna cobr
il luogo il tempo le accompagnature le occasioni gli
incontri le necessità gli stretti legami ed i sciolti le
relazioni propinque e lontane ; di qualità che ne usciva
alla fine una consonanza e un accordo col tutto. Di
quindi poi la bontà e l' amore infinito traevano la
massima partecipazione del bene al numero massimo
di creature compiendo le maraviglie dell'ordine con
la maggior meraviglia di accostare a sé con infinito
richiamo l'anime razionali e morali, conforme verrà
dimostrato nel Terzo Libro e negli altri.
138. — Da tutte le quali virtù e impressioni dell'atto
creativo procede la forma intera del mondo che è unica
e sola perchè nessun' altra è possibile; conciossiachè
qualunque altra non esaurirebbe o nel quanto o nel
quale l'indefinito delle cose ovvero ommetterebbe al-
cuna combinazione e rispondenza di esseri, e cioè a
dire che non esaurirebbe del pari l'indefinito della
sapienza. Quindi quella forma è necessariamente ottima,
o Dio la produce fuori di sé non per atto di elezione
uè comparando fra loro innumerevoli idee di mondi
possibili, ma sì operando congiuntamente con l'infinito
della potenza della sapienza e della bontà insino al
termine estremo della recettività del finito. Di là dalla
DEL FINITO IN RELAZ/ONE CON L'INFINITO. 199
quale non resta più nulla di possibile e d'attuabile e
però non resta materia veruna da trascurare o da sce-
gliere.
A.
139. — Ciò diflFerisce, e mi sembra a ragione, dai
concetti del Leibnizio, secondo i quali Dio somigliava
poco indebitamente ad un Principe che postosi innanzi
vari disegni e ingegnosi di qualche nuova città da
fondare, computato bene ogni cosa, attiensi da ultimo
il quello in cui le incomodità e gli sconci sono minori
e per contrario sono maggiori le magnificenze e gli
abbellimenti. Nel che non solo accostò di soverchio
r operare divino all'umano, ma sentissi astretto a con-
fessare che innumerevoli possibilità rappresentanti
forme positivissime giacessero inattuabili e come non
degne dell' esistenza, la quale esclusione in fondo riesce
a dire che elle sono false possibilità. Ma per nostro
giudici© nessun altro limite si può concepire all'at-
tuazione delle diverse nature di cose salvo che il com-
parire spartitamente nel tempo (essendo l'infinito in
.itto non possibile al mondo) e il comparirvi senza mai
termine, sebbene tale flussione incessabile mai non
adegui Pubertà sconfinata della efficienza divina.
140. — Ma obbietterà forse taluno che di cotesta
«efficienza le determinazioni essendo infinite e pur do-
vendo passare all' atto con successione debbo in ciò
«*ssere ordine e però una specie di preferenza e di scelta.
141. — Per lo certo, noi rispondiamo, debbevi es-
sere una ragion sufficiente dell' anteriorità e posterio-
200 LIBRO SECONDO.
rità neir attuazione. E questa in ciascuna sfera dienti
è senza fallo la ragione dell' ordine, e cioè a dire ciu*
ciascun ente speciale in essa sfera o mondo diverso ed
originale apparisce nel tempo e luogo acconcio alla
sua natura e alle correlazioni sue con l'intero create»
e dopoché le cagioni seconde compiettero i convenevoli
apparecchiamenti. Ciò tutto si opera con solo un atte»
impartibile della potenza e sapienza suprema, onde*
ciascun possibile nasce in quell'ora e in quell'accom-
pagnamento che porta la necessità della propria es-
senza ; e nascere in altro modo sarebbegli ripugnante :
dapoichè in quella essenza sono definite eziandio le
relazioni particolari anzidette.
AroRisMo XIX.
142. — Una è dunque, ripetiamo, la idea e il di-
segno di tutto il creato ed una la possibilità sua. K
tutto il male che vi si scorge e l' altro che forse^ vi
esiste, ancora che non visibile a noi, proviene da due
supreme necessità ricordate parecchie volte. La prima,
che la finità tragge seco certa dose e sostanza di mal
positivo e non solamente negativo e il quale circonda
gli umani beni come quelle frange di confuso colore
che contornano quasi sempre un poco le più limpide
lenti de' gran telescopj. La seconda necessità dimora
nella essenza del bene, il quale essendo suprema forza
ed attività, debbono le cose finite appropriarsela a
grado a grado, combattendo e vincendo le insufficienze
naturali ed ingenite.
A.
143. — Ma perchè il finito à sempre capacità del più e
del meno e di tal condizione non dee potarsi spogliare
DEL FINITO IN RELAZIONE CON L' INFINITO. 201
in nessuna sua amplitudine, sembra altresì ritornare
la istanza che vuole le forme deir ordine deir universo
creato e finito dover essere molte ed anzi innume-
revoli e tutte egualmente possibili. Laonde Leibnizio
avrebbe dato nel segno non pure nel suo concetto di
attribuire a Dio il proposito di effettuare l'ottima di
quelle forme, ma sì nelP attribuirgli la contemplazione
e cognizione di tutte e quindi un atto di preferenza e
di scelta.
144. — Questo, al nostro parere, è un fermarsi di
soverchio ad osservare i finiti in sé stessi e ciò che
ruomo vi opera intorno, il quale, dovendo starsi con-
tento a certa picciola quantità di oggetti usabili e
([uindi a certo computo delle migliori o peggiori com-
binazioni in fra essi, non intende di leggieri quello che
avvenga nella mente di Dio a cui il tutto è presente
e il tutto è operabile allo stesso modo. V è dunque
idrca al creato una sola possibilità innanzi agli occhi
divini nella quale ogni altra è compresa e dalla quale
risulta la forma ottima dell'universo. E tale possibi-
lità si è appunto tutto quello infinito di potenza e sa-
pienza congiunte e cooperanti che non supera il capi-
mento e la recettività del finito. Laonde se a riguardar
le cose dal sotto in su elle compariscono relative in
ogni lor punto di prospettiva e soggette sempre a sce-
mare od a crescere, invece a guardarle dal colmo della
efficacia e providenza divina debbono radunarsi tutte,
al certo, in un solo concetto e in una sola possibilità
che è l'indefinito di tutti gl'indefiniti, ed è la crea-
zione del simile del diverso e del misto quanta e quale
si può distendere nello sf)azio e nel tempo e in altri
contenenti non misurabili se altri ve n'à e sono possibili.
145. — E che tale pienezza di creazione risponda
senza fallo al migliore di tutti i mondi fu mostrato
202 LIBRO SECONDO.
un poco più sopra; e basterà qui ripeterò che vera-
mente quanto la onnipotenza divina moltiplica e varia
le specie positive degli esseri altrettanto abbonda Tart^ì
provvidissima, a così chiamarla, del moltiplicare e va-
riare le convenienze gli adattamenti e gli appresta-
menti delle cose; il perchè da un lato il bene parte-
cipabile trascorrendo per ogni grado ascende ognora
più verso il massimo, e d'altro lato il male non ri-
movibile della finità passando di mano in mano per
tutti i possibili decrementi va stremandosi di vantag-
gio senza che io osi dire s' egli verrà costretto giammai
nei soli e nudi termini della privazione, che varrebbe
come divenire un astratto e però non sensibile e non
effettivo in guisa veruna.
146. — Così è risoluto il dubio se v' à un solo
esemplare del mondo creato o se molti. E diciamo con
Platone che Dio ne vagheggiò uno solo eterno bellis-
simo e il più somiglievole a lui.
Aforismo XX.
147. — Bellissima al certo e somiglievole a Dio è
la creazione. Tuttavolta convien ricordare che la so-
miglianza è parzialissima e ristrettissima e sempre vi
gittano ombra le condizioni e necessità del finito; e
delle quali (più volte il dicemmo) sembrano scordevoli
i metafisici nella cui mente rimane salda quella falsa
proposizione del Cusano il mondo universo essere un
Dio contratto. Xè pensano che tutto ed intero l'universo
(corporeo in quanto tale non à veruna simiglianza con
Dio, e non ne à veruna il moto, che è pur cagione od
effetto 0 concomitanza di tutti i fenomeni fisici. Ma
lasciando ciò stare, egli è ben sicuro che immaginando
che l'infinito possa precipitarsi fuori di sé e raddop-
DEL FINITO IN RELAZIONE CON L' INFINITO. 20o
piarsi quasi nel mondo, la cosmologia è fatta entrare
in un labirinto d'incongruenze dove non appare uscita.
148. — Nell'ultimo scorcio del secolo decimosettimo
r eruditissimo Ledere ingaggiò battaglia col Bayle
sotto finzione di far parlare ed argomentare un Ori-
genista. Disse la libertà venir conceduta all' uomo per
dargli campo di meritare premj immortali; e se pre-
varica, la providenza e bontà di Dio aspettare il suo
pentimento il quale succede alla fine; e quindi tutte
le creature o innocenti o ripentite ascendere in ultimo
al regno dei cieli; e le pene d'espiazione sofi*erte, quali
cbe sieno, tornare a poca entità in comparazione del
l)ene che mai non finisce.
149. — Rispose il Bayle tremendo pugilatore, che
valeva meglio non dare all' uomo la libertà posto che
dovesse fruttargli prove e danni così dolorosi, ovvero
valeva meglio di situarlo immediate nella condizione
degli angeli che anno virtù senza vizio e libertà senza
traviamento. La bontà divina, impertanto, fece difetto
dacché non volle quel che poteva. Così il Bayle; ne
fu confutato da alcuno che noi sappiamo. E ciò che
avesse arbitrio di replicare Ledere sotto abito di Ori-
{genista non sappiamo. Ma la cancellatura compiuta
che fa la sdenza degli argomenti del Bayle è la qui
infrascritta.
AroBiSMo XXL
150. — Sieno dunque come tu vuoi ragguagliati gli
uomini agli angioli; la , providenza e bontà di Dio è
sempre in difetto, perchè vi sono o possono essere altre
nature più eccelse di quella degli angioli, e Dio non
à voluto investirne gli uomini e nemmanco gli angioli
suoi ufficiali. Oh perchè (ricercandovisi non più che un
204 LIBRO SECONDO.
atto di buon volere) non convertirli tutti in Ormussi,
inferiori al solo ed unico Iddio nella perfezione e nella
}X)tenza? e qualora si aggiunga che la nostra specu-
lazione concepisce qualcosa di più alto e perfetto di
Or musso, noi manteiTemo costantemente che da cotesto
^rado sublime di possanza e felicità dee cominciare
r ascensione nostra nel bene e non guari da alcuno
dei termini anteriori.
151. — Vedesi da ciò chiaramente che quando fer-
miamo r occhio nel solo infinito della potenza e della
bontà di Dio come non vi può entrare limite nessuno,
qualunque grado esterno determinato riesce, per sì dire,
ingiurioso a quella potenza e a quella bontà.
152. — Invece la creazione, fu dichiarato in prin-
cipio, è una conciliazione stupenda e perpetua delle
necessità del finito, descritte da noi lungamente, con la
esuberante efficacia della potenza, sapienza e bont^i
del supremo artefice. La risultante, a parlare coi ma-
tematici, è r indefinito di tutti gU indefiniti nella forma
e progresso che la meditazione e l'esperienza c'inse-
gnano.
153. — Ciò solo che non può sussistere in cotest' or-
dine di creazione si è il mal morale assoluto e vogliam
dire le infrazioni d'alcun precetto assoluto della legge
morale convertite in mezzo od in condizione del bene.
Perocché ciò, conforme venne dimostrato, include una
manifesta contraddizione ; e piuttosto che trarre in
mezzo le infrazioni di cui si discorre, avrebbe Dio
ottimo massimo lasciato giacere il mondo nel nulla.
154. — Tutto questo chiarisce e compie la tratta-
zione del Capo antecedente circa il progresso della
Teodicea.
DEL FINITO IN RELAZIONE CON L' INFINITO. 205
Afobismo XXn.
155. — Si affermò per addietro essere necessaria
che le cause seconde facciano tutto, volendoai che al
fine del bene pervengano, dacché il bene apparisce
nell'attività e per essa nell'appropriazione. Ma, ciò
presupposto, egli sembra che noi chiudiamo la fonte
d' una specie particolare d'indefinito e cosi restrin-
giamo senza ragione l' immenso àmbito del possibile.
Qui si accenna come il lettore indovina a tutto quello
che Dio può nelle cose operare immediatamente, pi-
gliando dalle cagioni seconde o nulla o il solo sub-
bietto e le sole occasioni. Di tal guisa intendevano il
negozio e spiegavano la natura gli occasionalisti di
Francia. Ma se non pigliamo errore massiccio chiaro
concetto non si formarono essi di questo operare di-
vino nelle sue fatture. Dio può crear nelle cose imme-
diatamente o le loro qualità e modi o le loro azioni
e passioni o semplicemente promover le une e le altre.
In fine, Dio può far esistere innumerevoli effetti da
lui operati ma per lo strumento e il veicolo d' un agente
finito.
156. — Ora le qualità e i modi creati dentro i sub-
bietti non sono appunto ciò che opera Iddio preordi-
nando tale natura di cosa e tale altra e fornendo
ciascuna di esse delle convenevoli condizioni e dispo-
sizioni? Ciò adunque che pensano e presuppongano gli
occasionalisti tanto vale quanto far ripetere V atto di
creazione ovvero condurlo ai suoi compimenti in più
tempi, quasi Dio non potesse ad un sol tratto consu-
marlo od avesse alcuna cosa posta in dimenticanza.
157. — Quanto al creare nei subbietti di già esi-
fctenti certe azioni e passioni, occorre di ben chiarire
206 LIBRO SECONDO.
il valor dei vocaboli. Dio può tutto del sicuro, ma non
può questo nondimeno, e cioè che una sostanza attiva
emani un atto e non lo emani. Se Dio opera esso
queir atto, non l'opera fuori di sé e non è atto d'un' al-
tra sostanza né operato in altra sostanza. Che se
Tatto, invece, é fuori della sostanza divina ed ap-
parisce in subbietto finito, ciò vuol dire che Dio creava
una sostanza attiva dentro un'altra sostanza, come il
nostro corpo che é subbietto operante unito all' anima
nostra, ed allora siamo caduti in differente supposto.
158. — Ma l'atto sebbene adempiuto da una so-
stanza creata non potrebb' egli essere provocato da
Dio immediatamente invece che dalla virtualità di
quella? Potrebbe; ma ritorniamo all'ipotesi delle qua-
lità e modificazioni poc' anzi disdetta. Imperocché Dio
prepensando le cose finite volle loro distribuire parti-
tamente tutte le essenze possibili e vale a dire tutte
le efficienze da cui rampollasse ogni maniera di atto.
Adunque noi condurremmo qui pure Domenedio a
compiere due volte la cosa medesima.
159. — Quanto poi alle affezioni e passioni cagionate
immediatamente, occorre da capo distinguere. Se parlasi
di modi nuovi e nuove disposizioni create negli esseri,
ei si ricasca nel presupposto divisato testé. Ma qua-
lora intendasi d'una penetrazione vera e immediata di
atto originatrice della passione, egli accade di osser-
vare che l'atto creativo è perenne ed universale quanto
immutabile. Laonde il fargli produrre una forma par-
ticolare di atto in tempo particolare è fallace imma-
ginazione.
Afobismo XXIII.
160. — Né v' à cosa qui che contraddica alle mira-
bili comunicazioni che Dio fa di sé stesso per gradi e
DEL FINITO IN RELAZIONE CON L'INFINITO. 207
per mediazioni agli esseri capaci di ragione e mora-
lità. Considerato che simili comunicazioni esistono già
virtualmente neir animo di quelli insino da quando
faron creati e solo occorre perchè s'adempiano o la
rimozioDe di taluni impedimenti o l'apparecchio di
certo sviluppo e di certa spirituale vitalità ed ener-
gia, come fu toccato nel Libro ultimo dell'ontologia
(Capo Terzo) e in più altri luoghi.
16L — Dio si comunica adunque perennemente e
invariabilmente alle creature con quell' atto medesimo
onde sono state preordinate e condotte all' essere e
mediante il quale vennero insino ab eterno poste e de-
terminate le relazioni esteriori a così chiamarle di esso
Dio inverso le cose attuabili. Se non che le creature
alzate alla dignità di partecipare immediatamente delle
divine perfezioni vi salgono a poco per volta e con
una serie sì di lunghe mediazioni e sì d'atti proprj
molteplici, la radice e potenza dei quali è ingenita in
osse e compone parte della propria natura loro.
CAPO QUINTO.
DELLA UNITÀ NELLA SCIENZA.
I.
162. — Ma se il diverso nella creazione deve abbon-
dare non meno del simile, in che guisa è sperabile la
unità della scienza umana? 0 non piuttosto converrà
dire che moltiplicando appo noi la notizia della na-
208 LIBRO SECONDO.
tura debba la scienza nostra scostarsi dall' unità e di-
venir moltiforme appunto come sono le cose? Di questo
si toccò in principio degli aforismi e nel Capo Primo del
Quinto^ libro dell' ontologia. Il discorrere intomo al
diverso riconduceva poco fa la stessa dubitazione la
quale bisogna risolvere con maggior sufficienza e in
modo pili positivo.
163. — Gli Hegeliani se ne disimpacciano nettamente
aflfermando che uno de' massimi pregi del lor maestro
si è di unificare la scienza in modo perfetto, cosa non
potuta mai conseguire dai passati filosofi. E perchè
la scienza di Hegel non pure è assoluta ma segna una
via parallela sempre e in nulla dispari dalla via che
tiene la creazione, l' unità onde s'informa è quella me-
desima dell' universo e consiste all' ultimo nella iden-
tità dell' idea con sé stessa. Qual cosa in fatto più
semplice e maggiormente una di questa idea, la quale
dalla possibilità o nozione che voglia dirsi varcando
all' attuazione esterna, che è la natura, diventa consa-
{)evole di tal tragitto siccome spirito e vi riconosce la
propria spontaneità e medesimezza? Beato Hegel di-
rebbegli Socrate, come diceva a Gòrgia, beato al par
degli Dei; tu l' ài pur trovata cotesta unità della scien-
za; e tientela stretta e serrata in pugno; che non ti
avvenisse come a colui al quale il bagattelliere fa
sparir la moneta di mano o la tramuta in un pezzo
di straccio.
164. — Io noterò, intanto, che il diverso per gli
Hegeliani è sì poco diverso, da non poter disperare di
farlo uno assolutamente. Per ogni parte della filosofia
loro della natura che altro vi rincontri se non l' idea
m
la quale eternamente ripete se stessa ed or si fa ob-
bietto ora subbietto ; talvolta è immediata a sé, tal
altra è mediata ; qua é astratta, più là è concreta ;
DEL FINITO IN RELAZIONE CON L'INFINITO. 209
prima si afferma poi si nega, indi si riconferma e giam-
mai non esce di questi termini e di questi rapporti?
Ei debbe riuscire manifesto a ciascuno che tale andare
e venire perpetuo e sempre conforme della idea, quasi
spola in telaio, finirà col tessere un bordato o un
cambrì tutto d'un disegno. Come poi da siraiglianza
tanto compiuta se n' esca il diverso è un enigma poco
facile a intendere, salvo che non si muti significazione
ai Tocaboli e, qualmente notammo altra volta, ei non
d pigli il vezzo di definire per via d' esempio la luce :
la materia sotto forma d'identità pura dell* unità della
riflessione sopra sè.^ Ovvero il suono: Vente specifico
in sé liberatosi della pesanteaaa e in qua/nto produ-
cesi come tale.*
165. — Egli è chiaro che simili definizioni pareg-
giano facilmente fra loro Dio e il diavolo, un mulino
e un gigante. Ma lasciando ciò stare, io noto di più
che r Hegel sbandendo dall' universo il vero infinito
quale noi teisti lo concepiamo e strìngendo la vita e
r intelligenza in questo nostro picciol pianeta ristrinse
d' altrettanto la sfera del differente e allargò quella del-
l'identico. Ma se operò con ragione e conforme alla
realità delle cose lo veggano i metafisici. Quanto a
me r Hegel per tale rìspetto mi rìcorda quel Sere che
accorgendosi di non poter fare entrare tutti i suoi
libri in certi scaffali un po' bassetti ordinò al legatore
di mozzarli di tutto il di più.
U.
166. — Ma pure accettando la creazione così rap-
piccinita e angustiata dalle mani dell'Hegel io non mi
' Philoiophie de la nature, Deiixièiue parlie, png. 337, 338.
' Iflroi, pai^. 501.
Mahuiii. — 11. U
210 LIBRO SECONDO.
perito di aflFermare che V unità predicatane non si raf-
fronta per niente con la realità ; quindi è subbiettiva e
suppositiva come quella che introducono i romanzieri
nell'opere loro. Ed anche Cartesio unificò molto bene la
sua macchina del mondo. Ma il guaio fu che lo studio
dei fatti e i calcoli della nuova algebra la scassinarono
da capo a fondo ; e l' unità cartesiana non resse, appunto
perchè poneva il simile laddove la natura mette il di-
verso. Ne l'unità hegeliana è per mio giudicio meno
subbiettiva e suppositiva. Nella girevole catena d^li
enti immaginata dall' Hegel v' à quattro anelli mae-
stri, a così chiamarli, che quando sieno trovati di faìao
metallo e di apparente solidità ogni rimanente cade
in rovina. I! primo lega la natura all'idea; il secondo,
la materia chimica all'organizzazione; il terzo, l'orga-
nizzazione all'anima sensitiva; l'ultimo, la sensitiva
potenza all'intelletto ed alla ragione.
167. — Ora diciamo che ninno di tali anelli o pas-
saggi è conosciuto e dedotto a priori dall'Hegel e
compariscono nel sistema suo per la ragione sola che
la esperienza li manifesta e sono principj fecondi di
tutto r ordine delle cose. Noi già indicammo altra volta
siccome l' Hegel valendosi abilmente del doppio signi-
ficato litterale e metaforico nel quale il vocabolo este-
riorità viene assunto trapassa dalla nozione allo spa-
zio ed alla materia. Vi trapassa adunque mediante
un'amfibologia, e l'anello indorato è peggio che talco
e princisbecca.
168. — Dalla materia chimica sale Hegel all' or-
ganizzazione, affermando in diverse maniere che que-
sta ultima è una più intensa trasmutazione delle
proprietà dei corpi con attività immanente per rinno-
varla, con libertà delle forme esterne figurative e con
certa individualità maggiormente concreta e profonda ;
DEL FINITO IN RELAZIONE CON L'INFINITO. 211
di guisa che V unità delle parti e del tutto supera
similmente di concretezza ogni altra la quale appari-
sca nella materia.
Coteste generalità ed altre poco dissi miglianti non
Iftsciano punto discemere per che leggi necessarie e
per che atto essenziale di alcuni elementi si uniscono
essi in combinazioni quadernarie e ternarie di cui nes-
suna la chimica naturale inorganica è potente di pro-
durre; e perchè quindi a tale composto particolarissimo
aggiungesi l'invoglio altresì peculiare ed inimitabile
della cellula ; e il contenuto ed il contenente sono dotati
della facoltà di assimilare le ambienti sostanze e di
ricevere e patire gli atti di queste nel modo singolaris-
simo che fu domandato eccitabilità od irritazione.
169. — Però V Hegel annunzia molto generalmente
ed astrattamente il fatto ma non lo spiega; e certo
coloro i quali si travagliano da lungo tempo a dedurre
r organizzazione e la vita dalle forze e leggi comuni
della materia e dalle speciali delle affinità chimiche,
non si avvantaggiano per nulla di tali suo' pensamenti
e indovinamenti ; né più dall' altra parte se ne avvan-
taggiano i vitalisti ; dappoiché l' Hegel non dice loro in
guisa veruna che sorta di sostanza o di forza propria
ed originale porga principio e fondamento alla vita
ed alla organizzazione.
170. — Seguita il terzo anello che dee connettere la
pura vita vietativa al senso ed all'animazione. E qui
rH^el,per mio gindicio, commette due diversi e massicci
errori. L' uno di scorgere nella sensibilità una qualche
forma di pensiero; 1' altra di dedurre a priori il senso
dall' organismo, non traendo in mezzo nessuna prova
apodittica e nessun vigore speciale di raziocinio. E per
fermo, che à egli da fare il fosforo ed ogni sorta di fo-
sfati col senso? E come diventerà senso quella polpa
212 LIBRO SECONDO.
ganglionare con quelle sue filamenta più o meno assot-
tigliate e quelle sue tuniche o neurilemi che le domandi?
171. — Circa poi al confondere insieme il senso e il
pensiero non so bene che mi dire, trattandosi d'un osser-
vatore acutissimo dei fenomeni dello spirito. Per lo certo,
un sentire avvertito è un sentire pensato; e nulla di
manco interviene fra la mente che avverte e il senso
avvertito una diversità immensurabile. E se ciò è il
vero, non ispenderemo parole a mostrare la impossibi*
lità in cui trovasi Hegel a compiere il quarto passaggio
della facoltà sensitiva al pensiero ed all'intelletto.
Così il varco necessario dalla nozione alla natu-
ra, poi dal chimismo all'organismo; indi da questo
alla sensibilità, e per ultimo dalla sensibilità alla ra-
gione è sempre nel sistema hegeliano operato empirica-
mente. Le apparenze sillogistiche mostrano l'abito della
deduzione ; nel fondo i nodi sono tagliati sempre da un
Deus ex machina che giunge a tempo affine di ricom-
por la catena che quattro volte si spezza. Questa, per
dirla com' io l' intendo, è l' unità della scienza e del-
l'universo hegeliano.
III.
172. — Siamo, adunque, meno ambiziosi, e meno
Menti di rinvenire nella scienza e nelle cose create
una si perfetta unità quale costoro se la figurano.
Quella che mi sembra accostabile dal nostro sapere e
che ò sufficiente a legare insieme con nodo dialettico
tutte le parti dello scibile venne definita da noi in
sul terminare dell' ontologia. Trovato a priori V esi-
stenza di Dio e ricavato dal suo concetto l'ordine
delle attribuzioni sue infinite, il pensiero gode di scor-
gere che nella bontà increata è natura necessaria-
DEL FINITO IN RELAZIONE CON L'INFINITO. 213
mente espansiva e per lei il mondo à necessaria esi*
stenza. E tuttoché il mondo sia diverso perchè finito,
dò possiamo divinare di lui con dottrina apodittica
che risponderà alF intenzione del bene quanto il finito
iC è capevole. E con questa misura e scorta concedesi
Air ingegno speculativo d' investigarne V architetta-
mento sublime; tanto che, conosciuta la impossibilità
<li soddisfare la creazione al suo fine mediante gli og-
getti creati, andrà quell' ingegno ravvisando ancora
la necessità di ricongiungerla all'autor suo e il ter-
mine ricondurre al principio, quasi parabola immensa
che fuor proiettata dalla bontà, saggezza e potenza
infinita toma non già a cadere in quiete perpetua ma
si a circolare con àmbito ognor più vicino e veloce
intorno a quell'infinito.
173. — In cotal guisa l'uno dell'assoluto insieme e del
relativo si converte col bene, e perchè questo tiene la
orna, per modo di favellare, della perfezione divina, cosi
circonda penetra e informa di se medesimo la espan-
siva creazione e a sé la riconduce mediante un atto
progressivo ed inesaurìbile di partecipazione.
IV.
174. — Cotesta parabola immensa è la vita e il
corso della natura; e s^uita il domandare se noi vi
possiamo cogliere quella forma di rigorosa unità che
dalla più parte degli uomini sembra creduta e sperata.
175. — V à certo nel concetto volgare intorno di eia
qualcosa di pregiudicato e di esagerato; il che non
succede senza nocumento degli studj naturali e so-
pratatto dei filosofici ; e sebbene sia bisogno perpetuo
di nostra mente di riposarsi nell'unità di guisa, che
do?e gli enti vi si ricusano, la mente supplisce cou
214 LIBRO SECONDO.
certa unità subbiettiva e cogitativa, nullameno ei con-
viene persuadersi che la natura poco bada al nostro
bisogno e non lascia guari imprigionarsi dentro lo
stampo formale di nostra mente.
176. — Il diverso è del sicuro attribuzione del finito
come si asserì nel principio; dacché il diverso, in quanto
tale, vuol dire il molteplice. Nella creazione adunque
moltiplica per lo certo il diverso tanto da trascendere
ogni nostra immaginazione e da far vano qualunque
sforzo d' ingegno per concepirne le specie. Laonde, come
scrivemmo nei Dialoghi di scienza prima, quando
anche air anima nostra fosse regalato da Dio un carro
celeste simile a quello di Febo, noi, dopo visitati i mondi
meno dissomiglianti dal nostro, giungeremmo pure in
luogo dove ci sarebbe necessità di retrocedere sgomen-
tati e atterriti, perocché l'ignoto e l'inopinabile sve-
gliano sempre un senso di paura, e conosceremmo
allora evidentemente che quello che noi domandiamo
universo è solo la picciola porzione di lui che meno
si scosta e meno si differenzia dalla nostra natura.
177. — Tuttavolta, se la saggezza divina scaturir
lasciasse il diverso dal gran mare del possibile senza
temperamento né legge, l'intero creato confonderebbesi.
Entra, dunque, e noi noi neghiamo, nella moltitudine dei
mondi diversi alcun principio di unità. E certo in ogni
angolo del creato regna e governa il fine medesimo;
e debbe fra l' uno e V altro termine e cioè tra il fine ed
i mezzi essere proporzione rispondenza e omogeneità. Ma
dall'altro canto come il fine è il bene e questo convertesi
con la perfezione e le perfezioni, distinguendole, sono in-
finite e diverse ; egli é lecito di concepire infiniti mondi
diversi cospiranti appunto a questo gran fine di ripetere
partitamente e finitamente nella creazione il bene divino
che è r infinito e 1' uno di tutte le forme di perfezione.
DEL FINITO IN RELAZIONE CON L'INFINITO. 215
178. — Se non che la nostra natura stessa ci sforza a
riconoscere il bene principalmente nella beatitudine e
in cosa che V assomiglia ovvero in cosa che giovi ed
aiuti per conseguirla. Diremo, impertanto, che i mondi
creati non possono diversificare sostanzialmente V uno
dall' altro più là di quel punto in cui cesserebbero di
accordarsi tanto o quanto col fine comune che è il
bene sotto qualche forma e partecipazione di beatitu-
dine. Il che è verissimo; salvo che occorre di aggiun-
gere le cose più dispaiate, a nostro giudicio, e più re-
mote dal fine, potere per effetto della sapienza divina
cooperare a quello indirettamente e per piccioli gradi,
per guisa che il campo del diverso rimane ancora
sconfinato affatto ed immensurabile.
V.
179. — Un altro legame universalissimo di unità è
da riconoscere nella intelligenza. Quando non si voglia
oppugnare il criterio supremo del vero fornitoci dal-
l' autore di nostra mente e del nostro essere, a noi non
si lascia neppur concepire un mondo capace del bene
qualora non lo conosca o in qualche maniera noi pensi.
Certo è peraltro che la intelligibilità simile alla luce
e più semplice estremamente di lei sebbene si con-
giunge con ogni cosa lascia ogni cosa tal quale è;
non diversamente dallo spazio che penetra tutto e non
opera in nulla. Quindi noi non sappiamo quale specie
di mondo diverso potrebbe non adattarsi all'intelli-
genza e ricusar la sua luce. NuUameno, ciò è vero
dalla .parte passiva e vale a dire del mondo in quanto
può essere inteso. Ma l' intendere porta seco una mente
e la mente più altre cose.
180. — In fine, non diremo noi che v' abbia nel
216 LIBRO SECONDO.
creato universo l'unità dell'essere e l'unità delle su-
preme categorie di questo? Noi lo diremo sicuramente;
ma nel tempo stesso recandoci alla memoria la somma
astrattezza loro e come sono in immenso estensive e
nulla comprensive, intenderemo subito eh' elle ristrin-
gono di quasi niente il circolo del divfrso nella crea-
zione.
VI.
181. — Questa è dunque interminabile diversità e
moltiplicazione, dentro la quale irraggia una sola su-
prema unità che è quella del fine ; e il fine da ultimo
si sustanzia col bene, e il bene con Dio. E perchè
d' altro lato occorre che il fine sia conosciuto da chi
dee procurarlo con l' attività propria, dee pure nell'uni-
verso raggiar di continuo 1' unità dell' intelligenza e
del vero la quale eziandio move dalla infinita intelli-
gibilità per incessante partecipazione; e come il vero
è splendenza del bene, così le due forme di unità si
risolvono nella superiore del subbietto divino che in
sé le raccoglie.
182. — Quanto all' unità sostanziale del nostro spi-
rito e all' unità formale del nostro pensiere, gli è ma-
nil'esto che la prima è relativa, particolare e specifica
da poiché viene ripetuta e moltiplicata negli altri uo-
mini e segna un genere ed una natura peculiare nella
catena degli enti. L' altra è, come si disse, partecipa-
zione e riflessione della suprema intelligenza e della
increata verità; lumen de lumine e verum de vero,
VII.
183. — Ma può taluno considerare che i mondi af-
fatto diversi da questo nostro rimanendo inconoscibilL
I>KL FINITO IN RELAZIONE CON L'INFINITO. 217
a noi, segue che non dobbiamo tenerne conto. Il perchè
la controversia presente risolvesi nel domandare se per
lo manco in questo mondo visibile e da noi comprensi-
bile dimora e splende una profonda unità e può ella
quindi varcare nella nostra scienza di modo che quando
fosse tutta trovata, lo scibile inteiD sarebbe uno perfet-
tamente in ogni sua parte e V universo ci apparirebbe
governato dalla sola legge deir unità nella varietà.
184. — Non affermo impossibile compiutamente co-
testa sintesi maravigliosa, allora che mi ricordo che
alla fine delle fini il mondo bene conosciuto e bene stu-
diato da noi debb' essere quello per appunto il quale
conformasi meglio con la nostra natura e i nostri
mezzi conoscitivi. Farmi altresì molto certo che questo
nostro universo visibile segua in ciascuna sfera di es-
seri la gran legge dell'uno nel vario, chiamando col
nome di vario il diverso legato con la somiglianza del
genere. Ma che tutte quelle sfere risolvansi da ultimo
in una o due unità di nature, conosciute le quali ver-
rebbe conosciuta e spiegata qualunque cosa, ci ò i
miei riveriti dubj. E credo saldamente essere il di-
verso molto più profondo e come dicono irriducibile
di quello che non si stima per ordinario e massima-
mente dai cosmologi.
185. — Io credo nella creazione a noi conoscibile darsi
per lo meno sette sfere differenti di esseri e sono la
stellare, la eterea, la tellurica, la chimica, la organi-
ca, r animale e l' umana. Nessuna di queste, al mio
parere, entra come specie nel genere di verun' altra e
nemmeno come genere inferiore in altro più largo.
Salvo che non si pretenda di unificarle sotto le due
forme astrattissime della materia e dello spirito.
186. — Ora chi penetrasse in ciascuna di tali sfere
la essenza più profonda e il principio causale più so-
220 LIBRO SECONDO.
che è detto microcosmo ed è si gran parte della na-
tura, non giudichiamo possibile ch'egli valga ad im-
primere nella scienza del proprio essere Tuno ed il
vario fortemente connessi. Atteso eh' egli risulta di due
nature; e congiungendosi all'infinito reca in mezzo un
terzo principio efficiente diverso dai due. Di quindi
r eterna contesa tra il subbiettivo e 1' obbiettivo e la
necessità di conciliarli serbandoli integri ambidue.
Vili.
192. — Infrattanto, non diremo la scienza dei fotti
ma si la storia loro cresce sformatamente ogni giorno
talché ogni disciplina naturale ne diventa idropica e
non v' è memoria che valga a più contenerla, tuttoché ci
aiutiamo di continuo con ogni artifìcio di ripartizioni e
distribuzioni; e se per un lato molte serie di fenomeni
vanno, a cosi parlare, adunandosi per sé medesime sotto
un genere solo di causa, innumerevoli altre appariscono
d' un altro lato senza legge né modo.
193. — Nella chimica, per atto d'esempio, insino ai
tempi di Vanhelmont tutto era sconnesso e fantastico e
niun principio interveniva a distinguere il sostanzioso e
l'accidentale, il composto ed il semplice, il permanente e
il mutabile. I moderni invece sembrarono andare insino
all'inspezione dell'atomo, disfecero e ricomposero i mi-
nerali tutti quanti o pochissimi eccettuati, e seguirono
con tal diligenza le trasmutazioni degli elementi nel seno
della terra, nella struttura dei vegetabili, nello stomaco
degli animali nelle fermentazioni e dissoluzioni, da mo-
strare con evidenza il circolo eterno in che girano sulla
faccia del globo. Ma che per ciò? Nessun principio sem-
plice, universale e sufficiente alla congerie dei fenomeni
viene ancora a supplire gli spiriti versatili di Paracelso e
DEL FINITO IN RELAZIONE CON L'INFINITO. 221
l'archeo di Vanhelmont. Caddero le tentate unificazioni di
Bertholet, di Dalton, di Berzelius, di Dumas ; e i prodotti
dell'oi^nismo, così semplici di elementi come infiniti di
IHroprietà e d' azioni specifiche, tornano ad aggi'avare
e quasi confondere la memoria e la intellettiva umana.
194. — Né alcun uomo assennato dirà per questo
che Io scibile, e segnatamente la scienza della natura,
0 non progredisce o si sfascia. Il fanciullo, ripetiamo
noi. Tede ogni cosa simile a sé ovvero simile ai pochi
oggetti a lui familiari e tutte le novità spiega con le
stesse ragioni e cagioni le quali sono o Dio o il Sole
0 la volontà de' suoi genitori. Chi non sa che il genere
umano varca al pari dell'individuo la età dell'infan-
zia? Vero progresso del nostro sapere si è riconoscere
la immensità del diverso e alla bella prima confon-
dervisi dentro affatto. Poi senza presumere di unifi-
carlo, salvo che parzialmente, studiare e scoprire quella
concordia discorde che ogni sapiente nuovo od antico
vi à ravvisato. Allora la nostra scienza calca certo la
stessa via, se è lecito dire, che tiene la saggezza infinita
la quale nell'indefinito del simile, del diverso e del
misto introduce la legge suprema e perpetua della Con-
venienza e della Euritmia.
CAPO SESTO.
AFORISMI INTORNO ALLA FINALITÀ.
Aforismo I.
195. — Abbiamo vedute le relazioni più profonde e
continue dell' universo creata colla potenza e con la
222 LIBRO SECONDO.
sapienza divina. Si trascorra al presente a conoscere
quelle che paiono più particolarmente collegarsi alla
suprema bontà ; perocché da lei procedette il sovrano
consiglio di fare esistere il mondo con attitudine al
bene, senza di che rimasto sarebbe una mera pensa-
bilità divisa eternamente dal fatto. Ciò dunque che
attiensi in modo più diretto e speciale alla finalità
come convertesi necessariamente col concetto del bene,
cosi legasi in modo immediato all' Ente assoluto in
quanto il pensiero vi contempla quella forma sublime
del bene che è la bontà e la relazione esteriore del-
l' uno e dell' altra. Salvo che i discorsi anteriori non
potettero di già non farne parecchi cenni. Atteso che
ragionandosi della efficienza creatrice e della sapienza
che la informa, intervennero per sé medesimi i con-
cetti della finalità, rimossi e annullati i quali, pure
la saggezza divina si estingue e la potenza opera fuor
di ragione.
Aforismo il
196. — Quello che produce in olgni dove e per ogni
tempo la saggezza divina si é che tutto nel creato
cooperi d' accosto o discosto, direttamente od obliqua-
mente alla massima dispensazione del bene. Di tal
maniera, se ogni cosa partecipa per essenza o per ac-
cidente alla natura del mezzo, chiedesi con ragione se
ogni qualunque cosa partecipa eziandio alla natura
del fine; il che vuol dire se ogni esistenza é capace
del possesso del bene.
197. — Ora, quando il bene sia T essere e tali due
termini si convertano perfettamente, certo qualunque
cosa partecipa al fine, o parlandosi con rigore egli
non v' à più fine propriamente denominato e distinto
DEL FINITO IN RELAZIONE CON L'INFINITO. 223
dall' essere comunissimo. Ma notammo per addietro
più d' una volta che dal puro concetto dell' essere
niuno trarrà pur mai il concetto del bene. E poniamo
che tu abbia in considerazione non l' essere astratto ma
il concreto e perfettissimo. Tu vi sottintendi del sicuro
il bene assoluto, perocché l' esperienza insegnavati que-
sta eccellente forma dell' essere e di nessuna forma
eccellente può andar privo V Assoluto. NuUameno re-
plichiamo che nessuna )ìecessità logica forza la mente
a dedurre l'idea del bene dall' altra dell' essere pieno e
infinito, canora che cotest' altra sarà posta onninamente
a priori e non disegnata e composta per induzione
sperimentale, l^er fermo, la pienezza astratta ed uni-
versale dell' essere non lascia dedurre da sé e per sé
reruna determinazione specificata, mentre tutte le rac-
chiude eminentemente ; e per ciò appunto che l' essere
sostanzialissimo è tutto infinitamente, è per sé con-
cetto vuoto d'ogni determinazione; quindi l'analisi non
ve le può ritrovare. L' idea pertanto del bene essenziale
non è derivativa di nessun' altra, ma è vera primalità,
per parlare al modo del Campanella. Nella coscienza
umana poi la idea del bene propriamente finale e con-
creto convertesi con la idea di compita beatitudine.
Aforismo III.
198. — Ciò posto, egli è da fermare che la beatitu-
dine 0 quello che le somiglia e partecipa in qualche
grado di lei non può convertirsi con tutti i finiti esi-
stenti e assai meno con tutti i possibili; invece si fa
manifesto che il bene sostanziale da noi conosciuto e a
noi concepibile, ricusa di venire comunicato, salvo che
a quelle nature di essere in cui é intelligenza, è volontà
e fruizione spirituale; conciossiaché nella prima disa*
224 LIBRO SECONDO.
mina delle cose diventa chiaro ed aperto non potere
il senso come tale farsi capace in veruna maniera della
sostanza del bene.
Aforismo rv.
199. — La creazione adunque per la necessità ine-
luttabile delle cose distinguesi in mezzo ed in fine.
Gli enti incapaci d' ogni sorta di fruizione riman-
gonsi relegati nella serie sterminata dei mezzi. In
quel cambio, gli enti che possiedono alcuna personalità
0 le sue somiglianze e l'altre forme e nature diverse ed
infigurabili a noi ma pur capaci della sostanza del
bene (posto che n' esistano di sì fatte) rivestono dignità
ed essenza di fine. Tuttoché queste ultime possono al
tempo medesimo appartenere alle due gran serie ed
essere fine cioè a rispetto degli enti inferiori e mezzo
a rispetto dei superiori. Nelle mani poi del supremo
artefice, debbe del sicuro ogni creatura la più sublime
essere fine e mezzo ad un tempo ; couciossiachè dirim-
petto al provvedere divino essa è pure una lettera del-
l' immenso volume che si squaderna nello spazio e nella
durata ed essa è perciò un anello della concordanza
universa.
A.
200. — Per dilatazione domandasi bene non pure l'ul-
timo termine che etfettua sostanzialmente il fine, ma
eziandio quelle cose le quali efficacemente e prossima-
mente lo procurano; quindi ogni nostra possidenza, tut-
toché materiale, ed anzi ogni oggetto usabile in alcuna
maniera è domandato bene ; pur volendo tacere di quelle
cose che partecipano evidentemente del mezzo e del fine
DEL FINITO IN RELAZIONE CON L'INFINITO. 225
come la virtù, la bellezza, la scienza e ogni specie di
dote morale e di perfezione. E in questo significato per-
chè ogni ente nelle mani di Dio è per diretto o per
indiretto avviato al fine, dicemmo altra volta che si
può uniyersalmente alP essere attribuire T epiteto di
buono, e si vuol dire che ogni possibile efiettuato si
concorda col flhe. Onde neppure faremo eccettuazione
pel mal positivo. Conciossiachè in questo è spediente
distìnguere due sembianze e rispetti. Il mal positivo
come attenente al finito e prodotto dalla essenza di
lui contraria all' uno ed all' infinito non è certo ope-
razione di Dio ed esce tutto quanto dalla necessità
della detta essenza. Ma posto a riscontro della sapienza
e bontà assoluta, egli medesimo diventa (come si disse)
non la causa ma l' occasione indiretta del bene. Sopra
il che la coscienza umana non istette mai silenziosa
e V istinto morale sempre le fece sentire che tornando
impossibile a Dio di scompagnare il male dalla esi-
stenza del finito, egli lo rivolge nondimeno in qualche
occasione di bene come il medico fa dei veleni e come
insegna il simbolo scritturale di quel leone che tenea
nella gola i favi del mèle.
K
201. — Potrebbesi forse per altro verso universaliz-
zare il bene e farlo sinonimo di ente reale, quando si
tenesse per vero od almanco per verosimile quel sup-
posto del Campanella e di molti teologi che il senso
stia giacente dentro tutte le cose e debba tal senso
"nella generalità dei casi avere forma dilettevole. Ma
ancora che noi non siamo dentro alle cose e paia dif-
ficile di ritrovare alcuna prova apodittica del suppo-
sto contrario, ei si risolverà il dubbio in altra ma-
Hahiìhi. - II. 15
226 LIBRO SECONDO.
niera. Coloro che danno a tutte le cose un'ombra di
senso 0 virtuale o in atto, non si ardiscono di accom-
pagnarlo eziandio con la mentalità ; sebbene stimano
che il senso abbia in se medesimo alcun vestigio di
pensiere. Ora noi fermammo più sopra che sentire pro-
priamente non è pensare; e d'altra parte il sentire
diviso da ogni consapevolezza e da ogtìi atto e forma
cogitativa ci diventa pressoché inconcepibile e in qua-
lunque modo ci toma indifferente a rispetto del bene ;
imperocché esso diventa un fenomeno astratto e un nome
vano senza subbietto^ direbbe il Poeta. Se dunque il
senso è nelle cose, avvi ancora una certa unità di sub-
bietto senziente, ed è come dire che v'à un subbietto che
sente di sentire. Adunque o bisogna negar V ipotesi o
allargarla di là dai limiti del verosimile.
Afobismo V.
202. — Ma qui viene il domandare se le cose create
sono fine a sé stesse ovvero se 1' ultimo termine al
quale aspirano trascende la sfera di creazione e sale
inverso il fine assoluto. Per fermo, poteva l' autor delle
cose far V universo fine a sé stesso, e togliere ad ogni
creatura il concetto e il desiderio del meglio. Se non
che in tale supposto falliva al mondo creato la forma
dell' indefinito più sostanziosa e desiderabile e cioè a
dire r indefinito del bene ; talché le altre forme sareb-
bersi dilatate nell' infinito quasi senza oggetto e ragio-
ne. K perché poi qualunque sorta effettiva d'indefi-
nito à sua radice e suo fondamento nell' infinito, così
progredendo 1' universo nel vero e reale indefinito del
bene o vogliam dire nel progressivo ed interminabile
conseguimento del fine, é necessario che questo si fermi
e sustanzii da ultimo nell'Assoluto.
DEL FINITO IN RELAZIONE CON L'INFINITO. 227
Aforismo VI.
203. — Posto im pertanto che degli enti capaci del fine
la bontà eterna debba volere innalzare il maggior nu-
mero possibile al conseguimento del fine assoluto, subito
si scorge che tutti i modi registrati da noi per lo di-
stendimento e progressione del finito riescono inabili
a tale sorta di scopo. E dato ancora che essi perven-
gano a costruire molte fatture strumentali ed organiche
e quindi a servire e giovare grandemente l' animalità,
questa non può trascendere la condizione del bruto.
quando anche si radunassero in un solo essere tutte le
facoltà e prerogative che la storia degV istinti animali
ci fa conoscere; quindi il fine sarebbe parziale e transi-
torio né potrebbe eccedere mai la sensualità. £ quandc»
pure la mentalità e ragione umana emanar potesse dalla
natura, il che noi neghiamo assai risolutamente; tut-
tavolta, Vuomo rimanendosi nella natura viverebbe
sempre fuori del fine. Ed anzi diciamo che raggiun-
gimento di altre facoltà e potenze dentro il suo spi-
rito e ogni fatta di cooperazione e cospirazione del-
l'universo dei finiti intorno di lui non lo porrebbero
in istato di attingere un fine perenne ed inesauribile,
ma lo circonderebbe a forza 1' angustia e caducità
dei fini relativi; e poco, sotto tale rispetto, gli giove-
rebbero i mezzi più artificiosi e gli organi più elabo-
rati e sqtlisiti e l'acquistare con essi impero ed arbi-
trio su tutto il mondo circostante.
A.
204. — Cotesto vero profondo balenò più d' una volta
alla mente dei poeti che sono stupendi divinatori dei
228 UBBO SECONDO.
dogmi morali. Perocché Prometeo, che può fare ogni
cosa e persino mettere un' anima dentro 1' argilla
umana, è doloroso nuUameno e infelice e un avoltojo
gli strazia i precordj, perchè quella sua potestà sulle
cose non lo congiunge direttamente con l'Assoluto e
tienlo escluso dal cielo empireo. Per simile. Ercole con
la fatica supera ogni ostacolo e signoreggia la terra,
ma insegue senza profitto nessuno la cerva dai piedi
d'oro che è la beatitudine e fagli mestieri con fuoco
e tormento spogliarsi dell' umanità suU' Oeta per fruire
del bene assoluto.
205. — Forse più belle o per lo manco più mani-
feste nel loro intento sono le invenzioni de' poeti mo-
derni in proposito. Il Fausto di Goete e il Manfredi
di Byron esprimono senza velo la inutilità di poter
comandare la natura e fruirne i beni fugaci. La finità
li assedia e li crucia. A loro bisogna Iddio sebbene
noi cercano laddove si trova.
Aforismo vii.
206. — Al fine assoluto adunque può solo tornar
sufficiente il conoscere e saper di conoscere, la pro-
fonda coscienza morale e l' altre nobili attitudini della
personalità che sono disposizioni innate e peculiarissime
dell' anima razionale infuse da Dio immediatamente ;
perocché nessuna efficienza delle nature inferiori var-
rebbe a produrle, sebbene valgono ad appafecchiarne
la possibilità e la convenienza. E giusta i nostri prìn>
cipj, alle attitudini della personalità é fondamento una
prima forma di congiunzione con l' Assoluto ; perocché
conoscere universalmente non é possibile senza visione
ideale ; e sapere V ordine sopraeminente del bene, o vo-
gliam dire la legge morale, nettam poco è possibile senza
DEL FINITO IN RELAZIONE CON L'INFINITO. 229
r apprensione ed il sentimento del supremo comando.
Oltreché, l'aspirazione al fine assoluto ricerca di già
il concetto della essenza del bene e un desiderio ìnfi-
nito di lui, tutte cose che si appuntano medesimamente
nell' infinito. £ nel vero, la incontentabilità umana è
disposizione dell' animo tanto nobile quanto lo intel-
letto e il senso morale.
207. — Cosi il fine assoluto trae seco non pure una
condizione di essere atta al congiungimento con Dio,
ma una predisposizione a ciò con qualche forma ini-
ziale di esso congiungimento per quell' assioma che il
principio non può discordare di essenza dal fine.
A.
206. — Il solo avvisare che dentro di noi è la no-
tizia e il desiderio immanente dell' Assoluto ci assicura
della immortalità. Imperocché nessun atto vincerebbe
di crudeltà e di mostruosa malizia quello di far cono-
scere all'uomo e desiderare perpetuamente lo affatto
impossibile. Considerato che d'altra parte nulla cosa
impediva che il tutto procedesse come nell' animale
bruto disposto sempre ad adagiarsi nel piacere attuale
e nel fine relativo; quindi il più del tempo vive soddi-
sfatto, e dove non fosse muto potrebbe dir col Poeta
« Io non caro altro ben né bramo altr* esca; »
e però ^li non è mai propriamente infelice ; perocché
questa parola significa desiderio infinito disgiunto da
ogni speranza. La infelicità é dunque solo possibile
nell' uomo il quale non si chiude mai in nessuna sod-
disfazione e similmente va col Poeta dicendo
« Del presente mi godo e meglio aspetto. >
230 LIBRO SECONDO.
Afobismo Vin.
209. — Ma se per conseguire il fine relativo sono
grandemente mestieri que' gradi da noi descritti della
congiunzione del simile, partecipazione del diverso, co-
spirazione ordinata di mezzi o tu la chiami organizza*
zione e strumento, sembra tutto ciò riuscire inopportuno
ed inefficace quando esso medesimo T Assoluto è mate-
ria e termine air attività del finito. Ed anzi non v' à
modo di concepire come sarebbe ordinato e costituito
un organo confacente a ciò. Atteso che, quando non sia
più intelligente e spirituale dell' anima, in che guisa
potrebbe esso agevolarle la intuizione e fruizione di
Dio? E quando fosse di lei maggiormente perfetto, non
sarebbe più mezzo e strumento, dapoichè questo di sua
natura è inferiore air ente che del mezzo e dello stru-
mento si provvede.
210. — Ora, ciascuno può ricordare che in simile ra-
gionamento sono dimenticate assai cose. E prima, Tesu-
beranza e varietà dei possibili fra i quali s' incontrano
molte maniere e gradazioni di congiungimento con TAs-
soluto. Secondamente, le penurie e necessità del finito
alle quali supplisce la legge di concordanza e di Con-
venienza col tempo, il luogo, gli accompagnamenti, le
occasioni, le transizioni e gli apparecchi. In terzo luogo
è dimenticato che se la partecipazione del bene asso-
luto adempie ogni cosa, la natura naturata dee fare
ogni cosa ; e vogliam dire che tra il principio ed il fine,
ohe sono attinti fuori della natura, il .corso intermedio
è tutto eseguito per opera delle cause seconde tra le
<iuali è pur l' uomo. Quarto, che il bene è attività su-
prema e risulta di forme attivissime che sono le per-
fezioni ; quindi l' uomo rimanendo passivo e nella con-
DEL FINITO IN RELAZIONE CON L'INFINITO. 231
dizione di mera recettività mai non potrebbe fruirne,
ma gli è necessario di conquistarlo e di appropriar-
selo. £ perchè ogni appropriazione ricerca una con-
venienza ed una omogeneità fra V oggetto e il subbietto,
diviene manifesto che lunghe e laboriose preparazioni
debbono an.tecedere perchè Pente finito, comecché do-
tato di ragione e moralità, ascenda nel possedimento
e nella fruizione del bene assoluto. Il quale, perchè è
perfezione infinita, domanda nell'uomo tutto quell'abito
perfettivo di cui lo posson fornire le sue facoltà eser-
citate sul finito col lume, la scorta e l'intendimento
dell' infinito. E del pari, perchè il bene assoluto è uni-
versalità, debbo l'ente chiamato a parteciparne spo-
gliarsi quanto è possibile del particolare, o meglio
parlando, infondere nel particolare una volontà, un
pensiero, un affetto e un proposito universale.
211. — Queste cose accenniamo qui di passata e solo
in quanto chiariscono il concetto della finalità. Forse
più tardi tornerà buona occasione di ridiscorreme ;
ed è come vedesi materia speciale dell'etica e della
psicologia.
Aforismo IX.
212. — Si notava più sopra che quando gli enti
razionali non inducessero nel loro spirito quegli abiti
di attività e perfezionamento che il fanno
« Paro e disposto a salire alle stelle »
r intuizione e la percezione immediata dell' Ente asso-
luto non produrrebbe altro effetto, salvo che di un su-
bito invasamento dell'anima nel quale si rimarrebbe
essa in etemo con passiva immobilità e le mancherebbe
forse la consapevolezza medesima del proprio ratto e
deir oggetto infinito; conciossiachè la chiara e distinta
232 LIBRO SECONDO.
coscienza di tutte cose esce dall' attività nostra, e que-
sta à bisogno di non venir sopraffatta da forza veemen-
tissima che V occupi tutta e V assorba siccome oceano le
stille di pioggia.
213. — Occorre dunque che il congiungimento con
l'Assoluto e la partecipanza delle sue perfe^oni, e però
del bene similmente assoluto, accada per serie di me-
diazioni, e proporzionisi ogni sempre allo stato e al
progresso della nostra attività e del nostro perfeziona-
mento.
AroBisMo X.
214. — Non proseguiremo p&c al presente nella in-
vestigazione del fine, perchè la materia tornerà quasi
intera a mostrarsi nell' ultimo Libro dove sarà ragio-
nato del progresso nell' universo. Ci basti aver qui
prenunziato una massima che reputiamo cardinale nella
cosmologia, e cioè, che se il cons^uimento del fine non
à termine ed è progressivo, il principio di tal progresso
uscir non può mai dalla sola natura ma invece dee
scaturire dail' infinito come ogni altra sorta d' indefi-
nito ne scaturisce.
215. — Fu avvisato da noi per addietro che nella
creazione non può stare né l'infinito in atto né l'in-
finito in potenza, e Aristotele e Leibnizio che vi ri-
posero il secondo (se bene intendiamo la mente loro)
caddero in grave abbaglio. Conciossiachè il potenziale
infinito 0 riesce un nulla ovvero è una specie di atto
primo che è tanto più sostanziale in quanto è da ul-
timo la cagione iniziale ed originale del tutto. Né
monta il dire che simile specie essendo privata della
spiegazione dell'atto non è degna dell'Assoluto e in
questo non può dimorare. Conciossiachè tale sconve-
DEL FINITO IN RELAZIONE CON L'INFINITO. 233
nìenza dimostra solo la impossibilità di concepire unu
mezza infinitudine e attribuirle condizioni che ripu*
gnano Tuna all'altra. Una sola sorta d'infinito pò*
nemmo noi siccome possibile nel mondo creato, ed è
delle cose incapaci della perfezione assoluta o superla-
zione che tu la chiami. Né fu statuito per ciò che cer-
tissimamente di cotali infiniti sussistano.
Afobismo XI.
216. — Nel primo Libro della presente cosmologia
fecesi diligente rassegna delle condizioni penuriose e.
delle necessità continue e non risolubili in cui versu
il finito a rispetto di sé. In questo secondo spiegammo
r influsso incessante che opera in lui la potenza, sag-
gezza e bontà infinita di Dio da tutte le quali infini-
tudini esce una virtii abbondante e perpetua che sempre
combatte ed attenua quelle necessità ed insufficienze;
ancora che l'occhio solo mentale possa conoscerla e
sue ministre in ogni cosa e per ogni dove sieno le
cause seconde; le quali poi si spartiscono nelle due
grandi serie dei mezzi 6 dei fini. Avvegnaché la idea
stessa del fine arreca innanzi alla mente il moto di
qualche cosa inverso di lui e quel moto à subito na-
tura di mezzo. Ma specificando meglio il fine e sco-
prendosi il fondo ultimo della sua essenza, è pur subito
riconosciuto che nel mondo universo appartiene a quan-
tità immensa di esseri la sola natura di mezzo.
LIBRO TERZO.
DELLA COORDINAZIONE DEI MEZZI
NELL' UxNIVERSO.
CAPO PRIMO.
AFORISMI INTORNO AI METODI DELLA NATURA
Aforismo I.
1. — Di quindi innanzi la parola natura pigliela
spesso un' accezione affatto speciale e però meno estesa,
ed esprimerà quel complesso di enti in cui è ragione
soltanto di mezzo e non già di fine ; o con altri voca-
boli in cui non apparisce alcuna attuazione di bene as-
soluto ma invece apparisce una potenza mediana a
quello conducente. Chiaro è poi che fatta e riserbata
tale distinzione e definizione, non sia improprio ed
auzi diventi appositissimo l'accomunare al mezzo ed
al fine l'appellazione medesima e chiamarli beni am-
bìdue, dacché la mente non può non partecipare al
mezzo una certa ombra e un certo riflesso della bontà
e sostanza del fine, essendo termini rispondenti d' una
stessa relazione. E certo è che non si può avere
scienza di alcuno dei due separatamente, e noi li ter-
remo in cospetto entrambi investigando l'essere della
natura in quanto (come si disse) ella è coordinazione
238 LIBÌ40 TERZO.
di mezzi ed è subbietto generale e continuo della co-
smologìa fisica.
Aforismo n.
2. — Ci sembra evidente che la cognizione dimostra-
tiva e come suol dirsi a priori di tale complesso coor-
dinato di mezzi non debba originarsi altramente che
dallo studio indefesso ed acuto delle attinenze fra il
finito e l'infinito, o come domanderebbeli il Bruno, tra
la natura naturata e la naturante; ma formandosi
però dei due termini concetto molto diverso ; perchè la
virtù naturante è per noi il vero infinito. Il quale non
già si versa fuori di sé per una specie di emanazione e
ripetizione di sé medesimo ; ma fa comparire nel tempi»
con divisione sostanziale Pindefinito dei possibili; il cui
tutto insieme ancora che differente per intima essenza
dall'assoluta infinitudine e però da lei quasi alienato,
nullameno cura e imprende d'imitarla siccome può^ e
riconducesi di tal guisa a poco per volta inverso il
principio onde mosse.
Afobismo ni.
3. — Dovrà la serie lunghissima ed anzi non termina-
bile delle mediazioni, a così chiamarle, procedere dal-
l'ente che nel mìnimo grado coopera all'attuazione
del fine insino all'apice dell'organismo; posciachè in
questo è la concordanza migliore dei mezzi e la mi-
gliore e pili efficiente unità delle parti e del tutto ; e
debbo comparirvi la sintesi maggiormente connessa e
fruttuosa dì tutti i termini anteriori. La quale sintesi,
ricordandoci le impotenze e necessità del finito, è
senza fallo il travaglio incessante e più laborioso della
COORDIKAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 239
natura. E nel dimostrare le arti e i metodi che vi
adopera, noi avviseremo altrettante manifestazioni della
immanenza di Dio nel creato. Perocché dentro alle
coee è il fatale, il necessario e l'inconsapevole; ma
sopra e intorno di esse è la divina mentalità.
Aforismo IV.
4. — Dall' effettuar la natura tutti i possibili o pro-
priamente i compossibili risultò quell'adagio che af-
ferma ch'ella non procede per salti ed è citato e applicato
spessissimo dai filosofi sperimentali. Dopo le conclusioni
dedotte da noi con rigore (ci sembra) e con diligenza
intomo alla fattibilità delle cose, egli non par dubio
che veramente se qualche forma di essere può tramez-
zare tra due altre distinte e poco diverse certo ella
verrà all'esistenza. Ed ecco ragione perchè i generi
le specie le famiglie e le classi de' zoologi e de' bota-
nici assai volte ne' loro confini si mescolano e quegli
scienziati penano molto a ben ravvisare dove comin-
ciano e dove terminano, tanto i trapassi riescono im-
percettibili.
5. — Nondimeno, perchè ogni essere à certa essenza
determinata persistente e non alterabile e certa ragione
necessaria della omogeneità e coerenza interiore della
sua forma, egli può accadere che tra un'essenza ed
un' altra diversa non entri interposizione nessuna, at-
teso che il contrario varrebbe quanto pretendere che
intervenga certa medietà fra il quadrato ed il circolo.
Non è da maravigliare importante che alcuna fiata i
trapassi graduati e minuti faccian difetto. Anzi ag-
giungiamo che dovendosi in natura far luogo al tutto
simile e al tutto diverso questo del sicuro si spicca o
disgiunge assolutamente dalle altre serie di cose.
240 USUO TERZO.
Ma parlandosi del mondo che noi conosciamo e
dove il simigliante e il diverso riescono assai mesco-
lati, nientedimeno non è da scordare che vi operano
cagioni parecchie differentissìme Tana dall'altra; e se
ciò non fosse, il finito amplierebbe la propria efficacia
per la sola congiunzione e cooperazione del simile cho
tra i modi d' ampliazione da noi definiti più volte è
il meno fruttuoso. In quel cambio con la diversità dei
prìncipj ottiensi la partecipazione appunto del diverso
nel simile e queir artificiosa, cosi la chiamo, unità dei
contrarj che giungesi ad ottenere nella cospirazione dei
mezzi, nei composti strumentali e nella organizzazione
fisica, come si avviserà a suo tempo; ed allora vedremo
che per incompatibilità di essenze avvi salto necessario
e profondo dalla chimica, per via d'esempio, air orga-
nizzazione, da questa all'animalità e dalla animalità
al principio razionale.
6. — Il perchè quella legge di continuità predi-
cata da Leibnizio e da molti filosofi, tuttoché vera in
sostanza quando la natura è considerata come ricet-
tacolo dell'infinito delle possibilità e quando si pensa
che r essere può variare altresì per infinitesimi, riceve
per le ragioni anzi esposte eccezioni frequenti e copiose
nell'ordine della realità; e segnatamente per ciò che
nella natura, non ci stanchiamo di replicarlo, il diverso
non abbonda meno del simile; dovechè np] concetto di
Leibnizio il fondo delle cose era da ultimo la identità.
A.
7. — Né si biasimano per tutto ciò i fisici cho
pigliano a scorta de' loro studj cotal legge della
continuità; e l'esperienza ci dimostra che cercando
essi cqn premura ostinata qualche essere interd^io
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 241
fra uno e altro vivente, perchè troppo diversi e di-
sgiunti, ranno rinvenuto delle volte parecchie. E nem-
manco ignoriamo che numerosi intervalli trovati den-
tro le serie degli animali furono riempiuti, a così
parlare, da altre specie fossili al presente scomparse.
Non però di meno, la ignoranza profonda che noi soste-
niamo della essenza dell' organismo fa che il differente
ed il simile delle specie e dei generi sia il più del
tempo riconosciuto e classificato empiricamente, e nep-
pure possiam prevedere e prenunziare con sicurezza
una minima varietà, ricevendo tal voce nella significa-
zione peculiare che dannole i naturalisti. Certo, quando
la paleontologia rivelò, non sono molti anni passati,
venti e più mila specie di pesci fossili tra le quali
oltre le forme affatto perdute ogni specie ora vivente
ritrova innumerevoli varietà ed analogie tutte nuove ed
inopinate per noi, conviene procedere più modesti nel
giudicare della continuità o discontinuità delle cose.
Aforismo V.
8. — Ancora si può domandare se tal legge di
continuità prosegue a mostrarsi nelP ordine delle mu-
tazioni per modo che queste succedano in minimi gradi
e solo in gran progresso di tempo manifestino risul-
tamenti notabili ; e ciò sia vero particolarmente dove
non operano se non le cagioni costanti ed universali o
le cagioni minute ed accidentarie che jsono tutte pas-
seggiere e poco efficaci.
9. — Noi già fermammo nel primo Libro della
cosmologia che le cagioni accidentarie non differiscono
dalle sostanziali perchè sieno più contingenti ed ope*
rino con leggi meno costanti, ma solo perchè sono
specifiche ed operano più radamente e con meno du-
Mavuhi. — li. 46
242 LIBRO TERZO.
revolezza e noi con molto maggiore difficoltà ne sco-
priamo il tenore e l'indole intrìnseca non mutabile.
Ma lasciando ciò stare, certissimo è che operando
nel creato cagioni e prìncipj diversi neppure l'or-
dine di successione e di mutazione può mantenersi
identico sempre e trascorrere a minimi gradi da un
cangiamento ad un altro ; e ciò importerebbe che
tutte le variazioni nel mondo si risolvessero in alte-
razioni di quantità estensiva o intensiva. Di più di-
ciamo che lo straordinario ed il consueto, il nuovo e
V antico, il lento e aspettato e il sùbito e affatto im-
pensato nella natura anno valore ed importanza non
diseguale ; perchè V uno e V altro sono governati dalla
stessa necessità, come sotto diverso rispetto sono go-
vernati dalla sapienza medesima. Quindi può benissimo
la natura ritrarre effetti strepitosi e immensamente
fecondi da cause minime in apparenza ed insufficienti.
A.
10. — Mentre ogni cosa nel nostro globo è prin-
cipalmente avviata ad apparecchiare l' abitazione del-
l'uomo e fargli possibile la sussistenza, un picciolo
aumento di carbonio nella composizione dell' aria
l'avrebbe innanzi impedita ed ora la condurrebbe al
niente. Del pari ogni leggier mutazione nella forma dei
continenti e dei mari prodotto avrebbe un'indole di
nazioni, un succeder di fatti e un corso di civiltà so-
stanzialmente diverso da quello che insegna la storia.
Aforismo vi.
11. — Un grande uso e abuso fanno ora* i fisici
del presunto metodo della natura di condur sempre
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 243
r opere sue con perseveranza di causa e col minima
di azione.
12. — 11 vero di questo principio consiste in ciò,
che da ogni parte in natura l'indefinito tien luogo
dell' infinito; la qual cosa apparisce con maggiore evi-
denza nel quanto; perocché il moto che lo genera o
lo manifesta, non salta verun punto intermedio; e di
tali punti ve n' à innumerabilì in ogni distesa di spa-
zio. Da ciò proviene, noi ripetiamo, che le cause me-
desime qualora agiscano e mutino per sola ragione di
quantità, certo spiegano in ciascun istante un minimo
di azione. E perchè l'indefinito si allatta ed insinua
eziandio nelle mescolanze ordinarie del diverso e del
simile e per cotal guisa il diverso ed il simile trapas-
sano r uno neir altro con insensibili gradi, ne seguita
che qui ancora si mostra molto spesso certo minimo
di azione, allato a certa continuazione e medesimezza
di causa.
13. — Ma i dotti, al mio parere, scordano da capo
che nella natura avvi altresì il diverso intero e asso-
luto, 0 poco assai mescolato col simile; e però i tra-
passi ed i cambiamenti debbono parecchie volte riu-
scire immediati, violenti, e non graduati. Per fermo,
nelle fortune di mare, nei terremoti e nelle eruzioni
dei vulcani è subitaneità quanta pienezza ed energia
strema d' azione. E tu di' il simile delle foreste ame-
ricane arse ed incenerite ; il simile della saetta folgore
ehe percotendo (poniamo caso) in magazzini da pol-
vere semina d' improvvise mine il suolo. Mezza Olanda
verrebbe sommersa in pochissimo d'ora, quando si rom-
pessero per accidente gli argini al mare colà costruiti.
14. — Né duranti tutte le epoche geologiche gli è
da pensare che mai in nessuna parte non sia stato
schiuso all'oceano un varco, pel quale precipitando
244 LIBRO TERZO.
avrà del sicuro sommerso in tempo brevissimo larghi
continenti situati sol poche dita più giii del livello suo.
15. — Vero è bene che il simigliante, secondo si
spiegò altrove, è piii generale ; e il diverso appare più
spesso neir atto delle cagioni particx)lari. Di quindi av-
viene che quanto più si esamina la natura nella ge-
neralità dei fenomeni e nella lunghezza del tempo,
tanto sembrano sparir maggiormente le differenze e le
cose procedere ai fini loro per trasmutazioni uniformi
e lentissime. Con tutto ciò, nel sistema solare stesso
scorgiamo segni d' azioni violente e improvvise, s'egli
è pur vero che i pianeti molti e minuti comparsi tra
Giove e Marte sieno frammenti d' un solo astro scop-
piato per fuoco interiore o per urto con altro corpo
celeste. E chi questa supposizione ricusa, riducasi al-
meno in memoria il subito comparire di alcune stelle
e lo sparire di altre e il mutar colore di moltis-
sime pressoché repentinamente.
A.
16. — Non si vuol negare che il Cuvier corse
troppo affrettatamente a credere che le mutazioni pro-
fonde delle forme animali accadute nelle epoche geo-
logiche procedessero quasi tutte da spaventevoli cata-
clismi; e meritò bene della scienza il Lyell supponendo
air incontro che la maggior parte di que' cambiamenti
sia succeduta a minimi gradi e nella lunghezza ster-
minata dei secoli. Ma non isdrucciola egli forse alcuna
volta neir altro eccesso, negando quasi per intero ogni
mutazione violenta e rapida o confinandola in troppa
ristrette regioni e tra transitorj accidenti? Chi può^
[)er via d' esempio, negare che gli elefanti della Siberia
lìon perissero tutti a un tratto p^ rivoltura strana e
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 245
subitanea dì clima e per diluvj veementi di acque, da-
poichè le carni d' alcuno fra essi non soggiacquero a
putrefazione e gli scheletri loro giacciono accatastati
e in quantità enorme ne^ fondo delle caverne e sulle
ripe dei fiumi?
Afobismo Vn.
17. — Il finito come discostasi dall'uno così do-
vrebbe discostarsi dal semplice, il quale nelle cose della
natura, e vogliam dire nel molteplice e nel diverso,
rìducesi sempre a certa unità congiunta e contempe-
rata alla massima varietà, simplex dumtaxat et unum.
18. — Noi risolvemmo già questo punto laddove di-
cemmo che da una banda la creazione dei finiti dovendo
constare d'infinita disgregazione e diversità riuscirebbe
implicata involuta e confusa. Ma d' altra banda il
provvedere divino introducendovi la gran legge della
Convenienza e ponendo ogni cosa a suo luogo e ogni
avvenimento a suo tempo ne risulterebbe che il fine
saria conseguito per ogni dove coi mezzi più proprj e
nella via più breve possibile; il che molti reputano di
esprìmere meglio con l' altra formula che la natura
opera sempre con la massima semplicità. Laonde, se
questo si pensa generalmente dagli uomini, crediamo che
sia ragionevole ed anzi sia tra le cose da potersi an-
nunziare a priori e antecedendo qualunque esperienza.
19. — Ma non debbe caderci mai della mente che
nelle cose finite il semplice è termine relativo. Un crono-
metro è di necessità più complesso d' un picciolo orivolo
da tasca e può un vascello parere nel genere suo molto
meno complicato d' uno schifo e d' una barchetta. La
semplicità è ancor più relativa quando debb'essere pro-
porzionata e connessa a cento cose diverse e a fini ed
246 LIBRO TERZO.
usi parimente diversi in mezzo a quelle ripartiti. Così
è molto differente la semplicità ministratìva dei r^ni
orientali dall' altra dei migliori governi d' Europa ;
conciossiachè in questi convien soddisfare alla libertà
e a tutte le forme e sviluppi deir attività umana^
mentre in oriente gira ogni cosa per la volontà di un
solo e vi si abborrono le novità.
20. — Ora, le concordanze della natura esser non
possono misurate dai nostri compassi. Di quindi le
difficoltà e il pericolo di giudicare la semplicità del-
l' opere sue. E nel generale, ognora che V uomo à pre-
sunto d' indovinarla di suo capo, à scemato il numera
dei principj e degli elementi e scordato a dirittura che
la creazione è pure indefinitamente diversa e che i
possibili anno tutti a venire all' esistere. Cosi Cartesio
pronunziò la parola prosuntuosa: Datemi materia e
moto, ed io vi fabbricherò il mondo. Così Leibnizio si
figurò una sola e medesima essenza di tutte le monadi,
e Spinoza una sola sostanza necessitata di comporre
ogni cosa o di estensione o di pensiere; ed oggi l' Hegel
chiude l' intero universo per entro un' idea che innu-
merevoli volte da sé s' aliena ed a sé ritorna. Per si-
mile, quando a molti fisici e metafisici cadde in mente
di spiegar l' organismo animale con le pure leggi mec-
caniche e chimiche, traviarono grandemente dal vero
lusingandosi d' indovinare la semplicità della crea-
zione.
Afobismo Vlir.
21. — Ciò che la mente considera come semplice in un
sistema di cose riducesi a questo, che sia là dentro in
modo correspettivo il minimo di materia e di forza e
il minimo di composizione, di operazione e di tempo e
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 247
invece vi corrisponda il massimo di produzione nel quale
e nel quanto, per guisa che una sola cagione sia suffi-
ciente a più effetti e un sol mezzo a più fìni e il tutto
si mantenga e perseveri e si accordi da ogni lato con
r ordine generale di cui è parte. Non v' à dubbio che
a à fatto esemplare mira continuo la natura in ogni
sua creazione, e con eccellenza e compitezza maggiore
che r uom non istima. E se con tale norma e tali ri-
spetti andrà il nostro ingegno guardando e giudicando
i metodi della eterna fabbricatrice, non farà che sa-
viamente ; con questo riserbo per altro che delle cento
volte non indovinerà forse le dieci in che propriamente
consista la miracolosa e insuperabile semplicità del-
l' openre della natura ; sebbene sappia certissimo che
ella noQ può né vuole operare altramente. Così per ben
giudicare della semplicità della macchina umana con-
verrebbe innanzi conoscere la essenza intima delle leggi
delForgsinismo; ed allora vedrebbesi del sicuro che
queir intreccio complicatissimo di vasi e tessuti, quella
diversità e moltìplicità di funzioni e di atti e quella
facilità estrema di perturbazione e scomposizione torna
nondimeio e sotto ogni rispetto una e semplice in grado
supremo.
22. — Cjò che nel tutto ancora non è conosciuto
compitameite si lascia scorgere però con chiarezza a
parte per parte. Così ne fa stupire, per atto d' esempio,
il Bichat qiando ne mostra che una sola forma di
tessuto costnisce nel corpo nostro tutte le membrane,
in quel mentre che sono tanto diverse le loro funzioni
e che d' altro lato col variare i distendimenti e i ripie-
gamenti dellalor trama simulano una sì grande diffe-
248 LIBRO TERZO.
renza di organi. £ scendendo dalla natura animale alla
vegetabile, che è molto meno complessa, la semplicità
dei principj e dei metodi, a così chiamarli, farannosì
più manifesti ; ed ognun sa, verbigrazia, che la botanica
accetta oggi per dimostrato e patente gli aspetti € le
figurazioni variatissime e quasi infinite dei fion e
d'ogni lor membro uscire dalle trasformazioni gradiate
e minute d' una foglia qualechessia, ond' ella rinane
come a dire il tipo e il simbolo d'ogni organo vege-
tativo.
B,
23. — Né in altra cosa si può veder meglio l' ope-
rare semplicissimo della natura quanto nelle l^gi del
moto; essendo che queste sono le più generali e co-
muni e però sempre simili a sé medesime, laddove nelle
specialità il diverso introduce maggiore complicazione.
Eulero provò che fra quante curve possono 'enir de-
scritte da un corpo andando da qualche punDo ad un
altro esso sceglie costantemente quella in cui llntegrale
del prodotto della sua massa per la velocità sua e per
r elemento della curva è trovato essere ui minimo.
24. — Da ciò provenne fra i geometri que principio
domandato della minima azione; il quale albiamo av-
visato testé sotto forma un po' meno astratpa e facen-
dol significare una serie massima di durala e di atti
e minima di mutazioni e di effetti. Ma iBlla espre$-
sione sua universalissima quel principio si converte,
per mio giudicio, con la pretta necessità delle cose;
e il minimo di azione vuol dire da ultim) quel tanto
che è uecessatio all'effetto e neppure un atimo di più. È
veramente quell'attimo onde uscirebbe; essendo l'ef-
fetto proporzionatissimo alla sua cagiona?
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 249
Ripetasi adunque che la semplicità della natura
consiste nella legge costante ed universale del Con-
venevole; onde come a produrre un certo effetto
determinato non v' à che certa condizione, quantità,
misura e modo di causa ed ogni più ed ogni meno la
guasterebbe; cosi, trovandosi ogni cosa al suo luogo,
al suo momento e alla sua combinazione e operando
giusta la necessità indeclinabile dell'essere proprio, ella
sembra far ciò per la via più diritta e con parsimo-
nia del bisognevole. E per fermo, abbattutosi poi La-
grangia alla proposizione di Eulero, ne trovò il perchè
nelle l^gi primissime ed essenziali del moto.
Aforismo IX.
25. — Ciò non ostante, ei si trova che la natura
moltiplica talune volte le cause per la produzione del-
l'effetto medesimo e con diversi mezzi procaccia lo
stesso fine. Come usa, per grazia d'esempio, nella propa-
gazione appunto dei vegetabili. Altra fiata, intendendo
ella a maggiormente perfezionare le specie, sembra scor-
darsi della semplicità ; perocché varia e separa i mem-
bri e gli strumenti quanto le preme che l'animale
riesca più ricco di facoltà e più eflScace di operazioni ;
e mentre nelle specie inferiori un organo solo serve a
parecchie funzioni, per lo contrario nelle superiori a
ciascuna funzione importante destina un organo par-
ticolare. Ella per mio avviso insegna con questo che
la maggior perfezione ed efficacia dell' atto è da pre-
ferirsi alla minore complicazione dell'agente. E per
simile che dove il fine è di suprema importanza e
vuoisi accertarlo e affrettarlo per ogni guisa, è somma
saggezza variare e moltiplicare i mezzi, come nell'esem-
pio testé allegato della propagazione dei vegetabili.
250 LIBRO TERZO.
Afobismo X.
26. — Operando la natura con portentosa sempli-
cità viene eziandio a produrre, come si disse in prin-
cipio, queir uno nel vario che vogliono sia la sua legge
universale e perpetua. Né dirò che non sia, quando ci
ristringiamo a credere che siffatta unità comparisca
diversamente nelle parti diverse del mondo creato e ve
ne sia di tante sorte e maniere da comporre ella pure
una serie indefinita. La unità e semplicità del sistema
nostro solare porge subbietto da meditare e stupire
per tutti i secoli. Ma di costa e sopra e d' ogni intomo
a tale sistema il telescopio ne mena a supporre innu-
merabili altri in que'sì diversi agglomeramenti di ma-
teria siderale e in quelle aggruppate costellazioni onde
vediamo cosparso e quasi intessuto il firmamento. Error
grande sarebbe a credere che la unità e semplicità loro
sia simile a quella che noi ammiriamo. E si pensi di
vantaggio che tutti codesti sistemi siderei apparten-
gono pure a certa essenza comune di corporeità, di
spazio, di moto, di figura e di luce. Ma giusta le nostre
opinioni, di là da essi e fra essi v' à probabilmente altri
sistemi innumerabili d'altre forme di essere ignotissimi a
noi e da ogni immaginazione nostra separati e diversi.
A,
27. — Se Cartesio come fecesi a indovinare le l^gi
del moto che gli erano sconosciute in gran parte, cosi
avesse dovuto fare per la favella umana quando l'espe-
rienza nemmanco su tale materia l' avesse istruito, per
lo certo a rendere semplice il suo sistema avrebbe for-
nito ogni stirpe e ogni civiltà d'una sola lingua e
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 251
d' una sola grammatica. Eppure, il fatto procede diver-
samente ; e tuttoché in ciascuna delle differenti famiglie
di lingue la semplicità di costruttura e di svolgimento
sia tra le più singolari ed anzi miracolose produzioni
dell'istinto razionale, nientedimeno non sembra egli
che la natura operato avrebbe con maggiore sempli-
cità facendo inventare air uomo una sola forma di pa-
role e d' inflessioni grammaticali, e agevolando cosi e
affrettando in immenso la fratellanza dei popoli e lo
scambio delle cognizioni?
28. — Per concludere con tale sentenza, farebbe
mestieri conoscere tutte le necessità che impedirono la
unificazione delle favelle; poi quanti beni provengono
dalla loro diversità mentre noi ne annoveriamo cosi
facilmente gli incomodi.
29. — Intanto dal fatto precipuo della diversità
delle lingue trarremo da capo questa persuasione che
la semplicità nella natura e nei concetti dell'uomo
differisce profondamente ; e che d' altra parte, al solo*
infinito della potenza e sapienza divina dovea riuscire
di creare tre o quattro ceppi e tronchi di lingue con
indole al tutto diversa e gareggianti nondimeno in fra
loro di suprema semplicità.
Aforismo XI.
30. — Egli è poi manifesto che le necessità del
finito astrìngono la creazione a proceder mai sempre
dal più semplice al meno, e parlandosi con precisione,
dall' incomposto ai gradi successivi e diversi della com-
posizione. Avvegnaché il finito supera i limiti proprj
e raggiunge maggior plenitudine di essere in que' modi
parecchie volte da noi descritti che sono l' esplicamento
delle facoltà, 1' aggregamento dei simili, la partecipa-
252 LIBRO TERZO.
zione dei diversi e una doppia forma d'organamento;
ordinando cioè i simili, i diversi ed i misti in certa
connessione e cospirazione di mezzi con certa unità di
corrispondenza e di fine ; ovvero ordinando e piegando
gli enti inferiori a condizione di vero e passivo stru-
mento. In ciascuna di tali dilatazioni è trapasso ne-
cessario dal meno composto al più. Atteso che prima è
r atto implicato poi V esplicato, prima V isolamento da
poi r aggregamento, e così pros^ui. Se non che cotesto
ordine di successione e composizione nella natura non
è simultaneo in tutte le parti di lei, ma dove è com-
piuto e dove comincia ; là si ripete e qua cessa. Tut-
tavolta, poiché il mondo ebbe principio e quello che
diventava fu opera delle cause seconde, però debbesi
fermare nel generale che queste dovetter tenere l' ordine
di successione e composizione che abbiam notato.
A.
31. — Si fatte necessità del finito sono in alquante
ontologie e cosmologie germaniche convertite in certa
legge arcana del diventare dell' Assoluto. L' Ente co-
mincia sempre, al giudicio di cotestoro, dal più astratto
e indeterminato che è pure il più universale, e secondo
gli Schellinghiani è l' indifferente di tutte le differenze.
Il che è pretta illusione. Nel fatto, 1' ente finito è sem-
pre particolare e individuo e però è tutto e da ogni
banda determinato. E per esempio noi chiederemo ai
fisiologi di quella scuola, e ve ne à un buon dato, per-
chè la prima molecola vegetabile od animale è da
dirsi indeterminata. Ella invece è particolarissima come
qualunque altro ente per tale giudicato. Mancale forse
verun accidente a dar compitezza alla individualità
sua? non à ella determinata figura, estensione, colore^
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 253
fluidità? non è là dentro una determinata e molto pre-
cisa quantità di carbonio idrogeno e ossigene con certo
modo e grado di affinità chimica insieme congiunti?
32. — Una necessità medesima dunque fa comin-
ciare ogni finito dal semplice ed avviarsi al composto ;
né l'uomo né la natura si possono in questo distin-
guere. La differenza ammiranda ed immensurabile che
interviene é sol questa, che la natura procedendo per
li gradi della composizione termina nelle sintesi più
connesse e perfette che la virtualità dell' intero universo
può in sé contenere e i cui elementi paiono disseminati
e disciolti in maniera da non mai per sé medesimi
sapersi accostare e congiungere. Tanta è l'arte infinita,
a cosi chiamarla, che opera nella natura e governa
la legge da noi mentovata delle concordanze !
« . . . . Natura simtUaverat artem. »
AroRiSMO XII.
33. — Ma perchè questi adunamenti e queste com-
posizioni e cospirazioni del finito si adempiano, occor-
rono le mutazioni; e nel mondo fisico principio d'ogni
mutazione è il moto. Adunque le cose nel mondo sono
preformate senza fallo e coordinate in guisa da molti-
plicare mantenere e variare il moto quanto è possibile.
Quindi la quiete sarà relativa e parziale e mai totale
e assoluta.
I
A.
34. — Se il principio del moto non dimorasse den-
tro alle cose ma giungesse loro dal di fuori, con ver-
254 LIBRO TERZO.
rebbe escluderlo di mano in mano da tutto V ordine
delle seconde cagioni ; perocché, sebbene negli enti spi*
rituali notammo un' altra cagione di mutamento dì^
versa dal moto, ella non opera senza la cognizione ne
la cognizione senza T impulso del sentimento né questo
senza il moto delF organo. Il moto adunque sembra
cagione efficace nei corpi ed occasionale n^li spiriti ; e
quindi è promotore diretto od obliquo d'ogni fenome*
no; e chi lo fa procedere dal di fuori annulla, ri-
petiamo, Tatto e r influsso immediato delle seconde
cagioni.
35. — Tuttavolta, e pur dimorando il principio del
moto dentro alle cose, egli è necessario di riconoscere
una speciale provvidenza nella conservazione di esso.
Perocché nelle necessità ed insufficienze del finito noi
già scorgemmo troppe cagioni che indurrebbero a poco
per volta la inerzia generale e la immobilità. Certo é
che dentro un sistema di corpi la conservazione del
moto ricerca tra le forze contrarie una proporzione ed
una misura delle più singolari e delle più compassate.
CAPO SECONDO.
SEQUE Là stessa MATERIA.
Atobismo I.
36. — Bisogna altresì all'ordine della natura che
in ogni dove sia del generale e dello speciale. Peroc-
ché, se tutto é generale e comune, niente s' innova e si
perfeziona e la partecipazione del diverso non à più
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 255
luogo e nulla non può servire di mezzo e strumento;
dacché questo conviene che differisca o poco o molto
da chi lo adopera.
37. — D' altra parte, se tutto è speciale, niente
non si compone e non si organizza, considerato che
nulla non sarebbe conforme ed omogeneo col rima-
nente, perocché la specie in quanto tale si diversifica
dal genere e diversificando si separa.
38. — Di qui scorgiamo di nuovo il perché la natura
essendo non meno feconda ed inesauribile nel diverso
quanto nel simile, ciò non pertanto nelle sue sfere
parziali raccoglie il diverso come specie nel genere o
TOgliam dire nel simile; e questo é dilatato ed acco-
munato a numero molto maggiore di enti. Per fermo,
la natura in ciascun ordine di cose tende alla formazione
di certe sintesi dove il finito scema la propria insuf-
ficienza ed inattitudine organizzando tutto il diverso
con legame di unità ; e fondamento di unità è il si-
mile; e quello che rimane esteriore alle sintesi do-
vendo cooperarvi o come strumento o quale mezzo
diretto o remoto debbo differir nelle specie ma somi-
gliarsi nel genere; perchè il tutto diverso, come fu detto
altre volte, non agisce e non patisce dal tutto diverso.
A.
39. — Questa dilatazione grande del simile com-
parisce segnatamente nelV ultimo fondo delle sostanze
e delle cagioni. Di quindi l' operare continuo e gene-
ralissimo delle cagioni sostanziali e il rado e ristretto
delle cagioni accidentali e particolari, merceché que-
ste provengono dal diverso.
256 LIBRO TERZO.
Afobismo n.
40. — Occorrerà eziandio che qualcosa sia mobi-
lissima e qualcosa tardissima. E però in quella sia la
mutazione continua, in questa la permanenza ; quella
ceda a qualunque impulso, questa si opponga e resi-
sta. Perocché dove tutto si mova e cambi, nulla si fa
e conserva; e dove tutto permane, nulla si produce.
Del pari, se ogni cosa resiste, nulla si fa; e se tutto
cede, qualunque cosa si disfà. Ma i due principj come
non possono dimorare nel subbietto medesimo conviene
per altro che si mescolino quanto è possibile in ogni
parte con debite proporzioni. Il principio di resistenza
e stabilità conviene che risulti dalla più generale e
comune disposizione dei corpi. Attesoché le gran sintesi
a cui tende la natura debbono anzi tutto costituirsi
di materia, la quale insintantochè rimane disgregata e
disciolta non porge subbietto ad alcuna composizione ;
e del pari, insino a tanto che non regge e non fon-
damenta ogni cosa, niun edifìcio vi si può sopraggiun-
gere. La materia, impertanto, nell'essere suo di sub-
bietto fondamentale e comune sarà meno mobile e più
permanente e quindi meno cedevole e più resistente ed
inerte.
41. — Di quindi pure il primo atto, a così doman-
darlo, della natura é l'accozzamento dei simili. Conviene
dunque che la materia dove che sia si congreghi. Non in
guisa, tutta volta, che l'attrazione e congiunzione dei
simili prevalga ricisamente all' altro principio della
mobilità e della mutazione. Però é necessario che la
congiunzione della materia avvenga spartitamente e
componga più masse divise e con differente compattezza
e le une sieno in relazione attiva con le altre ; peroc-
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 257
che, dove fosse diversamente, avremmo da capo la
inerzia e immobilità del tatto e la impossibilità delle
sintesi successive e finali.
42. — Per queste poi occorre che il principio oppo-
sto di mobilità e cedevolezza, mentre informa soltanto
alcune sostanze speciali, si faccia presente per tutto
dove sono corpi e dov' è materia capace della più per-
fetta forma sintetica, la quale in ordine al mondo fisico
si adempie nella strumentalità e questa nell'organiz-
zazione.
43. — Manifesto è del pari che ciascuno di tali
principj avrà alcun subbietto in cui toccherà l'estremo
di sua natura. E da una banda, per via d' esempio, sa-
ranno i metalli. Dall'altra l'etere e le monadi vege-
tative. Tutte le sostanze intermedie parteciperanno a
diversi gradi della persistenza e della mobilità.
A.
44. — Nel generale è lecito di affermare eziandio
per fatto sperimentale che la resistenza predomina nei
simili e la mobilità fra i diversi. Imperocché grande
principio di resistenza è la compiuta coesione; la quale
tuttoché avvenga pure fra sostanze per più rispetti
diverse, nullameno è certa forma di accostamento e di
congiunzione similissima e comunissima ad ogni ma-
niera di corpo. Di quindi, a parlare del solo mondo
meccanico, discende la massima che il principio di re-
sistenza esce dalla coesione o sia da un modo simile
e comunissimo di aggregamento: e il principio di mobi-
lità esce dalle affinità chimiche, le quali operano fra
i diversi e alle quali nel più dei casi occorre per
ispiegare gli atti loro speciali 1' azione anteriore dei
gran dissolventi e cioè a dire qualcosa che vinca la
forza di coesione come fanno il calore e l' elettrico.
Mahiari — II. ' i7
258 LIBRO TERZO.
B.
45. — Neppure è da pretermettere che la più resi-
stente materia non è sempre nel nostro globo dalla
coesione dei simili effettuata; sibbene talvolta dalla
coesione dei diversi, e vogliam dire dalle terre e dai
minerali composti e mescolati per affinità chimiche,
come sono i graniti il basalto i marmi. Ciò dimostra che
il principio di mobilità si converte nel suo contrario;
perchè la natura procede appunto fra gli opposti, come
si discorrerà negli aforismi infrascritti. E del pari, ciò
dimostra che per V essenza del finito la semplice con-
giunzione del simile à poca efficacia ; e quindi può dirsi
senza timor di eccezione che la natura laddove cerca
un fatto di suprema energia e che tocchi 1' ultimo di
certo concorrimento ed assetto di fenomeni à ricorso
continuamente alla partecipazione del diverso e però
alla intromissione del contrario.
Aforismo m.
46. — Per le mostrate cose si viene a concludere
che gli atomi materiali si uniranno in fra loro e me-
diante la congiunzione del simile e mediante la par-
tecipazione del diverso. In tal maniera saranno com-
poste le masse, fra cui non debb' essere né unità né
disgregazione assoluta, ma certa vicenda di accosta-
mento e disgiungimeuto.
47. — Però, chi ben considera, riconosce che essen-
dovi un modo piìi generale e più costante di congiun-
zione fra gli atomi che è quello domandato di coesione,
tal forza operando sempre ed in ogni dove piglierà di
mano in mano un crescente predominio ; e intendiamo
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 259
che il principio di resistenza e di permanenza piglierà
con forza fatale il disopra e andrà spegnendo di qua e
di là ì movimenti ed i mutamenti troppo necessarj a
compiere i fini della natura. Laonde noi siamo certi
che un qualche principio contrario dovunque sia mate-
ria debbe mantener l' equilibrio. E per fermo la espe-
rienza c'insegna che tale equilibrio è causato e serbato
dall'eteree nella sfera dell' organismo dalle monadi ve-
getative, sebbene in modo diflferentissimo.
48. — Perchè dunque è necessario anzi tutto al
finito che le parti del molteplice non si rimangano di-
sgiunte, dopoché in tale stato la insufficienza e impo-
tenza loro non à diminuzione e riparo, la legge più
generale e comune della natura, secondo fu toccato
ne' Libri anteriori, dovrà essere l' attrazione da cui
per primo sono costruite le molecole, indi i corpi, indi
le masse con diversa maniera e grado di accostamento
e il cui più leggiero è 1' adesione e il massimo è la
coesione prodotta dal peso, dal tempo, dall' acconcia
forma corpuscolare e da altri accidenti. Di poi si fa
manifesto che gli atomi attraenti ciascuno con forza
infinitesima acquistino in massa virtù poderosa e gli
smisurati corpi si attraggano pel principio medesimo;
e perchè fra i divei-si avvenga altrettanto come fra i
simili, saranno entro quelli spartite e variate le affi-
nità chimiche.
Seconda legge sarà l' intervento d' una forza con-
traria, e cioè mobilissima espansiva e penetrativa e
signoreggiante tutto il mondo meccanico, e vogliamo
dir quello in che non apparisce vera e propria orga-
nizzazione e tiene il più basso loco nell'ordinamento
universale dei mezzi.
260 LIBRO TERZO.
Aforismo IV.
49. — Oltre alla mescolanza del simile e del di-
verso, del mobile e del permanente, dello speciale e
del generale; ed oltre alla temperanza e misura del
principio congiuntivo e dell' espansivo, accade che per
trasmutare quanto è pur d' uopo alle sintesi superiori
certa moltitudine e differenza di enti vi s' introduca
altresì l'opposizione e il conflitto; dacché i compiuti
contrarj si escludono; in quel cambio, la opposizione
parziale entro certo termine serba e diversifica il moto.
50. — Da un canto, 1' opposizione sorge e moltiplica
da ogni parte quasi a dire naturalmente, poiché cia-
schedun finito avendo difetto d'innumerevoli facoltà e
forze che sono in altri subbietti spartite, sostiene da
tutte esse più o meno d'impedimento e contrasto.
Dall'altro canto, perché ogni cosa non si fermi inattiva
0 movendosi non trasvada e disordini senza modo né
legge, conviene che talvolta ella superi le forze avver-
sarie, tal altra ne sia superata, e in entrambo i casi
avvenga moto e però mutazione nei termini di qualche
misura o di qualche ritegno. Il che adempiesi tanto
meglio e con mutazioni più produttive, in quanto la
divina mentalità dispone che le cose oppongansi nella
specie, e nel genere si concordino; e di tal maniera
ottiene ora che certi atti non eccedano e non trasmo-
dino ora che crescano di vigorezza ed ora li torna alla
condizione perduta.
51. — Così neir organizzazione animale il sistema
muscolare contrapponesi alla prevalenza del sistema
nervoso e viceversa; del pari che nella organizza-
zione sociale umana il contrasto bene ordinato delle
potestà pubbliche le impedisce di traviare e le astringe
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 261
a non uscire ciascuna della propria competenza giu-
ridica. Per simile, insegna la cotidiana esperienza che
le fatiche, l'astenimento e il disagio ingagliardiscono
ogni corpo animato e le diflScoltà acuiscono V ingegno
e nelle dure prove si tempra il carattere- D' altro lato
ancora nei miscugli chimici sono ristorate alcune
proprietà per 1' azione dei reagenti; e i veleni operando
contro i veleni ricuperano altrùi la salute, come nel-
r uom delinquente il dolore della pena ripristina il
senso morale perduto.
52. — Ma negli opposti sono anche gli estremi delle
cose; e quando gli opposti non fossero e non operas-
sero, mancherebbero eziandio tutte le medie partecipa-
zioni. Conciossiachè dal bianco e dal nero dal chiaro
e dal fosco risultano le lineazioni e figure dei corpi
come dal temperamento del grave e dell' acuto escono
le melodie.
53. — Di tal guisa la creazione si giova di tutte
le sorte e categorie degli opposti a fine principalmente
di frequentare e variare con legge il moto e le mutazioni.
E dall' uno dei capi di tale serie sono gli opposti a cui
manca per sino la simiglianza del genere ; nell' altro
capo, invece, sono gli opposti che -anno tutto uguale
e comune, salvo una certa disposizione e un certo modo
di operare. Della prima sorta sono le cause non for-
mali ed efi&cienti ma solo eccitatrici ed occasionali;
siccome accade, per via d' esempio, tra il corpo e lo
spirito iche sono contrarj di essenza e tuttavolta ora
eccitano ed ora occasionano l'uno nell'altro azioni e
fenomeni. Della seconda sorta ci porge esempio l' elet-
tricismo, che per una sua legge mirabile di polarità
entra ed esce continuo di equilibrio e in qualche ma- ,
niera combatte insieme e concilia sé con sé stesso. Di
tal legge di polarità come sorgente sempre viva e nor-
262 LIBRO TERZO.
male di moto è avidissima la natura e sotto sembianze
numerose e variate la riproduce.
54. — Queste sono le più singolari definizioni ed
applicazioni del concetto degli opposti in quanto ca-
gionano e rinnovano il mutar delle cose ; e parte se ne
indovina speculando sui nostri principj, parte se ne
conferma e specifica consultando i fatti e gli esperi-
menti. Ma degli opposti non è spedita bisogna fare
rassegna ordinata e compiuta. Atteso che in natura
gli opposti sono da per tutto; perchè ogni cosa è ca-
gione od effetto, è agire o patire, sostanza o accidente,
e così prosegui ; e in ciascuno di tali doppj è una sorta
di opposto.
A.
55. — Da lungo tempo i logici anno distinto le varie
ragioni degli opposti ed anno eziandio notato come tal-
volta dall' una all' altra corra inmenso intervallo. Così
r ultima da noi nominata è da dirsi non di cose con-
trarie ma contrapposte, e che si riscontrano ed anno
legame di congiunzione più presto che di ripugnanza.
Invece gli è raanil'esto che l'opposizione logica non
sussiste in natura e non può esser cagione di moto e
di mutamento. Alcuni opposti poi anno un termine
conciliativo ed altri non l' anno ; in fisica il sale con-
cilia r acido e l' alcali, e nella morale la spontaneità
e r amore conciliano il comando con la suggezione, la
libertà con la necessità, la legge con 1' arbitrio. Ma in
quel cambio sono altri termini che nessuna potenza
varrà a conciliare, come il brutto e il bello il bene e il
male la virtù e il vizio il finito e l'infinito. Onde la na-
tura, che non può eliminare da sé né il vizio né il male
né la bruttezza né la finità, procaccia con ogni indù-
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 263
stria di scemarne il dominio e di farli talvolta non
mai cagione efficiente ma 8Ì occasione dell'opera de'
loro contrarj.
56. — Queste cose accenniamo tuttoché poco atti-
nenti al proposito, ricordandoci di quella scuola fa-
mosa tedesca la quale à stretto in un fascio tutte le
specie di opposti e ne à fatto uscire l' universo. Ma
nella realità quegli opposti sono efficaci nella natura
che vogliono in fondo significare qualche variata e
fruttuosa partecipazione del diverso.
Aforismo V.
57. — Se la mobilità e la permanenza non posso-
no coesistere nel subbietto medesimo e l' una e l' altra
sono necessarj alle sintesi terminative cui vuol perve-
nire la creazione, converrà che dove il moto vario e
frequente dee prevalere, prevalga eziandio un qualche
principio misuratamente contrario alla resistenza e alla
coesione. E se tal principio sia 1' etere, converrà che
ne risultino effetti costanti e vogliam dire che il loro
opporsi alla persistenza ed alla compiuta coesione non
avvenga per accidente ma per propria natura.
A.
58. — E così accade per appunto. Che mentre
nelle grandi masse è un ampio repositorio di qualun-
que ragione di sostanze atte ad elementare ogni sorta
di corpi, vi s' incontra eziandio altro gran serbatoio
di materia fluida come le acque e i gaz componenti
la nostra atmosfera. Vi si aggiungono i sedimenti
e le terre di ultima formatone i quali sono quasi
un tritume ed un polverio cavato a poco a poco dal-
264 LIBRO TERZO.
r ossatura del globo. In tutto questo è un complesso
diverso di materiali usabili, a così parlare, e manegge-
voli che la natura come buon capomastro dispone e pre-
para da lunga mano nella sua stupenda officina. E per
vero sembra che agli astronomi venga avvisata una
qualche atmosfera gazeiforme su quasi tutti i pianeti.
Il che induce a credere che pure colà debba prevalere
il principio del moto e cedere quello della I-esistenza
e della coesione.
59. — Dai nostri principj è derivata per noi la
necessità di ammettere fra le masse enormi e le pic-
ciolissime un che di mezzano non per estensione ma
per virtù e atto a penetrare ogni cosa ed' opporsi al-
l'eccesso dell'attrazione e della coesione, onde poi pro-
cederebbe altresì l' eccesso della resistenza e della
immobilità. Di qui si vede che l'etere debbe avere
essenza propria e diversa da quella d'ogni materia.
Quindi è rimosso e combattuto il concettò di alcuno
a cui sembra l'etere e la materia stellare original-
mente essere state una cosa medesima con differenza
estrema di densità; e un primo grado di contrazione
dell'etere doversi ravvisare in certa materia cosmica
fluttuante per lo spazio e la cui presenza è fatta av-
vertire da un' alterazione che credesi cagionata da lei
nel moto di alquante comete e segnatamente in quello
della cometa di Encke.
60. — Aggiungiamo ora che la essenziale diver-
sità fra r etere e la materia stellare ci viene eziandio
accertata dalla legge degli opposti o della polarità
che s' abbia a chiamarla, e senza la quale le muta-
zioni o non accadrebbero o riuscirebbero scarse e in-
feconde. Perlochè in generale il simile non à cagion
di mutare, e la opposizione è in sostanza il diverso con-
giunto a qualche similitudine. E questo si vedrà me-
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 265
glio discorrendo più avanti della genesi del mondo
meccanico.
Aforismo vi.
61. — Ma per fermo una cagione potissima di mu-
tazioni frequenti rapide agevoli ed efficaci dimorerebbe
in certa vicenda non pure di polarità di affinità e di
espansione, ma in un intreccio tale di forze che le ul-
time ad operare ricomparissero come prime e rinno-
vassero inversamente il corso e il concatenamento di
loro azioni e di loro effetti. Il che alla natura non è
malagevole ad ottenere. Considerato ch'ella dove desi-
dera che moltiplichi non il simile ma il diverso molti-
plica altresì le cagioni promovitrici, le quali vedemmo
altrove essere atte ad eccitare le altrui facoltà, sebbene
differenti dall'indole propria di esse cagioni. Per cotal
guisa una serie di forze ciascuna assai differente dal-
l'altra può suscitare a vicenda una serie altresì di atti
diversi, e l' ultima di quelle forze divenire scambievol-
mente provocatrice dell'operare della prima, se venga
.con lei in relazione e in contatto.
A,
62. — L' esperienza ratifica largamente queste pre-
sunzioni del raziocinio. E nel vero, uno de' più rile-
vanti trovati della fisica moderna si è di conoscere
che tutte le forze del mondo chimico e del mondo mec-
canico possono ingenerarsi l'una dall' altra con esatta
scambievolezza. Mediante il calore si provocano le af-
finità chimiche, la luce, il moto meccanico, la elettricità,
e si modificano per ogni parte i fenomeni del fluido
magnetico. Questo reciprocamente suscita moto mecca-
266 LIBRO TERZO.
nico, calore, luce, ed elettricità. Con la elettricità poi
sono promosse le affinità chimiche, il moto meccanico,
il magnetismo, il calore, e così prosegui.
63. — Ma d' altro canto, i subbietti non si trasmu-
tano e le forze non si comunicano. Quindi nella ca-
tena dei cambiamenti surriferiti, del sicuro interven-
gono modi diversi di causazione; e vale a dire che v'à
qualcosa la quale opera non come forza efficiente ma
solo promovitrice e talvolta ancora per mera virtù oc-
casionale; e quindi alcune sostanze in quel giro di fe-
nomeni soggiacendo a modificazioni parecchie e tor-
nando con l'ultima allo stato lor primitivo, generano
un periodo di movimenti e di cambiamenti per l' estre-
mo dei quali l' effetto sembra diventare cagione.
B.
64. — Giusto perchè le forze non si trasmettono
e rimangono intatte non pure nella essenza ma nella
quantità d'ogni loro azione egli avviene che quan-
tunque diverse misuransi l' una all' altra con esat-
tezza mirabile. E cotesta nuova aritmetica di propor-
zioni, a così domandarla, applicabile a tutte le forze
meccaniche e chimiche poste a ragguaglio l' una del-
l' altra, è una bella e fruttuosa scoperta de' nostri
tempi. Conciossiachè il sicuro ed esatto rapporto delle
quantità supplisce in fisica molte volte e fino a certo
termine all' ignoranza che sopportiamo intorno all' es-
senza delle cose, e perciò intorno alla necessità intrin-
seca dell' operare delle cagioni.
C.
65. — A rispetto poi del circolo delle forze produttrici
la scienza moderna offre esempj di singolare bellezza.
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 267
Ma il concetto generale fu indovinato dagli antichi
assai chiaramente. E dissero in fra l' altre cose
che i vapori marini forman le nubi, queste la piog-
gia, e della pioggia si ristorano i fiumi e dei fiumi
il mare.
66. — Del rimanente, in cotesto giro di mutua
causazione delle forze ed in cui talvolta l'effetto sem-
bra mutarsi in cagione e viceversa, è pure da rico-
noscere una delle maniere stupende della natura di
giungere agli alti suoi fini con semplicità di mezzi e
moltiplicazione e varietà di prodotti.
67. — Ed anzi, com' ella non può tradurre in infi-
nito veruna serie di cause e di effetti, abbiamo arbi-
trio di presagire che in ogni sfera distinta e separata
di esistenze manterrà in ultimo le mutazioni ed il
moto con la gran legge del periodo, la quale, chi ben
guarda, risolvesi in fatto nel ricircolare le stesse ca-
gioni e gli stessi effetti, talvolta nel verso diretto e
talaltra nello inverso.
AroRisMo VII.
68. — Se non che questo concatenamento di forze
come potrà diventare generale e continuo e variare
insieme quanto bisogna allo adempimento delle sintesi
terminative? Tutto ciò contradice all'indole e alle in-
sufficienze comuni della finità, la quale (fu detto as-
sai volte) riesce inerte ed inoperante; e oltre ciò è
disgregata e particolare ed anzi è isolata e individua.
D'altro canto, per la stessa diversità delle essenze e
moltitudine degli opposti ogni cosa va soggetta a mille
accidenti minuti e mutevoli; onde, qualora non caschi
nella indolenza abituale, non vedesi per che maniera
mantener possa un tenore di atti regolatamente diverso
268 LIBRO TERZO.
e medesimo. Concludesi che alla natura fa grandemente
mestieri alcuna virtù generale che da per tutto e
sempre assicuri la continuazione del moto e l'eccita-
zione delle forze ; onde ne provenga poi una o molte
di quelle circolazioni e rinnovazioni di atti poco dianzi
ricordate. E questo sentiva Aristotele quando imma-
ginava quel suo primo mobile da cui dipendevano
tutti gli altri ; e Platone sentì forse il medesimo dando
il governo della terra e dei cieli ad un'anima onde
fluisse perennemente 1' attività e la vita. Ma 1' uno e
r altro scor4ava, come accade troppo sovente, le con-
dizioni e limitazioni del finito per le quali diventa con-
tradittorio il concetto d'una eflScienza finita insieme ed
universale, ovvero infinita ma esclusa dalla essenza
divina. Oltreché, trattandosi nel caso nostro d' un es-
sere materiale farebbe ripugnanza 1' attribuirgli certa
unità infinita, e indivisibile.
69. •— Vi sarà dunque nel mondo un principio di
mobilità, conforme l' abbiamo descritto, e il quale, oltre
essere supremamente penetrativo ed espansivo, andrà
fornito della facoltà di eccitare le forze e variare le
mutazioni ; ma non potendo sostanziarsi in un solo
subbietto e in un solo centro, avrà tante sedi, a così
favellare, quanti sistemi si comporranno nel mondo
meccanico e chimico e da un gran corpo centrale pio-
verà continuamente la eccitazione a tutte le forze
od a quelle che sono prevalenti su tutte.
70. — Egli è chiaro che nel sistema al quale si
lega il pianeta nostro simile ufficio appartiene al
Sole, e che quivi l'etere sustanzia e quasi individua
la sua potenza e gì' ingerimenti di continuo eser-
citati e allargati. E il modo particolare sarà descritto
più avanti.
CGOEDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 269
Aforismo Vni.
71. — Toma chiaro similmente che cotesto etere
il quale diventando nel Sole cagione perpetua di ecci-
tamento s'ingerisce di continuo nelle mutazioni di
tutto il sistema, diventa altresì il legame generale ne
mai interrotto di quello ed è grande ed eflScace stru-
mento di comunicazione.
72. — L'etere, adunque, come principio generale di
regolata mobilità nel mondo inorganico e però opposto
all'altro principio di stabilità e di resistenza, dovrà farsi
presente per ogni dove e non meno nei piccioli corpi che
ne' grandissimi, non meno negl' interstizj delle mole-
cole che fra gli spazj planetarj. Essendoché intendi-
mento della natura è il moto; e d'altra parte l'essenza
del finito porta seco più volentieri la immobilità. Ne-
cessario è impertanto che il principio di cui discor-
riamo da per tutto apparisca, sebbene con grado molto
diverso di operosità e di effetto. Egli è pure forza
generale espansiva ed eccitatrice, due forme della stessa
potenza di mutare e di movere.
73. — Per ciò ninna cosa sopravanzerà l'etere
di sottigliezza e penetrazione, onde tutte invece po-
tranno essere penetrate da lui insino all' ultime mo-
lecole. Del pari, dovendo egli dividere il troppo unito
e vincere qualunque inerzia e durezza, non potrà
avere le parti sue separate ma comporrà un con-
tinuo inferiore solo a quello dello spazio e immensa-
mente maggiore di quello dell'aria. Per simile, do-
vendo impedire l' eccesso della forza attrattiva non
verrà egli attratto da nessun centro, ossia non avrà
le parti né il tutto pesanti ; il che si ravvisa altresì
da questo, che l'etere circondando ugualmente tutte le
270 LIBEO TERZO.
masse, e penetrandole per ogni verso, non può uscir
di bilancia né gravitare sui corpi quali che sieno.
74. — Da ultimo, egli congiungerà in se medesimo at-
tributi contrarj ; o per discorrere con piii giustezza, egli
opererà in tempo e subbietto diverso in maniera diffe-
rentissima e quasi opposta. Per fermo, s'egli il più delle
volte non riuscisse tenuissimo e cedevolissimo, non po-
trebbe mutarsi a ciascuno istante e dapertutto promo-
vere le mutazioni. D' altro canto, la sua virtù espansiva
ricerca che in certe maniere di atto e in certo stato dei
corpi con lui congiunti egli sembri la meno sforzevole
di tutte le cose e nulla resista alla sua violenza disgre-
gativa. Laonde occorre, chi voglia bene immaginare la
essenza dell' etere, concepirlo siccome il più elastico
d' ogni subbietto corporeo e il meno addensato e com-
patto; di qualità che il suo rarefarsi e addensarsi non
abbia paragone con altra materia, ed esso esca facilmente
d' equilibrio e più facilmente vi ritorni ; e del pari gli
atomi suoi sottilissimi uscendo sempre e tornando alla
propria forma e alla comune contiguità, mentre com-
pongono un tutto omogeneo ed unito più che altra
sostanza, paiono quasi animati da perpetui tremori, e
il moto loro convertesi in minuta vibrazione o in rivol-
gimento di ciascuno sopra di sé medesimo.
75. — Ma se 1' etere è mobilissimo e in ogni dove
è cagione di eccitamento, ragion vuole eh' eziandio
tutte le cose lo movano e l' eccitino ; dacché vedemmo
nessun ente materiale potere con sé variare sé stesso e
non dipendere in guisa veruna dalle forze esteriori. Solo
ne si fa lecito d'immaginare che le parti dell'etere non
sieno tutte condizionate ad un modo ed anzi original-
mente sieno distinte come a zone diverse e per grado
differente di sottigliezza, ovvero possano contrarre
diversa forma di atto l'una a rispetto dell'altra, per
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 271
guisa che cessando anche la esterna provocazione
elle proseguano ad agire e reagire in fra loro per
certa legge di polarità e certo modo di flussione e
circolazione.
76. — A noi è avviso che l'esperienza avveri e par-
ticolarizzi queste presunzioni speculative in tal modo
che r etere insinuandosi in ogni corpo e combinandosi
intrinsecamente con ogni minima parte di quelli vi opera
i fenomeni del calore e della luce. Mentre i corpi d'altro
lato combinandosi in fra di loro e rimanendo sempre
nyiescolati con V etere promovono in questo i fenomeni
elettro-magnetici che anno qualcosa di più speciale e
di separato nell' etere stesso. Per fermo, a tacer della
luce, il calore è così efficace a mutare e rimutare pro-
fondamente le condizioni e le figure dei corpi e interviene
con azione così universale ed assidua, che vedesi aperto
la costituzione loro dipendere non meno dalla virtù dei
proprj elementi, che dal modo primitivo di unione e
combinazione con l'etere. Onde, per via d'esempio, il Sole
à per propria natura costitutiva il tramandar luce e ca-
lore ogni sempre, e il medesimo giudichiamo di tutte le
stelle. Non può affermarsi, egli sembra, altrettanto del-
l'elettro-magnetismo; il quale accompagna, certo, pres-
soché tutti i fenomeni fisici e chimici di essi corpi, ma
per ordinario e a giudicare dalle apparenze li lascia poco
o nulla alterati nell'essere loro, ed è mestieri a scoprire
la gran potenza di lui che l'arte sperimentale intervenga
coi suoi finissimi ordigni. D'altro canto se quei fenomeni,
mentre sono di rado e assai parzialmente il pro-
dotto immediato della forza elettrica o magnetica,
tuttavolta non mancano mai di eccitarne la variata
272 LIBRO TERZO.
manifestazione, dobbiamo concludere che il calore nel
generale e la luce nella sfera speciale della vegetazione,
e in altri fatti fisiologici e chimici è causa immanente
e costitutrice di molte disposizioni sostanziali e fonda-
mentali dei corpi ; laddove questi con le lor mutazioni
e combinazioni paiono provocare solo occasionalmente
nel seno dell' etere i fenomeni elettro-magnetici, i quali
intanto si manifestano dentro le sostanze corporee e
intorno di esse, in quanto l' etere le invade, a così
parlare, e le impregna di sé in ogni luogo ed in ogni
tempo.
77. — Ma tutto ciò, ripetiamo, è giudicio rica-
vato dalle prime apparenze e dai fenomeni più vistosi
e immediati. Guardandosi, invece, nell' ultimo fondp
loro, tornerà forse spediente d' invertere le conclusioni
accennate e dire che luce e calorico sono ingerimenti
perenni e proprj dell'essenza dell' etere in seno dei
corpi ; laddove l' elettro-magnetismo è pure forza ope-
rosa dell'etere nel didentro de' corpi, ma sempre le-
gata con essi e costituendo parte di lor natura.
78. — È perciò l' elettro-magnetismo un etere meno
elastico e meno sottile; e non irraggia ma fluisce e cir-
cola; e se à minor vibratezza, à movimento locale
molto maggiore. Stanzia in tutti i corpi ma dispar-
mente e con quantità assai diversa. Fra i corpi ete-
rogenei gira con difi'erente polarità; tra gli omogenei
varia d' intensione e torna ed esce continuamente
d' equilibrio ; il perchè dapertutto ed in ogni sostanza
fassi cagione di moto molecolare e di mutamento.
79. — Adunque, come un' aria grossa e vaporosa
distinguesi dall'aria fina e rarefatta dell'Alpi, l'elet-
tro-magnetismo si distingue dall'etere puro ed immenso
e si combina tuttora coi corpi e da se non istà. Quindi,
mentre l'etere passa e raggia nel vuoto, l' elettro-ma-
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 273
gnetismo non lo attraversa ed è mai sempre inerente
in qualche materia.
80. — Ciò poi che le macchine addimostrano con
veemenza e aggrandimento di fenomeni T elettro-ma-
gnetismo ordinario lo fa con più tempo e a minimi
gradi. Picciolissime e ripetute scariche, induzioni, cor-
renti e circolazioni sciolgono a poco a poco i più intimi
aggregamenti chimici e ne promovono altri diversi. Il
perchè mentre T elettro-magnetismo operando natural-
mente e ordinariamente sembra lasciar le sostanze nelle
condizioni di prima, esercita invece non rade volte njel-
r intima lor connessione effetti più rilevati che il calore
e la luce. Imperocché il calore invadendo i corpi ne
disfa spesso la trama, a così domandarla, per la effi-
cacia de' suoi tremori e della sua forza espansiva. Ma
talvolta la forma ultima molecolare con la tenuità estre-
ma e la compattezza unitissima resiste e si mantiene;
e d'altro lato la luce e il calore che sono attribuzioni
vere ed atti essenziali dell' etere, per la somma loro
sottilità ed elasticità conducono quasi al nulla l' azione
propriamente meccanica de' loro impulsi; laddove l'elet-
tro-magnetismo meno elastico e meno sottile scorrendo
e battendo infinite volte gli stessi punti rompe tal fiata
le resistenze molecolari e modifica profondamente la
costituzione atomica ed invisibile delle sostanze.
81. — Da ciò consegue che se contro lo eccesso e
la immobiHtà della coesione opera più specialmente il
calore, contro la resistenza e la permanenza delle affi-
nità opera più specialmente l'elettrico.
82. — Consegue eziandio da ciò che l'etere nell'una
e neir altra disposizione del suo subbietto cospira
ugualmente a perpetuare e variare il moto e impedisce
in ogni materia la lunga passività e l' inerzia e la ri-
petizione troppo uniforme degli stessi fenomeni.
Mamiani — II. 18
274 LIBRO TERZO.
83. — Vogliamo avvertire per ultimo che le due
differenziate disposizioni del subbietto etereo da noi
descritte, se dimostrano in quello un' abbondanza di
attività e una forza mirabile ed iniziale di eccitamento,
serbangli tuttavolta la necessità comune agli enti finiti
di non possedere in sé solo il principio insieme e lo
spiegamento della propria efficenza. L'etere non pure
si distingue ad ogni momento e si differenzia da sé
medesimo, ma l'una delle due forme che assume non
opera con virtù indipendente ed universale, sibbene
circoscritta per entro i corpi e dipendente sempre da
essi.
Ma della natura ed ufficio dell' elettro-magnetismo
verrà nuova occasione di ragionare
84. — In risguardo poi dell' ufficio che esercita
l'etere di porre in comunicazione diversa e continua
ogni membro de' sistemi solari e di eccitarvi perenne-
mente r attività ed il moto, giudico che si rinvenga di
ciò una dimostrazione nuova ed inopinata nella sco-
perta recente delle attinenze e rispondenze strettissime
fra le macchie del Sole e certe periodiche variazioni
nel magnetismo terrestre.
Afobismo IX.
85. — Ogni cosa nel finito à certe competenze ed
attribuzioni in esclusione di altre ; e ciò semplicemente
per la ragione dell' esser finito. Noi siamo sicuri, adun-
que, che r etere per l'universalità sua d' azione e d'in-
gerimento sarà sfornito di vera e perfetta individua-
lità ; e perché combinasi con le sostanze di ogni ra-
gione ed eccita ogni maniera di forze e di moto, così
manca delle efficienze speciali e peculiari di quelle. Da
ciò proviene che non vi sarà corpo giammai costruito
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 275
di etere o d' alcuna sua proprietà, come a dire di solo
calorico 0 di solo fluido elettro-magnetico o di sola luce;
e lo Schelling parlò da poeta e non da cosmologo
quando disse dell' oro essere luce coagulatj.
86. — Quindi pure V etere, tuttoché sia general pro-
motore di forze, di cambiamenti e di moto, non è prin-
cipio efficiente né come cagione né come atto. E in^
tendiamo significare che non pure egli non è il principio
per cui esistono sostanzialmente le cose, ma nemmeno
è atto generale efficiente in questa accezione che com-
penetrandosi qua e là con gli atti delle sostanze parti-
colari faccia di sé e di quelle certa unità di essere
uscente dalla liquefazione di due nature nel modo che
avviene, per via d'esempio, nelle terre e nei sali.
Aforismo X.
87. — Per vero, non istà nelle condizioni sì grame
e sì disgregate del finito che il principio attivo adu-
nisi tutto 0 gran parte non dico in un solo ente ma
nemmanco in una sola specie di enti ; e affermisi pure
altrettanto dell'opposto principio. Laonde attività e
passività sono due essenze conispondenti, spartite e
digradate per ogni angolo dell' universo ; e in ciascuna
sfera di cose debbono riapparire e sussistere con una
sorta particolare di ordine e di gerarchia.
A.
88. — In molte religioni antiche la gerarchia degli
Dei forse volle significare questa gradazione della po-
tenza attiva e passiva; sebbene nel generale fu spie-
gato ogni cosa unificando da una parte tutto l' attivo
0 dall'altra tutto il passivo; e poi congiungendoli in-
276 LIBRO TERZO.
sieme se ne faceva nascere ogni ragione di esistenze per
una specie di pregnanza e di parto. Belo e Melitta, Osivi
ed Iside, Giove e Rea simboleggiano i due principj dalh*
cui nozze vjene fuori il mondo creato. E non solo le pri-
sche mitologie ma i pensamenti de' più vecchi filosofi
ridueonsi tutti a cercare cotesta unità della causa at-
tiva operante in qualche subbietto generale passivo.
Lo stesso Platone unificò la prima in certa anima uni-
versale e il secondo nello spazio e nella materia ; e che
altro sono V Ile aristotelico ed il primo mobile, quello
che può diventare ogni cosa, e questo, operare ogni
cosa V Parmenide invece radunò ogni efficienza nel caldo
ed ogni passività nel freddo, e ciò piacque a Telesio
dopo circa due mill' anni e poco mancò non se ne
persuadesse anche Bacone. Da ultimo, Cartesio rico-
nobbe i due principj nel moto e nella materia e sperò
che gli bastassero a fabbricare la immensa diversità
delle cose.
89. — Ciò dimostra di nuovo siccome V ingegno
umano piuttosto che adattarsi e proporzionarsi all' in-
dole del finito e ai metodi della natura tenta di adat-
tar quelli alla forma della sua mente, la quale sma-
nia di rinvenir da per tutto l'unità e la simiglianza
perocché ne' loro contrar j si turba e smarrisce.
90. — Ma la natura è quella che è, né l' abito
(li nostra mente la muta. Io invece, per intenderla
e interpretarla a dovere, ò dimenticato me stesso e
tenuto r occhio sempre a questi tre punti : le neces-
sità del finito, la immensità del possibile e la coor-
dinazione dei fini o la Convenienza che tu la chiami.
Con tali tre scorte qua! cosa indovinavo (mi sembra)
dei veri metodi della natura e de' suoi stupendi ap-
parecchi nel mondo meccanico, nel chimico e nel-
r etereo.
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 277
B.
91. — AcceDnammo pure con qual tenore nel primo
e nel terzo di essi venga distribuita V attività e passi-
vità. La cosa è più malagevole assai rispetto al mondo
chimico o della materia minuta ed eterogenea che voglia
dirsi. Imperocché quivi campeggia il diverso e si fre-
quentano le mutazioni. Ciò non ostante, non dubitiamo
che nel mondo chimico non si avverino tutte le grandi
(generalità per addietro definite; salvo che l'esperienza
farà quivi riconoscere molta piii varietà e complicazione
di fenomeni; considerando che la natura nel mondo
chimico si accosta maggiormente alle sintesi termina-
tive che non nel meccanico e nell' etereo.
92. — E per fermo abbiam divisato più sopra che
il mondo dei grandi corpi è preparazione a quello dei
piccioli e non viceversa; e l'etere non compie nulla in
sé stesso ma inizia promove e concorre ad ogni cosa
fuori di sé. Nel mondo meccanico prevale da ogni parte
la somiglianza; e i cinquanta e piii elementi semplici
che l'esfftrienza ci rivela vi stanno inchiusi come in
gran recipiente apprestato ad altro ordine di mezzi o
di fini. Invece nel mondo chimico principiano quegli
elementi a spiegare la virtù loro senza che alcuno
raccolga in sé solo l'intera efficienza attiva e tutti gli
altri la intera passiva. Ma sono distribuiti in fra essi
il generale e il particolare, la resistenza e la varia-
bilità, la conformità e l' opposizione.
93. — Nel vero i metalli sono passivi a rispetto dei
metalloidi e rappresentano meglio il principio di resi-
stenza. Ma neppure fra i metalloidi spariscono affatto
cotali disposizioni, dacché sono grandemente necessarie
all'ordine di tutte le cose. Quindi, per via d'esempio.
278 LIBRO TERZO.
vediamo Tossigene manifestare chiarissimamente la sua
natura attiva mobile e trasmutabile come causa gene-
rale di ossidazione è principio generatore degli acidi
e quale virtù eccitatrice della vit^ nelle piante (^
negli animali. Per lo contrario, il carbonio nei vege-
tabili e r azoto negli animali esprimono di vantaggio
la solidità e la permanenza.
CAPO TERZO.
ANCORA DELLA STESSA MATERIA.
Afobisho I.
94. — Tuttoché noi rimaniamo nella speculazione
della tempra e coordinazione dei mezzi, noi non abbia-
mo ancora avvisato ogni specie di metodo e ogni ma-
niera di arte usatavi dalla natura. Per cei||o, il suo
gran principio di dar sempre luogo all'indefinito dei
possibili esige da lei che in qualunque sfera di enti
venga esaurito il diverso ed il vario ; questo dentro la
unità relativa, quello dentro al molteplice; ed entrambi
attingano il detto fine cosi mediante la moltiplica-
zione delle specie, come per via del moltiplicare le
combinazioni ira esse. E affermiamo tutto ciò non solo
a rispetto dei mondi remoti da noi extra anni so-
lisque vias e però cosi differenti da non potersene
cogliere concetto determinato, ma eziandio di questo
visibile, comechè sia parte, crediamo, assai scarsa o
minima dell'immenso creato.
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 279
Afokismo n.
95. — Ma in ciascuno di tali ingegni e artificj la
natura intoppa nella insufficienza e necessità del finito ;
•l che giova ad ogni tratto di ricordare. Per fermo, la
^arietà nell' uno convertesi il piii del tempo nel misto
dd simile col dissimile e che noi contempliamo sotto
forma di unità; come quando avvisiamo il genere
dei metalli o l' altro più largo dei minerali o il più
ristntto dei basalti. L' uomo medesimo o l' animale
bruto ancoraché sia uno nella realità di ciascun indi-
viduo, lascia scorgere più diversità che varietà, parago-
nandosi (poni caso) gli estremi, e cioè V embrione con
r essere xià formato ovvero la età infantile con V ul-
tima; e pirimente sono più differenze che varietà la
memoria, .a volontà, il senso, V istinto. E quelle dif-
ferenze son* poste insieme dalla natura ed unificate in
certo subbieìto mediante una sintesi laboriosa e lentis-
sima a cui il finito perviene valicando per innume-
revoli compostóoni e preparazioni.
96. — Il paitecipare poi del diverso, benché sia
fattibile ed anz la natura lo venga effettuando in
ogni momento, adi continuo questo limite che nel ge-
nerale r una mesthianza impedisce V altra, e se av-
viene questa, quela non può avvenire. Lo zolfo me-
schiato al mercurio compone il cinabro ; ma se vuole
insieme partecipare iel ferro non può, e conviengli
per ciò abbandonare i mercurio.
97. — La insufficienia del finito produce ancora
che la partecipazione d»l diverso piuttosto fa luogo
ad un terzo essere differente, di quello che ad aumen-
tazione di proprietà e di ittribuzioni ; come si scorge
nei sali, ovvero negli ossidi metallici, in cui l'ossigeno
280 LIBUO TEKZO.
sembra perdere ogni sua proprietà, eie basi alcaline e i
metalli gran parte delle loro. Laonde la mentalità su-
prema per giungere al vero incremento dell' essere e ad
un mescolamento tale del diverso che T unità vi stia
dentro sostanzialmente, apparecchia e addirizza tutte le
cose alle sintesi terminative, e vale a dire ai subbietti
sostanziali che chiamerei moltiformi, e a quelle compo-
sizioni in cui qualche ente superiore subordina gP infe-
riori siccome accade per entro ai composti organx^i.
98. — Ma di ciò altrove. Qui basti il considerare
che due sono nel nostro proposito gì' intendimenti «iella
natura ; 1' uno risguarda al possibile l' altro allj fina-
lità. Rispetto al primo, la natura adempie l' iitendi-
mento suo, sempre che attua l' indefinito del vaho del
diverso e del misto, ancora che il misto non duri e le
combinazioni si avvicendino senza incremei>io vero e
ordinato dell' essere, in che consiste la sintesi.
Afoeismo in.
99. — Con tali considerazioni sul nodo assai dif-
ferente che può adoperare il finito nelb spiegare l'in-
definito trapasseremo a conoscere pa*titamente l'ap-
plicazione di tutto ciò nei tre mond' da noi distinti,
e cioè l'etereo, il chimico ed il meccanico. E facendoci
dal primo, che è 1' etereo, diciamo cae preconosciuti gli
uflScj suoi i quali anno indole generale ed inalterabile
e ricordandoci di quanto ne fu deinito più sopra, debbe
comparire in lui molto spiccata se non 1' unità di sub-
bietto, certo l'unità di forma. Quindi non il diverso
propriamente ma il vario vi iee dimorare con isfar-
zosa moltiplicazione, tanto ^he si accosti a quel di-
vei*so neir uno di cui teste abbiamo discorso. Della
qual cosa fanno fede paiócchie scienze. Di fatto, la
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 281
Ince, il calore, T elettricismo ed il magnetismo sono
argomento di studio e sapere tanto diversificato e va-
sto che niuna intelligenza umana l'abbraccia mai tutto,
e r insegnamento n' è già spartito fra parecchie cat-
tedre nelle università più insigni d' Europa.
Aforismo IV.
100. — Della varietà poi del mondo chimico testi-
moniano similmente tre amplissime scienze la geolo-
gia, la mineralogia e la chimica propriamente deno-
minata. E qui debbe aver luogo non pure il vario,
ma eziandio il diverso sebbene non assoluto. Imperoc-
ché la natura nel mondo chimico move un passo di
più verso il fine ; e però alla partecipazione del simile
o vogliam dire alla comunanza della materia quivi si
aggiunge la partecipazione del diverso, che è pure la
difi'erenza spiccata e profonda delle specie nel genere ;
oltre alle combinazioni di tutto questo col mondo ete-
reo. E si noti da ultimo che nei cristalli regolari i
quali appariscono in ogni corpo e nelle parti e membra
de' gran contenenti ossia delle masse maggiori per lo
spazio disseminate è da riconoscere un primo tenta-
mento e un inizio primo di forma individuale.
A.
101. — Dicemmo in sul cominciare chela congiun-
zione del simile è l'atto e il modo più semplice onde
il finito allarga i suoi limiti e sforza la sua insuffi-
cienza. In tale congiunzione, pertanto, deesi ripetere
il fatto più universale e comune del mondo creato; e
però nel seno della materia il fenomeno più frequente
debb' essere l' accostarsi delle molecole per costruire i
282 LIBRO TERZO.
corpi e quindi l' accostarsi di questi per costruire le
masse. Né qui può fermarsi la cosa; ma la stessa ne-
cessità e la stessa legge verrà a mover le masse per
entro lo spazio ed avviare V una all' incontro del-
l' altra.
102. — Ora, in questo medesimo fatto dell' attra-
zione universale tanto semplice e tanto comune e te-
nuto, comesi disse, ne' giusti confini dalla virtù espan-
siva dell'etere, la natura introdusse un'altra sorta di
varietà inesauribile. Gonciossiachè, lasciando stare i
fenomeni dell' afi&nità da un canto e dell'adesione da
un altro che sono i due estremi del meno e del più
nel congiungersi delle molecole, pure nei corpi simi-
lari v' è tante sorte di coesione fra le molecole, quante
forse le specie stesse dei corpi. Di quindi l' uno si mo-
stra tenace, l'altro friabile, un terzo duttile, un quarto
rigido e così prosegui ; e ciascuno à eziandio una propria
guisa di rompersi non che un peso proprio specifico.
Aforismo V.
103. — Ma nelle masse maggiori, o vogliam dire nei
Soli e ne' loro sistemi, proseguirà la natura a profon-
dere il diverso ed il vario? Certo che sì, non potendo
errare il principio, il qual vuole che sempre e in qua-
lunque ragione di enti apparisca attuato l'indefinito del
possibile. Salvo che cotesti sistemi solari sono da ultimo
serbatoj smisurati e massimi contenenti del mondo
chimico. Il perchè, diversificandosi questo da sistema
a sistema vengono le masse medesime a diversificare.
104. — Sopra la qual cosa noi ripetiamo che quan-
tunque né l'ingegno né la fantasia né altra mai fa-
coltà umana coglier possa in veruna maniera le novità
originali di qualsia specie e quindi riesca impossibile af-
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 283
fatto di figurare e definire la tempra e le condiziopi pe-
culiarissime del mondo chimico negli altri sistemi solari,
tuttavolta andiamo persuasi che quivi sfoggia il diverso
ed il vario in modo tanto abbondevole quanto incono-
scibile a noi. Del che ci giunge pure qualche indizio
mediante l' esperienza. Conciossiachè il colore, la qua-
lità e r intensità della luce nei corpi celesti, certo lord
appannamento ed annebbiamento, la fosforescenza, le
macchine, la scintillazione ed altre contingenze ci
appaiono spesse volte diversi da pianeta a pianeta, da
stella a stella e da costellazione a costellazione.
105. — Senza che, l' aspetto e figurazione di queste
ultime, la rarità e spessezza di loro materia e la po-
sizione e il moto di loro parti similmente diverso da una
ad altra acervazione di stelle non può non rispondere a
diflferenze integrali nella natura de' loro elementi ; con-
siderato che in nessuna di quelle parvenze è carattere
accidentale. E tutto ciò in sino al termine estremo
dove dura comunanza di corporeità e di moto.
106. — Di là da quel segno principia una diversità
ili mondi per noi assoluta ed infigurabile, e dei quali
sappiamo sol questo che del sicuro sussistono ; perchè
l'infinito della possibilità, certo, non rimane esausto
nelle due sfere a noi note della materia e dello spi-
rito ; o parlandosi più preciso, nelle due sfere di feno-
meni sotto cui ci si rivelano i due principj, il mate-
riale vo'dire e lo spirituale. Né tutte le forze della ma-
teria probabilmente ci sono ancor note come non tutto
lo spiegamento essenziale delle facoltà dello spirito.
A.
107. — Notiamo per incidente che facendo noi pro-
fessione in questo volume di dedurre da pochi e certi
284 LIBRO TERZO.
principj quanta maggior notizia si può dell' ordine
della natura, è assai rincrescevole ad ogni tratto il
venir dichiarando la molta ignoranza che sosteniamo
sulla più parte di questa gran fabbrica dell' universo ;
e conoscere poi di giunta che nel difetto della scienza
argomentativa non ci soccorre nemraanco la scienza
sperimentale ed empirica. Ciò non ostante, noi ci ter-
remo fermi al proposito che le dimostrazioni non sieno
scambiate mai con le congetture e queste medesime
non trasvadano tanto da divenire
« Sogni d' infermo e fole da romanzo. »
108. — Di cotal tedio ed impaccio vanno esenti gli
Hegeliani, i quali negano intrepidamente tuttociò di cui
non possiedono la nozione. Così negano, per via d'esem-
pio, che vi sieno sistemi solari somiglievoli ad una e
diversi dal nostro; e già notammo altrove che il mae-
stro loro pensatamente e iteratamente chiamò il cielo
stellato qualcosa di comparabile ad una specie d'espul-
sione cutanea. Vero è che in tale espulsione l'Herchel,
l' Olbers, il Bessel ed altri valentuomini ravvisarono
qua un mondo incipiente, là un mondo, assai progre-
dito, pili discosto un altro che scindesi in due, e più
discosto ancora oceani immensi di materia cosmica,
onde usciranno a poco per volta novelle costellazioni.
Sì vero che in nessun luogo è intera immobilità ed
anzi ogni parte di quella espulsione si move; e pro-
babilmente ogni moto à il suo centro, come del sicuro
à la sua legge determinata e indeclinabile ; senza par-
lare di que' gruppi di stelle che girano 1' una intorno
dell' altra con periodo certo quanto diverso di tempo
e misura.
109. — Simigliantemente, non è da cercare per gli
Hegeliani quel che significa la via lattea, le nuvole ma-
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL' UNIVERSO. 285
gellanìche ed altri membri smisurati della sfera side-
rale. E qui un maligno potrebbe riflettere che in quella
sorta, come dire, di scabbia celeste il solo caso dee sbiz-
zarrirsi e tener dominio.
110. — Forse io fran tendo non poco i pensamenti
degli Hegeliani. Ma sembrami che in cambio di spa-
rarle sì grosse tornava lor meglio di dichiarare che
l'Assoluto nemmanco nel cervello di Hegel è molto
progredito nella coscienza di sé medesimo e nel rav-
visarsi una cosa stessa con la natura; e che quindi
col tempo conoscerà e spiegherà per bene tutte le
opere gigantesche e bellissime che à lavorate colassù
senza addarsene troppo e quasi giocando a capanni-
scondere. Per nn Assoluto che è identicamente nel
tempo e nella eternità, nella idea e nella materia, e
non à mai cominciato e pur tuttavia diventa e diven-
terà sempre, ei si può indifferentemente affermare che
sa ogni cosa ovvero che non sa nulla o pochissimo.
Del resto, non è ufficio nostro di aggiustare le lor
partite e sa piii un pazzo in casa propria che un savio
in casa d' altri. Ma, per mio avviso, quella corona che
portano della scienza assoluta è un triste e gravoso
carico; e credo che sentano anch'essi quanto pesa la
sovranità, massime in questi nostri tempi. Cartesio
ancora ebbe a dire che non v' è fatto nell' universo a
cui non trovisi spiegazione pronta ed agevole nei prin-
cipj del suo sistema. Ahi parole imprudenti! Venne di
li a poco il Newton e fece piazza polita di que'prin-
cipj e di quel sistema.
Aforismo vi.
111. — Ora, tornando al soggetto, chiediamo di nuovo:
come avverrà il misto, e cioè la partecipazione del di-
286 LIBRO TERZO.
verso nelle masse maggiori considerate nel lor tutto
insieme e V una a rispetto dell' altra? potranno i si-
stemi solari summentovati fare scambio in fra loro di
qualità e di attribuzioni, quando anche non ne risulti
incremento di essere per ciascheduno? Per nostro av-
viso, tal presupposto non pure non è escluso da veruno
principio ma confermato in quella vece da ciò che fu
dichiarato teste circa l'indefinita varietà e diflferenza
che la natura desidera e vuole in tutte le cose.
112. — Stimasi, dunque, da noi che i sistemi solari
girano V uno intorno dell' altro con tal legge di moto
e con tale vicenda, che ognuno o la maggior parte
visiti gli altri di mano in mano e mutuamente sia
visitato, con iscambio successivo dell' influsso proprio
e dell' altrui. Quindi si può immaginare che quello
che accadde fra gli astri di una intera costellazione o
di parecchie insieme connesse avvenga poi fra le altre
non unite ne connesse; e il risultamento sia che cia-
scheduno sistema solare abbia trascorsa tutta la serie
del suo agire e del suo patire e soggiaciuto al novero
intero delle mutazioni convenevoli all' essenza sua
speciale e immutabile.
113. — Né solo si dee pensare che fra gli astri e
le costellazioni diverse accada un avvicendamento e
uno scambio d' influssi e d' ingerimenti, ma che da ciò
deriri l' attuazione di molte potenze a cui bisognava
un impulso esteriore, come vediamo succedere conti-
nuamente nel mondo chimico e nello spirito nostro
medesimo. Imperocché, essendo legge del finito che le
facoltà non valgono a suscitare sé stesse e condursi
all' atto per sola propria energia, così é lecito di opi-
nare che in qualunque parte della natura sieno forze
latenti non ancor trapassate all' atto per mancanza
d' impulso esteriore conveniente e proporzionato. S ul
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 287
qual proposito tornerà necessariamente il nostro di-
scorso avanti la fine di questo libro.
AroRisMo Vn.
114. — Ma tra le combinazioni del mondo stellare
e quelle del mondo chimico interviene la differenza che
le seconde si compiono per incorporamento, laddove
le prime il più delle volte si debbono compiere per
accostamento ed influsso. Nel vero, nelle grandi masse
prevale il principio della stabilità e della resistenza,
e perciò prevale la coesione. Di quindi nasce che il
mondo più sottile e più mobile, e in cui la natura può
giungere con agevolezza maggiore alle sintesi termi-
native dimora alla superficie di quelle, dov' è minor
compattezza e pressione. Per ciò nel generale non deb-
bono gli astri di già formati incorporarsi l'uno nell'altro,
perdendo qualche porzione di superficie e rompendo a
mezzo il lavoro intrapreso del mondo chimico.
Aforismo Vili.
115. — Del pari, se noi ricordiamo quello che fu
fermato nel Libro secondo intorno alle necessità del
moto e dell'attrazione e nel primo intorno alla impe-
netrabilità e all'agire e reagire dei corpi, noi ci per-
suaderemo che gli astri di già formati e assodati cor-
rendo l'uno verso dell'altro con impeto inimmaginabile
invece d'incorporarsi ed unificarsi frangerebbero nel
cozzo tremendo le loro compagini e de' loro frantumi
infecondi saria piena senza frutto una immensa di-
stesa di spazio.
116. — D'altro canto, ei si vedrà di qui a poco che
nella forza passiva dell' attrazione dimora certa virtù
288 LIBRO TERZO.
occasionale di altra specie di moto diverso ed attivo.
Tutto il che combinato con arte divina genera per ogni
dove e mantiene V equilibrio degli astri, e intendiamo
dire che tutti per una serie coordinata di movimenti
ora dittici ed ora iperbolici possono bene visitarsi ma
non entrar l'uno nell'altro ovvero infrangersi come
vetri e andare in minuzzoli.
Afobismo IX.
117. — Salvo che le combinazioni del mondo chi-
mico debbono riuscire estremamente fine e gracili a
petto a quelle dei sistemi solari. Né possono da Sole
a Sole 0 da costellazione a costellazione mutare gl'in-
flussi senza che non se ne alteri profondamente e non
se ne perturbi e sconvolga tutto l'ordine del mondo
chimico respettivo.
118. — Ma bene la natura provvede a ciò con due
suoi metodi mirabilissimi. E l'uno è di produrre tra
i corpi celesti la novità degl'influssi con minimi gradi
e impiegandovi parecchi bilioni d' anni, tanto che la
mutazione non può arrecare rivolture violente e con-
quassi.
L'altro met9do della natura si è di aspettare den-
tro a ciascuno membro d' un sistema solare che un
certo 'ordine del mondo chimico sia trapassato di
mano in mano per tutti li suoi svolgimenti ; per guisa
che la mutazione ed innovazione, tuttoché repentina,
riesca opportuna e fruttifera. Né manca la divina
mentalità di dedurre, secondo i casi e gl'intendimenti
dall'uno e dall'altro metodo, ora la semplice diffe-
renza che aggiunta alle altre cresce l' attuazione del
possibile; ora la differenza che a rispetto delle ante-
riori segna un progresso e vale a dire qualcosa che
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 289
cagiona un durabile incremento di essere o per lo
manco un preparamento inverso di esso.
A.
119. — Di queste due arti della natura abbiamo
testimoni evidenti le mutazioni sopravvenute nel nostro
globo, delle quali alcune si compiettero quasi in un
subito ed altre con processo lentissimo. Sebbene nel
giudicarle sia molto diverso il criterio usato dagli
scrittori; e tu odi, per via d'esempio, il Cuvier che
parla di cataclismi molti e veementissimi; invece il
Lyell vorrebbe quasi negarli e procaccia con grande
ingegno di accumular le prove onde si mostri l'ope-
rare tardissimo della natura ma sempre d' un minimo
grado diverso da se medesimo, tanto che nella fuga
delle miliaia di secoli gli effetti assommati riescano al-
l'ultimo ad una profonda trasformazione. Del resto, par-
landosi della natura la rapidità ed anche la subitaneità
delle mutazioni non è quella certo che immaginiamo noi
con le tenui misure di minuti e d'istanti solo propor-
zionale al nostro durare brevissimo e al nostro mu-
tare incessante e visibile. Ad ogni modo, saranno
esempio della subitezza dei cambiamenti l'eruzioni
vulcaniche, le quali arrecarono mine tanto maggiori
quanto i vulcani spesseggiavano oltre misura nel mondo
antico.
120. — Puossi anche dire che la vita degli animali
più nobili è così delicata e ricerca una convenienza
e proporzione cosi minuta ed esatta con la natura
ambiente, da non resistere ad alcun cambiamento che
IIahuhi. — II. 19
290 LIBRO TERZO.
sopravvenga in un sistema solare, quando anche si
operasse a gradi lentissimi e impercettibili. Il perchè
noi siamo di credere che quando questo nostro Sole
verrà tanto prossimo alla costellazione di Ercole, verso
cui procede, da sentirne alcuna sorta d'influsso, la no-
stra specie dovrà perire. Conciossiachè noi non la re-
putiamo atta a trasformarsi organicamente. Ma di ciò
nel quarto Libro.
c.
121. — Uscendo anche dal sistema nostro solare
che a petto al firmamento vale un granel di sabbia,
il telescopio ci diede avviso di qualche subita rivolu-
zione accaduta in altri corpi celesti, e sono quelle stelle
segnatamente che od apparirono improvviso o per lo
contrario cessarono a un tratto di splendere e di scin-
tillare. Altre ve n' à che dopo essere rimaste oscurate
alcun tempo s' illuminarono di nuovo. Altre infine mu-
tano di colore a certi periodi. In ciascuno di simili
casi certo alla superficie di quegli astri sono avve-
nuti e avverranno cambiamenti profondi e rapidi e
quali abbiamo usanza di domandare cataclismi. Con-
ciossiachè, quando una mutazione si stende su tutta
la faccia d' un astro non minore del nostro Sole, non
può avere per lo certo carattere accidentale ed ineflS-
cace e non accompagnarsi con mille cambiamenti par-
ticolari ed intrinseci in tutte le materie dove penetra
r atto di quella cagione sostanziale e generica onde la
mutazione prima è provenuta.
Afobismo X.
122. — Ma per compiere questi nostri aforismi in-
torno alla diversità e alla novità che dee comparire ne-
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL' UNIVERSO. 291
gli astri mediante la vicenda e permutazione scambievole
dei loro influssi, a noi giova di ricordare che ciò debbe
sempre avvenire secondo tutti i principj e le arti della
natura di già descritte. Quindi, sebbene nessuna fissa
nel firmamento sia tale davvero e che quando il durare
dei secoli potesse contrarsi e stringersi nelP intervallo
di pochi secondi noi le vedremmo cambiare tutto V or-
dine e la configurazione della presente sfera siderea,
nullameno egli è certo che qualcosa pure fra esse dee
sustanziare il principio della saldezza della resistenza
e della immobilità relativa, come altra parte delle
medesime debbe esprimere il principio contrario della
mobilità e della incostanza.
Aforismo XI.
123. — È da far luogo eziandio a quest' altra con-
siderazione intomo al proposito, e vale a dire che po-
sto ancora che i cambiamenti de' massimi corpi stel-
lari mirassero soltanto ad esaurire Y indefinito del
possibile, tuttavolta fu già pronunziato che la divina
mentalità non concede a verun possibile di essere alieno
compiutamente dalla cooperazione remota o prossima
diretta o indiretta ai fini superiori ed universali della
creazione.
124. — Ma considerandosi poi che i sistemi solari
ed i loro aggregamenti sono sostegno e principio per
ogni dove delle sintesi terminative non meno che sieno
le sostruzioni e i muri maestri ai grandi palagi, egli
si fa manifesto che quelli debbono tenere concordanza
sti^tta col mondo chimico respettivo e con tutto ciò che
da tal mondo debbe originarsi appresso.
292 LIBRO TERZO.
Afobismo Xn.
125. — Per ciò medesimo a noi sembra evidente che
i sistemi solari le costellazioni e gli aggregamenti di
qaeste essendo costituiti e congegnati per maniera cho
mediante la coordinazione de' lor movimenti e il vi-
sitarsi mutuamente e lo scambiarsi gF influssi venga
coù in ciascuna parte come nel tutto spiegata la infi-
nitudine dei possibili per entro i termini della capacità
delle parti e del tutto, certo la natura vi à adoperato
non solo la congiunzione dei simili e la partecipazione
dei diversi, ma queir altro modo di aggrandire i li-
miti e r efficacia dei finiti che noi domandammo l' or-
dine e la cospirazione dei mezzi e il quale consiste a
fare operare un effetto comune da certa catena di
cause insufficienti ciascuna per sé, ma bastevoli al con-
seguimento del fine in virtii di connessione e cospira-
zione. Ed è ciò in sostanza che ottengono tutte le
macchine a cominciare dalle più semplici insino alle
più implicate e maraviglìose.
126. — L'intero mondo meccanico, adunque, consi-
derato ne' suoi gran contenenti e nelle relazioni e coor-
dinazioni in fra essi, vuol essere riconosciuto quale un
macchinismo portentoso ed inconsumabile, mentre le
macchine umane sono temporanee tutte e recano in se
medesime il principio loro dissolutivo, non sapendosi
rinvenire la guisa di perpetuarne il moto; appunto per-
chè da per tutto è moto e gli elementi di resistenza
mutano essi medesimi a poco per volta.
127. — Ma nella natura la perpetuazione del moto
che non può essere assolutamente in nessuna parte è
serbata nel tutto con questo artificio che all' una mac-
china disfatta subentra l' altra diversa e più compren-
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 293
siva. Rimanendo, tuttavolta, incerto per noi se cotesto
macchinismo universo mantiensi con la periodicità e
l'indefinita replicazione ovvero con rinnovazione in-
definita ed interminabile. Noi tratteremo di ciò am-
piamente nell' ultimo Libro.
A.
128. — Sembra non vera, o per lo manco avven-
tata, r affermazione nostra che il mondo meccanico
non serbi neppure esso in ciascuno suo sistema par-
ziale la perpetuazione del moto, e vale a dire la iden-
tità e inalterabilità del sistema medesimo. Per fermo,
gli studj profondi degli ultimi gran matematici anno
dimostrato che sebbene nel nostro sistema solare sieno
cagioni pressoché innumerabili di perturbamento e
d' alterazione, ogni cosa da ultimo trova ^1 suo com-
))en80 ed il suo equilibrio.
129. — Ma oltre che vi possono essere cagioni len-
tissime ed occultissime di scompaginamento, egli basta
di sapere che il Sole si move col suo corteo di pianeti
inverso altri centri maggiori perchè attingasi la certezza
che interverranno influenze nuove e gagliarde e nuova
energia e intensione di forze attrattive sufiicienti se non
a scomporre certo a modificare profondamente il sistema
nostro attuale. E quando anco volesse credersi rispetto
al mondo meccanico a una legge universale e immu-
tabile di periodicità, il ricorso delle cose non mai av-
verrebbe innanzi di aver quelle incontrato il novero
immenso di cambiamenti di cui sono capaci. Perocché
la natura (si disse più volte) non consente di lasciarli
nella nuda e perpetua virtualità.
294 LIBRO TERZO.
Aforismo Xin.
130. — Ma se le enormi masse stellari costituiscono
un macchinismo vero e fruttifero, è sempre da man-
tenere che tuttociò è diversissimo dalla organizza-
zione strettamente denominata, la quale, sebbene sia
r ultimo termine d' una artificiosa coordinazione e
connessione di mezzi, nullameno à carattere tanto
proprio e così definito che in ninna maniera si dee
confondere col macchinismo e con qual si voglia for-
ma ed operazione del mondo meccanico. Eppure è
frequente V abbattersi in trattati di cosmologia i
quali proclamano con certa enfasi la organizzazione
dell' universo. E qualora affermassero ciò per dilata-
zione di significato, e dir volessero che l'^universo
intero compone un sistema e in ciascun suo membro
è certa coordinazione e cospirazione di mezzi, a noi non
toccherebbe di dissentire avendo espresso propriamente
e in parecchi luoghi il concetto medesimo. E nemmanco
faremmo contesa quando ristretto il lor ragionare al
mondo nostro visibile giudicassero che il suo tutto insie-
me in quanto risulta di astri e costellazioni è coordinato
e connesso in modo da produrre più e meglio di ciò che
ciascuna parte e ciascuna aggregazione di parti per se
non potrebbe. Ma costoro vogliono a dirittura che i gruppi
di costellazioni sieno le vere membra maggiori d'un
grande corpo animato od almeno vivente; ed anzi
r Owen e il Burdach l' arcano della vita spiegano e
disigillano con questo altro arcano certo non inferiore
e non meno chiuso della universale organizzazione.
Laonde, se parlano per metafora e danno questi nomi
di organizzazione e di vita a un ordine molto impli-
cato di materia e di movimento, trascurano la proprietà
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL' UNIVERSO. 295
e la seyerità di linguaggio convenienti a filosofo, e se
adoperano i detti nomi con significazione litterale, af-
fermo da capo che non s' appongono alla verità.
Aforismo XIV.
ISl. — Sopra il che non mi bisogna di anticipare
il corso della nostra teorica e produrre in mezzo il
valor vero ed esatto che debbesi assegnare ai vocaboli
vita ei organizzazione quasi sempre mal definiti. M'ab-
bondaQO le ragioni per dimostrare che nel mondo mec-
canico in quanto esso è tale e distinguesi onninamente
dal mcndo chimico non è vita e non è organizzazione,
pigliando le due voci fuor d' ogni senso traslato e nel-
l'accezime comune, poco o molto determinata che sia.
132.— L' organizzazione e la vita da lei proveniente
sono le nassime sintesi della natura sopra la teiTa;
conciossiichè in esse apparisce T attuazione perenne
ed univa^ale del fine dell'ordine fisico. Però vi con-
corrono 41 sicuro i tre mondi insieme descritti da noi
per quanb vi concorre ogni ragione di materia e di
corpo, e smza qui risolvere se la materia ed i corpi
bastino sì o no all' adempimento reale del fine. Ma le
sintesi dellv natura essendo i composti più elaborati e
difficili, donandano la massima varietà, frequenza ed
agevolezza li moto e il massimo intreccio delle so-
stanze e delfc mistioni loro. Per lo contrario predomina
nelle grandi masse la stabilità, la uniformità e la
coesione comjatta. Onde nella serie dei mezzi e degli
apparecchi il nondo meccanico rimane inferiore e ogni
altra serie lo presuppone.
133. — Oltrchè, se vogliono que' metafisici al com-
plesso delle cosellazioni dare un' anima intelligente e
per lo manco smsibile, noi già negammo più sopra il
296 LIBRO TERZO.
senso latente o spiegato appartenere comecchessia agli
atomF della materia e negammo più assai risolata-
mente tra le cagioni seconde qualunque principio reale
ed uniyersale dotato di attività e costituente una effi-
cienza altresì reale ed universale.
134. — Rimane che si convertano gli aggregamenti
di stelle in una celeste e magnifica vegetazione; € cosi
dai poeti fu domandata; ne io li biasimo; perocclè ad
essi appartiene cercare le simiglianze più appariscenti
e gradevoli e per via di tropi arditi e signitìcatirì im-
primere negli intelletti volgari la cognizione d cose
astratte. Certo le costellazioni fondamentano ogn altra
sorta di mondi e la vita compare o sopra essi od iitomo
ad essi. Laonde quelle sono sostegno, difesa e rictftacolo
della vita come il fiore e la pianta del seme e del frut-
to; e perchè in ogni gruppo diverso di stelle inmagi-
niamo a ragione una forma diversa di ordine e «omposi-
zione mondiale e quindi eziandio d' organizzaione e di
vita, così i poeti osano assomigliarli alle specie diverse di
piante e di fiori. £ che più? basta alle lor faitasie che
un cielo stellato in notte serena e limpida rmda qual-
che sembianza di campi e pianure dismisura^ quando
in primavera sono gremite di minutissime erbe e di
fiori. Ai poeti s' appartiene di descrivere leggadramente
le nude apparenze, ai filosofi di spiegarle. E i filosofi
in questo caso debbon concludere che una vegetazione
generale infruttifera, quando pure fosse pssibile, non
compete alla natura. Quella che noi scociamo quag-
giù sulla terra è preparazione e sostentanento dell' or-
ganismo animale.
135. — Ma per tagliar netto questo nodo e chiu-
dere r adito a supposti non ragionevoli strìngiamo il
discorso dicendo: 0 parlasi di vegetazione simile od ana-
loga per lo manco a quella che conosdamo, ovvero di
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 297
altra di costruzione ignotissima ed infigurabile. Se
vuoi la prima, io la n^o ricisamente salvo che tu non
ardissi di pai'agonare le roocie di granito alle cellule
e i filoni di metallo alle fibre legnose; e non so poi
dove rinverresti le analogie per le radici e le foglie
per la nutrizione e la secrezione, per le semenze e lo
sviluppo. Ma se vuoi per lo contrario pensare ad una
vegetazione tanto diversa che rimangasi fuori d' ogni
nostra esperienza e notizia, io ti risponderò in genere
che non v' à certo e vero organismo dove non v' à ge-
rarchia nessuna di essere e cioè non si distinguono le
sostanze in inferiori ed in superiori tanto che quelle
servano a queste e tutte insieme compongano una tale
complessione di corpo da prevalere alle forze ambienti
ed esistere con leggi proprie e individuali. Ma nulla
di ciò non si trova nel mondo meccanico, dove le leggi
e le forze operano anzi con estrema conformità e co-
munanza, prive di abito ed efiicacia individuale e adu-
nando e sperdendo i loro aggregati per impulso este-
riore e senza nulla che assomigli a sviluppo intrin-
seco e a qualche virtù unitiva di un cotal tutto e
separativa da ogni rimanente.
A.
136. — Questo attribuire al gran complesso dei mon-
di creati una organizzazione ed un'anima, provenne del
sicuro dal concetto esagerato della unità, secondo che
ne abbiamo discorso più volte. E per fermo, il tutto
insieme delle cose non potendo stare senza ordine e
connessione compiuta e non parendo ragionevole che
dentro all' intero risplenda minore unità e minor per-
fezione che nelle parti, ei si dovette pensare che la gran
fabbrica dell'universo da ultimo si unificasse in uno
298 LIBRO TERZO.
spirito vivente e la materia e i corpi e le forze gli si
congiungessero a maniera di organi, per essere in effetto
r organizzazione la forma più eccellente e meglio uni-
tiva di un sistema di enti finiti.
137. — Ma costoro non avvisarono che legando un
anima al gran corpo organato dei mondi peccavano
del sicuro nel poco o nel troppo.
« Che non è cosa da pigliarsi a gabbo >
la formazione di un' anima cosi fatta, e bisogna o com-
porne una specie di Dio ovvero un ente difettosissimo
e sproporzionato da ogni parte alla sua organizzazione
ed incoerente in ogni condizione del proprio essere. Né
Platone la intese altramente, se pur non volle nel Timeo
sotto la figura di un'anima descrivere la mentalità supre-
ma, governatrice eterna e immanente della creazione.
Certo è che la chiamò un Dio beato, stante per la
virtù propria, non bisognoso mai d* altri, unico solo
solitario e il quale conosce ed ama sé stesso con suffè-
cienza,
Afobismo XV.
138. — Ma lasciando queste opinioni che a noi com-
pariscono strane, ricordiamo novamente che nel finito
nulla cosa può cancellare la moltiplicità che gli è es-
senziale; quindi il tutto dell'universo, come altrove si
disse, potrà riuscire concordante, non uno. E se a tutto
lui presiede un sol fine, i mezzi debbono spiegare la
infinità del diverso. Per ciò medesimo, posto anche un
legame ed una cospirazione in tutte le parti del cielo
stellato, a noi debbono sovvenire quell'altre regioni
dell' immenso creato dissimili affatto da questo mondo
visibile e in ciascuna delle quali converrebbe inserirò
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 291)
un' altra anima con altri organi, quando non si voglia
concepire uno spirito così moltiforme da venir servito
da membra di opposta natura e le quali ciò non ostante
facessero uno ; e a che poi servirebbero nessuno è capace
d'immaginare: perchè gli organi sono strumenti da
operare in certi subbietti per adattarli a certi fini.
Ma quello animale sterminatissimo non rinverrebbe
subbietto nessuno fuori di sé; e mentre non si vede
com' egli potrebbe mutare e perfezionarsi, gli animali
suoi parassiti e cutanei, per così chiamarli, progredireb-
bero di bene in meglio senza che tu intenda quale ma-
niera di vantaggio e di godimento gliene proverrebbe.
139. — Dio solo scorgendo nei mondi creati l' attua-
zione d'ogni possibile e i portenti dell'ordine, e vale
a dire i possibili coniugati secondo le lor convenienze,
gode la perfetta armonia del tutto non ostante la mol-
tiplicità e il diverso che lo spartisce e lo rende ignoto
ed alieno da sé medesimo.
Aforismo XVI.
140. — Qui si compiono le generalità circa i me-
todi della natura per ciò che spetta all' ordinazione
dei mezzi. Ne rimane esclusa l'organizzazione; perchè
ò interposta tra la ragione del mezzo e la ragione del
fine, anzi comincia col fine stesso certa immedesima-
zione e cert^ unità.
141. — Procedemmo, quanto ci fu possibile, col fon-
dare i principj e dedurre le conseguenze per virtù di
raziocinio e serie di entimemi accattando dall'espe-
rienza il minimo del tema proposto ; sebbene ad ogni
tratto e senza neppure addarcene abbiamo guardato
ai fatti e preso lume e indirizzo da loro.
142. — E certo, quanto più la trattazione nostra
300 LIBRO TERZO.
discenderà alle forme speciali della natura, di tanto
si yedrà costretta a consultar l'esperienza; e darannosi
piuttosto cenni di deduzioni che vere e formali teori-
che. Sopra il che faremo qui seguitare un nuovo e più
intrinseco esame per meglio definire le forze del ra-
gionamento a priori nella scienza del Cosmo, sospen-
dendo per al presente la usata sequela degli, aforismi.
143. — Né paia increscevole ed inopportuno al let-
tore tale sospensione. Perocché egli, spero, debb' essere
avvezzo oggimai e bene disposto all' ordine da me se-
guitato, che non è quello soltanto o delle materie o
del raziocinio ma talvolta ritrae l' andamento de' miei
pensieri in quel modo che a(tcaddero e non tacendo
nessuno dei dubj delle emendazioni e dei pentimenti,
tra mezzo ai quali è venuta innanzi quest'opera no-
stra. Cosi il presente caso porta che noi raccontiamo
al lettore come entrati a meditare suU' essere della
natura scegliemmo di calcare una via mezzana tra la
induzione e la deduzione molto più persuasi a ciò dallo
istinto e dal senso comune, di quello che per avere
discorso tra noi lungamente e maturamente circa al
metodo appropriato alle dottrine cosmologiche. E tut-
toché non abbiamo avuto cagione di ricrederci in guisa
veruna sulla bontà e dirittura del cammino in cui
entrammo assai risoluti, nullameno insorgendo ad ogni
tratto gravissimi ostacoli all' indovinamento del vero
e non iscorgendo talvolta nessun mezzo, acconcio da
valicare terre e deserti pericolosi e intentati, ci ricor-
dammo del popolo dei cosmologi e pensammo alla
varietà grandissima dei sentieri da essi battuti. Quindi
volemmo possedere un concetto piii limpido e una co-
scienza più sicura del nostro metodo, e imprendemmc*
di paragonarlo con quello di tutti gli altri.
144. — Di cotesto esame e ragguaglio noi porgeremo
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 301
al lettore una succosa e ordinata sostanza; ponendolo
di tal guisa, com' è nostra consuetudine, nella succes-
sione e nella vicenda medesima in che trapassava la
nostra mente; e vedrà egli eziandio confermata lar-
gamente questa verità che non si possono intendere
quanto bisogna i principj d' un metodo, se non quando
è più che iniziata la cognizione e quasi a dire il ma-
neggio d' una materia complessiva ed astrusa di con-
templazione e di studio. Questa utilità noi promet-
temmo al lettore delle nostre Confessioni e questa
proseguiremo a recargli secondo occasione.
CAPO QUARTO.
DELLE VARIE SORTE DI COSMOLOGIE
APPARSE INPINO A* DI NOSTRI.
I.
145. — Tu puoi definire le molte cosmologie apparse
infino a' dì nostri o in ordine al metodo o in ordine
ai principj capitali e informativi della materia pro-
posta. Sotto il primo rispetto alcune sono da dirsi em-
piriche e non filosofiche fra le quali oggi è notabilissima
quella dell' Humbolt. Altre sono arbitrarie ; concios-
sìachè procedono per lunga catena di supposti né ri-
cavati dal fatto, né attinti alla speculazione e con
l^ame interiore non rigoroso. Sotto il rispetto mede-
simo alcune sono ontologiche o deduttive, e procacciano
di spiegar la natura scientificamente o movendo a
priori e ritraendo ogni cosa da pochi principj asso-
302 LIBRO TERZO.
luti 0 solo accattando dall' esperienza poche generalità
e indovinando il rimanente.
146. — Non troviamo esempj né antichi né moderni
di cosmologie induttive, ossia di trattati della natura
ne' quali con la esposizione dei fatti cammini di pari
la induzione ordinata e connessa delle loro leggi
tanto che si giunga a spiegarli con poche astratte
generalità cosi vere e certe come i fenomeni onde sono
desunte. Scritture sì fatte per ciò ch'io conosco non
sono ancora venute in luce per la ragione troppo fon-
data che la impresa eccede le possibilità della scienza.
E per fermo, dove la induzione generale divenisse fat-
tibile, goderebbero i fisici di tosto mutarle abito e
convertirla in deduzione ponendovi a capo un certo
numero di postulati solo conoscibili per via di senso
e di sperimento; e poniamo che fossero certe forze
primigenie della materia e certe leggi supreme dell' or-
ganismo.
147. — Quanto ai principj informativi della intera
trattazione e in ordine ai quali altre sorte e maniere di
cosmologia vogliono essere registrate, noi ne terremo ra-
gionamento fra breve. Ora, a spianarci la via e molto
più a raccorciarla, ci giovi di compiere alcune esclu-
sioni legittime e facili. Diciamo, impertanto, che non
importa discorrere delle cosmologie arbitrarie, le quali
non soddisfanno punto né all'esperienza né al raziocinio,
sebbene possono farsi ammirare per la immaginazione
e per la inventiva e racchiudere forse germi fecondi
per future scoperte. Entrano in questa classe tutte
quasi le cosmologie comparse nel decimo sesto secolo
e nel principiare del decimosettimo. V entra l' Agrippa
con la sua Occulta Filosofia; il Telesio col suo libro
De natura juxta propria principia ; il Patrizio con la
sua Nova de universis Philosophia; il Vanini co' suoi
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 303
Ammirandi arcani della natura. Ne crediamo si deb-
bano eccettuare le cosmologie mistiche o teosofiche a
cominciare da Paracelso infino a Saint-Martin. Ne' co-
storo libri v' à certamente parecchie verità, e follia
sarebbe il giudicarli nuli' altro che vuote fantastiche-
rie. Ma come non s' accordano con la notizia positiva
dei fatti, massime dopo la innovazione degli studj na-
turali, e il metodo loro perpetuo è la congettura te-
meraria e rado coerente con sé medesima, la metafisica
vi à poco assai da imparare ; ne le si fa lecito di ricono-
scerli come parti maturi d' un alto senno speculativo.
148. — Neppure debbon cadere sotto la nostra di-
samina le cosmologie chiamate da noi empiriche ; e sono
nel fatto enciclopedie di dottrine naturali subordinate
e connesse il meglio che è fattibile a' nostri giorni,
considerata la necessità delle spezzature loro infinite
proveniente dal numero strabocchevole di fenomeni che
vagano senza freno di principj e di teorie.
149. — Nondimeno, v' à alcune parti della scienza
della natura che sembrano toccare il colmo della di-
mostrazione e non debbono voler tollerare il titolo di
empiriche e intendiamo di quelle in cui la geometria
pervenne a sottoporre i fatti alle sue deduzioni; e ciò
à potuto conseguire per la semplicità e uniformità di
que' fatti medesimi che non escono mai dalle specie
astratte dell'estensione del tempo e del moto ed ancora
coteste sono studiate sempre sotto un rispetto medesimo
che è della quantità ; laonde è avvenuto che accettan-
dosi dall'esperienza qualche disposizione g^neralissima
della materia e del moto, ogni rimanente fu ricavato
dalle pure nozioni e dal paragone in fra esse, e la
scrittura interna a parlare col Bruno ritrasse fedelissi-
mamente la scrittura esterna del mondo. Sopra il che
è pregio dell'opera trattenere alquanto il discorso.
304 LIBRO TERZO.
IL
150. — Che l'uomo compiacciasi grandemente d'avere
non solo scoperte le leggi del mondo meccanico ma
sottoposte a' suoi calcoli per maniera da indovinarne
le più minute combinazioni, è giusto e lodevole ; e nel-
r astronomia moderna riluce del sicuro uno dei titoli
pili gloriosi dell'umano perfezionamento. Ciò non ostan-
te ella incapperebbe in errore gravissimo quando spe-
rasse di ragguagliare a sé col tempo e lo studio le
altre scienze. Atteso principalmente ch'ella discorre
intorno a un subbietto il meno complesso ed il piii
uniforme di tutti, perchè è, quasi a dire, il sostrato
comune del mare immenso dei fenomeni. Ma tale
semplicità che accompagna necessariamente la uni-
versalità della natura corporea, si dilegua issofatto
nelle specie e cagioni particolari in cui dimora il di-
verso, e le cose diventano complicate e mutevoli. Anzi
la stessa uniformità universale della materia e del moto
si fa manifesta all' uomo da un lato per virtiì astrat-
tiva e dall' altro perchè la fiacchezza dei sensi giunge
a cogliere lei sola nella immensità dei mondi creati.
151. — Da ciò è chiaro che la speranza concepita
per addietro da molti di spiegar 1' universo fisico con
le leggi sole della materia e del moto fu tentamento
vanissimo ; perocché quell' universo in ninna sua parte
obbedisce a leggi meramente meccaniche e non pos-
siede quella unità e medesimezza e quella varietà uni-
forme e costante che i geometri si figurano. Taluno
di essi dimentica (e giova ripeterlo più d' una volta)
che sempre ed in ogni dove il finito è particolare e
molteplice e involge il diverso, il complicato e l'ete-
rogeneo.
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 305
152. — Per vero, le matematiche non ispiegano la
creazione, ma sì quello che dentro la creazione è au-
tomatico e fu originalmente costituito in pendere et
mensu$'a. Quivi ogni cosa è governata dalle cagioni se-
conde con un rigore che mostra nel generale la inva-
riahilità dei subbietti già provata dai nostri principj ;
onde quello che disse il Poeta dell' aere superiore
« Libero è qui da ogni alterazione >
noi dimostrammo accadere per tutti i secoli nel fondo
ultimo d' ogni sostanza. La copia maravigliosa poi e
non esauribile di teoremi che incontrano i geometri
nella meccanica celeste svela queir infinito di potenza
e di arte combinatoria che la divina mentalità pro-
fonde per tutto.
153. — Ad ogni modo, per vaste certe e sublimi che
sieno le dottrine astronomiche, non dee concedersi che
vengano reputate vere cosmologie, sebbene questo è il
modo comunale di riguardarle. Per fermo, elle s'im-
primono fortemente nelle fantasie nostre a cagione
della semplicità loro estrema, e perchè discorrendo di
stelle e pianeti e d' altre enormi grandezze sbalordi-
scono il pensiere e la fantasia. Nel fatto però abbiamo
veduto la semplicità loro da onde proviene; e sempre
convien ricordare che ufficio delle matematiche è d'in-
vestigare il quanto e non mai il quale; ed ognora
eh' esse anno presunto d' indovinar la natura laddove
le forze o non sono meccaniche o serbano scarsa re-
lazione e indiretta con la quantità, non se ne ottenne
buon frutto.
154. — D' altro canto, non è giudizioso il pigliar
concetto del veramente grande e divino dalla vastità
delle masse e dalla smisuranza degli spazi. Quindi fu
bene avvertito che un fiorellino dei campi e una gra-
306 LIBRO TERZO.
Cile farfalletta racchiudono cagione altrettanta o mag-
giore di ammirazione e meditazione. Per simile, quando
la scienza pervenne in questi ultimi anni a dar prova
esatta che dal sistema nostro solare sono rimosse tutte
le cause le quali potessero nel progresso del tempo
rompere molto o poco la periodicità costante e il per-
fetto equilibrio di tutti i suoi moti, lasciò intatto il
problema del modo col quale proseguesi dalla creazione
il suo eterno sviluppo e donde ella fa originare la
virtù sua incessante d'innovazione. A parlare con ogni
esattezza 1' astronomia ci fa conoscere più volentieri
le leggi del principio da noi domandato di conserva-
zione e di resistenza che le altre dell'altro principio.
Coesistono, nuUameno, entrambi in ogni parte del
creato e, può dirsi, in ogni ente; e la vittoria finale
dee sempre venir riserbata alla potenza innovatrice.
155. — Concludesi da ciò che non dee parer teme-
rario ne puerile né inutile ai matematici stessi che
qualche intelletto speculativo tenti di accennare le fon-
damenta e ordinare i principj di una sintesi cosmo-
logica, estesa al quale non meno che al quanto; e an-
cora che non pigli speranza di attingere la evidenza e
la precisione delle dimostrazioni geometriche od almeno
debba lasciare ai tardi avveniri la possibilità di oc-
cupare cotesta gloria. Sappiasi, in frattanto, che gli
astronomi ed i geometri non la preoccupano tutta.
Ondechè quel matematico sommo di Francia il quale
intitolò r opera sua Sistema del mondo dir volle cer-
tamente sistema della materia corporea solo in quanto
si move con masse enormi tra enormi distanze. Do-
manderebbesi egli sistema dell' uomo la osteologia sola ?
Ed appunto la scienza dei moti celesti e' insegna, per
mio giudicio, quello che puossi chiamare non impro-
priamente la ossatura del mondo.
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 307
156. — E sebbene il La Place si confida che nei mi-
nimi spazj e tra le minime particelle della materia
governino con poca modificazione le stesse leggi del
moto e dell' attrazione siderea, i fatti meglio osservati
invalidano la sua sentenza in troppi casi e con troppe
eccezioni.
m.
157. — Se non che nell' opera di cui discorriamo si
ammira un monumento solenne della scienza fisico-
matematica ; e venne dettata con metodo impareggia-
bile di semplicità, di lucentezza, di ordine. Per lo che
io volli guardare se mai se ne potesse pigliare esem-
plo per la cosmologia metafisica. Comincia il La Place
nel primo libro a descrivere le apparenze dei moti ce-
lesti; e nel secondo ferma e descrive la corrispondente
realità di quelli mediante l'esperienza induttiva ed il
raziocinio. Trascorre nel terzo a significare i più alti
principj della meccanica, raccogliendoli in pochissimi
pronunziati e legandoli con tutto il rigore dell'astra-
zione geometrica. Nel quarto libro, supposta la legge
dell'univei-sale gravitazione e applicando via via i prefati
principj, mostra siccome tutto 1' ordine dei movimenti
celesti descritto nei libri anteriori diventa una serie di
verità matematiche e risponde a capello e per ogni
cosa alle ragioni e ai risultamenti del calcolo.
158. — Da tale stupendo, esatto e continuo riscon-
tro del supposto e dei fatti segue una forma nuova e
pure certissima ed evidente di prova che la gravita-
zione universale è vera e costante legge della natura
e r astronomia piglia carattere dimostrativo assoluto.
Dico ciò essere una novità nella storia dell' umano
pensiere. Considerato che mai nelle altre scienze non
308 LIBRO TERZO.
è accaduto di far combaciare con precisione estrema
un supposto con una serie innumerevole di fenomeni,
tanto che sia impossibile di stare in forse della ve-
rità del supposto medesimo non ostante che V esperienza
non abbia modo di accertarsene per la via diretta della
osservazione sensibile. E nondimeno, ripeto, il supposto
è cosi bene accolto e accettato per infallibile, che si pro-
nunziano con la sua scorta parecchi fatti e fenomeni i
quali accadono puntualmente secondo il presagio.
159. — Ma da questa medesima felicità dell'astro-
nomia si ritrae la impossibilità d'imitare il metodo
del La Place nella cosmologia metafisica. Se forse non
ne rimanga imitabile quella parte di far precedere la
descrizione sì delle apparenze e sì delle realità respet-
tive, e quindi, compiuta la esposizione dei principj, mo-
strare siccome quelle trovano in questi il perchè e la
cagione loro assoluta. Ma non è meno buono e meno
accettabile l'ordine inverso, il quale consiste ad esporre
i principj giusta il rigore e la necessità logica e poi
significare 1' avveramento loro palpabile nei fatti e nelle
apparenze. Noi scegliemmo questo secondo modo come
il più conveniente agli studj speculativi. Ma quanto
alla possibilità ed all' estensione dell' avveramento che
è il frutto migliore non che del metodo ma eziandio
di tutta la scienza, noi da capo ne ragioneremo un
poco più avanti.
IV.
160. — Non consta il mondo di sola geometria. In-
vece ogni fatto risulta di forze parecchie e diverse,
intorno alla cui natura il compasso e le cifre alge-
briche non insegnano nulla o insegnano rapporti lon-
tani e superficiali di quantità.
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL' UNIVERSO. 309
161. — Sembrami che ciò dimenticasse il La Place,
quando posesi a creare un supposto circa la primitiva
generazione e composizione del sistema nostro solare.
Certo è per altro eh' egli ne discorre per incidenza e
con brevi cenni e dichiarando con parole assai posi-
tive di proporre ai dotti una mera congettura. Ma
perchè quel supposto usciva dai pensamenti d'un alto
ingegno e sembra spiegare la genesi del sistema no-
stro planetario con invidiabile semplicità, il popolo
degli studiosi vi applaudi con gran cuore e il suppo-
sto corre per le bocche di tutti e re<!entemente mo-
strò di accettarlo il Plinio de' nostri tempi Alessandro
Humbolt.
162. — Demolire è facile immensamente più che
l'edificare; né io mi piglierei questo carico, quando
non fosse necessario di provare ai fisici con un esem-
pio insigne quanto sia falso il metodo di spiegar la
natui'a esagerando il concetto dell' unità e della sem-
plicità, massime allora che più non si tratta delle
forme universalissime di lei che sono il simile ed il
comune per entro il diverso; ma invece si tratta di
entità complesse in cui dal lato alle cagioni generiche
operano le specifiche, e il fatto finale risulta così dalle
forze meccaniche come dalle cliimiche e da quelle del
mondo etereo.
163. — Comincia il La Place dal notare, insieme
con tutti gli astronomi, quanto àia degno di osserva-
zione e meditazione lo scorgere che tutti i pianeti si
movono intorno al Sole da occidente in oriente e quasi
in un piano istesso. I^oi, di scorgere i loro satelliti, che
parimente si movono ciascuno intorno al pianeta pro-
prio nel medesimo verso e a un dipresso nel piano
medesimo. In fine, di scorgere il Sole, i pianeti ed il
nostro satellite giranti sopra sé stessi nel verso e pres-
310 LIBRO TERZO.
sochè nel piano del moto loro di proiezione. Da ciò,
conclude quel geometra, si dee ritrarre che, giusta il
calcolo delle probabilità, vi sono quattro mila bilioni di
gradi contro uno, per credere che 1' ordine anzi de-
scritto del nostro sistema solare non usciva dal caso
ma da una cagione comune regolatrice della confor-
mità di tutti quei moti. Quindi si à una certezza mag-
giore di quella che accompagna i fatti della storia
riputati non dubj. Tali conclusioni sono legittime e
fondatissime, ancora che negli ultimi tempi sieno ap-
pariti due satelliti del pianeta Urano che girano in
contrario verso; ma, per mio giudicio, le probabilità
espresse qui sopra non iscemano di valore, in quanto
che sonosi dopo il La Place discoperti numerosi pia-
neti, uno assai grande e piccioli gli altri, nessuno dei
quali esce dalle disposizioni comuni teste accennate.
164. — Dopo ciò il La Place, mostrato la poca ri-
spondenza che tiene coi fatti la ipotesi del Buffon,
scende a dichiarare la sua con queste brevi parole:
« In che guisa determinava l'atmosfera solare i mo-
vimenti di rotazione e rivoluzione così dei pianeti come
dei satelliti? Quando questi corpi fossero penetrati in
essa atmosfera, la resistenza trovatavi avrebbeli pre-
cipitati nel Sole. Puossi dunque congetturare che i
pianeti vennero componendosi ai limiti successivi di
quell'atmosfera pel condensarsi delle zone, le quali
abbandonava ella nel piano del proprio equatore raf-
freddandosi di mano in mano e condensandosi vie più
sulla superficie dell'astro Tali zone vaporose potet-
tero col raffreddarsi comporre da prima anelli liquidi
0 solidi intorno del corpo centrale. Ma un simil caso
straordinario sembra non essersi avverato nel nostro
sistema che rispetto a Saturno. Nel generale invece si
strinsero le zone in parecchi globi; e quando l'un
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 311
d' essi riuscì potente in maniera da tirare a sé tutti
gli altri, queir adunamento loro compose un pianeta
considerevole. »
V.
165. — Cotesta è la supposizione del La Place. In-
daghiamo se veramente spiega i fatti correlativi con
quella felicità che nell' universale le si attribuisce.
Anzi tutto mi sia lecito di rinnovare la osservazione
già scritta, che il La Place, per mio giudicio, preoccu-
pato della meccanica mette in dimenticanza la fisir.?,
poco pensando che la natura mai non opera con lu
sole leggi matematiche e il mondo fu risultamento e
fattura di tutte le forze e non solo della general pesan-
tezza. Laonde a lui conveniva o desistere dal proposito
di rinvenire una spiegazione dell'origine del sistema so-
lare, o domandarla ai principj e alle cognizioni di tut^te
le scienze naturali. Imperocché lo splendore del Sole
e dell'altre stelle e per contra l'opacità di tutti i pia-
neti dovea pigliar posto fra i dati del gran problema.
E similmente dovevano pigliarlo le leggi, i gradi e le
forme della coesione e i suoi rapporti col calore; e
questo per ciò che é in sé medesimo e nelle attinenze
sue immediate ed essenziali con l'etere. Senzaché tali
elementi doveano venir pensati e figurati come operanti
nel vuoto immenso e in immenso corpo. Dacché il modo
loro di essere in quello stato si differenzia necessaria-
mente da ciò che insegna la cotidiana e minuta espe-
rienza, alla quale i fatti si dimostrano sempre sotto
sembianze accidentali e particolarissime.
166. — Ma, checché si giudichi di queste norme me-
todiche, torniamo a dire che il supposto del La Place
non si appone, secondo noi, alla verità. La qual cosa
312 LIBRO TERZO.
crediamo di dimostrare con le seguenti considera-
zioni.
1G7. — E nel sistema nostro solare questo fatto so-
stanzialissimo, che mentre tutti i pianeti e i satelliti loro
permangono opachi,il Sole splende di propria e perpetua
luce. Né può cotal differenza procedere da cause spe-
ciali ed accidentarie ; conciossiachè T intero firmamento
splende e scintilla altresì di luce propria e perenne.
E sebbene possono esistere infiniti corpi celesti opachi
e invisibili a noi appunto per sì fatta lor condizione, ciò
soltanto proverebbe che v' à due costituzioni primitive
ed essenziali di corpi celesti, i luminosi e gli opachi. Ne
r essere luminoso od opaco è leggier condizione e poco
attinente alle altre condizioni sostanziali e costitutive.
Perocché ella induce, fra V altre cose, una differenza
profonda nel calore e nella rarefazione ; e tutti i feno-
meni corporali o dipendono dal calore e dalla coesione
ovvero ne sono grandemente modificati. Senza dire che
compiendosi le sintesi più perfette della natura (a quello
che sembra) sulla superficie dei pianeti, elle o non si
compiono o sono differentissime sulla superficie ardente
degli astri luminosi. Onde, se v' à fenomeno primitivo
davvero ed universale e di suprema importanza, que-
sto è della luce nativa, a così chiamarla, di tutti i
gran corpi visibili del cielo stellato.
1G8. — Ora, affermandosi giusta l'ipotesi che i pia-
neti si composero interamente ed unicamente della
materia del Sole, viene la grave domanda perchè non
rilucono di luce propria siccome lui e quindi sono di-
versi tanto da lui.
169. — Ne si dica la differenza essere sorta più
tardi per le diverse rivoluzioni interiori accadute tanto
nel Sole quanto ne' pianeti. Ciò che è al tutto essen-
ziale, sebbene può modificarsi, non cessa e permane e
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 313
in qualunque rivolgimento o sconvolgimento serba la
propria eflScacia. Nel vero, 1' occhio nostro scorrendo
per Io firmamento e paragonando fra loro tutte le par-
venze degli astri, pnò avvisare i gradi i passaggi e le
trasmutazioni senza numero di loro materia in quanto
almeno si fa visibile ed à movimento e figura. In tal
modo Herchel credè giustamente di cogliere un certo
concetto generale sulla genesi dei grandi ammassi di
materia stellare. E giudicò che da per tutto comin-
ciano essi con estrema rarefazione e rendono sembian-
za di stélle nebulose e talvolta anche di vaporità im-
mensa priva d' ogni centro e d' ogni forma; quindi poi
si condensano, e tu vi distingui uno o più nuclei e que-
sti fannosi di più in più definiti, tanto che ogni vapo-
rità vi viene assorbita e consolidata.
170. — In così varie e sostanziali trasmutazioni e
modificazioni un sol fenomeno si rappresenta come
continuo e, dalla intensità infuori, come identico a sé
medesimo, noi vogliam dire la emissione della luce. Il
Sole adunque se fu innanzi una nebulosa, mandò sempre
luce propria ed inestinguibile. E però è stranissimo,
noi replichiamo, che i pianeti composti dell' atmosfera
sua luminosa non rendano luce ma sieno compiuta-
mente opachi. Quanto al supposto dell' essere stato il
Sole in principio una nebulosa diremo fra poco.
171. — In secondo luogo, sebbene con la supposi-
zione del dotto La Place è trovata nel nostro sistema
solare la origine della forza centrifuga e dell' equili-
brio con la centripeta, la cagione di ciò è speciale e
particolare e non adattasi guari ai sistemi delle stelle
giranti 1' una verso dell' altra. E del pari non vi si
spiega r impulso iniziale delle innumerevoli comefci, di
cui è più abbondanza nel cielo, scriveva Keplero, che
di pesci nell'oceanow Debbe dunque esistere nel mondo
314 LIBRO TKRZO.
sidereo una cagione originale e comune dei moti iniziali
dei corpi celesti e diversa da quella di cui parla l'ipotesi ;
alla quale per ciò medesimo non è lecito di attribuire
il merito, come fa taluno, di aver rimossa la necessità
d' un impulso primitivo miracoloso, e vale a dire non
uscente dalle leggi insite della materia e del moto.
172. — In terzo luogo, neghiamo che la terra e gli
altri pianeti sieno potuti nascere dall' atmosfera del
Sole nel modo che descrive l' ipotesi.
Concediamo essere la nostra stella nel suo inte-
riore trapassata per gradi crescenti di accostamento
e di coesione, ma non sappiamo quanto sia vero che
ciò debba nominarsi un raffreddamento. Al presente
sulla faccia del nostro globo ogni dilatazione di ma-
teria accade o sempre o nel più dei casi per intru-
sione di calore. Ma dove la materia è naturalmente
e originalmente assai rada può dubitarsi se quello
stato dipenda dal calore intermesso, e quindi se la
coesione risponda di necessità ad altrettanta perdita
di esso calore.
173. — Ma lasciando ciò stare, egli è certo, al no-
stro parere, che il raffreddamento del Sole non potè
ad ogni modo avvenire con questo risultamento che
ne uscissero belli e fatti i pianeti quali noi li veg-
giamo.
Prima, perchè, non ostante 1' accumularsi di mate-
ria o meglio il rigonfiare del suo volume nella zona
dell' equatore, il corpo centrale dovea divenire, a
proporzione, assai più compatto prevalendo quivi la
forza centripeta e il momento della pressione. Adun-
que, dovrebbe la densità media del Sole superar
quella di tutti i pianeti, laddove rimane inferiore d'un
quarto alla densità del nostro globo e di vantaggio
ancora a quella di Mercurio, il pianeta più prossimo.
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 815
Rimane inferiore eziandio alla densità di Marte e di
Venere e sopravanza di pochissimo quella degli altri
grossi pianeti.
174. — Inoltre, concepire nella materia nebulosa e
primitiva del Sole una omogeneità perfetta e un perfetto
equilibrio a noi non sembra Consentaneo col vero. Si-
mile equilibrio non sussiste veramente che su quel
confine dell' atmosfera dove né la forza centripeda né
la contraria prevale e dove perciò la sostanza solare
perde ogni .peso. Ma da quel punto in giù, perché non
ostante la pressione sempre maggiore non cresca 1' ad-
densamento della materia occorre (credo) immaginare
molecole tutte uguali e compiutamente elastiche e però
incoercibili assolutamente. Ma una materia sì fatta è
mera astrazione. Ed anzi convien supporre che cre-
scendo verso il centro gradatamente la densità se ne
sprigioni molto calore latente, il quale poi salga a
mantenere più rarefatte le sostanze superiori.
175. — Secondo; nell'ipotesi non si accennando ad
alcuna cagione perturbatrice deesi reputare che il raf-
freddamento del Sole accaduto sia per gradi conformi
e regolarissimi. Laonde fra i pianeti avrebbesi a in-
contrare una proporzione e rispondenza la più esatta
d' ogni elemento ; il che non é, ed é anzi affatto il con-
trario. Imperocché essi variano tutti notabilmente per
la distanza, il volume, la densità, l'inclinazione del-
l'asse, il periodo della rotazione, l'eccentricità, lun-
ghezza, inclinazione e velocità del movimento dittico ;
e infine per V accompagnamento e il numero dei sa-
telliti.
176. — Terzo; pur concedendo che verso la zona
equatoriale avessesi a radunare e condensare più ma-
teria sì per la velocità centrifuga e sì per la maggior
superficie esposta al raffreddamento, certo è nondime-
316 LIBRO TERZO.
no che intorno all' asse polare dove forza di proie-
zione non esisteva, la materia dell'atmosfera conden-
savasi 0 più o altrettanto per la ragione allegata
della massima forza e pressione centrale. Ei non si ca-
pisce, impertanto, come gli anelli equatoriali si distac-
cassero netti e sciolta invece si rimanesse la materia
stipata lungo 1' asse di rotazione.
177. — Qualora dunque nell'atmosfera solare di-
stacco di materia vi fosse stata, la figura del corpo
staccato dovea riuscire un grande anello girante sopra
una specie di fuso parte del quale sarebbesi incorpo-
rata nel Sole e parte nell' atmosfera. Imperocché ogni
materia d' intorno all' asse non ricevendo altro im-
pulso che quello della pesantezza, dee cader tutta sul
centro, e quivi, potendo moversi liberamente per ogni
verso, dee conglobarsi ed equilibrarsi sotto forma di
sfera. In altro caso, la materia che scende, a così par-
lare, lungo la linea dei poli adunasi, come può, in
quella figura che abbiamo accennata e di cui alcune
nebulose ci rendono esempio.
178. — Nessuna ragione poderosa poi ne persuade
che le zone od anelli non fossero quasi sfere compiu-
te. Certo, elle dovevano dilatarsi per tutto dov' era
operante la forza centrifuga e il calore raggiante si
disperdeva. Ad ogni modo, elle del sicuro allargavansi
molto più là dei limiti entro cui si raccoglie oggi la
poca 0 molta deviazione dei pianeti dal piano del-
l'equatore.
179. — Quarto; intendesi che parecchie di tali zone
crescendo di assodamento e velocità si rompessero,
vuoi per sottigliezza soverchia, vuoi per poca omoge-
neità ; ma che tutte si rompessero è strano. Più stra-
no e, per mio giudicio, incredibile che rotte, invece di
radunarsi in globi numerosi entro al piano della rota-
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 317
zione propria, ciascuna si contraesse tutta quanta in
un solo globo. Immaginiamo pure nei pezzi infranti
differenza di compattezza, di velocità, di figura; noi
perverremo con questi ingegni a rappresentarci un
caso nel quale, mediante molti accidenti e molta va-
rietà e contrasto di attrazione e di moto, un sol globo
usciva dai rottami d' un intero anello. Ma che simile
caso difficilissimo e poco probabile siesi ripetuto per
tutti i pianeti e per ciascun satellite loro esce da ogni
verisimiglianza ; e V esempio unico che si cita del-
l'anello di Saturno non fa nessun contrappeso. Né meno
è difficile a dimostrare che d' una fascia sì lunga
quanto il cerchio intero dell'equatore risultasse da
ultimo un globo sì picciolo quanto è la terra, la quale
non aggiunge alla milionesima parte del Sole. Atteso-
ché, se la fascia si componeva di rado vapore, non
distaccavasi certo per efi*etto di concrezione dal corpo
del Sole. Nel supposto contrario, sorge, mi sembra,
assai vigorosa la obbiezione testé espressa.
180. — Da ultimo convien ricordare che la ipotesi
del La Place rampollò dal tronco d' un' altra ipotesi
più generale, che fu quella dell' Herchel a cui vet\ne
pensato in seguito d' osservazioni numerosissime che
originalmente ogni stella sia stata una nebulosa. Oggi
il telescopio avendo scoperto quasi da per tutto nelle
nebulose un minutissimo gruppo di stelle distinte e
l)en contornate, tanto scema di probabilità la ipotesi
generale dell' Herchel, quanto la particolare del La
Place.
VL
181. — Egli non v'à dubio che alla metafisica ap-
partengono le cosmologie deduttive, o parlandosi con
320 LIBUO TERZO.
discorse V ordine universale defla natura legandolo
strettamente alle sue dottrine ontologiche, giusta le
quali ogni ente risulta fatto e costituito di potenza
di conoscenza e d' amore che sono i tre supremi at-
tributi di Dio medesimo e V universo tutto quanto è
un maraviglioso e armonico simulacro di lui.
187. — Né questo concetto della gran simiglianza
della creazione con Dio è più proprio del Campanella
che di quasi tutti i metafisici teologanti del medio
evo. E nel primo volume ci accadde di dover ricor-
dare in proposito alcune sentenze superlative ed enfa-
tiche del Cusano che chiamò il mondo una specie di
Dio contratto; e qualche parte di tal concetto riluce
eziandio in alcuni pensieri di cosmologia di Vincenzo
Gioberti. Credo anzi che lo stesso Rosmini accenni nella
sua Teosofia all'idea neoplatonica dell' animazione uni-
versale per la ragione che la natura debb' essere una ella
pure e non disciolta nella diversità ed eterogeneità
dell' essere. Ma comunque ciò sia, tutti questi scrittori
penetrarono poco addentro n^lla descrizione e dimo-
strazione metodica della fabbrica del mondo. Il simile
si dee giudicare del Leibnizio, a cui piacque di discor-
rere della costituzione degli enti creati quanto era bi-
sogno ai suoi dogmi ontologici e alle sue controversie
religiose e morali. Né l' abito sillogistico delle sue dedu-
zioni è sufficiente a velare T arbitrio soverchio che pi-
glia di procedere per via di supposti non ben ricavati
né dall'esperienza né dai principj speculativi.
VII.
188. — Pur finalmente ne' nostri tempi s' intese
r ufficio della filosofia razionale d' entrare a discorrere
della natura con sufficienza e con modo proporzionato
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 321
al progresso ammirando dì tutte le fisiche discipline.
E certo, a' dì nostri non è più concedit)ile ad alcun
metafisico il rimanersi nelle vuote generalità e non
insegnando nulla di ben definito circa la disposizione
e la economia degli enti creati ; come del pari non gli
è più lecito di fantasticare sopra essi con inutile fe-
condità di combinazioni che non si raffrontano con
l'esperienza. Esempio solenne di tale fatica infrutti-
fera e temeraria si rimarrà, credo, per ogni tempo av-
venire Renato Cartesio. Dacché egli vi spiegò dentro
senza profitto un ingegno portentoso; e quanta forza
maggiore inventiva seppevi adoperare, d' altrettanto si
trovò scostato dal vero.
189. — Quando Talete e gli altri cosmologi antichi
sperarono di prevenire l' osservazione e l' esperimento
con la virtù della fantasia, il buon senso volgare ponea
lor di rincontro la favola di Proteo il quale bisogna
sorprendere di soppiatto e stringere con fortissime brac-
cia e non punto sgomentarsi della svarianza delle sue
metamorfosi. Perocché alla fine stracco e doloroso del
sentirsi avvinghiato e serrato con persistenza e vio-
lenza, apre la bocca ad esprimer 1' oracolo e il vati-
cìnio che gli si domanda. Potevasi egli significare con
maggior garbo e insieme con maggior lucidezza l'arte
lunga laboriosa paziente e ingegnosa d'interrogar la
natura e nella congerie de' fenomeni che paiono disciolti
e discordi cogliere alcuna legge universale e perpetua
di certo ordine di fatti? Eppure quel documento di
prisca sapienza non fu pratir^to a dovere che a far
principio dalla scuola di Galileo in giù; e praticato
appena, mutò la faccia di tutte le scienze sperimen-
tali. A chi rimangono ignoti gl'incrementi prodigiosi
delle matematiche e delle fisiche ottenuti in pochissimi
anni mediante i metodi nuovi induttivi? Non é per
IlAVUiri. ~ II. 91
322 LIBRO TERZO.
ciò da ammirarsi che i dotti e le Accademie non voles-
sero udir più parlare di deduzioni speculative applicate
alla cognizione dei fatti, e negassero a dirittura la pos-
sibilità di comporre una cosmologia razionale. Ma.
d' altro cauto, non v' à sapere sodo senza principj, né
induzione larga e feconda senza virtù di astrazioni e di
raziocinio, né frutto generale e scientifico del percepire,
dell' osservare e del cimentare senza menar tutto ciò
alla universalità e al nesso discorsivo delle teoriche.
190. — Per tal guisa, ne' nostri giorni la cosmologia
razionale è più che mai divenuta un desiderato delle
menti profonde e niuno ancora pervenne (ch'io sappia)
a definirne il giusto carattere, i metodi acconci, i ri-
sultamenti sperabili. Nel cadere del secolo scorso ri-
provandosi e deridendosi da ogni parte V ontologia e
coltivandosi fra i pensatori più arditi una specie di
culto verso la natura visibile, sorse la fiducia di spie-
gare ogni cosa empiricamente e mercè delle forze o
manifeste od occulte della materia. Però, la cosmolo-
gia (se vogliamo così domandarla) del barone d' Hol-
bach consegui fama strepitosa ; la quale oggidì sem-
bra a tutti pochissimo meritata ed egli ci riesce freddo
e ampolloso allato alP entusiasmo che or fa due mi-
la anni cantava :
« JEneadum genUrix, hominum, divumque vóluptM,
Alma Ventis. »
Ma perché ninna forza dell'animo può ricalcitrare
alle necessità permanenti e agli istinti profondi e non
cancellabili del pensiere e della ragione, presto gli
uomini si persuasero che non ispiegasi nulla col solo
accozzamento degli atomi, e bisognò dare alla natura
r intendimento di quel che opera; e si tornò quindi
al vecchio adagio mens agitai molem.
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 323
191. — Ora cotesta mente che è ella mai? e come
costruisce una fabbrica tanto miracolosa? Accadeva^
dunque, di sposar novamente alla metafisica e air on-
tologica la notizia suprema ed universale della natura
secondo che fu tentato in qualunque tempo ed in ogni
scuola; con, peraltro, questo divario sostanzialissimo
che conveniva far caso dei progressi vasti e rapidi di
tutte le scienze fisiche; le quali poi quanto piiì si di-
latano e crescono, più sembrano dislegarsi e moltipli-
care le specie; onde la sintesi toro terminativa e
dimostrativa soverchia a gran pezza le forze del-
l' umano intelletto. Cosi da una banda le esigenze e
tendenze del nosU'o spirito ci riconducevano alla co-
smologia razionale e dall' altra ce ne discostava la
quasi impossibilità di metterla in atto.
192. — Ma poco o nulla, invece, se ne sgomentò
la Germania; e Schelling ed Hegel fra gli altri osa-
rono di costruire a priori non che tuttoquanto il
creato ma l' autore di lui il quale rinchiusero dentro
r opera sua con invisceramento maggiore o minore,
secondo portava la lor metafisica, e con sorte inferiore
e meno invidiabile, al credere mìo, di quella del boz-
zolo e d'altre crisalidi le quali sfarfallano alcuna volta
e girano liberamente per l' aria aperta de' campi; lad-
dove il loro Assoluto non è mai tale nel fatto e non è
mai compito né libero.
193. — Del resto, è incredibile la disinvoltura, la
facilità, r eleganza e la sicurezza con la quale lo
Schelling e i suoi passionati discepoli fannosi a costruir
la natura idealmente e sillogisticamente e affermano
ad ogni tratto la rispondenza perfetta delle leggi del
pendere con quelle del mondo visibile e tramutano le
une nelle altre e tutte poi le risolvono in certa iden-
tità arcana e inescogitabile. Agli occhi loro corre
^
324 LIBRO TERZO.
un' analogia compitissima tra il peso e la verità e tra
la materia e la scienza. Del pari, sono analoghi la
bontà e la luce, il moto e la religione. Di tal manie-
ra, fu introdotta nella metafisica una forma nuova di
misticismo ; i fenomeni diventarono simboli e una me*
tafora abilmente trovata velò con certa leggiadria la
ignoranza profonda delle vere cause e la impotenza
inemendabile della mente indovinatrice.
194. — Non però di meno dalla baldanza inconsi-
derata di qu^i filosofi uscì il vantaggio che venne
da capo riconosciuto alla metafisica il debito d' inve-
stigare le ragioni supreme dei fatti sperimentali e che
non le sia conceduto di starsene sopra ciò con le mani
a cintola, solo perchè la fisica, la chimica e la biolo-
gia rifuggono dalla speculativa, o perchè V unità della
scienza ogni giorno discostasi di vantaggio e alla no-
tizia dei fenomeni non basta oggimai nessuna capacità
di memoria e il filo del raziocinio si perde nell' im-
menso lor labirinto.
195. — Concedesi volentieri che all' impossibile nes-
suno è tenuto. Però il possibile della cosmologia è ancor
tanto largo da procacciare non solo onore immortale
ai coltivatori più fortunati ma da salvare eziandio
la fisica e gli altri studj naturali dalle conseguenze
maggiormente pregiudiziose del gretto e basso empi-
rismo. Né perciò crediamo che non vi sia altro sen-
tiere da battere, eccetto quello segnato dalli Schel-
linghiani e da Hegel. Rispetto poi a quest'ultimo,
possiamo passarcene qui con silenzio, considerando che
se ne discorre spesso e minutamente nel corso della
presente opera.
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 325
Vili.
196. — Dal sommario che abbiam compilato delle
sorte diverse di cosmologia succedute in antico e fra
noi moderni, risulta, per nostro avviso, quello che se-
^ue: Primo; che tal parte nobilissima della metafisica
<^8ce dagUing^ni peculati vi tutta informata per ordi-
nario dei sistemi ontologici che 1' antecedono e a se-
conda di questi piglia veste e color differente. Però,
notandosi che in Germania le cosmologie ultime fu-
rono derivate dal concetto della identità fra Dio e la
creazione e che questa è uno spiegamento ed una ma-
nifestazione della sostanza divina, dobbiamo conclu-
dere che il teismo difetta ancora della sua propria e
conveniente cosmologia.
197. — Secondo; rispetto all'intriseco della tratta-
zione doversi persuadere il filosofo che le generalità vuote
ed astratte sul fare degli scolastici non soddisfano al di
d'oggi neppure a mezzo la curiosità umana che è nudrita
con abbondanza e meglio assai che in antico dai trova-
menti cotidiani e stupendi dei fisici e dei matematici.
198. — Terzo ; però doversi tener gran conto del pro-
gredire sicuro, veloce ed applicativo che conseguiscono
tuttodì le discipline sperimentali. E dove qualche
parte almeno non ne sia spiegata e dimostrata dalla
cosmologia, doversi giudicare inutili e quasiché pue-
rili le sue meditazioni e i suoi pronunziati.
199. — Quarto; che si può, cominciando, descrivere i
fatti, conforme notammo sull'opera del La Place, e quindi
trovar le ragioni assolute ed universali. Ovvero, e con-
verso stabilire i principj e dedurne tali nozioni d' in-
tomo ai fatti che il tutto riesca come una larga e bene
ordinata ipotesi la quale si avvera con esattezza nella
326 LIBRO TERZO.
realità del creato. Questa seconda maniera è più pro-
pria della scienza rigorosa. L'altra è più modesta e
sincera. Ad ogni modo, il metodo della cosmologia ra-
zionale dee sempre essere sostanzialmente deduttivo.
200. — Quinto ; che dalle prefate considerazioni di-
scende consistere lo sforzo massimo della cosmologia
nel rinvenire prove apodittiche non già delle somme
categorie e di ciò solo che le cose create anno tutte a
comune ; ma sì delle leggi più sostanziali che reggono
r economia universa del mondo meccanico e chimico
e del mondo organizzato e animato. E di quanti più
fatti avviserà la ragione vera e propria, di altrettanto
diverrà fruttuosa e sveglierà giusta ammirazione.
201. — Sesto; che oltre alle deduzioni esatte e sicure
non crediamo interdetto alla cosmologia metafisica come
a nessuno studio speculativo ì ragionamenti probabili e
le congetture assai verosimili ; con questo, peraltro,
che sieno confessate con ischiettezza e le riceva il let-
tore né più uè meno per quel che sono.
202. — Settimo; altre massime direttive così salde e
fondate come fertili e salutevoli provenire dalla ispe-
zione stessa della natura e di vantaggio dalla medi-
tazione profonda sui caratteri del finito, conforme
apparisce nei due Libri già scritti e seguiterà più che
mai a mostrarsi nel seguito. E perciò appunto ci è
sembrato opportuno contro l'uso corrente accennare il
metodo della scienza quando ella comincia con qual-
che precisione e nettezza a delinearsi in mente al lettore.
203. — Ottavo; che del danno proveniente dal travi-
sare i giusti ed esatti caratteri del finito basterà citar per
esempio quella persuasione dìrem naturale appresso
molti scrittori di riconoscere nella creazione le forme
e le leggi medesime del proprio pensare e del proprio
intendere; e segnatamente Tunità rigorosa e certo Ibndo
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 327
continuo d' identità e il misurare alla propria stregua
la semplicità, la finalità e T ordine intero delle cose.
204. — Nono ; invece il canone giusta il quale dee
procedere la nostra investigazione essere questo mai
>>empre: che la natura non è l'uno, ma è il molteplice
e Dio stesso potervi bene introdurre V armonia, non
Punita; e che tra le leggi del pensiero e quelle del
mondo creato v' à certa rispondenza e certa analogia
del sìcaro maravigliosa e fedele; ma che, nondimeno,
la luce della creazione giungendo alla nostra pupilla
mentale ora attraversa parecchj prismi ed ora si ad-
densa in parecchj fuochi di lente; il che peraltro mai
non accade senza la consapevolezza mediata o imme-
diata del nostro animo.
205. — Decimo ; nella cosmologia quanto in ogni
scienza speculativa le deduzioni e dimostrazioni di-
pendere dai principj; e che questi quando sono pochi
ed astratti non bastano, quando molti e specificati
o non si connettono o mancano di assoluta certezza.
La scienza per al presente non può se non procedere
con riserbo fra tali due opposti; e radunando copia
bastevole di principj procurare di connetterli il più
strettamente che sia fattibile. Undecime ; perciò pre-
supponemmo noi alla cosmologia nostra i principj
infrascritti. In primo luogo ed a comune con gli altii
studj speculativi le supreme categorie alle quali ag-
giungemmo una chiara teorica dell'atto creativo. In
secondo luogo le disposizioni e i caratteri incancellabili
del finito ritraendoli dalle dottrine ontologiche più
certe e più manifeste. In terzo luogo le sue relazioni
necessarie e perpetue con V infinito. Di che poi pro-
vengono altri principj particolari e fecondi. Perchè dai
rapporti con la potenza infinita discendono le massime
intorno la possibilità. E dai rapporti con la sapienza
828 IIBRO TERZO.
deriva la legge di convenienza scambievole di tutti i
possibili. Per ultimo, dai rapporti con la bontà in-
creata vien fuori la legge di finalità e l' altra del pro-
gressivo perfezionamento e l'altra che le fa tenore con-
tinuo della partecipazione massima del bene assoluto.
206. — Duodecimo; confessarsi da noi schiettamente
che i principj surriferiti insegnano molte condizioni e
attitudini non pur generali ma particolari della natura
e del suo modo di ascendere all'adempimento dei fini.
Salvochè vi sono già introdotte le nozioni più generali
della materia e del moto, oltre a quelle dello spazio e
del tempo. E sebbene in questo presente Libro e nei due
anteriori abbiamo avvisata una rispondenza perfetta
fra essi principj e l' indole propria e gli atti diversi
vuoi della forza attrattiva e delle affinità chimiche
vuoi della forma peculiare dell' etere e così discorri
per altri particolari, nullameno v'à qualcosa in tutto
ciò di speciale e di originale che i principj astratti
non danno, e ci proviene da quella esperienza comune
la quale accompagna, può dirsi, ciascun istante di no-
stra vita. Senza dire che la materia in atto e il suo
moto e le sue affezioni similmente attuali ci vengono
rivelate dal senso e dalle percezioni facoltà differen-
tissime e separatissime dagli oggetti ideali.
207. — Ma egli si dee dubitare se con questi sus-
sidj medesimi l' argomentazione e la deduzione in co-
smologia trova modo di assegnare le vere cause e le
ragioni assolute a fatti e fenomeni ancor più speciali,
ovvero le è forza di compiere un tessuto a vergato
attingendo dall' esperienza di mano in mano un certo
numero di presupposti e derivando ogni rimanente
dalla virtù dei principj. Sulla qual cosa propoadsi di
discorrere il Capo che segue.
COORDINAZIONE DEI MEZZr NELL'UNIVERSO. 329
CAPO QUINTO.
DEI LIMITI DELLA DEDUZIONE IN COSMOLOGIA.
I.
208. — Noi siamo tornati delle volte parecchie su
questo nostro principio che dalla nozione alla perce-
zione ancora che passino molte attinenze, nullameno
guardate nei termini proprj elle non s' immedesimano
e non si uniscono, e mal si pretende di farle mescola-
tamente materia e forma, predicato e subbietto delle
sintesi nostre mentali. Perocché la nozione, o idea, ter-
mina e si compie neir oggetto assoluto del pensiere ; la
percezione, invece, nei sensibili relativi e mutabili. Ol-
treché, il sensibile affetta l'animo nostro ed internasi
nel nostro subbietto incomunicabile; laddove la idea
connettesi con la realità etema che esiste in separato da
noi. Se non che, la vista nostra mentale fu ingenerata
e conformata a raccogliere e paragonare nella unità
della sua luce le nozioni e le percezioni, essendo che
quella luce dilatasi a tutto ciò che si congiunge con
noi e più esattamente dilatasi infino al doppio limite
della congiunzione medesima. Però é tanto impossibile
tramutare la nozione nel fatto e legar l'uno all'altro
per nesso d'identità, come condur l'infinito dentro al
finito e r assoluto e l' eterno nel relativo e nel tem-
poraneo.
209. — Simigliantemente giudichiamo impossibile
dalle generalità logiche e dalle categorie supreme del-
l'ente ricavare per necessità razionale le specie pecu-
330 LIBRO TERZO.
liari del mondo meccanico e dell' altre parti della
natura. E solo stimiamo che il raziocinio soccorso dal
lume certo delle relazioni ontologiche le quaji nel capo
antecedente venimmo registrando, valga a indovinare
i generi e le cagioni più larghe, scoprire l' ordine e i
procedimenti della finalità e mostrare poi qualmente
le particolarità e le essenze specialissime rivelateci
dall' esperienza rispondano a capello ai principj e sieno
come fili spessi e minuti che si radunano e riparti-
scono per se medesimi nei vani del filondente.
210. -- Chiaro è poi che non iscorgendo la mente
insino a dove può tragittarsi il lume delle relazioni
teste mentovate e insino a che punto discendere e pe-
netrare nella costruttura degli esseri, noi rimaniamo
sicuri che una cosmologia razionale non è impossibile ;
né impossibili i suoi progressi quantunque da ogni
lato si veggano ostacoli paurosi e non molto distanti
i suoi confini assoluti. Avvi oltreciò una parte con-
getturale e uno sguardo il più comprensivo e sintetico
che sia conceduto all'uomo sulla immensità del creato ;
0 r una e V altro giovano grandemente ad ogni ragione
<li scienze, non potendo l' ingegno umano coordinare e
dirigere con qualche franchezza e fiducia l'opera pro-
pria senza un concetto e un disegno alquanto definito
sul tutto insieme delle còse.
211. — In opposizione di tali documenti metodici
43 di tali limitazioni sorse una scuola in Germania, la
quale non dubitò di trasmettere la idea nel fatto per
non so qual legge dialettica e di prevenire con la fé-
cx)ndità dei concetti ogni risultamento sperimentale, di
guisa che, a detta loro, il pensiere fabbrica dentro di
sé con raziocinio necessario un'opera similissima e
parallela a tutto quello che la natura va costruendo
o compiendo al di fuori.
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 331
212. — Noi crediamo che in tutto ciò nascoudesi
xina ostinata e superba illusione palliata air occhio
de' più avveduti da gran potenza discorsiva e dall'abuso
del parlar figurato. La cosa è pure aiutata dall' au-
dacia medesima del proposito, da molta sua novità e
per altra parte dalla pigrezza degl' intelletti. Perocché
fa loro comodo assai di credere di possedere alquante
formole quasi magiche, per mezzo di cui si dà ragione e
spiegazione d'ogni fatto e d' ogni mistero ; nel modo che
agli scolastici gradiva e soddisfaceva quel loro vocabo-
lario delle forme sostanziali e delle qualità occulte, me-
diante le quali la natura sembrava alzare i suoi veli.
L' ingegno tragrande dell'Hegel v'entra pure per molto ;
e non esitiamo di dire che se l' intelletto umano valesse
pur mai ad attingere l' impossibile, quello dell' Hegel vi
saria pervenuto. Ma che giovò ai giganti di sovraporre
montagne ad altre montagne? Il lavoro fu portentoso
e sbalorditojo quanto infruttifero; perchè il cielo em-
pireo rimanea loro discosto sempre d'intervallo infinito.
213. — Il che noi reputiamo così aperto e provato,
che ninna mente ricuserebbe, per nostro avviso, di
acconsentirvi, quando si rinvenisse un modo di uscire
affatto dalle locuzioni equivoche o soverchiamente
astratte e 1' animo degli studiosi fosse rimenato a quel
senso primitivo e semplice della verità che le ambiziose
speculazioni traviano ed annebbiano a poco per volta.
214. — Mirando io propriamente a 'cotesto fine, ebbi
ricorso alle immagini e alle finzioni descritte nell' apo-
logo che segue.
II.
215. — Lassù nelle regioni sopramondane era una
specie di angiolo che non trovandosi attorno nessuna
382 UBRO TERZO.
sorta di corpo e uem manco quel sottilissimo ed invi-
sibile che Leibnizio regala a tutti gli spiriti, non rin-
venne mai modo di conoscere la natura con certa e
diretta scienza. La mente sua era di continuo a faccia
a faccia con gli eterni esemplari da cui per contem-
plarli che si facesse non potè in niun tempo ritrarre
una notizia vera, positiva ed esatta delle cose ma-
teriali e mutabili, poste, come direbbe Aristotele, sotto
il cielo della luna. Egli scorgeva bene entro quegli
archetipi V esemplarità e V efficienza divina d' ogni
ente finito, ma sempre in maniera assoluta, univer-
sale, infinita ed incommutabile. Il perchè, quando ri-
mirava con occhio fermo ed attento, poniamo, nella
idea di corpo, o in quella di spazio o nelF altra di
moto, gli spiriti che in non so qual pianeta avevano
abitato una spoglia mortale lo avvisavano con pre-
mura che in quelle idee e nelle simigliane dimora
bensì una forma corrispondente ed analoga, ma di-
versa tuttavolta dalle cose rappresentate. In latto,
dov' è, gli dicevano in queste idee la corpulenza della
materia? dove l' estensione, la divisibilità, il peso e gli
altri accidenti? Qui V esemplare del moto vedi che non
si move e l' esemplare del mutamento vedi che guari
non muta. Le quali parole suonavano all' orecchio del-
l' angiolo parte confuse e parte come le parole luce e
colore suonerebbero a un cieco nato.
216. — Così rimanendo egli sospeso e mal soddisfat-
to, vennegli riferito essere capitata lassii l'anima di
Giorgio Hegel, il quale avendo trovato pur finalmente la
scienza assoluta e descritto per minuto il trapasso della
nozione ad ogni realità del mondo corporale ed organico,
e oltrediciò avendo scoperto che nelle nozioni e nei
fattiy volta e gira, è sempre un medesimo essere, pa-
reva il sol uomo capace di levare di dosso all' angiolo
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 333
quella curiosità singolare di conoscere la materia, il
moto e r altre cose di quaggiù e conoscerle mediante
le idee. Curiosità, del resto, non degna in tutto d' un
angiolo e simile a quella di certi bimbi che nudriti
nelle delicature anno una voglia spasimata delle poma
acerbe e dell'agresto.
217. — Ma come ciò sia, venuto egli un dì a colloquio
col gran filosofo, tosto lo richiese del come la nozione
o r idea diventi spazio materia moto ; ed in generale di-
venti natura; confidandosi che qualora intendesse cotal
passaggio assai bene, dovrebbe di necessità intendere
quello che sia esso lo spazio, il moto, la corporalità e
r altre cose. Ma perchè il dialogo fu alquanto lun-
ghetto, noi intralasceremo per più speditezza la forma
del raccontare e trascriveremo esso dialogo nell'ordine
in cui procedette e facendocene spettatori ed ascoltatori.
m.
218. — Hegel. Non torna possibile il farvi capace
'cB queste speculazioni, quando ignoriate affatto parec-
chi miei principj sovrani e fecondi che sono cardini di
tutto il sistema. D'altra parte, a voi converrà accet-
tarli quali postulati non disputabili. Che sarebbe troppo
lungo il fame ora esame competente e il controver-
terli ad uno per uno.
219. — Sappiate, dunque, o spirito, che l'idea non
è punto quale voi la pensate e cioè una cosa immu-
tabile, senza spiegamento e progresso, ferma e asso-
luta come il suo durare che non principia e non
termina. Per lo contrario, l'assolutezza vera di lei
consiste nel diventare ogni essere e prima ogni nozione
di essere. Il che opera ella straniandosi da sé stessa
e varcando in altro ; poi contraddicendo questa mede-
334 LIBRO TERZO.
sima alienazione, tanto che torni in se arricchita di
ciò che à negato ed aifermato per via, e così di se-
guito e sempre allo stesso modo. Perocché, dovete an-
che conoscere che la contraddizione ovverosia l'ente e
il nulla associati ed unificati sono i progenitori asso-
luti del mondo, laddove, la plebe assai numerosa dei
metafisici li reputava l'opposto.
220. — Angiolo. Sia quel che volete. Il desiderio
d' imparare a conoscere i corpi e il modo come la no-
zione vi si tramuta mi punge sì fortemente, che lascio
andar giù nel mio comprendonio questi vostri postu-
lati singolarissimi; e vi sarebbe da discorrerne insino
a tre dì dopo il Giudicio. Solo vi chiedo se la idea
diventando altro, è nel tempo ovvero nella eternità;
perocché divmtare e mutare sono sinonimi e parimente
mutare e succedere. Ma il succedere fuori del tempo
è contradittorio.
221. — Hegel. Òvvi pur detto che la ripugnanza
nei termini é il mio cavai di battaglia. E se voi in-
cespicate così alla prima e vi fate scrupolo di queste
difficoltà leggierissime, io dispero di torvi dall'igno-
ranza in cui vi pesa di rimanere. L' idea diventa dalla
eternità ; e conviene ognora pensarla nel suo tutto as-
soluto e nelle sue parti, ognuna delle quali richiama
r altra e solo nel loro intero é lecito di spiegare e
dimostrare quello che sono. L' idea, pertanto, si fa in-
sieme ed è fatta, diventa ed é già diventata.
222. — Angiolo. Mando giù anche questo e pre-
govi di continuare e di compatirmi.
223. — Hegel. Il principio d'ogni principio é là
nozione astrattissima dell'essere indeterminato e simile
al nulla. Tal nozione a grado per grado diventa tutte
le altre che la logica suol rassegnare. Dopo questo,
r idea che già trascorse V àmbito immenso delle no-
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 335
zioni, trapassa nella natura che è in sostanza l'idea
medesima diventata altro e rimanendo pur tuttavia
identica con sé medesima.
224. — Angiolo. Scusate, di grazia, la mia fran-
chezza soverchia. Ma quassù in cielo si abborre Parte
del fingere e si spiattellano pensieri e giudicj tali quali
si sentono. Or come fa ella V idea logica a chiudere
r àmbito delle nozioni ? Perocché queste sono infinite;
ed io pur nato con intelletto angelico, sebbene le vo
raccogliendo da secoli e ne riempio e sopraccarico la
mente e la ritentiva, mi veggo sempre ad un modo lon-
tano dal termine.
225. — Hegel. È manifesto che l' idea logica, per-
venuta alla scienza del pensiere di sé medesima e del
riconoscersi identica nel subbietto e nelF obbietto, rag-
giunge l'unità finale e sintetica e diventa idea assoluta.
Qual cosa cercate voi di là dall'Assoluto? Per vero,
r idea logica à girato per tutta quanta la sfem della
possibilità; ed è trapassata, per via d'esempio, dal
possibile meccanico al possibile chimico e da questo
all'organico e da questo ancora alla vita e allo spi-
rito, ossia ad una mente servita da organi corporali.*
226. — Angiolo. Non conosco gli organi corporali ;
ma so che di là da simile forma di vita io ne conce-
pisco altre dififerentissime servite da organi immortali
ed incorporali e ricche di facoltà ignote eziandio a noi
creature angeliche e tuttavolta possibili e forse anche
bistenti. Onde non veggo ragione perchè la idea logica
si ferma nel suo diventare e giudica di dover produrre
quelle tante nozioni o possibilità, e non di vantaggio.
Ma lasciamola andare ; che io non vo mettere indugi
alle spiegazioni e rivelazioni che aspetto.
I Logifu$f voi. Il, pag 349. Versione Traucese del Prof. Vera.
330 UBRO TERZO.
IV.
227. — Hegel. Ne io, dunque, replicherò, per farmi
incontro sollecitamente al vostro desiderio. L^dea,
pertanto, arrivata al. termine che io dicevo, guarda
fuori di sé e fassi esteriore a sé medesima; e tale este-
riorità immediata e indeterminata è lo spazio.
228. — Ma il diverso é poi sempre dallato allMden-
tico e la negazione dallato air affermazione. Però il
punto che è un certo limite e un cotale inizio di deter-
minazione dee comparir nello spazio. £ questo punto
medesimo dee diventare anco esso, perchè ogni cosa
principia e diventa; quindi per le massime prestabi-
lite, egli negherà sé stesso e varcherà in altro gene-
rando la linea, come la linea con processo conforme
dee generare la superficie.
229. — Ecco in tal diventare del punto viene ge-
nerato altresì il tempo, conciossiaché questo è uno e
identico perfettamente con lo spazio ed il moto. Quel
qualche cosa poi che dura e si move è propriamente
la materia. Non é egli chiaro, evidente, palpabile?
230. — Angiolo. Oimé! filosofo! che se la chia-
rezza vostra è si fatta, io sono spacciato, e non inten-
derò mai buccia della vostra teorica. Di tutto quello
che avete esposto io confesso candidamente di aver
capito un bel nulla.
231. — Hegel. Non è mia colpa del sicuro; che io
parlo netto e preciso; e dopo Aristotele nessuno in ciò
mi pareggia. Ma quassù non intendete per quello che
io credo, alù*o parlar filosofico se non V usato da san-
t' Agostino e da san Tommaso. Fatemi, però, canoniz-
zare da un qualche papa e forse allora mi capirete.
232. — Angiolo. Un po' di pazienza, maestro caro.
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 337
un po' di pazienza ! E non vi sarebbe caso d' espri-
mere coleste vostre proposizioni- con altre parole, a
vedere se mi entrassero meglio?
233. — Hegel. V ò ricordato lo spazio, il punto,
il moto, il tempo e la materia. Or voi sapete troppo
bene quel che significhino' tali vocaboli. Atteso che
SODO concetti annoverati essi pure nella idealità infi-
nita di cui godete 1' etema visione.
234. — Angiolo. Così è, filosofo; e il mio danno
sta propriamente che voi mi lasciate dentro i concetti,
quando io vi prego di cavarmene e condurmi in co-
spetto delle realità corporali. Oltreché, badate che quei
concetti di materia, di spazio e via prosegui sono ana-
loghi e non simili alle cose di cui discorriamo, ten-
gono con esse corrispondenza simbolica ma non le ef-
figiano e non ne fanno ritratto. Io so, infrattanto, che
lo spazio effettivo, il moto e la materia effettivi sono
tanto diversi dalla nozione, che perciò appunto io essere
immateriale non giungo in ninna maniera a capirli.
Voi già cominciaste con la nozione dell'essere inde-
terminato e proseguiste via via per tutte le altre ca-
tegorìe ideali. E sebbene io non abbia notizia del modo
come traeste l'una idea dall'altra, nullameno non mi
ci perdo e confondo compiutamente dacché rimango
pur sempre nella regione dei concetti. Ma voi, venuto
ad un certo termine, senza che io scorga il perchè
né indovini il come, trasmutate la vostra idea in tutto
altro essere e le date una natura per me incompren-
sibile. Veggo che voi strabuzzate gli occhi in qua e
in là come attonito della tardità del mio ingegno.
Ma che volete I posso io scambiare le leggi eterne della
logica ? Se la vostra idea pur divenendo perfetta e
assoluta è sempre idea e nozione, come può dar na-
scimento ad altra cosa che nozione non sia? £ quando
Mahuiii. — II. 33
338 LIBRO TERZO.
Io faccia, ognuno io credo s' unirà meco a dire che
quelle due cose riescono indipendenti affatto e diverse,
e r una del sicuro non è ingenerata dall' altra. Qui fra
i due termini, adunque, non è veruna necessità, verun
trapasso razionale veruna sorta di legame; e lo spazio,
il moto, la materia e simili escono fuori dalla idea
logica con tanta impertinenza e stranezza, quanto se
un cherubino si trasmutasse nel cavai bianco dell' Apo-
calisse.
235. — Hegel. Come dite che non v' è trapasso
legittimo, mentre lo spazio e indi poi la materia sono
la idea esternata? È dunque la stessa cosa e diversa
medesimamente. Ma voi sembrate non capire il senso
delle parole.
236. — Angiolo. Può darsi, e per emendarmi ri-
peterò esatto le vostre frasi. La idea logica, affermate
voi, con lo esternarsi produce lo spazio. È dunque la
idea logica che esternata si raddoppia; ovvero che fa
se oggetto a sé stessa. Imperocché in questo sol modo
una idea o nozione si esterna. E così rimaniamo sem-
pre nella idealità e non nel concreto corporeo. Che se
poi il vocabolo estemo è qui usato non per metafora
ma neir accezione sua propria e conveniente alla sola
materia, primamente vi dico di non lo intendere; in
secondo luogo vi fo avvertire che noi spiegheremmo
la cosa con la cosa stessa esplicanda; e il problema
si risolverebbe mediante un giuoco di parole.
237. — Hegel. Voi non pigliate la questione pel suo
verso; e sembravi aver detto assai provando che la
nozione e la natura anno essenza differente. L'abbiano
anche opposta ; perciò proprio T una è ingenerata dal-
l' altra. Impei-occhè nel trapasso della idea logica alla
natura debbe incontrarsi giustamente una opposizione
ed una medesimezza; e questo è sempre e uni versai-
COOBDINAZIONB DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 339
mente il processo di tutti gli esseri. Dacché gli oppo-
sti si richiamano a vicenda in quel mentre che si di-
vidono. Nel processo di cui parliamo conoscete l' oppo-
sizione. La medesimezza ben sapete che risiede nella
idea la quale tuttoché diventi natura non cessa però
di essere idea.
238. — Angiolo. In cotesto modo, non v' à dubio,
voi farete nascere il quadrato dal rotondo e ogni cosa
verrà prodotta da ogni cosa; salvoché, procedendo per
simile via, noi ci troveremo molto più prossimi al Caos
di quello che al mondo corporeo. Ma io nego a dirit-
tuj-a che gli opposti nascano 1' uno dall' altro, e dico
i veri opposti e non gli apparenti. Del sicuro, il male
non genera il bene né il brutto il bello né il vizio la
virtù, e così seguita. Oltreché, gli opposti da me ricor-
dati si pareggiano per lo manco nell' avere a comune
l'essere di sostanza. Poiché il vizio, pur troppo, e la
bruttezza e il male, ancoraché mescolati di negazione
in sola negazione, non tornano e per isventura parte-
cipano della sostanza. Ma la vostra idea logica nep-
pur si ragguaglia al mondo corporeo rispetto alla
realità ; sondo eh' ella principia con 1' essere puro inde-
terminato a cui mancano del pari 1' atto e la potenza;
«d è poi manifesto che tale cominciamento primo e
assoluto dee serbare 1' essenza propria in qualunque
sviluppo. Discende da ciò che nemmanco é vera quella
medesimezza che voi riponete fra la natura e l'idea;
non potendo correre nessuna sorta d' identità fra una
cosa reale in atto ed una nozione cui la virtualità e
r attualità fanno similmente difetto.
239. — Hegel. Io non mi posso più contenere. E
può far Dio che un angiolo annaspi così maladetta-
mente? Ma se le nozioni diventano e passano l' una
neir altra, come dite che non possiedono virtualità al-
340 LIBRO TERZO.
cuna? La nozione, sappiate per regola vostra, è attuale
e realissima quanto ogni altra sorta di essere; eccet-
tochè differisce dalla realità esteriore o vogliam dire
dalla materia con la quale pur nondimeno si sustan-
zia ed unifica. Ò pur tollerato che parlando voi a vo-
stra posta usiate la voce noziotfe al modo' volgare. Ma
nella mia logica l' accezione sua diventa particolaris-
sima e vuol significare, invece, la potenza libera e so-
stanziale, queir assoluta virtualità esistente per sé e
dentro cui è come ripiegato ed epilogato V intero uni-
verso.
240. — Angiolo. Chieggovi scusa di cuore e m' av-
veggo che ancora non vi siete avvezzo alla nostra fran-
chezza paradisiaca. Ma io non potrei per nulla dissi-
mulare quello che penso.
241. — Io stimava d'intendervi bene, mantenendo
nel principiato la essenza medesima del principio. Che
se questo è 1' essere puro e tanto indeterminato da fare
equazione coi nulla, come poteva io figurare che in-
vece egli sia una potenza infinita da cui verrà fuori
di mano in mano ogni cosa? Del resto, io sono ormai
chiaro eh' io non perverrò ad intendere quello che sono
la natura ed i corpi. E mi rincresce di ripetervi che
per le vostre parole io non veggo spuntare da nessun
lato quel mondo materiale di cui fo dimando da lungo
tempo; e quando anche mi sforzi di menar buono a
me stesso queir esternarsi della nozione e quel diven-
tare lo spazio effettivo, non per ciò mi si fa intelligi-
bile il rimanente. Nel vero, se io debbo aspettare che
il mondo della natura esca, nel modo che a voi piace,
dal movimento del punto io non ne verrò mai a capo.
Conosco lo spazio intellettuale e tutte le suo determi-
nazioni. Perciò conosco eziandio che il punto è mera
astrazione e concetto; e quindi il suo moto è altret-
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 341
tanto astratto e ideale. E davvero davvero, vorrei ve-
derlo, o filosofo, cotesto punto nel moto suo e dico
moto effettivo, non mentale e speculativo. Ma v' à di
più ; che pur concedendo a V astrazione che chiamasi
punto la facoltà del moto, il meschinello non potrà
valersene tanto né quanto. Perchè ad. ogni facoltà è
necessario si aggiunga una acconcia determinazione.
In fatto, per dove si addirizzerà quel moto, domando
io? in giù od in suV a destra od a manca? sarà lento
o veloce, ritardato od accelerato? Il punto, a rispetto
di ciò, è come il centro d'un circolo; e quanti sono i
raggi, altrettante direzioni di moto può prendere. Il
perchè, mancandogli dal di fuori la cagione determi-
nante, forza è che rimanga in quiete per sempre,
V.
242. — Volea l'Angiolo proseguire a discorrere delle
sue dubbiezze intorno al tempo ed alla materia, con-
forme sono originati dall' Hegel, ma questo di carat-
tere un poco albagioso e stizzoso rompendogli a mezzo
le fine argomentazioni gli si tolse davanti e se ne andò
borbottando fra sé e sé contro la sua fortunaccia che
in terra un solo de' suoi discepoli 1' avea bene inteso
e talvolta nemmanco lui; ed ora dovea riconoscere che
neppure gli angioli lo capivano.
243. — Provengono da questo dialogo, per mio giu-
dicio, due massime tanto vere quanto profittevoli assai
per la scienza speculativa e per li suoi metodi. L'una
insegna di nuovo come sia impossibile trapassare dalla
nozione alla realità effettiva della natura per un le-
game d' identità fra i due termini e presumendo di
trasformare Y uno nell' altro.
244. — La seconda massima insegna che nella co-
342 LIBRO TERZO.
Sinologia razionale non è dato all' ingegno umano di
trapassare i limiti descritti più sopra da noi ; e che
dove già non fossero radunati dentro la nostra mente
i concetti di spazio, di moto, di materia, di corpo e
simili, giammai il pensiere li troverebbe, come suol
dirsi, a priori, cavandoli dalle categorie universali del-
l'essere; né volendo imitare l'Hegel il quale dopo
avere per traforo introdotto nella sua logica l'espres-
sioni metaforiche d' interno e d'esterno e l'altre di re-
sistenza, di centro, di parti, d' aggregato e siniiglianti,
prova poi leggier fatica a dedurre dalla nozione del-
l'obbietto in universale la nozione tanto diversa del
mondo materiale e meccanico.* E con tutto questo, le
spiegazioni e ragioni addotto dei fenomeni e dei muta-
menti calzano così poco e legansi con nodi tanto ri-
lasciati, da dovere per nostro avviso destar più che
spesso la ilarità dei fisici e dei matematici.
245. — A detta dell' Hegel le stelle non sono altra
che la materia nella identità sua immediata e nel suo
alienarsi continuo da sé medesima. In tutto il firma-
mento il solo nostro sistema planetario attua in pieno
la nozione del mondo meccanico ponendovi un centro
assoluto che è il Sole, il quale nega sé stesso e però
genera altri centri particolari che sono i pianeti. Ol-
tre ciò, il Sole esprime la indipendenza della materia ;
i pianeti, il mischiamento d'indipendenza e di sugge-
zione, perché possedendo un centro proprio, tuttavolta
ne cercano un altro al di fuori a cui perciò si acco-
stano a vicenda e se ne allontanano. Invece, i satelliti
esprimono il momento della esteriorità, e non avendo
centro proprio e cercandolo altrove esprimono altresì
il momento della dipendenza ; ancora che tale esterio-
• LogiquCy voi II, png, 599 e segumli.
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 343
rìtà e dipendenza sia malto meglio significata dalle
comete, le quali non girano sopra sé stesse come fanno
i pianeti. Il sistema solare poi tutto insieme attua
compiutamente, come si disse, la nozione della mecca-
nica, atteso che quivi ogni parte è attratta ed attrae
respinge ed è respinta, à centro ed è fuori del centro
e compone un tutto in cui la materia perviene ad uni-
ficare lo in sé e lo per sé,
246. — S' io voglio parlare con ischiettezza, ogni con-
cetto qui mi riesce non pure strano ma discorde dnl
fatto. E prima, se v'à cosa ormai accertata in fisica
si è che le stelle ed ogni materia siderea viene gover-
nata dalla legge dell'attrazione né più né meno di
quello che faccia il nostro sistema solare. Senza che,
si notano colassù movimenti proprj molto diversi, cam-
biamenti di colore, scuramenti subitanei, apparizioni
di nuove stelle; il che dimostra da per tutto non la
identità e certa ripulsione uniforme, sibbene la diffe-
renza, la composizione e V attività. Lassù sono sistemi
compiuti di stelle moventisi T una a rispetto dell'altra
con quella legge proporzionale di massa e con quel
medesimo impulso centripeto e centrifugo del nostro
sistema planetario. Oggidì si annoverano circa seimila
coppie di astri solari e però ciascuna prende nome
di stella doppia ; e v' à pure gruppi di tre, quattro,
cinque, sei stelle aggirantisi al modo de' nostri pianeti.
Ma come si disse, il maggior numero degli aggregati
risulta di due sole stelle e non troppo diverse per
massa ; onde pesano l' una inverso dell' altra con equi-
Hbrio di gravità e girano bilanciate con movimento
circolare scambievole.
247. — In tutto questo, per mio avviso, la nozione
hegeliana della meccanica perde la bussola e dà a tra-
verso. Fra le stelle doppie non v' à più un corpo cen-
344 LIBRO TERZO.
trale ed universale ma due corpi e talvolta parecchi
che souo in se ed in altro, dipendenti e indipendenti
al tempo medesimo e con eguale misura.
248. — In secondo luogo, se il centro, giusta la no-
zione hegeliana, dee respingere se stesso e creare con
ciò altri centri che sono i pianeti,^ questi per una
simile ragione debbono, respingendo sé stessi, creare i
satelliti. Perchè, dunque, i satelliti rappresentano un
altro momento della nozione, quello cioè della este-
riorità e della dipendenza? Per fermo, nei satelliti è
il rapporto medesimo coi pianeti che in questi col Sole,
e vale a dire che ciascheduno possiede un suo proprio
centro, possiede il moto rotatorio (che nella luna è di-
mostrato) e il moto di traslazione. Vero è nondimeno,
che se nei satelliti si ripete tal quale il momento della
nozione attuato nei pianeti, non v' à motivo perchè
quelli non producano a sé medesimi altri satelliti e
questi altri a vicenda e così senza termine. D' altra
parte, se i satelliti rappresentano un momento spe-
ciale e distinto della nozione, perchè Mercurio, Marte
e Venere ne vanno sprovvisti, e Saturno in quel cam-
bio s'incorona di otto lune e di tre anelli? Del pari,
si à qualche arbitrio di chiedere perchè il Sole e tutti
quanti i pianeti e pure tutti i satelliti, eccetto due,
girano in un medesimo verso da occidente ad oriente
e poco declinano dal piano dell' equatore, mentre le
comete (salvo quelle comprese nelle orbite planetarie)
tagliano il detto piano con angoli più o meno ottusi ;
e mentre per esser corpi che esprimono il momento
della dipendenza dovrebbero per lo contrario secon-
dare il piano ed il verso del corpo dal quale di-
pendono.
> Phiiosoph. de la Nature, voi. I, pag. 373.
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 345
. 249. — Per nostro giudicio, non sono queste do-
mande troppo indiscrete, addirizzandole a gente la quale
à scoperto la scienza assoluta e fanno del nostro si-
stema solare il centro vero ed unico dell'attività e
della vita. Similmente, se debbe esservi un centro che
attira e respinge perchè afferma e nega se stesso e
operando ciò fa esistere altri centri i quali respingono
insieme ed attraggono, il numero e la condizione di
cotesti centri non dee rimanersi fortuita. Ma la teorica
dell' Hegel se ne passa con silenzio.
250. — Di più, in essa teorica il Sole è detto centro
assoluto ed universale. Però, sarebbe rovesciata ogni
cosa, quando si provasse che invece il Sole è centro
relativo e particolare,' movendosi, come sembra certo,
con l'intero sistema verso un centro maggiore locato
nella costellazione di Ercole. Ma pili ancora. Provano
i matematici che quando la materia del Sole fosse
tutta quanta omogenea e però il moto impulsivo var-
casse netto pel centro di gravità, il sole medesimo
si traslaterebbe d' un luogo in un altro senza rota-
zione veruna; e la stessa cosa conviene asserire d'ogni
pianeta e d' ogni satellite. Ma l' Hegel di questa ragion
matematica non fa nessuna stima, e mette innanzi una
certa sua ragione metafisica per la quale il Sole e i
pianeti debbono a forza ed in ogni caso girare sopra
sé stessi; ed anzi con uguale imperturbabilità (sia qui
ricordato per incidente) nega egli ai geometri che un
pendulo dove fosse posto nel vuoto e non sostenesse at-
trito nel punto d' appoggio durerebbe le oscillazioni sue
continue ed invariabili. La ragione poi metafisica del-
l'Hegel è r infrascritta, e cioè che i punti innumerevoli
di materia dipendenti dal centro e pur tenuti lontani da
quello non anno luogo ben fisso e determinato; e però
ciascuno di tali punti debbe occupare a vicenda ogni
446 LIBRO TERZO.
luogo occupabile e ciò origina il moto di rotazione. Ma
-tutto questo, né più né meno, si avvera altresì nel
nucleo delle comete, perché quivi anche sono punti di
materia dipendenti che propendono verso il centro e
sono dal centro tenuti discosto; ora, perché le comete
non ruotano, che si sappia, in tomo a sé stesse? Che
quando poi le comete avessero rotazione, ci scapite-
rebbe Hegel per altro lato ; conciossiaché le comete in
quel caso non esprimerebbono più il momento della
dipendenza, com' egli vuole onninamente che esprimano.
251. — In somma, le sue astrazioni, per arrendevoli
che sieno e larghe tanto e, comode da calzar bene ad
ogni piede, venute alla prova dei fatti non possono
mai azzeccar nel vero, e quando s' accordano con un
fenomeno, fanno a pugni con un altro.
252. — Da ultimo, sembra all'Hegel che i pianeti
sieno il più perfetto membro di tutta la natura mec-
canica formando l' unità dell' opposizione, e vale a dire
che i pianeti sono in sé e fuori di sé, anno moto e
centro lor proprio, ed anno altro movimento regolare
intorno ad altro centro. Cotesta perfezione, al parer
nostro, é tirata coi denti e ribellasi ai dogmi della
logica di quel filosofo, conforme i quali la perfezione
di qualsia sfera di enti mai non risiede per entro al
particolare che qui si attua nei pianeti, ma sì risiede
entro al tutto individuato che qui sarebbe l'intero
sistema solare. Salvoché, la incoerenza non era evita-
bile volendo che le stelle e ogni rimanente sia fatto solo
per annidare la organizzazione e la vita in quest'ajola
che domandasi orbe terraqueo ed é tanto picciola cosa,
che convenne al Poeta nostro sorridere del suo vii
sembiante.
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 347
Vili.
253. — Si può dai lettori intendere facilmente che
le deduzioni e gì' indovinarnenti dell' Hegel fannosi
tanto meno rigorosi e determinati, quanto egli s'inol-
tra a creare a priori le specialità della fisica e della
chimica. Stantechè, le cagioni molto particolari intro-
ducendo il diverso in mezzo all' identico scemano ognora
più al raziocinio la facoltà di trovare i nessi necessarj
dei fatti.
254. — La luce è delle cose molto generali e co-
muni e pur tuttavia le astrattezze hegeliane non giun-
gono ad accalappiarla. La luce per quel filosofo è la
manifestazione universale della materia e alla materia
appartiene cosi essenzialmente come la gravitazione. Ma
che vuol dire manifestarsi ? farebbesi forse anche qui
abuso di parlar figurato? Se manifestarsi vuol dire
qualcosa che va dal di dentro al di fuori^^ non v' è
mestieri la luce per questo. Perocché il moto de' corpi
e le lor mutazioni e fenomeni sono tutte cose che vanno
dal di dentro al di fuori e manifestano la materia. E
le figure non la manifestano esse continuamente e in
modo regolare e costante? Dacché ogni specie diversa
di corpo sortiva originalmente una figura diversa di
cristallo? Certo la luce manifesta assai meglio i corpi
e le loro figure, perchè vi sono occhi umani che la rice-
vono ed anime umane che la percepiscono. Ma tutto
ciò non proviene dalla necessità delle cose di mani-
festarsi, spiegando cioè al di fuori le facoltà e dispo-
sizioni inteme. Qualora poi la luce sia manifestazione
delle cose in fra loro e 1' una a rispetto dell' altra,
> PhUotoph. de la Nature, voi. I, pog. 339.
348 LIBRO TERZO.
ciò può essere fatto assai bene da qualunque modo
di azione scambievole, e, verbigrazia, dall' attrazione
che è quel moto, secondo Hegel, per cui la materia
cerca incessantemente il suo centro fuori di sé.
255. — La luce, adunque, nel sistema di lui non à
origine necessaria né legame alcuno ontologico. Hegel
la mette pur fuori, perchè in ogni dove V esperienza
gli mostra la luce.
256. — Vero è eh' egli sostiene la luce tenere l' ul-
timo luogo tra le determinazioni fisiche della materia ;
onde i corpi non concreti, e vale a dire nel suo lin-
guaggio semplici e incapaci di sviluppo, sono costituiti
di mera luce e fra questi sono le stelle ed il Sole. Egli
à scordato il valentuomo che per verità la luce insieme
col calore è cagione promotrice, e almeno concomitante,
di tutte le mutazioni e disposizioni importanti nella
chimica e nell' organismo che veggonsi sulla faccia del
nostro globo ; e dire che le stelle e il Sole sono costi-
tuiti di mera luce dee far sorridere tutti gli astrono-
mi sparsi per le specule d' Europa e d' America. L'Hegel
aggiunge che la luce per se è fredda e il calore che
r accompagna viene suscitato dal contatto di essa luce
con la terra e cita in prova il freddo dell' alte mon-
tagne e dell' aria atmosferica. Curiosa dottrina anche
questa, la quale sembra testimoniare che 1' Hegel non
ponesse la debita distinzione fra il caler latente e il rag-
giante; ne so in qual parte dell' atmosfera e in qual
cima di montagna accadessegli di trovare che il Sole
non iscalda. Ma certo è che quanto la fisica progredisce,
tanto si fa più diflBcile di separare luce e calorico per
maniera che luce si trovi la quale non dia segno d'alcun
calore.
257. — L' Hegel afferma eziandio che ruotando il
Sole e ruotando le stelle si stropicciano gagliardamente
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 349
e s' illuminano da sé stessi.^ In qual maniera il Sole
o le stelle si stropiccino lascerò indovinare agli altri,
ch'io per me non ne ò notizia. Questo io so, che ac-
cettando simil dottrina convien mantenere che dove
il Sole e le stelle non ruotassero e non si stropic-
ciassero insieme non darebbero luce; e intanto le
comete, benché non ruotano, a ciò che sembra, man-
dano luce propria mista di luce riflessa ; e per contra
i pianeti e i satelliti loro, non ostante che ruotino, per-
mangono sempre opachi.
258. — Da ultimo, se tu chiedi il perchè di questa
opacità perdurevole, mentre il dar luce fu detto pro-
prio ed essenziale d' ogni materia quanto la pesantez-
za, rispondono col cercare nell'arsenale delle loro astra-
zioni uno di quegli ordigni che servono ad usi infiniti
e sarà il bisogno del diverso e dell' opposto. Se v' è
la luce, dicono, debbe esservi anche l'ombra che è la
sua negazione e contraddizione; e perchè i pianeti sono
gli opponenti del Sole, l' ombra dee comparir nei pia-
neti. Ciò potrebbe passare, se i latti qui pure non fos-
sero impertinenti al segno da dare una smentita inur-
bana a simil supposto. Nel vero, i sistemi di stelle doppie
ricusano la spiegazione, perchè quivi pure v'à opposizio-
ne e tutta volta v'è luce. Ma di più, le stelle, a detta
di Hegel, sono una continua opposizione della materia
con sé medesima; perchè dunque risplendono? E
d'altra parte, se i pianeti sono opachi perchè si oppon-
gono al Sole, questo a vicenda si oppone ai pianeti ; e
se, rispetto ai pianeti, il Sole à virtù e funzione di
centro, accade il medesimo di ciascun pianeta rispetto
ai proprj satelliti; questi dunque dovrebbero essere
opachi e luminosi i pianeti, o per lo manco dovrebbe
» J'hilo-ph. de la NaiurCj voi. I, pag. 369,
350 LIBRO TERZO.
correre diversità di ombra e di luce fra cotesti ele-
menti.
259. — A noi non sarebbe difficile il protrarre molto
più in lungo il saggio che diamo della maniera onde
r Hegel si studia di costruire compiutamente a pnori
la scienza dell' universo visibile; e il lettore già s'in-
dovina da per sé che ogni rimanente dee procedere
allo stesso modo e peggio; perocché quando si esce
dai limiti stati prescritti air ingegno umano e alla po-
tenza conoscitiva, quanto più vigor d'intelletto e d'arte
combinatoria sortì un uomo, altrettanto crescerà il cu-
mulo delle apparenti deduzioni e dimostrazioni. Sal-
vochè, quando la mente vuol calcare una simile via
torna forse più fruttuoso o per lo manco più grade-
vole abbandonarsi a certa mistica ispirazione cothe
fecero Paracelso, Van Helmont, Boeme ed altri parec-
chi, de' quali, per verità, 1' Hegel parla con rispetto e
parzialità e coglie e s' appropria qualche pensiere. Ma
dove quelli fantasticavano da entusiasti, egli pretende
di esporre una dottrina tanto positiva ed irrefragabile,
che é quella medesima che sta nel pensiere dell'Asso-
luto. Senza dire che ancora tali apparenze di deduzione
sono state possibili per la notizia anteriore di tutti i fe-
nomeni correlativi. Né v'à un sol fatto speciale impor-
tante che sia riuscito all' Hegel di prevedere, anticipando
le osservazioni e gli esperimenti. E certo, per ritornare
agli esempj allegati, credo che ognuno si viva persuaso
che quando nella mente dell' Hegel fosse unicamente
esistita la nozione dell' interno e dell' esterno e l'altra
di giudicare necessaria la manifestazione dell' essere e
della materia, mai non avrebbe scoperto che tale mani-
festazione dovea farei mediante la luce. Ma sarebbe
come il cieco di nascita venuto pensando alle figure tan-
gibili ed anche a queste avrebbe volta la mente condot-
COORDINAZIONE DKI MEZZI NELL'UNIVERSO. 351
tovi dall' esperienza. E di vero, nella luce la condizione
di essere cosa esteriore è la meno propria e qualitativa
ch'ella s'abbia; e ciò che possiede di effettualmente pe-
culiare e diverso da tutte mai le esistenze non giace
in nessuna nozione e da nessuna può esser dedotto.
260. — Seguita, che noi ricordando i limiti della
cosmologia razionale e le massime del suo metodo, e
deducendo dai principj già fermi e definiti in questo
libro e nei due precedenti descriviamo la genesi del
mondo visibile per quella parte che spetta alla coor-
dinazione dei mezzi e al grande apparecchio della na-
tura verso la vita, il senso, l'animalità e la ragione
che sono diversi gradi e aspetti della finalità.
261. — Imperocché tutto quello che fu discusso nei
due Libri anteriori e in questo presente guardò gli
elementi le forze e 1' ordine dell' universo nell' essere
loro astratto e più generale. Rimane che si considerino
nella successione causale e nelle massime particolarità.
CAPO SESTO.
AFORISMI GENETICI.
Aforismo I.
262. — Nel principio d' ogni tempo fluì dall' atto
creativo l' oceano delle esistenze finite. Cominciò quasi
un punto non percettibile e si dilatò e crebbe senza
più mai intermettere ; e dopo milioni di secoli tuttavia
si dilata. Perocché lo spazio va allargandosi quanto
il suo contenuto ^ e di là dall' ultimo luogo che ora
* Vedi Appendice, I.
352 LIBRO TEI4Z0.
possiedono i corpi siderei nuova materia comparisce e
nuovi aggregati si formano e così sempre.
263. — Né accade altramente di quelle sorte di gran
contenenti dallo spazio differentissimi e di cui non ab-
biamo né certa notizia né concetto determinato, ma
che pur pensiamo possibili per adequare le nostre idee
air indefinito del diverso.
264. — Fluì ogni ragione d' elementi semplici e
indivisibili e ciascuno moltiplicò senza termine e i
più dififerenti si espansero come oceano in altro oceano
senza confondersi e come un suono e un odore riem-
piono la medesima aria d' un medesimo luogo. Ma noi
di quei mari immensi, che sono forse innumerevoli, co-
nosciamo solo due specie distinte, la corporalità e la
spiritualità; e di questa seconda conosciamo per espe-
rienza quella forma unicamente che congiungesi alla
corporalità.
A.
265. — Che il mondo non sia infinito, oltre all'aver-
sene prova razionale è confermato pure dall'esperienza,
per quanto i fatti possono dimostrare simile sorta di
cose.
Quando la formazione e moltiplicazione delle stelle
fosse infinita, dovrebbe il telescopio trovai* diffusa da per
tutto certa bianchezza e chiarezza uguale uscente da
infinito numero d' astri infinitamente accumulati per
ogni banda. Invece, il telescopio rincontra qua e là re-
gioni vuote e deserte ed altre in quel cambio fittissime
di costellazioni. Del pari, se in alcune parti del cielo
avvi ammassi di stelle il cui fondo é occupato da un
chiaror nebuloso di altre più minute e remotissime co-
stellazioni, più spesso accade d'incontrare gruppi di
stelle il cui campo é oscuro affatto e nerissimo.
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 353 j
Aforismo II.
266. — Meditando sulla essenza del fine quanto sulla
essenza del mezzo, fu già fermato da noi che quello
risolvesi in attività e questo debbe o promoverla od
aiutarla o comechessia servirla. Da ciò fu dedotto che
debbe avervi una serie di esistenze dall'uno dei capi
della quale stia la massima attività potenziale ed ele-
mentare e dall' altro la massima passività ; intercedendo
nel mezzo copia strabocchevole di esseri variamente
partecipi dell' attività e della passività. Riducesi pure
a questo ciò che venne fermato da noi circa la resi-
stenza e la pennanenza di fronte alla estrema mobi-
lità e trasmutazione.
267. — La passività, la resistenza e la immobilità
pensate nell' essere loro inferiore ed inerte, fanno con-
cepire propriamente certa natura somiglievole alla ma-
teria le cui qualità generali sono quel tanto che si fa
necessario onde un ente finito sussista e serva di mezzo
a cosa migliore. Che quando non fosse esteso, non ap-
parterrebbe allo spazio e non avrebbe potenza di moto ;
e perderebbe estensione e mobilità quando non fosse
impenetrabile. Del pari, negherebbesi a qualunque uffi-
cio se fosse al tutto immodificabile e sfornito d' ogni
recettività.
268. — D'altra parte, se noi concepiamo degli esseri
spirituali ed attivi e però capaci della finalità e per-
venenti a quella mediante la corporalità, dovremo con-
siderare in che guisa la corporalità dee venir trasmu-
tata in natura organica ossia nella forma piii alta e
perfetta di essere strumentale; ed è il punto massimo
a cui può venire condotta qualunque esistenza nella
sua condizione di mezzo.
ll&MUNI. — li. 35
354 LIBKO TERZO.
269. — A noi, dunque, s' appartiene di descrivere la
generazione dei mondi in quanto a poco per volta di-
vennero mezzo e strumento dell'universa finalità e
come servirono a tale ufBicìo la mobilità e la perma-
nenza, r attivo e il passivo, il diverso e V identico e
attuando in ogni cosa T infinito della possibilità e la
sapienza riposta nel Convenevole.
Afobismo III.
270. — Ripetiamo, impertanto, che al principiare
dei tempi sgorgò il flusso della materia e per legge
preordinata di creazione mescolò in ogni modo fatti-
bile il simigliante e il diverso.
271. — Fu generale il simigliante, particolare il di-
verso; perchè i modi, gli atti e i fenomeni s'informano
della sostanza e non al contrario. Quindi non possono
i subbietti essenzialmente diversi possedere modi, atti
e fenomeni in fra loro identici, se non in parte e per
accidente. Imperò la materia ebbe tutta quanta certo
essere comune e fondamentale, differenziandosi alF in-
finito in ogni rimanente. Ne solo fu varia di qualità
ma di forma plastica, né solo di forma plastica ma
di numero, posizione e combinazione degli ultimi indi-
visibili, perchè ninna maniera di varietà e differenza
è lasciata fuoA dalla natura.
272. — Primamente gli atomi, ovvero sia gli ultimi
indivisibili, formarono le molecole, queste i cristalli più
elementari che sono molecole approssimate e situate
con certa regola; perchè fu visto per addietro da noi
principio di mutazione nella materia dover essere il
moto, e questo dovendo avere impulso esteriore e certa
direzione produce in generale V accostamento delle
parti della materia; il quale atto poi dee succedere
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 355
secondo legge e vale a dire secondo le originali dispo-
sizioni d' ogni specie di materia. Per la forza attrattiva
medesima i cristalli elementari composero i corpi v
questi le masse.
Ciò importa che la distribuzione primitiva della
materia nel vuoto fosse divei'sa. Che quando fosse
stata uniforme, il tutto rimaneva nella immobilità del-
r universale equilibrio. Del pati, dovette la materia
essere spartita di guisa da produrre masse divise; pe-
rocché altramente tutto sarebbesi conglobato in un
acervo immenso e compatto.
273. — Ma la materia spartita corse qua e là ai
centri più prossimi; e questi dovettero rimanere il
più delle volte assai remoti Y uno dall' altro. Che
qualora fossero stati si prossimi da operare V uno
neir altro con atto profondo ed assiduo, i moti, gF in-
flussi e gì' ingerimenti scambievoli sarebbersi tanto
moltiplicati e intralciati, da produrre per ogni dove od
una confusione perpetua ovvero una cessazione del
movimento e della vita.
Aforismo IV.
274. — Però, nella distribuzione della materia come
in tutte le cose, il diverso apparve nella misura del
possibile. In alcune parti dello spazio la materia fu
radissima, e questa radezza medesima ebbe ogni grado
e combinazione. Di tal materia si composero le comete
dalle più rarefatte alle meno e dalle vaporose e dia-
fane alle costruite d' un nocciolo spesso e ben contor-
nato.
A.
275. — Per la legge della varietà non è da stimare
che ogni specie di nebbia lucente incontrata dal tele-
356 LIBRO TERZO.
scopio debba risolversi in gruppi di stelle; e forse è
rada materia stellare quella nebbia albeggiante che
scorgesi in fondo alle nuvole magellaniche ; e della
sorta medesima è forse la luce domandata zodiacale.
Ne consentirei a crederla, come vogliono alcuni, certa
quantità di etere più condensato. L' etere, per mio giu-
dicio, nella sua distesa immensa e per tutto presente
ed equilibrata non dà splendore molto né poco ; e sem-
pre gli bisogna un subbietto esteriore da cui sieno
promossi e in cui appariscano i suoi moti e le sue
qualità.
Afobismo V.
276. — Altrove, per la stessa legge del diverso, la
materia contrasse la maggior compattezza possibile e
trascorse per ogni grado e combinazione intermedia.
Nel generale, furono di tal compattezza formate le
stelle con densità differente; e di talune si può pen-
sare che già superarono di durezza il diamante, altre
di gravezza il platino ed il ferro e in altre si adem-
pievano tutte le misure interposte. Ondechè, se in que-
gli astri accadde una successiva condensazione come
porta l'attrazione molecolare, quivi la compattezza
dei corpi trascende ogni termine di nostra immagi-
nativa.
277. — In certi luoghi la materia stessa compatta
ma tritamente divisa agglomerossi in centri frequenti
e vicini, e lo spazio si gremì di astri minuti e fitti li
quaK compongono le nebulose domandate riducibilù
Del sicuro, accadde in altri luoghi il contrario e ne
uscirono sistemi di poche stelle e talvolta di due sol-
tanto.
278. — E se nei sistemi fu diversa la chiarità, il nu-
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 357
mero e la distanza delle stelle non accadde minor difife-
renza nella grandezza di ciascuna, e certo la natura
compiacquesi ancora in ciò di trapassare dal minimo
al massimo. Onde gli astronomi non possono in ninna
guisa valutare con precisione il volume dalla distanza
e la distanza dal volume o Y uno e Y altra dalla in-
tensione della luce, perchè questa medesima segue la
legge perpetua della varietà.
A.-
279. — Per quel desiderio e bisogno che predomina
sempre la mente umana di cogliere Y unità delle cause
e r uniformità del loro operare, Herchell venne opi-
nando che sì ogni stella e sì ogni congerie di stelle fosse
originata e composta al modo medesimo e vale a dire
per la lenta condensazione d' una materia radissima
ed omogenea, con questo divario che dove erano molti
raduni separati di tale materia là comparvero molti
astri componenti le costellazioni; e talvolta anche in
grembo della materia rarefatta costituironsi uno o
più centri sia per materia più spessa ovvero per altra
cagione. Insomma, suppose THerchell ogni stella essere
stata innanzi una nebulosa; e il La Place aggiunse
tale essere stata eziandio l' origine del nostro Sole e
de' nostri pianeti e satelliti. Ma la natura, che vuole
il diverso quanto Y identico e più dell' Uno vuole il
molteplice, mostrò all'Herchell medesimo che le credute
nebulose tornano in vere costellazioni. Tuttavolta pec-
cherebbe contro al principio stesso della varietà colui
che escludesse affatto le nebulose dal cielo, come fu
toccato più sopra, e stimasse che ninna stella e niun
gruppo di stelle esca giammai dalla graduata e lenta
condensazione di materia rara e omogenea.
358 LIBRO TERZO.
280. — Similmfìnte s' egli non è vero che osservando
i noccioli delle nebulose e il piii o meno infittire della
loro materia, si cavi pressoché la misura esatta del punto
a cui è pervenuta la loro formazione e composizione,
tuttavolta non ci è vietato di cogliere la natura in
sul fatto del costruire i sistemi solari. Dappoiché nella
immensità dello spazio visitato dalle nostre lenti v'à
certo alcune costellazioni ancora incompiute ; e fra que-
ste, alcune prossime al perfezionamento loro finale, altre
appena iniziate ed altre pervenute al mezzo della pro-
pria costituzione.
Afoeismo vi.
281. — Ma non bastava che la materia cosmica gia-
cesse spartita od accumulata per guisa da produrre
sistemi stellari isolati e per la distanza indipendenti
r uno dall' altro. Occorreva eziandio che le acervazioni
degli astri non fossero casuali né dentro dell'ambito
loro né fuori ; dappoiché dentro, il numero, la posizione
e la figura del tutto importava tale condizione d'in-
flussi scambievoli, piuttosto che tale altra. Di fuori, il
principio ordinatore voleva che que' sistemi, tuttoché
indipendenti, non rimanessero tanto slegati ed alieni
che in verun tempo e in veruna combinazione e per
nessun effetto della economia generale potessero eser-
citare alcun' azione scambievole. Che tali due estremi
vuol sempre fuggire la mente rettrice, 1' uno di con-
fonder le cose per l' intralciamento minuto e continuo
di tutte le forze; l'altro di fare le parti dell'universo
straniere fra loro tanto che non cospirino più diret-
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 359
temente o meno alla comune finalità. Il che nondimeno
diciamo a rispetto delle esistenze comprese in quei
mondi che non s' alienano affatto di essenza e di modi
e possono avere l' uno in risguardo dell' altro alcuna
attinenza di azione e passione. Dell' altre sfere di es-
sere tanto diverso da rimanere fra loro ignotissime e
come non esistenti noi dovemmo fermare la sola pos-
sibilità e aggiungemmo che solo Dio le contiene in certa
unità e intende la cooperazione di tutte allo spiega-
mento e perfezionamento del creato. L' unità sotto In.
quale noi gì' intendiamo è logica meramente e non
guari obbiettiva.
282. — È manifesto che nella composizione e figura-
zione degli adunamenti stellari apparve la medesima va-
rietà che in qualunque opera della natura. E tale varietà
corrispose nel «tempo stesso ai fini che presiedettero
alla distribuzione dei vasti membri (cosi li domande-
remo) del gran mondo sidereo, fra' quali la Galassia è
notissima e spiccatissima. Il fine principale poi fu di
render possibile ad ogni sistema la partecipazione del
diverso, come venne toccato nel principio di questo
Libro e più tardi sarà nuovamente spiegato. La quale
partecipazione tende nell' universo sidereo al risulta-
mento medesimo che in ogni altra sfera di essere, e
cioè al fine di svolgere la virtualità tutta quanta ri-
posta in ogni sistema, tanto che gli apparecchi e le
potestà del mondo strumentale tocchino il loro estre-
mo ; e le creature capaci in diretto modo della finalità
raggiungano per tutto ciò il maggior bene progressivo
e la varietà maggiore di esso bene.
283. — Né simili effetti potevano comparire pel solo
moto e per le sole combinazioni che escono dall' at-
trazione delle masse e coesione dei corpi. Considerato
che non toma a ciò sufficiente qualunque forma e mo-
360 LIBRO TERZO.
dificazione del movimento circolare od dittico. Le altre
sorte di movimento, vuoi il parabolico, vuoi V iperbo-
lico e i composti di essi due. sebbene valgano a porre
in comunicazione i sistemi separati, non riescono per
sé soli a foggiare le moltiformi costrutture e le membra
smisurate e complesse del mondo sidereo. Elle, dun-
que, furono r.opera d^ una prestabilita armonia, e ciò
importa che la materia stellare venne ripartita origi"
nalmente e qua e là condensata con V apparenza del
caso e la verità d' una legge occulta e profonda di
provvidenza.
A,
284. — Altrove fu dimostrato perchè quegli aduna-
menti di stelle cui demmo nome di memj;)ra d^ un corpo
immenso non vogliono essere riguardate quali parti
vere d' una vivente organizzazione, contro l'uso invalso
in molte cosmologie tedesche.
285. — Nondimeno, essendo per sicuro le costella-
zioni ricettacolo della vita, debbesi ammirare l' istinto
profondo del genere umano di aver dato alle stelle
figure viventi e sempre avere opinato che dagli astri
procedessero influenze prepotenti ed universali. Noi ve-
dremo fra breve che in fatto nessun sistema solare va
esente da quelle influenze e come in esse convieu no-
tare la causa maggiore delle innovazioni e trasmuta-
zioni mondiali.
Afobismo Vn.
286. — Similmente abbiamo veduto nell' anterior
Libro che le masse esprimono il principio di resistenza
e immobilità e per lo contrario nel mondo chimico
COOBDIN AZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 361
sono i prìncipj attivi e mutabili. Nondimeno, si ag-
giunse che per le necessità del finito anche nel mondo
chimico, dopo certa serie di azioni e di reazioni, le so-
stanze e i composti tendono a quietare ed equilibrarsi.
Imperocché il principio attivo non è loro essenziale
per guisa da non bisognare dell' azione esteriore pro-
vocatrice e questa di un'altra, e così di seguito. E per-
chè tale catena non s' interrompa e le provocazioni
si ripetano e si modifichino senza tregua, occorre un
principio generale e perenne di eccitazione.
287. — Del pari, essendo in ogni parte della mate-
ria la potenza attrattiva e V attitudine alla coesione
perchè il finito procura primamente di dilatarsi me-
diante la congiunzione dei simili, accade che i corpi
tendono da ogni lato a coacervarsi e quindi a cagione
deir inerzia spengono nella coesione il moto e le fa-
coltà produttive.
288. — Bisogna, impertanto, che nel principio ge-
nerale di eccitazione sia peranche una virtù espansiva
contraria alla coesione.
Adunque nel cominciamento dei tempi allato alla
materia o rada o condensa parve e si diifuse rapida-
mente un' altra materia immensamente più sottile ed
abile a penetrare per ogni porosità e giungere in
contatto degli ultimi atomi.
Cotesta materia tanto sottile, dovendo essere da per
tutto presente, compose un continuo molto più puro
ed unito dell' aria e di qualunque altra sostanza gaz-
zosa, e dovette poter ripigliare immediatamente il suo
posto e la forma sua quante volte ne sia rimossa. Ella
è però la più elastica delle sostanze.
289. — Ognuno intende che una materia si fatta,
per essere fonte generale e perenne di eccitazione, debbe
riuscire il contrario dell' altre sostanze in cui prevale
362 LIBRO TERZO.
il principio del permanere e del resistere. Sarà dun-
que mobilissima ed atta a varietà infinite di moto, e
il pili minimo impulso esterno la porrà in tremori e in
oscillazioni; e perchè s'insinua in tutti i corpi e giunge
sovente insino agli ultimi indivisibili, tali suoi tremori
e oscillazioni eccitano ad ogni istante ogni parte di
essi corpi con ordine per altro e con leggi determinate.
290. — Ma perchè tale materia che domandasi etere
debbe diffondersi da per tutto con certa medesimezza
di sostanza e di atto, però venne avvertito più sopra
che le è impossibile di assùmere un essere individuale
e particolare, siccome avviene alle sostanze speciali.
Però ninna cosa è composta di etere, sebbene ogni cosa
è mescolata con 1' etere.
291. — Del pari, come nessuna potenza finita e mas-
sime materiale è un principio originale indipendente
ed assiduo di attività, così all' etere occorre un sub-
bietto centrale a cui dare e da cui ricevere in modo
uniforme e costante una virtù motrice variabilissima, e
di tal maniera serbare intorno di sé e in tutte le cose
r uflScio di promozione e di eccitazione. Quel subbietto
centrale a rispetto nostro vedremo essere il Sole. Ma
si noti che un subbietto centrale consimile o parecchi in-
sieme coordinati debbono sussistere da per tutto dov' è
materia attrattiva e dove sono sistemi stellari per le
ragioni esposte poc' anzi e altra volta significate.
A.
292. — Ne' suoi libri del Cosmos T Humbolt pretende
che r etere onde viene ritardato e alquanto deviato il
corso delle comete non sia un medesimo con l'altro
etere il quale vogliono i naturalisti sia diffuso per
ogni parte dello spazio, e la ragione che adduce si è
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 363
che questo secondo etere penetrando intimamente ogni
corpo insino agli ultimi indivisibili non debba cagio-
nare resistenza veruna al moto. Ma gli atomi non sono
assolutamente punti matematici, perchè sono forze
estese o per lo manco operano nell' esteso ; e quindi
ciascuno occupa certa porzione di spazio non penetra-
bile. E sia quello spazio minore d'ogni quantità mi-
surabile ed anche se vuoisi percettibile, ciò non fa che
sin inesteso assolutamente; che in altra maniera i corpi
disparirebbero, e l'etere, occupando anche gli ultimi in-
divisibili, piglerebbe in tutto il lor posto ed esisterebbe
solo ed unico ente nella creazione corporea. Ciò veduto
e concedendosi che v' à in ogni materia un complesso
di punti estesi non penetrabili neppure all' etere, segue
che una massa grande di atomi impedisce all' etere di
entrarvi per linee rette o poco inclinate ma lo forza
a girare, il che importa un qualche grado d'impedi-
mento e ritardamento nell' occupazione della massa.
Dunque tal massa movendosi velocissima trova con-
trasto nell'etere, il quale non può in istante invaderla
tutta. Né vale il dire che già la massa nominata è
piena di etere; perchè questo, raccolto e combinato con
le molecole di quella, non à la stessa disposizione ap-
punto e forse la stessa quantità dell'etere ambiente;
quindi nel muoversi in parte almeno con tuttala massa
urta nell'altro etere e non cede immediatamente il suo
luogo. Perocché l' elasticità e 1' arrendevolezza del-
l' etere non è propriamente assoluta che dir vorrebbe
infinita. I corpi, massime leggieri e spugnosi, sono bensì
impregnati d'aria, nullameno movendosi con prestezza
ricevono contrasto dall' aria ambiente. Ora, v' à dal-
l' aria all' etere diversità immensa di grado nella sot-
tigliezza e nella penetrabilità, non nella essenza co-
mune ai corpi gazzosi.
364 LIBRO TERZO.
Afobismo Vili.
293. — Dovunque, impertanto, furono corpi, fu ezian-
dio r etere, conforme a' ebbe a notare altrove, e perciò
venne ad essere dopo lo spazio il più gran contenente
della natura visibile. Quindi, perch' egli è nesso e co-
municazione di tutte le vaste moli quanto dei minimi
corpi trovandosi in ogni luogo e penetrando ogni cosa,
però avvertiremo che non soggiace air attrazione gene-
rale delle masse; o parlandosi più preciso, le attrazioni
esercitate sopra di lui si bilanciano e contrappcsano.
294. — D' altro canto, insinuandosi egli nelle più
compatte sostanze per la minutezza estrema de' suoi
elementi e per certa affinità generale che tiene con gli
ultimi componenti dei corpi, interdice a questi una
coesione permanente e immutabile e vince assai volte
le altre specie di affinità.
295. — xEgli à poi natura espansiva; e intendesi
non solamente che slega e disgiunge ogni diverso ag-
gregato penetrandolo a poco per volta e talora con
gran veemenza; ma intendesi pure ch'egli vibri ed
oscilli per entro i corpi ; e con impulsi finissimi e ra-
pidissimi ne ecciti le molecole e di più in più le se-
pari e le disperda.
296. — Tutto ciò porta nelP etere una facilità som-
ma ed assidua di moto e di quiete, di combinazione e
risoluzione. Perciò, sebbene nell' essere suo normale
egli forma di sé un immenso e perfetto continuo, può
nullameno diradarsi od accumularsi con agevolezza
incredibile, e intendiamo senza quello sforzo che occorre
a vincere nelle altre sostanze l'adesione delle mole-
cole. Ma d' altra parte, egli tende a ricomporre ogni
sempre il continuo ed equilibrare i suoi elementi.
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 365
297. — Per simile, come tende nel generale a com-
binarsi con tutti i corpi ed anzi con gli ultimi lor
componenti, così li abbandona assai facilmente ; e però
entra esce ritorna ad ogni mutazione minima di con-
dizioni e accidenti, essendo esso medesimo autore ordi-
nario d' innumerabili mutazioni ; onde viene ad essere
cagione insieme ed eifetto con vicenda frequente ed
universale. Da tutto il che procede per ultimo il ri-
suitamento maggiore e piii generale a cui tende la na-
tura, e ciò è il moto e la mutazione spessa e diversa
di tutte le cose.
298. — Chiaro è poi che di rirapetto a cotesta forza
eccitatrice e disgregativa debbono sussistere altre forze
di congiunzione, di resistenza, di compattezza e d' im-
mobilità, come più fiate venimmo accennando e si pro-
seguirà a mostrare nel seguito.
A,
299. — A noi venne riconosciuto per semplice ra-
ziocinio che vi debbo essere nell'universo corporeo qual-
che principio supremo di attività e di mutazione e
similmente un qualche principio di legamento e comu-
nicazione tra le parti piii disgregate. Del pari, scor-
gemmo per raziocinio la necessità d' alcuna potenza
separativa al fine appunto di conservare il moto e fre-
quentare le mutazioni. Ma che tutto ciò si operasse
da un solo agente accordando in sé medesimo facoltà
ed atti in apparenza contrarj noi pensiamo che l'espe-
rienza sola poteva insegnarlo. Ciò non ostante, giova
considerare quello che fu avvisato nel Libro anteriore,
e vale a dire che mentre la divina mentalità vuole in
ogni parte ed in ogni cosa l' indefinito del diverso
quanto del simile^ tuttavolta in ciascuna cosa parti-
366 LIBRO TERZO.
colare studia ella ogni massima unità e semplicità;
quindi accoppia in una stessa natura proprietà e forze
nel primo aspetto contrarie e dall' opposto ritragge la
conformità degli effetti; come talvolta dalle cagioni
identiche à Tarte di dedurre V opposizione de^li effetti.
300. — Ad ogni modo, questo è sicuro e lo vedremo
con precisione fra breve, che l'etere congiunge pro-
prietà e virtù di sembiante contrario. Imperocché da
un canto egli si comunica a tutte le masse e però le
lega a sé e pone in rapporto fra loro; dall' altro
canto per la sua forza espansiva e le sue vibrazioni
tende a sciogliere la coesione dei corpi e, quando non
vi fosse contrasto, a dissiparli per lo vano. Egual-
mente, l'etere mentre scioglie infinite combinazioni
ne promove altrettante e più; e mentre è cagione
incessabile di mutamenti, provoca le composizioni più
fine e implicate e le sintesi terminative a cui si ado-
perano i tre mondi da noi ricordati, il meccanico, cioè,
il chimico e l'etereo.
B,
301. — Ma perchè ogni cosa creata vedemmo dover
serbare la propria natura e in ogni suo cambiamento
riuscire identica a sé medesima, tanto che il cambia-
mento stesso avviene con certo ordine e certa regola
impreteribile, non può all' etere accadere diversamente,
e a lui debb' essere proprio un certo suo modo uni-
forme e costante di agire; il che si avvera principal-
mente nel Sole che è il subbietto nel quale l'etere, a
così parlare, si sustanzia e prende corpo regolato nel
modo stesso che fa in ciascun' altra stella. Di quindi
la gran maraviglia che mentre nel Sole 1' etere opera
con ugualità immutabile di atto e d' influsso viene non
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 367
pertanto a causare nel nostro pianeta una serie non
mai discontinua di mutazioni, e ciò per queir avvenirsi
che fa in complessioni di corpi differentissime e in
qualche altro principio formativo di cui si terrà di-
scorso nel Libro seguente.
Aforismo IX.
302. — Apparve, dunque, la materia distribuita come
si disse, eccetto che era nel generale più rada che non
al presente, e spazio vuoto per intero non si scorgeva.
E mentre di là dagli ultimi atomi V onda deir oceano
materiale si dilatava ognora più, la materia inte-
riore, a così chiamarla, cominciò a muoversi per ogni
lato coerendo T una molecola all'altra e addensandosi
a poco a poco intorno ai centri più poderosi, e inten-
diamo più spessi e compatti per formazione primor-
diale. Così cresceva 1' addensamento insino che v' era
materia prossima da assorbire e solo cessava o per
interponimento di vuoto o perchè altra materia ac-
centrata e discosta facea maggiore richiamo intorno
di sé.
303. — D'altro canto, le masse appena composte ed
arrotondate ognora che non giacevano soie e per inter-
vallo immenso disgiunte, incominciarono ad attrarsi e
muovere Tuna inverso dell'altra; e perchè radamente
accadeva che fossero al tutto omogenee, così quell'im-
pulso attrattivo e quella direzione di moto non trapas-
sando esattamente per lo centro di gravità, le masse
girarono intorno di sé medesime o per lo manco gira-
rono quelle che risultavano di materia coerente molto
e compatta. La qual rotazione ognun vede come dee
cagionare innumerabile varietà di fenomeni, dacché
ogni principio di moto è cagione perenne di varietà.
368 LIBRO TERZO.
A.
304. — È manifesto che laddove la materia sia tutta
d' un modo per la quantità e distribuzione, la linea che
descrive la direzione del moto non può non traversare
il centro di gravità del mobile. Di qui forse proviene
che le comete con nucleo o senza nucleo sembrano
prive del moto di rotazione ; atteso che sembrano co-
struite di materia ugualmente rarefatta e in cui il nu-
cleo venga formandosi lentissimamente per un regolare
accostamento e per certa coesione uniforme delle parti.
Il che poi torna forse in contrario al supposto che il
sistema nostro planetare pigli origine da una stella
nebulosa. Conciossiachè nel detto sistema tutte le parti
sono mosse da rotazione e i pianeti non meno del Sole
e il Sole non meno dei pianeti. Ora, ciò importa o che
la materia primordiale fosse con molta disugualità ri-
partita o che sopravvenissero cagioni ignote e diverse
a turbare V aggregazione graduata e normale degli ul-
timi componenti.
Aforismo X.
305. — Ma l'attrazione scambievole delle masse già
divenute astri maggiori o minori a che ultimo effetto
pervenne? Conciossiachè s'elle erano vaporose e ra-
dissime potettero alla per fine congiungersi e incor-
porarsi e di due o piii masse formarsene una. Dovec-
chè se per origine o per coesione progredente erano
compatte e solide o divenivano tali, lo scontro loro
veementissimo dovette cagionarne lo infrangimento e
lo sperdimento; od anche per virtù del calore espresso
dal grande urto dovettero quelle masse risolversi in
minuto e acceso vapore.
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 369
306. — Cosi a poco per volta V attrazione mutua dei
corpi siderei portava di seminare lo spazio dei triti
frammenti delle stelle disfatte, ovvero di agglomerarle
tutte in una congerie unica, e vale a dire che unica
diveniva di mano in mano per tutto lo spazio in cui
la materia stellare quivi entro diffusa sentiva il ri-
chiamo dell'una parte verso dell'altra.
307. — Salvo che nel progresso di questo medesimo
libro indicammo la impossibilità di tale supposto con-
trario ai fini patenti della natura. E di piii aggiun-
giamo essere contrario ai metodi certi di lei, per li
quali non v' à forza nessuna che senza frutto né utile
consumi sé stessa perpetuamente e non rinvenga nella
economia del tutto un contrapposto convenevole e pro-
porzionato.
308. — Laonde, se accosto alla attrazione e coesione
molecolare troviamo una virtù disgiuntiva e perciò
espansiva, del sicuro allato all' attrazione scambievole
delle masse trovar dobbiamo alcuna energia opponente
e capace di limitarla.
A.
309. — Parecchie volte abbiamo considerato se la na-
tura, economica e risparmievole, a cosi parlare, nella
moltiplicazione dei mezzi, non abbia suscitato all'attra-
zione degli astri quel genere stesso di opposizione e di
limite che alla coesione molecolare.
310. — Ma sembra evidente che la virtù espansiva
dell'etere non risponde in ninna maniera all'intento.
Avvegnaché cotale virtù é attissima a dissolvere la
materia non a serbarla unita con certa forma e dire-
zione regolare di moto. Che se le sostanze aerose spie-
gano una resistenza mirabile e poderosissima, ciò pro-
Mamiìhi. — II. 94
370 LIBBO TEKZO.
viene dal potersi trovare altre forze e materie capaci
d'imprigionarle e comprimerle; il che è impossibile di
operare con l'etere che penetra agevolmente quelle
stesse forze e materie. Ne l'azione espansiva di lui
opera esteriormente ; ma sì opera nel più intimo e più
compatto di tutti i corpi ; mentre poi da ogni parte li
circonda uniformemente e con perfetto equilibrio. Seb-
bene adunque i corpi compatti nel moversi possono,
come si spiegò altrove, venir ritardati dall' etere, non
sono per ciò deviati dal corso loro; nel modo che nell'aria
queta un corpo voluminoso e leggiero, sebbene discende
ritardato, non si discosta dal perpendicolo. E però non
ostante qualunque ritardazione cagionata dall'etere al
moto degli astri questi proseguirebbero diritti per la
loro via e 1' uno nell'altro si abbatterebbe. Senza con-
siderare oltreciò che la forza ritarda trice dell'etere
debb' essere invece la più piccola immaginabile così
per la estrema tenuità della sua materia, quanto per
aver luogo e parte nell' intrinseco d'ogni corpo secondo
che venne definito più sopra.
311. — Certo è, pertanto, che la cagione la quale
tempera e modifica profondamente l'attrazione reci-
proca dei corpi siderei non è riposta nella virtù espan-
siva dell' etere.
Aforismo XJ.
312. — D' altro lato persuadesi ognuno che tal ca-
gione dovette essere universale e reggere così i moti del
nostro sistema solare quanto quelli d' ogni astro e
d' ogni costellazione. E però non l' andremo cercandt>
nel caso speciale d'un' atmosfera che si raffredda corno
fece il La Place o in altra supposizione di carattere
particolare ed accidentale.
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 371
313. — Ella risedette sicuramente nella costituzione
medesima della materia ed esser le debbe essenziale
ed ingenita.
Ora, noi rammentiamo al lettore ciò che venne
iermato nel primo Libro intorno alla comunicazione
del moto, la quale negammo assai risolutamente; e
ci parve in quel cambio che il moto sebbene ab-
bisogna di eccitazione esteriore come tutte le forze
finite, nullameno abbia sempre origine propria in qua-
lunque mobile e vale a dire insita sempre e congenita
col mobile stesso; il che ci apparisce tanto più vero,
in quanto nell' universo intero corporeo non si rinviene
altro principio fontale e causale di mutazione eccetto
<-he il moto.
E quando questo fosse ogni volta comunicato e
quasi a dire accattato, converrebbe dietro le poste di
Aristotele salir con la mente ad un mobile primo
contenente sotto sé ogni cosa e quindi naturato d' una
virtù infinita di moto e però moventesi sempre infini-
tamente, il che vale quanto la quiete assoluta. Né
potrebbesi fare diverso concetto eziandio del moto
molecolare, al qual pure bisognerebbe una ^ virtù im-
pulsiva perenne ed universale.
314. — 11 moto adunque è innaturato ed essenziale
nei corpi, salvo che gli bisogna una qualche esterna
eccitazione come di tutte le forze succede. Il moto, im-
pertanto, se possiede in sé medesimo alcuna cosa di
veramente originale ed attivo, non può essere tutto o
sempre attuato nella sola passività.
315. — Ciò veduto, se noi di nuovo poniamo mente
alle masse celesti allorquando si movono per attrazione
scambievole, noi vi dovremo ravvisare una schietta e
semplice passività. Considerato che V una massa non
cambia luogp se non pel richiamo possente deir altra.
372 LIliKO TERZO.
e di quest' altra conviene afifermare esattamente il me-
desimo. Ne ciò accade soltanto nel primo atto di moto
ma nel secondo e negli altri ; dal che proviene la legge
appunto che lo governa, la quale consiste nella ragione
diretta delle masse e inversa del quadrato delle distan-
ze. Ma il principio attivo e indipendente di moto dove
si mostra?
Afobismo XII.
316. — Mostrasi in quella deviazione normale e pro-
porzionata che ora domandasi impulso primitivo, ora
forza tangenziale o centrifuga. Né la direzione di cotal
forza potrebbe d' un atomo dilungarsi dalla linea tan-
gente; perocché in lei soltanto la virtù originale attiva
dista con intervallo uguale sì dal punto dove opera
la forza passiva e sì dal punto contrario dove le due
potenze si eliderebbono compiutamente. Invece non eli-
dendosi e perdurando V una e V altra nelP atto proprio,
il momento loro comune raccogliesi nella diagonale
del rispettivo parallelogrammo.
317. — Così primamente operò nello spazio la forza
di coesione o molecolare che tu la chiami. Quindi pel
componimento delle masse venne eccitata la forza col-
lettiva e passiva delP attrazione a grande distanza fra
grandi corpi. E quindi pure entrò in atto la forza mo-
trice propria ed attiva. In cotal guisa abbiamo rinve-
nuto d' accanto all' attrazione passiva e scambievole
delle masse certa energia opponente e capace di limi-
tarla.
318. — Gli astri adunque si mossero, non l'uno di-
rettamente inverso dell' altro, ma obliquamente con
moto circolare od elittico. Questa la legge del nostro
sistema solare e delle seimila stelle doppie insino a
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 373
qui conosciute; questa medesima legge governa il moto
delle comete; e niun corpo sarà trovato nel cielo in
cui non appariscano le due forme di movimento onde
discorriamo.
j
Afobismo XIII.
319. — Dopo tutto ciò e per applicare più stretta-
mente al sistema nostro solare le leggi e gli ordini
già descritti del mondo meccanico diremo anzi ogni
cosa che V aggirarsi d' ogni pianeta d' intorno al Sole
e de' satelliti d' intorno al pianeta loro con poca de-
viazione dal piano dell'equatore e pel verso mede-
simo, e il rotear tutti eziandio da occidente ad oriente
come pure fa il Sole (intendendo i corpi la cui rota-
zione è provata) non accade per lo certo in modo
fortuito e per cagione accidentaria ; e il La Place»
giunse a ciò dimostrare per sino con 1' evidenza delle
cifre riducendo la cosa ad una particolare posizione del
calcolo delle probabilità. Né si dee credere che simile
calcolo perda molto di efficacia perchè non di tutti i
pianeti conosciamo per anche la rotazione e perchè
due delli sei satelliti di Urano muovono contrariamente
agli altri da oriente ad occidente e le orbite loro rie-
scono quasi perpendicolari al piano dell'eclittica.
320. — Ma ci è avviso che nello stato presente delle
cognizioni, vuoi cosmologiche, vuoi astronomiche, non
pure non sia fattibile assegnarne ragioni fondate ma
costruirvi sopra alcuna congettura accettabile.
Pei rimanente, ogni fatto procede, mi sembra, se-
condo i principj da noi fermati.
321. — Nel cominciamento dei tempi comparvero in
questa nostra regione di spazio non diversamente dalle
altre ammassi enormi di materia non omogenea e varia-
374 LIBRO TERZO.
mente spartita. Là dove furono maggiori assai e con parti
più approssimate, V attrazione reciproca e certo grado
di coesione li accumulò, li restrinse e ne risultava da
ultimo il gran corpo del Sole. A differenti distanze da
lui con la legge medesima si composero i pianeti e i
satelliti. Il Sole poi, chiamato da stella vicina o da un
gruppo di stelle, si mosse per doppio impulso, attivo,
vale a dire, e passivo giusta V accezione che abbiamo
data a simili voci. E perchè la materia sua non era
tutta omogenea né densa ad un modo cominciò pe-
ranco nel Sole un movimento di rotazione. Le stesse
forze e gli stessi impulsi mossero quindi i pianeti in-
torno di lui e i satelliti intorno di questi e ciascuno
di tali corpi intorno del proprio asse.
322. — Trovo scritto che Argelander credeva il cen-
tro di gravitazione dello strato stellare a cui appar-
tiene (dicono) il nostro sistema essere nella costella-
zione di Perseo. Maedler lo pone, in vece, nel gruppo
delle Pleiadi.
323. — A me sembra che se tuttaquanta V acerva-
zione stellare di cui siamo parte à un moto comune
di traslazione verso l' uno o V altro dei centri indicati,
dovrebbesi anche poter discoprire il moto correspettivo
deir uno di essi procedente verso di noi e girante pei*
proprio impulso e per la forza attrattiva nella ma-
niera medesima che facciamo noi a rispetto suo. Forse
il concepire la necessità di questa forma di movimento
circolare scambievole gioverebbe a ordinare le osser-
vazioni, i confronti e le congetture. Foi;8e anche il cen-
tro comune di gravità dovrebb' esser cercato in ispa-
7À0 vuoto non in Perseo propriamente o in mezzo alle
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 375
Pleiadi. Dacché né queste né Perseo lasciano far con-
fettura che sieno di massa cotanto smisurata da pre-
ponderare d' assai sullo strato nostro stellare e quindi
moverlo intorno a loro siccome satellite. Nella costel-
lazione di Perseo e delle Pleiadi non e' imbattiamo in
nessuna stella di prima e di seconda grandezza.
Afobismo XIV.
324. — Geometri sommi ed astronomi anno di con-
cito mostrato che non v' à cagione veruna nel nostro
tiifitema solare la quale accenni alla sua sconnessione
ed alterazione ancora che remotissima. Ogni perturba-
mento vi si riduce a esatta periodicità di moto e a
i'^erti sviamenti che mai non trascendono i confini a
loro assegnati ; onde é il caso giustamente di dire che
l'apparente eccezione conferma la regola.
325. — Né debbe in altro modo, per nostro giudi-
dò, operar la natura. Gonciossiaché ogni sistema so-
lare è quasi un formale individuo dell' universo mec-
canico. £ quando in lui non prevalesse la costanza e
l>erpetuazione dell' essere, nemmanco si presterebbe
all'ordine progressivo e sintetico delle mutazioni e
combinazioni nel quale debbe aver parte e tener ra-
gione di elemento.
326. — Oltreché, nel sistema solare operano due
forze soltanto semplici esatte e con sommo rigore
commisurate e contrappcsate. Non così nello interno
di ciascuna sua parte dove moltiplicano le forze spe-
ciali e diverse ed ogni accidente à valore; onde le
mutazioni vi sono perpetue quanto minute.
327. — Il nostro sistema solare, im pertanto, non
caverà da sé proprio le successive trasformazioni,
ma sì dagli accostamenti e quasi congiungimenti con
376 LIBRO TERZO.
altri sistemi e dallo scambio reciproco delle influenze
come spiegherà alquanto meglio questo Libro medesimo
un poco più tardi.
A,
328. — V à taluno che pensa dovere il corpo solar**
crescere la sua massa per la caduta incessante dei bo-
lidi, però crescere altresì la sua forza attrattiva e di
tal guisa dopo milioni di secoli i pianeti dovere an-
ch'essi precipitare nel Sole; dove poi la combustione
loro violenta e subita potrebbe forse rinnovare la con-
dizione primigenia di vaporosità incandescente e quindi
da capo il Sole produrre dall' atmosfera sua i pianeti.
329. — Cotesta periodicità di costruzione, distrag-
gimento e ricostruzione identica ed infruttifera non si
accorda, al mio parere, coi metodi conosciuti della
mentalità creatrice. E se comparisce colà dove la per-
duranza individuale è impossibile come negli esseri
organizzati, la natura vi supplisce con la perpetua-
zione e inalterabilità delle specie.
330. — Del resto la supposizione anzi espressa pro-
viene dal concetto oggimai riprovato che il sistema
nostro solare esca tutto quanto da una nebulosa.
331. — Ma prescindendo pure da ciò, io afl^ermo che
i bolidi non precipitano unicamente nel Sole ; ma posta
la proporzione delle masse, egli sembra che altrettanti
ne cadono sulla superficie dei pianeti ; o parlando con
precisione, egli sembra che parte, almeno, delle stelle
cadenti infiammi e sperda la propria materia nelle più
alte regioni della nostra atmosfera.
332. — E mentre per noi l' entrare delle stelle ca-
denti neir àmbito della nostra atmosfera è fatto posi-
tivo e altresì positivo è il precipitare sulla terra di
COORDINAZIONE DEI MEZZI KELL' UNIVERSO. 377
molti bolidi ; nessuno à veduta quella pioggia che gli
autori prenominati asseriscono avvenire nel Sole. Però,
ponendo a riscontro del loro supposto una realità
costante e bene accertata, diciamo che crescendo con
legge di proporzione la massa dei pianeti quanto quella
dei Sole e con la massa la forza altresì tangenziale
0 la virtù attiva del moto che la si chiami, dura e
persevera esattamente V equilibrio di tutto il sistema.
B.
333. — Ma quando 1' etere sia dappertutto, e non
ostante la estrema tenuità, penetrazione ed elasticità
sua opponga esso in fatto un qualche minimo grado
di resistenza al moversi de'pianeti, ed anzi generalmente
al moversi di qualunque astro intorno ad un centro;
come negare che tal resistenza, per infinitesima ch'ella
sia, non cagioni nella fuga dei secoli un effetto misu-
rabile? Né questo per le leggi meccaniche può essere
altro che deviazione dalla curva normale trascorsa e
quindi, per un moto spirale, violenta precipitazione del-
l' astro circolante qualechessia sul corpo dell'astro cen-
trale.
334. — Impertanto, o conviene discredere la diffu-
sione generale dell' etere o eh' egli sia materia non
resistente o concedere che dopo scorsi bilioni di secoli
r ordine meccanico del nostro sistema sarà scomposto
ed anzi annullato.
335. — Qui avanti ogni cosa è dp, domandare se.
r accorciamento della olissi trascorsa dalla cometa di
Encke (per fermarci all' esempio meglio conosciuto)
debba recarsi alla resistenza del mezzo ovvero ad altra
cagione. Certo, se non è da negare che in sì corto pe-
riodo d'anni abbiasi potuto avvertire un perturbamento
378 LIBRO TERZO.
sensibile e misurabile, non è allo stesso modo da con-
sentire a chi vuol riferirlo alla resistenza d'un mezzo
la cui tenuità ed elasticità oltrepassa qualunque im-
maginazione umana.
336. — A ciò debbesi aggiungere cosa notabilissima
che tale resistenza del mezzo non fa segno alcuno di
sé nella cometa di Halley la quale secondo i calcoli
del Rosemberg avrebbe dovuto tardare di sette giorni
il passaggio suo nel perielio, quando rinvenisse per
via l'impedimento medesimo della cometa di Encke;
e il simile pare si debba concludere a rispetto della
cometa di Faye ; o per lo manco, la resistenza sofiFerta
da cotest' ultima non procederebbe con egual pro-
porzione.
337. — Oltre di che, scorgendo il magistero maravi-
glioso e infinito mediante cui la natura provvede alla
conservazione e inalterabilità del nostro sistema contro
cause molto maggiori di perturbamento e conquasso, si
à buoua licenza di dire che ci rimangono ignoti ancora
innumerevoli temperamenti e compensi che possono
fornirsi dall' arte divina al nostro sistema per ovviare
a quel minimo disequilibrio di cui si discorre.
338. — E forse la mente insino da ora giunge a
ravvisarne uno molto evidente per sé, tuttoché indo-
cile, credo io, alle determinazioni ed alle esattezze del
calcolo. Nondimeno mi risolvo ad accennarlo come per
saggio, e perchè i dotti vadano più a rilento a giudi-
care e concludere in cotesta specie di cose.
339. — Il compenso, dunque, a cui accenno é for-
nito dal camminare degli uomini e degli animali, non
che dal moversi d'ogni peso trasportato per arte o
comechessia e dall' agire delle macchine che risve-
gliano in mille maniere la energia di forze latenti.
Certo, da tuttociò risulta un impulso contrario alla
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 379
forza attrattiva esteriore. Conciossiachè nel generale
tutte le sorte del moto di cui parliamo adempionsi du-
rante le ore del giorno e però dalla banda del Sole
che è il verso appunto e la direzione dello sviamento
prodotto (giusta la supposizione) dalla resistenza del
mezzo. E perchè tutte le regioni del globo giacenti fra
i poli sono visitate di mano in mano dal Sole in ogni
diurna rivQluzione, V impulso centrifugo da noi indi-
cato, sebbene muta luogo, non muta mai verso, né mai
si fa discontinuo.
CAPO SETTIMO.
8E0U0N0 GLI AFORISMI DELLA STESSA MATERIA.
Aforismo I.
340. — Né il mondo 'materiale né la coordinazione
che vi si fa degli apparecchi alla vita risulta di sole
forze meccaniche. V à le fìsiche necessariamente e le
chimiche, e si vogliono chiamar di tal nome quelle po-
tenze onde sono governate le picciole masse ovvero
anno fondamento in certe native disposizioni dei corpi
che non si risolvono in varietà di figura d' impulso e
<li moto sebbene con qualcuno di questi fenomeni si
accompagnino.
341. — Chiaro è poi che la separazione la quale fac-
ciamo delle forze meccaniche da tutte le altre è me-
ramente metodica. Attesoché il mondo preparatorio,
per così domandarlo, uscì dal nulla in forma com-
pleta rispetto alle forze ed agli elementi costitutivi,
niuno dei quali fecedifetto od ebbe tardo nascimento.
380 LIBRO TERZO.
Aforismo n.
342. — L' ambizione quanto forse il bisogno di uniti-
care la scienza, spinse, quando io non m' inganni, gli
odierni fisici a voler risolvere di nuovo la intera natura
inorganica in una di quelle generalità che abbracciando
ogni cosa istringono molto poco e dispergendo per
ogni dove il simile ed il medesimo ci lasciano al tutto
ignoranti del diflFerente; mentre la scienza matura e
durevole comincia soltanto in quel vero in cui il di-
verso ed il simile si connettono e spiegano mutuamente.
Di tal guisa ripullula appo i dotti sperimentali
cotesto concetto pericoloso ch'ei sono prossimi ad
agguantare la cagione unica e sola di tutti i fenomeni,
scordando assai presto che tale invenzione non pure
si sovrappone al termine delle facoltà umane, ma sì è
discorde dal vero concetto dell' ordine della natura, la
quale intende mai sempre ad effettuare V indefinito dei
possibili nelle cose simili nelle varie e nelle diverse, e
che quanto più si complicano le sue sintesi con la
moltiplicità delle cause tanto più si accosta ella ai
suoi fini ed alla perfezione ultima delle sue opere.
Del sicuro, come spiegammo altrove, dicendo sintesi
diciamo fattura in cui apparisce o certa unità rela-
tiva o certa totalità strettamente connessa e cospirante
ad un fatto complessivo e terminativo. Ma queste me-
desime sintesi diventerebbero impossibili, qualora non
intervenissero da ogni parte principj originali e diversi.
343. — Vogliono, dunque costoro che nel mondo
fisico e chimico ed altresì nell' etereo proseguano in so-
stanza ad agire un po' trasformate le forze del mondo
meccanico e ogni fenomeno vi si spieghi per sole leggi
di moto ; le quali sebbene, a lor confessione, non si
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 381
lasciano ancora tutte conoscere, nulladimeno è di già
possibile di misurarle nella più parte de' loro effetti
e del sicuro si unificano in pochi principj inerenti alla
natura comune e universalìssima dello spazio e della
materia.
344. — Costoro non badano per mio giudizio che
affermando ogni fenomeno essere moto e niente altro
che moto annunziano solo il piii generale dei fatti
senza spiegare in guisa veruna il miracolo grande che
è ìnchiuso nel lor discorso e ciò è come da cotesta
cagione sì semplice, sì comune a tutto, sì uniforme con
sé medesima escono le differenze e le varietà innume-
rabili dei fenomeni. Perocché tanto è difficile e neces-
sario alla scienza scoprire il diverso e il particolare
nel troppo simile e troppo comune, quanto per centra
nel particolare e individuale tutto differente e speci-
fico rinvenire il generale e l' identico.
345. — D moto, non si nega, é inizio e accompa-
gnatura d'ogni mutazione nel mondo inorganico ma
non perciò ogrfi mutazione é semplice moto. Simil-
mente, le leggi meccaniche come quelle che risul-
tano dalla essenza comune e perpetua della materia
ricompariscono modificate in qualunque fatto del mon-
do fisico e chimico ma non sono le sole; né, conosciute
esse, è conosciuto ogni rimanente.
346. — V'à mutazioni atti e fenomeni copiosissimi
che del sicuro provengono da ben altra cagione che
da mera forza motrice, ma sono invece modificazioni
ed esplicamenti di facoltà essenziali e diverse dei corpi.
Escono certo dalla materia, ma non in quanto é estesa
figurata e movibile. Nò basta il dire che astraendosi
dalle affezioni speciali de' nostri organi, ciò che rimane
apparente nella materia é moto estensione e figura ;
conciossiachè rimane altresì apparente nella materia
382 LIBRO TERZO.
una continua sproporzione ed incoerenza tra le cause
e gli effetti, sempre che le prime sieno interpretate da
noi per sole modificazioni di moto. Né Galileo affer-
mando egli il primo, che io srppia, che le qualità se-
condarie dei corpi debbono venir distinte e sceverate
con diligenza dalle primarie, volle affermare queste
ultime solamente e negare 1' esistenza dell' altre. Per
lo contrario, egli confessò che v' à nei corpi una es-
senza profonda ed occulta, conoscer la quale speri-
mentalmente giudicava impossibile. ,
347. — Ora le qualità e forze della materia diffe-
renti dalla potenza motrice dimorano in ciò appunto
che volgarmente domandasi la natura od essenza dei
corpi, e non è giusto dire che a noi si occultano com-
piutamente. Considerato che oltre al moto ed a' suoi
fenomeni elle si palesano nelle affezioni de' nostri or-
gani mescolate peraltro e contemperate alle affezioni
medesime, e vale a dire ai modi dell' animo nostro e
con altro vocabolo alla natura e passione dell'essere
ricevente le esterne azioni. •
A.
348. — Né solo i fisici di cui discorriamo reputano
che tutte le forze della natura inorganica si risolvano
in qualche atto e maniera di moto, ma si aggiungono
che il moto, sebbene si trasforma, non può estinguersi
mai. Onde ripetono oggi quell'affermazione ipotetica
di Cartesio esistere sempre nella materia una stessa
quantità ed essenza di moto. Spesso, dicono, da esterno
diviene interno o viceversa ; talora si diffonde e spar-
tisce, talaltra si raccoglie e condensa; una volta da
ponderoso e massiccio si fa molecolare e invisibile;
un'altra volta adempie l'inverso; ma pure trapas-
COORDINAZIONE DEI MEZZI BELL'UNIVERSO. 3bf>
sando da corpo a corpo e da forma a forma si con-
serva e perpetua uguale sostanzialmente a sé stesso.
Che la forza, una volta estinta, non si rinnova e non
potrebbe ricominciare l'opera sua.
349. — In tal guisa, aggiungono, tutte le forze sono
r una air altra equivalenti e a vicenda si misurano a
vicenda s' ingenerano. Sopra ogni cosa, è mirabile la
equivalenza tra esse e il lavoro meccanico divenuto
ferma unità di misura per tutte. Di tal guisa la geo-
metria comincia a introdurre i suoi calcoli, il suo ri-
gore e la sua certezza in materie che ne parevano
affatto aliene; e la fisica e forse anche; la chimica
vannosi convertendo in vasti problemi di meccanica
molecolare. E dove un gran genio apparisse pari a
quello di Newton, forse la costituzione dei corpi sa-
rebbe svelata a' dì nostri. ^
350. — Noi andremo rettificando capo per capo, an-
cora che brevemente, le asserzioni o soverchie o false
della scuola sperimentale di cui parliamo. E prima, è
troppo vero che le forze mai non s'estinguono; ma
ora sono in essere virtuale o di facoltà, ora in ispie-
gamento di atto ovvero in conato che è certa condi-
zione di forza, la quale intramezza fra lo spiegamento
compiuto e la schietta virtualità. Gran fatica sarà per
cotesti fisici il dimostrare che mai nessuna forza mo-
trice nella natura non è impedita nello spiegamento
dell'atto e si vuol dire nel moto attuale, ovvero che
impedita in un luogo rinasce in un altro. Che quando
ricorrano, come Cartesio, a un'idea astratta e costitui-
scano un bilancio e un compenso continuo fra i moti
virtuali ed i moti in atto, noi risponderemo che il
calcolo si può ben cominciare ma non finire, ed avrà
necessariamente del congetturale e dell' ipotetico. Àn/i
è congettura piii ragionevole che mentre le forze per-
384 LIBRO TERZO.
mangono sempre d'un numero e d'una natura, la
somma del movimento si accresca nelP universo, per-
chè aumentano qua e là le sintesi terminative, le quali
risultano in genere dalla frequenza varietà e rapidità
infinita di piccioli moti.
351. — Per fermo, le forze estinte non si rinnovano
e il moto annullato non risuscita da sé medesimo. Ma
scordano i fisici summentovati che se mancano i moti
parziali e individui mai non fa difetto 1' eccitazione
eentrale che emana dal Sole e dall'etere, mai la luce
e il calore non cessa di piovere di mano in mano sulla
faccia del globo, e mai non si quetano le correnti ma-
gnetiche e le elettriche correspettive.
352. — Maravigliosa, certo, e feconda scoperta è
quella del rapporto misurabile tra il lavoro meccanico
e r azione dell' altre forze, e maravigliosa è l' equiva-
lenza e trasmutazione reciproca tra il calore ed esso
lavoro meccanico. Ciò dimostra di nuovo come ogni
cosa procede esattissimamente in pondero et menmra^
e intendiamo che le leggi meccaniche uscenti dalla
essenza più generale e comune della materia non ces-
sano di operare nei piccioli corpi quanto nei grandi,
tra i fenomeni di mera estensione e figura non meno
che tra i fisici e chimici.
353. — Ma nel modo che la scoperta dell'universale
attrazione non bastò guari a porger ragione della
fisica universale e spiegare, per via d'esempio, perchè
il Sole e le stelle rilucano di luce propiia e i pianeti
di riflessa ; ovvero perchè il Sole raggi calore perenne-
mente e susciti la vegetazione e la vita sopra la terra ;
in quel modo, ripetiamo, quando sarà discoperta e
provata la costituzione meccanica del mondo moleco-
lare e le leggi de' suoi movimenti, rimarranno tutta-
volta da discoprire le cause e i principj dei fenomeni
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 385
propriamente fisici e chimici. Imperocché, ricordia-
moci non essere la stessa cosa il quale ed il quanto,
E r avei-e bene accertato che le forze sono tutte quan-
titative e però misurabili Tuna con l'altra; od anche
l'aver provato che a vicenda si promovono e ledano
le azioni loro e gli effetti a maniera di catena che i\
sé medesima si ricongiunge, non dà arbitrio nessuno
di reputarle della stessa natura; né porge speranza
fondata di condurle tutte a un solo principio causah'.
Per lo contrario, é ferma nostra opinione che il pro-
gresso delle scienze terrà da una banda separatissim^
le forze e le essenze e dall'altra mostrerà ogni dì
maggiormente le rispondenze, correlazioni e legamenti
loro intimissimi e senza numero; considerato che la
natura nel più generale e comune fa comparire la
identità e unità di principio, mentre poi nel partico-
lare e diverso fa con la moltiplicità dei principj e
delle cagioni comparire fra tutti essi una stupenda
convenienza e armonìa. Però un genio tragrande come
quello di Newton, quando anche svelasse oggidì le
vere ed uniche leggi della meccanica molecolare credo
che dovrebbe recarle a parecchi principj e cagioni e
a diverse nature di cose e non mai vi discoprirebbe il
giuoco di sole due forze siccome accade per li movi-
menti celesti.
334. — Insomma, l'abbaglio dei fisici è, per mio
sentire, sol questo eh' io riconosco parecchie forze al
tutto separate e diverse; in quel cambio, essi, giusta il
vezzo dei tempi, le identificano tutte in una e i feno-
meni più differenti chiamano modi e atti pur differenti
d'una stessa virtù dinamica. E quando le varie forze
si meschiano e proporzionano, e l' una provoca l' altra
0 semplicemente la occasiona, essi avvisano in tutto
dò una continua e commisurata trasformazione di
MtBiAiii. — n. 3S
386 UBRO TERZO.
certo principio astratto unlTersfile e comune che do-
mandano forza.
B.
355. — Quella tendenza de' nuovi fisici di tutto spie-
gare col movimento la figura il numero e V orientazione
delle molecole si accrebbe talvolta per modo, che sperò
convertire tutti gli elementi semplici in proporzioni
diverse di una sola sostanza; né mai finano essi di
far Botare come i composti chimici cambiano sovente
di qualità senza intervento alcuno di forza esteriore
e dovendosi perciò attribuire la mutazione al diverso
aggiustamento che prendono gli atomi Tuno a rispetto
dell'altro sia nel numero sia nella posizione.
Per nostro avviso ninna scienza quanto la chimica
delude la speranza di convertire in forza meccanica i
fatti speciali e molteplici dell'affinità. E già gli au-
tori medesimi della teorica mediante cui si tentò di
scoprire nelle combinazioni chimiche altrettante diffe-
renze quantitative d' un solo elemento desistettero
dalla impresa non solo perchè certa legge di propor-
zione da loro avvisata non riusci compiuta e fedele
per tutti i fatti, ma più, al creder mio, perchè quella
legge fosse pure verissima ed esattissima non rispon-
derebbe per nulla al cumulo delle proprietà singolari
ed oriKÌnali che compaiono in ciascun elemento ed
eziandio nella maggior parte delle loro combinazioni.
356. — Sostanze composte non pure degli stessi ele-
menti ma delle stesse quantità e proporzioni e che non-
dimeno producono effetti tanto diversi e spiegano qualità
singolari e talvolta opposte dimostrano invittamente che
v'à nell'azione loro un diverso principio, il quale si
occulta alle nostre analisi e non può consistere nel-
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 887
solo mutare il numero e la posizione rispettiva degli
atomi. L' Isomerismo basta, per mio avviso, a amen*»
tire la chimica costruita suir aritmetica e sulla mec-*
canica. E se mutando gli atomi di numero, di propor-
zione e di posizione cagionano mutamento di qualità,
conviene non iscordare due cose; la prima, che ciò si
argomenta nel più dei casi per congettura non per ve-
duta sperimentale. In secondo luogo, che possono altre
cause più intime di cangiamenti accompagnai*si alla
mutazione del luogo della proporzione e del numero.
357. — Infine giova di avere a mente ciò a cui non
pensano forse i naturalisti, ed è che non tutti i fenomeni
di mutazione serbano lo stesso carattere; e l'uno può
provenire da causa accidentale V altro da sostanziale.
E in genere, non dubitiamo di dire che nei fenomeni
chimici si svela piuttosto la parte superficiale delle
sostanze che la profonda e costitutiva; e sempre ci è
sembrato un po' singolare, per via d'esempio che uno
dei caratteri proprj essenziali e costanti della gran
classe degli acidi sia denotato quello di volgere in rosso
le tinture azzurre vegetali e di non alterare la tintura
gialla di curcuma; mentre poi l'altra gran classe de-
gli alcali o delle basi à per nota qualitativa di mutare
in verde la tintura azzurra di viole mammole e di ar-
rossare il giallo di curcuma; tanto che se non vi fos-
sero viole mammole al mondo ne curcume mancherebbe
uno de' caratteri più importanti per isceverare e ras-
segnare le sostanze giusta gli ordini della scienza.
Forse noi c'inganniamo a partito, ma noi siamo an-
cora alla superficie e alla buccia delle cose.
S58. — E uscendo della chimica e trapassando alle
parti della scienza dei corpi in cui sembra la geome-
tria progredire mirabilmente, parmi nondimeno che
nempre e' imbattiamo ad un che il quale sfugge a tutti
388 LIBRO TERZO.
ì rapporti di quantità, dì figura, di numero e di moiri-
mento perchè s* attiene in diretto modo alle proprietà
originali ed essenziali delle sostanze. Qual dottrina
appare oggi più prossima alle spiegazioni meccaniche
quanto quella del calore? ciò non ostante qualunque
parte se ne pigli e qualunque fenomeno se ne consi-
deri insorge la difficoltà e la differenza che io dico.
Quando si paragona, per via d'esempio, la facoltà as-
sorbente delle sostanze e quanto ella varia dalF una
all'altra si per la diversa natura propria e si pel mu-
tare delle sojgenti di calore ninno mi persuade che
tutto ciò si risolva in semplici differenze da un lato
de' movimenti ondulatorj, dall' altro di figura e posi-
zione di molecole.
359. — Né per qualunque parte della fisica sembra
a noi doversi fare differente discorso. E ne sia lecito
addurre ancora un esempio. L'acustica possiede una
sua stupenda geometria. I toni corrispondono con pre-
cisione aritmetica alle vibrazioni dell'aria e dei corpi:
le vibrazioni alla lunghezza rapidità numero intensione
delle onde, ai ventri, ai nodi e altre modificazioni o
del mezzo o dei corpi che vibrano. Né questi rapporti
si negano; e sono movimenti e leggi di movimento parti-
colari e immancabili che accompagnano sempre i feno-
meni del suono; ma per nostro parere non bastano a
darne ragione compiuta. L'ottava del sicuro è il dop-
pio delle vibrazioni d' una corda accorciata della metà;
e sia pure. Ma l' orecchio sente nell' ottava una forma
di suono che è altra cosa della quantità raddoppiata.
E questa medesima ottava è infinitamente modificata
ne' divem strumenti che l'arte ritrova e nelle diverse
nature di suoni che genera tale corpo e tiile altro. £
ciò perchè mai? per la differenza forse della materia
vibrante? Ma come fa il meccanico a diversificare coi
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 389
iiuoi principj quelle materie medesime? Certo con va-
riare il uumero la figura V orientazione e il moto delle
molecole. Noi così ci aggiriamo sempre neir identico
circolo, e per effetti i pi il diversi del mondo si offrono
cause e modi di operare eh' entrano tutti nella specie
medesima. Noi in quel cambio diciamo che allato alla
geometria acustica v' à un' altra natura di causa con-
comitante e cooperante, la qual dimora nelle pro-
prietà peculiari delle sostanze e nelP ìndole specialis-
sima ed essenziale di loro forze.
360. — Concludiamo con questo gran pronunziato
che nella natura ogni cosa non è moto sebbene col
moto s' accompagna e si manifesta, e se qualunque
fenomeno della materia porta seco di necessità certa
varianza' di moto, le cagioni dei fenomeni non sono
guarì quella sola varianza. R ogni moto ricerca un
movente, ogni movente un perchè intrinseco dell'atto
proprio : che se tu tramuti eziandio in moto quel mo-
vente e quel suo perchè, tu entri a forea nell' un via
uno, e giri in un circolo senza uscita.
a
361. — Si andrà poi più là della buccia non pure
moltiplicando 1' osservazione ma curando di vantaggio
quella notizia della natura che può provenire a noi
dalla virtù discorsiva. Perchè tanto è inetto il razio-
cinio a rinvenire le specie, quanto l' esperienza a con-
nettere gli universali e concordare i principj. Che
quando bene le essenze occultino affatto la specie loro
profondissima non ne occultano per intero le relazioni
molteplici ; e di queste è più sagace conoscitore il giu-
dicio speculativo che la sensata esperienza.
890 LIBRO TERZO.
Afobismo IU.
362. — ^^Ripigliando, impertanto, quella concisa de-
scrizione che imprendemmo di fare dell'epoca gene-
tica, ricorderemo di aver affermato che dovunque ap-
parse vanamente spartita la materia de' corpi, apparse
eziandio Teiere materia immensamente piìi line, quin-
di penetrativa d' ogni sostanza, e la quale servir do-
vendo di legamento comune e però indifferente per
certo rispetto alla diversità dei composti, venne diffon-
dendosi da per tutto con omogeneità compiuta ed
equilibrio perfetto. Del che nasce di necessità che l'etere
(da capo il diciamo) sia creduto imponderabile e Yale
a dire non attraente e non attratto. Perocché dove
pure si ponga eh' egli attragga tutti i corpi e da tutti
riceva attrazione, questa generalità medesima è sufii-
ciente a colliderne sempre e da ogni banda gli effetti.
L'etere dunque non pesa perchè non prepondera versi»
tal centro piuttosto che verso tale altro.
363. — Per la ragione stessa l' etere si combinò
ugualmente con tutti i corpi, o meglio parlando, l'etere
laddove non ebbe ostacolo, penetrò insino agli ultimi
indivisibili, ciascuno de' quali peraltro occupava cerù»
luogo ; e intendiamo, certa estensione impenetrabile; la
quale tuttoché minima, riusciva iiullameno maggiore
di quelle che occupano i punti indivisibili dell' etere
stesso. Laonde, ciascuno indivisibile della materia,
quando niente non lo impediva, fu circondato da una
sferula d'eterea sostanza. E fra l' uno e l' altra comin-
ciò subito una vicenda di vibrazioni incessanti, le quali,
propagate nell' etere ambiente, vi determinavano quelle
libere ondulazioni che nell'occhio umano diventano
luce.
COORDINAZIONE DEI KEZZI NELL'UNIVERSO. 391
364. — Intendasi dunq uè che ciascun atomo di materia
circondato dall' etere e da lui provocato rispose all' im-
pulso con altro impulso. £ perchè 1' atomo era .pro-
vocato egualmente da ciascuna parte non mutava dì
luogo né restringeva lo spazio suo impenetrabile ad
ogni forza. Invece, la reazione uscente da lui ripelleva
in giro la sostanza eterea, la quale mobilissima oltre
ogni estimazione e supremamente elastica propagava
circolarmente e a guisa di onda l'impulso ricevuto;
mentre nuova sostanza eterea circondava da capo l' in-
divisibile sopranotato ripetendo 1' alternazione degl' im-
pulsi e delle onde.
365. — Qualora poi simili ondulazioni dell'etere
riescano meno iitte e rapide ne si spieghino con libertà
piena e nella loro interezza, producono semplicemente
r effetto che domandiamo calore raggiante.
366. — Di tal maniera, nei primordj delle cose ca-
lore e luce furono le prime e più generali manifesta-
zioni della materia; e debbesi considerare come natu-
rale e al tutto comune la combinazione dell' etere con
ogni atomo di corpo e l' azione e reazione incessante
fra essi che genera sempre ondulazioni calorifiche e lu-
minose, ancora che queste seconde sieno impedite più
spesso e più agevolmente che le prime.
A.
367. — Ogni divisione ed attenuazione estrema della
materia corporea sembra per se sola poter produrre
luce e calore; sebbene talun fisico attribuisca ciò a
tensione elettrica; ma nel vero l' una cagione non estin-
gue r altra, e dobbiamo credere che ogni materia atte-
nuandosi per insino quasi agli ultimi indivisibili entra
per ciò solo in quella libera vicenda di azioni e rea-
392 LIBRO TERZO.
zioni con V etere che fa comparire la luce e il calorico.
E certo è che ognora che la luce balena in mezzo di
noi e non proviene dal Sole si può avvisare una divi-
sione ed attenuazione della materia corporea la quale
tanto pili si scioglie dalle forme cristalline e moleco-
lari e da ogni coerenza di parti, tanto rimane investita
e signoreggiata dall'etere.
B.
368. — Quella intermittenza che sembra accadere
nella scintillazione delle stelle e quel vigore e tremore
che r accompagna spiegasi molto facilmente con la con-
siderazione che gì' impulsi dell' etere e della materia
vibrante non sono continui compiutamente, ma si av-
vicendano e si rinnovano con estrema velocità e con
ispiegata energia; mentre nella luce riflessa il rimbalzo
proviene tutto dalla elasticità del raggio luminoso e il
piano che lo rinvia appare come passivo nella sua
resistenza, e certo non ci è il vigore della vibrazione
originale.
Aforismo IV.
369. — Intanto, proseguendo, diciamo che qualora
l'etere avesse padroneggiato senza contrasto la mate-
ria dei corpi, 1' universo convertivasi tutto in ammassi
nebulosi raggianti luce e calore e forse per la elasti-
cità del calore medesimo a poco a poco si disperdevano
per lo immenso vano.
370. — Ma gli atomi de' corpi laddove erano pros-
simi o poco lontani l' uno dall' altro, sentirono la forza
scambievole dell'attrazione molecolare insita, come si
disse, in ciascuno. Però, non ostante gì' impulsi e i tre-
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. à9S
mori dell'etere interposto si accostarono effettualmente
e 8Ì strinsero giusta la misura di loro tendenze: quindi
composero le prime molecole e poi con queste le se*
conde e le terze.
371. — Egli è chiaro che la legge suprema di va-
rietà e convenienza qui pure dovette operare. Il perchè
gli atomi o gì' indivisibili d' ogni sostanza come dif-
ferivano di natura, cosi differirono nella intensità di
attrazione e nel modo di aggregazione. Quindi le mo-
lecole riuscirono molto diverse dall'una all'altra so-
stanza. In questa sorta di molecole entrarono pochi
atomi, in quella parecchi; qua si addensarono senza
spazio, là con intervalli piii o meno larghi. E di' il si-
mile della orientaeìone loro, il simile delle iigure che
ne risultarono e della varietà nei contatti, e così pro-
segui per altri accidenti.
372. — Composti poi con le molecole di diverso
ordine i corpi, fu necessario che si svegliasse l'altra
tendenza loro primigenia ed essenziale che è l'attra-
zione collettiva di masse; e le maggiori chiamarono a
se e conglobarono le minori più prossime, secondo
venne descritto più sopra da noi.
AroRiSMo V.
373. — In tal maniera si bilanciarono le forze nella
natura. Che l'attrazione molecolare, o coesione che la
si chiami, costituiva i corpi e moderava la troppa virtù
espansiva dell'etere; mentre questo col suo penetrare
ed insinuarsi per ogni dove, mantenne la separazione
e impedi che la materia fitta e coagulata rimanesse
incapace di movimenti e trasmutazioni intestine. Pe-
raltro, nella generalità i corpi più densi e più coe-
renti volgendo al centro e i più leggieri e men coerenti
394 LIBRO TERZO.
alla superficie, in questi V etere mantenne maggior do*
minio, e non vi cessando la reciprocazione degl'impulsi
e la libera espansione delle onde calorifero e luminose,
parve il firmamento seminato da ogni parte di Soli
splendenti ed inestinguibili. Perocché, essendo nato un
bilanciamento naturale fra la coesione molecolare e
la espansione eterea, nessuna forza quando non pro-
cedesse dal di fuori potrebbe sturbarlo. £ insino a
che vi sarà scambievolezza d'impulso fra la sciolta
materia e l'etere circostante in sulla faccia del Sole
e dell' altre stelle, mai non cesseranno ne altereran-
nosi le onde calorifere e luminose che ne provengono.
374. — Vero è che queste onde non sono una sola
e mera forma di movimento. Conoiossiachè V etere
rimbalzando dalla superficie degli astri increspa, a cosi
parlare, la sua sostanza sottilissima e d' un tal poco
la condensa. Quindi il corpo che riceve l' ultima onda
propagata dell'etere, riceve insieme alcuna condensa-
zione di etere. Ma in primo luogo, se trattasi di corpi
luminosi con altri alsì luminosi, l'uno rende all'altro
la quantità ricevuta di etere condensato. Invece, se
l'onda eterea giunge alla superficie d'un corpo oscuro,
la sostanza assorbita parte è compensata da uno ir-
raggiantento tardo sì e rado ma pure effettivo di esso
corpo, parte dalle masse ancor nebulose che trapas-
sando per varj gradi di coesione emettono gran quan-
tità di calore. Oltreché, l'etere tendendo sempre ad
equilibrarsi ripartisce quella sottrazione di sostanza
comparativamente minima in tutto il suo immenso
perimetro, talché essa diventa propriamente infinitesi-
ma. Ad ogni modo tal sottrazione di sostanza già non
accade come si giudica volj^armente nel Sole, ma sì
veramente nell' etere dal Sole eccitato e fatto ondeg-
giare.
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 396
375. — (3oncios8Ìachè quel!' etere non move dallo
intemo del Sole ii a dairultima superficie; né raggia
air intorno per sovrabbondanza di sé, ma per atto
normale ed assiduo di virtù repellente. Né mntasi
nulla nel tenore del moto nelle proporzioni o in altro
accidente. Perocché, sebbene la sferula che circonda
ogni più esterna molecola venga respinta e però con-
densata, un' altra onda di etere come testé si disse,
a quella succede immediatamente e ristringe da capo
la sferula primitiva intomo di ciascun atomo. Che poi
r irraggiamento solare si adempia air ultima superfi-
cie non dair interno dell'astro venne comprovato dal-
l'esperienza, mostrando che la luce del Sole perviene
a noi intatta d'ogni refrazione e però non dà segno
d'alcuna polarità; contro la quale induzione non mi
sembrano senza replica le obbiezioni e i dubj che
accampa Giovanni HerchcU.
A.
376. — Coloro che nelle dottrine circa la luce e il
calore seguono la teorica delle ondulazioni, sogliono
negare non pure qualunque emissione di materia ma
qualunque condensazione. Nói neghiamo la prima non
la seconda in tutto. V à per lo certo nel moto circo-
lare dell'etere un increspamento e però un qualche
addensamento dell' etere. Perché ciò non avvenisse,
converrebbe tenere per infinita la elasticità dell'etere;
e la radiazione allora consisterebbe in una sola e
unica onda dal Sole alla terra anzi dal Sole all'ultimo
termine dove apparisce la luce sua; né ciò è tampoco
esatto, perché termine non vi sarebbe e l'immensità
di quell'onda ragguaglierebbe solo la immensità stessa
dell' etere.
377. — Poiché dunque la elasticità é limitata o
H96 LIBRO TERZO.
v'à contrasto ed inciampo fra le parti dell'etere, v'è
condensazione di sua materia; e com'è assorbita la
luce e assorbito il calore dal corpo in cui termina la
ondulazione così l'etere vi si condensa. Per nno giu-
dicio, quando il calore non rechi giammai aumento o
sottrazione quantitativa di etere troppo gran fascio
di fenomeni resterà inesplicato.
B,
378. — Io toccavo qui sopra della radiazione o
diretta o riflessa dei corpi, la quale in genere è troppo
certa e manifesta. Ma dubito molto che l'irraggiamento
calorifico della terra pervenga per ordinario agli spazj
celesti e non si sperda invece nella nostra atmosfera;
ond' io ò seguito in ciò la opinione volgare piuttosto
che la mia propria.
379. — Nego poi che dall' interno del globo conti-
nui, come si crede, certa emissione e difi^usione di ca-
lore, talché si stima eziandio essere la terra soggetta
ad un suo proprio e non cessabile raffreddamento.
Debbo nell'interno del globo come in qualunque altra
congerie di corpi la forza di coesione e la forza espan-
siva e penetrativa dell'etere rinvenire un giusto equi-
librio conformemente alla natura di ciascuna sostanza.
Solo si può dubitare se cotale equilibrio sia già tro-
vato e compiuto in ogni parte interiore del globo,
ovvero se vi si vada accostando; sul che torneremo
fra breve a tener discorso.
AroBisMo VI.
380. — Dopo ciò, scorgesi con più chiarezza quello
che accade di pensare intorno al supposto accettato
COORDINAZIONE DEI MEZZC NELL'UNIVERSO. 397
quasi universalmente dai fisici qualche anno addietro,
e vale a dire che il mondo cominciasse per tutto da
materia diffusa e radissima e che i pianeti non meno
del Sole e dell'altre stelle sieno pervenuti dallo ^tato
aeriforme alla presente compattezza e solidità mediante
un graduato raffreddamento e una dispersione conti-
nua d'interno calore.
381. — Ma gli è sicuro, al contrario, che insino dal
principio se vi fu materia radissima e materia vapo-
rosa, ve ne fu altra eziandio se non del tutto assodata
e compatta, certo accostata pur tanto nelle sue parti
ed elementi da suscitare in essi la forza latente di
coesione. Che quando fosse stato altramente, per niuu
modo avrebbe cessato la separazione soverchia degli
atomi e il libero signoreggiare dell'etere, in quella
maniera che suU' esterna faccia del Sole e dell' altre
stelle la fotosfera è dall'etere predominata per costi-
tuzione normale e primitiva di lei.
382. — Ma in ogni maniera, l' etere avendo tendenza
uguale e continua di- combinarsi con ogni elemento dì
materia ponderabile; e d' altro lato, ogni sostanza pou-
derabile combinandosi con l'etere nella misura della
sua forza peculiare di coesione, e secondo che porta la
forma propria molecolare e l' altre condizioni speciali
di sna natura, ne segue che all' ultimo l' etere e le
attrazioni molecolari debbono trovare equilibrio e com-
penso durevole; e nulla potrà cavarli da tal propor-
zione e bilanciamento, qualora non operi l'interveni-
mento di qualche forza esteriore. Me il detto bilan-
ciamento tragge seco la immobilità delle parti o del
tutto, ma si importa che ogni moto o irregolare o
periodico termini da ultimo col ricomporre l' equili-
brio interrotto.
398 LIBRO TERZO.
A.
383. — Né si vuol giudicare impossibile sul nostro
globo cotesto equilibrio e cotesta periodicità e r^ola-
tezza di moto, perchè si veggono ad ogni momento
mutate nei corpi le condizioni calorifiche. Da un lato
la estrema sottilità elasticità e scorrevolezza dell'etere;
dall' altro le eccitazioni continue che dal di fuori ri-
cevono i corpi fanno che alterandosi ad ogni tratto le
posizioni e combinazioni molecolari, d' altrettanto si al-
terino le loro attinenze e proporzioni con quel glande
ambiente ; e viceversa, operando sempre molte cagioni
naturali ed artificiali sulF etere combinato ai corpi e
promovendone l'accumulazione ovvero la sottrazione,
subito sono mutate eziandio le situazioni i legami e gli
altri accidenti delle molecole rispettive. Al che deb-
bonsi aggiungere i moti e i disiquilibrj continui cagio^
nati dalle correnti elettro-magnetiche.
384. — Tutto ciò è voluto e disposto dalla natura,
la quale, per modo di favellare, nessuna cosa piii te-
me, quanto la cessazione e la poca varietà e frequenza
del moto. E però appunto spandeva X etere in ogni
dove e nell' etere concordava le tre facoltà portentose
del dilatare, eccitare e connettere. Ma quanto i feno-
meni particolari e minuti sono diversi altrettanto si
coordinano e si bilanciano nel lor tutto insieme e nel
finale e complessivo risultamento. E certo è, per via
d'esempio, che guardando i corpi terrestri in disparte
dall' azione del Sole ei si vede che altro non possono in
tutte le mutazioni termiche se non accrescere il calore
latente a spese del sensibile, e questo con decremento di
quello, e tanto accumularlo in una parte quanto si di-^
rada in un'altra.
COOBDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 399-
Aforismo Vn.
385. — Il concetto, adunque, più razionale che ac-
cogliere 8i convenga intorno all' etere calorifico in
quanto non solo è forma di movimento ma eziandio è
condensamento di sostanza, debbe riuscire il qui infra-
scritto ; e cioè, che la sostanza calorifica dopo aver gi-
rato e rigirato per *le materìe ponderabili e avervi
desto prima le forze inorganiche più tardi le organi^
che e dopo essere stata respinta in parte ed esclusa
dalla crescente coesione delle molecole ovvero accumu-
lata e infittita da lente o rapide combustioni, al fine
piglia dimora per entro i corpi soltanto in quella por-
zione che si confa e proporziona debitamente con la
capacità e indole di essi corpi mentre poi il di più
toma a rifluire a poco per volta ed a equilibrarsi nel
proprio oceano. A un dipresso come si scorge acca-
dere a rispetto dei nostri mari. Che prima dalP ema-
nazioni loro sono composte le nubi e le pioggie, indi
mantenute le fonti e fecondate le ten*e; da ultimo ogni
sovrapiù dopo molti bagnamenti e trascx)rri menti si ri-
congiunge al gran ricettacolo da onde usciva in prin-
cipio.
386. — Ma tutto questo domanda essere considerata»
nella maggiore ampiezza dello spazio e del tempo.
Conciossiachè, mirandolo invece spartitamente in tale
laogo ed in tale tempo, si troverà che una massa è in
via di composizione e un' altra che si discioglie e uuh
terza che si rifa e ricostruisce ; ma tutte alla fine deb-
bono rinvenire il proprio equilibrio e ritenere tanta
porzione di etere quanta è richiesta dalle sue forme
e connessioni molecolari.
400 LIBKO TEKZO.
A,
387. — Sembra ciò più difficile a riconoscersi nel
nostro globo iu cui, rispetto al calore, operano cagioni
e accidenti molto anormali. Da un canto il trapelar
del calore del Sole crederemmo dovere accrescervi ogni
anno l'addensamento dell' etere. Dall'altro canto non
v'è prova nessuna che nelle profondità della terra la
forza di coesione trovato abbia equilibrio e proporzio-
ne durevole con la forza espansiva dell' etere stesso.
Intanto, la gibbosità dell' equatore e lo schiacciamento
dei poli ne accertano che la terra fu un giorno menu
aderente fra le sue parti e meno compatta che ora.
Ma per lo contrario, la sua densità, che è quattro
volte circa maggiore di quella del Sole, ci mostra che
nell'interno di lei e procedendo di più verso il centro
l'accumulazione e pressione della materia diventa
eccessiva, e giusta alcune esperienze e computa-
zioni dei dotti, supera quella degli strati superAciali
nella proporzione di 5 : 44 verso 1 : 6.
388. — Nondimeno le acque pressoché bollenti dei
pozzi artesiani, il calor delle roccie nei più profondi
cunicoli delle miniere e le materie liquefatte o roventi
che sono scagliate dai vulcani attestano che sotto
l' ultima scorza del globo regna, in più lati almeno,
una temperatura altissima.
389. — Per accordare cotesti fatti è necessità di
credere che veramente tra l'involucro estremo del globo
e gli strati durissimi dello interno gira una zona poco
profonda e molto prossima alla superficie, dove la
forza di coesione e di compressione non à compiuto
l'opera sua e si movono molte correnti di sostanze
aerose e da onde emana il calore che annunciano
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 401
tattodi ì fenomeni testé menzionati. Noi di cotesta zona
torneremo a parlare fra poco tempo.
390. — Certo è, peraltro, che quel calore non cre-
sce e moltiplica verso il centro nella misura di un
grado per ogni 30 metri, come pretendono tuttavia
alcuni naturalisti. Perocché progredendosi con quella
misura si giungerebbe ad una liquidità della massa
del globo e ad un'ardenza di fornace sì fatta da non
potersi in guisa veruna accordare con le leggi della
gravitazione centrale, con V immenso peso e la com-
pressione reciproca degli strati concentrici e con la
notizia positiva della densità totale del globo. Laonde
il calor sotterraneo di cui si parla e i fenomeni che T ac-
compagnano sono molto superficiali in paragone del-
l' altezza degli strati che lì distingue e separa dal ri-
manente.
391. — Il perché quello esempio addotto d' una palla
metallica riscaldata e le cui leggi e maniere di raffred-
damento vennero poi studiate e significate con lingua
di calcolo, pecca per nostro giudicìo assai gravemente
in due modi. Pecca prima dimenticando che nella palla
metallica la forza centripeta e quindi la forza cre-
scente di compressione degli strati riescono nulle.
Dall' altro canto una separazione e radezza nativa e
primigenia di materia non può tornare paragonabile
ialla dilatazione e al riscaldamento artificiale d' un
corpo le cui molecole anno già tutta la forma, l'orien-
tazione e la speciale coesione che porta la natura di lui.
392. — Da ciò sì conclude per al presente che il
calore emanante dai prossimi sotterranei del globo,
qualunque cagione s'abbia, dovrà col tempo equili-
brarsi con tutto il resto. Il calore poi insinuato an-
nualmente dal Sole, dopo essersi ripartito nei corpi e
neir atmosfera secondo la loro capacità, per ultimo
Hamiahi. — li. i6
402 LIBRO TERZO.
Terrà trasmesso dair atmosfera medesima e rifluito
uel ripositorio immenso e comune. Co^^ì non ri«
solvo se r atmosf;)ra manda agli spazj celesti il di più
del suo calore per effetto d^ irrnggiamento o per lenta
opera di contatto; e del pari, s'ella è veicolo pronto
è diretto al raggiar della terra insino a quegli
alti spazj, com'io toccava nella nota B deir »forì-
smo V.
B.
393. — Qui poi torna acconcio il notare la diffe-
renza che interviene fra il calore vibrato dal Sole e
quello che emana da qualunque corpo terresti*e. Il
caler solare, come dicemmo più sopra, è ondulazione
aperta e spiegata dell' etere promossa continuamente
e uniformemente dalla libera vibrazione degli atomi
esterni della fotosfera. In quel cambio il calore dei
corpi terrestri esce dall'etere accumulato qua e là per
accideutarie cagioni; e però tendendo al pareggiamento
si versa a grado per grado ne' corpi contigui e raggia
dall'interno negli spazj intermedj insino a tanto che
l'equilibrio sia fatto e i corpi ritornino allo stato
normale del calore latente e specifico. E cotesto irra-
diamento medesimo si differenzia sopra misura dal-
l'altro del Sole non pure per la quantità ma pel modo;
essendo che nei corpi terrestri la vibrazione degli ato-
mi ponderabili e dell'etere circonfuso non è sciolta e
spiegata ma soggetta ai legami diversi della coesione
e delle forme molecolari e l'etere vi è variamente di-
stribuito combinato e addensato. Da tutto il che na-
sce la luce perenne ed inalterabile del Sole e dell'altre
stelle, mentre nei corpi terrestri rado avviene e solo
parzialmente e per poco che i raggi caloriferi diven-
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 403
tino luminosi ; e sempre v'è sperdimento di materia e
trasmutazione di forma e di condizione.
Aforts^io viti.
394. — Non può dimostrarsi a priori che non sia
per lo firmamento così gran numero di astri opnchi
quanto di astrì luminosi. Solo per la legge della va-
rietà è lecito di argomentare che se la opacità pro-
viene, coni' io giudico, da cagioni costitutive ed ele-
mentari, dfhbe la natura aver procurato eziandio
questa specie del divei'so nella infinita differenza del
tutto. Forse qualche oscurazione temporanea di stelle
che fu avvertita dagli storici antichi non meno che
da' moderni venne cagionata djilla interp(j8Ìzione d'un
corpo sidereo opaco. Ma come ciò sia, diventando di
mano in mano gli astronomi più esperti e sicuri del
moto proprio degli astri e delle costellazioni avranno
altresì abilità di avvisare tali presunte occultazioni od
ecclissi le quali dovrebbero accadere frequenti se la
copia degli astri oscuri non fosse inferiore a quella
dei luminosi.
395. — Noi perchè stimiamo i Soli lucenti essere
centro uniforn»e e perenne di eccitazione e di muta-
zione a un sistema intero di grandi corpi ; e d' altra
parte stimiamo la luce e il calore essere fonte prima
d'ogni eccitazione efficace nella materia, però incli-
niamo a credere che il mandar luce sia condizione es-
senziale ed universale di tutti i corpi che fanno centro
e sono d'ordine superiore; dacché si debbono eccet-
tuare i sistemi secondar) che chiameremmo di satelli-
zio, come, per via d'esempio, quello di Saturno e 1' al-
tro di Urano. Invece, crediamo la opacità essere come
il particolare nel generale e avvenire nei corpi che sono
404 LIBRO TERZO.
Oggetto e mira continua della eccitazione. Il che poi
non aggiunge importanza ai corpi luminosi e non la
scema agli opachi. Considerato che nella natura le sin-
tesi più comprensive e terminative si compiono anzi
mediante il particolare e T affatto speciale.
396. — Ad ogni modo, a noi tocca di far conoscere
secondo i prìncipj addotti e spiegati, da quali cagioni
proceda la opacità massime del nostro pianeta; ca-
gioni che certamente sono contrarie a quelle da cui
s^ ingenera il calore e la luce.
Afobismo IX.
397. — Prevale nei finiti la legge del diverso e del
vario, cosa troppo dimenticata dai fisici; però diffe-
renti, come si accennava piii sopra, furono le masse
che cominciarono il corso loro nella immensità dello
spazio. Quindi tal massa fu rada e omogenea, tale al-
tra compatta ed eterogenea. Nella prima T etere si-
gnoreggiava senza contrasto; nell'altra soggiacque al
potere della forza di coesione e ciò pure con differenza
di modo e misura.
398. — Intanto, i centri compatti e fermi tiravano
da ogni verso e le sostanze pili materiali e però più
pesanti colà si addensavano con adesione tenacissima,
la quale cresceva altresì per lo premere veemente e in*
cessabile degli strati superiori.
399. — Le sostanze invece aerose, e vale a dire co-
stituite con molecole di più rada materia e meno ade-
renti in fra loro e più sdrucciolevoli, salirono a poco
a poco alla superficie e composero le atmosfere degli
astri e quelle del nostro Sole e de' nostri pianeti.
400. — Ma sebbene V etere paia dover dominai-e
con più arbitrio nelle materie gazaose in cui le mo-
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 405
lecole prime e costitutive appariscono pressoché sciolte
dai nessi della coesione, con tuttodò v'à dall'uno al-
l'altro gaz differenze sostanzialissime.
401. — Coneiossiachè in alcuni l'etere perviene a
lìberamente combinarsi con gli ultimi indivisibili, lad-
dove in altri, quanto è slegato l'ordine delle seconde
e tei-ze molecole, tanto è pertinace ed anzi invincibile
la composizione nativa dell'ordine delle prime e più
sempiici, le quali non cedono e non si disfanno salvo
che per forza di affinità, o vogliam dire, di speciale
attrazione chimica.
402. — Del che si à prova sperimentale continua
nella composizione dell' aria, i cui elementi sono me-
scolati in si stretto modo da formare insieme una
sostanza omogenea e con proprietà permanenti e spe-
ciali; e tuttavolta nessuna chimica combinazione inter-
viene fra essi e peiò l' aria serba, del sicuro, la forma
primigenia delle proprie molecole.
403. — In cotesto sorti di gaz noil à luogo emissione
naturale e perenne di luce e possono invece i loro ele-
menti accostarsi alle materie per le quali sentono
affinità, perchè a ciò non sono impediti dalle vibra-
zioni spiegate e libere e dalla espansione prepotente
dell' etere.
404. — Cosi sulla faccia del nostro globo adunatisi
pCT la leggerezza loro gli elementi dell' aria, avven-
nero subito le combinazioni dell' ossigeno con le basi
metalliche e a mano a mano con altri elementi e altri
])rìucipj aerosi.
405. — Effetto di simili combinazioni si fu la opa-
cità del nostro pianeta e un condensamento molto
maggiore dell' ultima scorza di esso. Avvegnaché l'ade-
sione piiì perfetta ed intima fra le molecole è quella
del sicuro prodotta dalle affiniti, chimiche. Ne segui-
406 LIBRO TEKZO.
rono prontamente azioni e reazioni gagliarde e conti-
nue con gli strati inferiori che differivano dall' ultima
crosta del globo parte per varietà di soskinze parte e
molto di più per condizione termica, elettrica e chimica.
406. — Ben altra cagione, adunque, ebbe, al nostro
parere, V indurimento della faccia del globo che quella
pre^Iicata da molti dello irraggiamento del ealor sot-
terraneo dall' ultima supei-ficie. Nel vero, notammo
più sopra che la coesione dell' interno del globo di-
venne maggiore a ogni poco per virtù di gravita-
zione e di compressione. E però gran copia di ca-
lore latente, o di etere condensato che tu il domandi,
usciva dal centro e propagavasi a grado per grado
alla superficie. Ma occorre di avere a mente che se
gran quantità di calore giunta per diffusione alla su-
perficie del glolK) di quindi sperde vasi per forza di
contiguità 0 d' irraggiamento, altra gran quantità suc-
cedeva a quella immediatamente pel crescere dell»
coesione e pressione centrale. Onde segue che non do-
vette il raffreddamento procedere dalla superficie in-
verso del centro ma per lo contrario dalle parti cen-
trali inverso le meno.
A.
407. — Che la materia non sia per tutto costituita
delle sostanze medesime, si proverebbe assai bene dalle
induzioni che i fisici tentano oggi di ricavare dalla
luce spettrale. Gonciossiachè pretendono essi che men-
tre nel Sole ardono 4nolte sostanze identiche a quelle
del nostro pianeta, altre invece vi fanno difetto; e fra
queste seconde citano l'oro, l'argento, il rame, lo zinco,
la strontiana, l'antimonio, l'alluminio, il piombo. Ora.
considerato che il Sole è della terra più grande quasi
^
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 407
iin milione e mezzo di volte, se ne potrebbe con-
cladere che a ragione di massa debbono sussistere
dentro al Sole altre sostanze numerosissime che il no-
stro globo non conosce. Il medesimo si arguirebbe
dall' altro fatto dello spettro solare, di contenervisi
doè non meno di tre mila liste oscure le quali sem-
brano corrispondere a varietà grandissima di sostanze
elementari in ai-sione. Ma, per mio giudicio, le analo-
gie speciali e strettissime che si vogliono ravvisare tra
la materia del Sole e quella del nostro globo argo-
mentando dai fenomeni della luce spettrale tengono
troppo ìnsino al dì d' oggi del congetturale e suppo-
sitivo.
408. — Tutto quello che conosciamo intorno alla
diversa luce irradiata dai nostri corpi e intorno alle
diverse specie di fiamma che si palesano nelle com-
bustioni naturali od artificiali, conferma la opinione
che bisogna onuinamente pel fenomeno della luce
un' attenuazione massima della materia ed una intera
scomposizione di tutte le forme molecolari. Il che viene
a dire che la fiamma e la luce provengono dalle spie-
gate e libere ondulazioni dell'etere nel modo che fu
descrìtto più sopra.
Aforismo X.
409. — Perchè poi le sostanze gazeiformi non po-
terono tutte disprigionarsi dalle masse metalliche e
salire alla superficie, rimase tra questa e gli strati
più bassi certo flusso di materie aerose e liquide. Eb-
bevi ancora l' adunamento di quel calore espresso dal
408 LIBRO TERZO.
centro e il quale per la compattezza delle roccie del
suolo abitato trova crescente difficoltà di espandersi.
Al che si aggiunse V altro calore emesso dall' involu-
cro della terra nel suo condensarsi e il quale parte
raggiava nell'atmosfera e parte scendeva per diffu-
sione allo strato dove cessavano le cause della coe-
sione più attiva e più rapida. Di quindi le acque bol-
lenti, le lave vulcaniche e i composti minerali che
anno origine certa dal fuoco. Di quindi pure i terre-
moti e il sollevamento delle montagne; fenomeni gi-
ganteschi all' occhio dell' uomo ; ma pure, per mio
giudicio, assai poco profondi nella cagione ed origine
loro se la si ponga in confronto della lunghezza del
raggio terrestre.
A.
410. — Nessuno qui obbietti che su nella luna,
sebbene non sia vestigio di atmosfera gazosa è non-
dimeno un involucro il quale appare assai più com-
patto e assodato del rimanente; il che s'arguisce con
buona ragione dal sollevamento di enormi montagne
e dalla frequenza dei crateri.
411. — Per isciogliere la obbiezione, basterà sup-
porre che quivi le sostanze aerose emerse dal fonda
vennero al tutto assorbite dalle combinazioni chimiche
con le basi metalliche od altri elementi ; nella maniera
che sulla terra il carbonio dell' aria venne pressoché
tutto assorbito dalla vegetazione (se è lecito dire) co-
lossale ed esuberante delle prime età.
Afobismo XI.
412. — Fu posto da noi per principio che all' etere
appartiene di suscitare continuamente e in qualunque
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 409
luogo le forze dei corpi, tanto che non h* abbiano fér-
mo riposo giammai ; ed anzi varcando d' un cambia-
mento in un altro pervengano infine a quelle compli-
cazioni particolari e sintetiche alle quali intende la
divina mentalità.
413. — Già vedemmo che V etere, ancora che nel
generale si equilibri con la forza di coesione, pure ad
ogni momento o lo rompe o lo rinnova o lo varia e
sempre con la virtù espansiva impedisce di quella forza
il dominio soverchio e durevole.
414. — Vedemmo altresì che le più minute e spe-
ciali combinazioni delle sostanze provengono dalle
azioni chimiche, e intendiamo dire da quelle congiun-
zioni e penetrazioni più intime che accader possono
fra materie differenti, onde poi nasce in natura la
cooperazione del simile e la partecipazione del di-
verso.
415. — Ma come ciascuna sostanza è fornita di
certo essere inalterabile e le combinazioni di lei sono
parimente determinate di qualità e di numero, occor-
reva una potenza universale e comune, la quale im-
pedisse che, adempiute una volta in questo corpo e in
cotesto tale acidificazione e tal combustione ed altri
atti di affinità, ne s^uitasse certa inerzia immobile e
permanente o per lo manco un trasmutarsi ed un
moversi troppo lento e troppo parziale.
416. — Quindi per insino dal suo primo apparire
r etere si mostrò provveduto di certa efficienza operosa
mediante la quale furono da ogni parte promosse le
affinità chimiche ; e per contra furono con gagliar-
dezza estrema disfatte le più tenaci affine di abilitare
1^ sostanze ad altre ed altre senza mai numero.
417. — Questo nella natura è V ufficio massimo
dello elettro-magnetismo; e perciò le correnti sue
410 LIBRO TERZO.
quanto si svegliano con agevolezza ad ogni mutare
di stato dei corpi, tanto sono diffusive ed abbracciano
forse anche tutta la terra e la pongono in peculiare
relazione col Sole, conforme accennammo in altra parte
di questo medesimo Libro.
afomsmo xn.
418. — È nostra massima metodica (e l'abbiamo
scritta delle volte parecchie) il combattere vivamente
r abuso frequentissimo che fanno i tìsici del principio
di unitìcazione, tanto che ad ogni pie sospinto dimen-
ticano le ragioni e cagioni del diverso e menano qua-
lunque cosa alla simiglianza e alla identità. Ciò non
ostante, trattandosi dell'etere, parvemi che l'unità sua
si accordasse troppo bene alle nozioni dell'intelletto
circa r orìginazione e 1' ordine della natura. Quindi
noi non dubitiamo di asserire che luce e calore, elet-
trico e magnetico sono funzioni e fenomeni d' una so-
stanza medesima ; nel che oggimai convengono tutti
gì' ingegni.
419. — Occorre per altro che i fisici maggiormente
si assottiglino a rinvenire nelF etere stesso un princi-
pio essenziale ed elementare di differenza ; pel che i
fatti spettanti al calore e alla luce rimangano natu-
ralmente divisi da quelli che lascia scorgere l'elettro-
magnetismo ; non si potendo in guisa veruna confon-
dere insieme le due serie di fenomeni ; tuttoché si
accompagnino volentieri insieme e tengano proporzioni
e corrispondenze esattissime in fra di loro e paiano
procedere mutuamente l'uno dall'altro.
420. — Ma se il calore, per via d'esempio, suscita o
modifica in molti casi l'elettrico e questo a vicenda pro-
move il calore, invece di ricavarne argomento per la
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 411
loro medesimezza, credo all'incontro che se ne debba
dedune una prova di differenza. Conciossiachè calore
ed elettrico sebbene per mio sentire non si risolvono
meramente in forma diversa di moto, certo cui moto
si manifestano. Ma in che guisa una stessa porzione
di etere potrebbe in identico tempo pigliare il moto
e le vibrazioni che sono proprie del calore e il moto
e lo scorrimento che sono proprie dell' elettrico ? Certo,
di due impulsi diversi dee di necessità risultare un
moto che non sia propriamente nessuno dei due; men-
tre nell'esempio allegato calore ed elettrico compiu-
tamente si distinguono uè si trasmutano in cosa terza
ma serbano e manifestano esattamente l' indole propria.
Uopo è dunque dì credere ad una distinzione e sepa-
razione primitiva ed intrinseca nell'etere stesso.
A.
421. — Pure i fenomeni della luce assai dispaiati
in fra loro indussero già alcuni fisici e geometri a
credere che nel fluido etereo intervenga alcuna diver-
sità originale e costitutiva come sarebbe un grado
disuguale di addensamento ovvero di elasticità; ed
alcuno pensò a dividere l'etere universale in zone va-
riamente riscaldate. A noi l' elettro-magnetismo si rap-
presenta come qualcosa di generale e comune ma tut-
tavolta di men sottile e di più veemente dell' altro
etere. E mentre luce e calore risolvonsi il piii del
tempo in moti di elasticità e vibrazione, l' elettro-ma-
gnetismo scorre e fluisce con la. propria materia quasi
un'aria più grossa che giri e viaggi nella nostra atmo-
sfera. Quindi è pur naturale, come fu toccato altrove,
che tal flusbione di materia meno sottile e però meno
elastica e più resistente scomponga le più intime con-
412 LIBBO TERZO.
giunzioni delle sostanze prodotte dalla chimica affinità
e superi la efficienza espansiva dell' etere calorifico.
Perocché, s'ella è meno sottile a rispetto dell'altro
etereo, vince nondimeno assaissimo la tenuità e mi-
nutezza d' ogni forma molecolare.
Aforismo Xni.
422. — Resta che girando da capo gli sguardi della
mente pel tutto insieme del cielo stellato e in quanto
(igli dee servire di mezzo e preparazione al mondo
morale o finale che il domandiamo, si determini alcuna
cosa di più intorno al suo destino comune e all'ordine
perpetuo delle sue parti. Noi producemmo più sopra
le sode ragioni perchè neghiamo di credere che i mondi
siderei compongano insieme una vivente organizzazione.
Tuttavolta, dicemmo allora che i sistemi solari, le
costellazioni e le coacervazioni di astri onde il firma-
mento è cosparso non furono del sicuro disposti qua
e là e ripartiti alla ventura. Ma i luoghi che tengono,
le figure che formano e le connessioni e rispondenze
che anno in fra loro tendono come ogni cosa in na-
tura ad esaurire il Possibile e il Convenevole della
materia strumentale e a moltiplicare e variare insino
all'estremo la cooperazione del simile e la partecipa-
zione del diverso.
423. — Però è da giudicarsi che tutti que' grandi
membri del corpo immenso degli astri, se tal nome
può darsi a tutto il complesso del firmamento, sono
chiamati a partecipare ed a ricambiare gl'influssi di-
versi che emanano dalla tempra differente di ciasche-
duno, come ciascheduno ricambierà prima gì' influssi
diversi de' suoi membri minori. Al che fare sarà pre-
veduto che F un sistema solare circoli o in modo qua-
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 41H
lunque sì aggiri intorno o frammezzo ad altri. Poi
venga quel sistema e cotesto o da sé o con mólti insieme
rapito e aggirato in qualche sistema maggiore per ef-
fetto forse di moti iperbolici, come sembra accadere
dei moti erranti delle comete. Cosi è lecito di pensare
che in lunghezza di tempo, maggiore assai d' ogni
estimazione e computazione umana, ogni parte del
firmamento visiterà di mano in mano tutte le altre :
imitando quanto è possibile a materia inorganica il
corso e Taggirazione de' nostri fluidi vitali che trapas-
sando per ogni viscere arrecano in quello la propria
virtù e per contra fanno gli elementi proprj parteci-
pare alle qualità di tutti ì composti pei quali trascor-
rono e ne' quali s'infiltrano.
424. — Quando questa legge non si avverasse nel
mondo sidereo, rimarrebbesi egli escluso dalla parteci-
pazione del diverso ; mentre per ciò che venne veduto
ne' Libri anteriori circa all' ordine dei finiti, si conobbe
essere legge costante e generalissima d' ogni parte
del creato che da per tutto vi sia azione e reazione
mediante il simile e il dissimile, l' omogeneo e l' ete-
rogeneo, così dentro a ciascun aggregato come di fuori.
In quel modo, impertanto, che nelle picciole masse
allato alla coesione opera l'affinità, certo fra i si-
stemi solari oltre la legge meccanica del moto passivo
ed attivo debbono svegliarsi molte influenze analoghe
all'affinità o vogliamo dire all'azione dei difiVrenti.
Afobismo XIV.
425. — Dopo ciò ed a fine che a noi tomi fattibile
di concepire una idea men gretta, meno determinata
e più esatta di tale coordinazione immensa e operosa
dell'universo, buono è di contemplar nel concreto e
414 LIBRO TERZO.
per via d' esempio particolare e visibile alcuna di que-
ste assioni continue dei mondi nei mondi. E però al-
ziamo di nuovo gli ocelli lassii nel cielo e rivolgiamoli
in quella regione dove
« distinta da minori e maggi
Lumi, biancheggia tra i poli del mondo
Galassia si che fa dubbiar ben saggi. >
426. — Guglielmo Herchel, come altrove acoennam»
mo, scopriva che la Galassia piegasi in forma di anello
la cui spessezza è pooa, molto majrjriore la larghezza,
della sua zona, smisuratamente più grande la circo-
lare lunghezza. A Guj^lielmo Herchel sembrò eziandio,
e il tedesco Argelander il venne poi confcrnuindo, che
il Sole co' suoi pianeti faccia parte della Galassia e
che per entro di lei si mova con indicibile velocità
verso un punto della costellazione di Eccole indicato
dagli astronomi con la lettem Lanida, cioè a dire
che il Sole trovisi al presente verso il confine interior
deir anello.
Om, egli è da sapersi che Giovanni Plana geo-
meti*a insigne speculando intorno a cotesti fatti e
adattandovi ingegnosamente le leggi dell' universale
gravitazione, à provato mediante suoi calcoli che una
stella posta in sul lembo esterno od interno del gran-
de anello della Galassia viene attratta di necessità
verso il mezzo della fascia di quella; e quivi giunta
poi non si ferma ; da che per effetto della velocità
acquistata nel suo correre rapidissimo debbe oltre-
passare il punto dell'equilibrio delle attrazioni e inol-
trarsi infino al margine opposto del detto anello. Ove
pervenuta e subito richiamata dalla gravità del punto
mezzano ritornerà indietro per l'acquistata accelera-
zione e rivarcherà da capo quel limite recandosi alla
COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 415
estremità esteriore; e così di continuo e senza mai
cessazione possibile discrorrerà fra i due termini come
spola in telaio.
427. — Ma qui è bisogno di ricordare il nostro prin-
cipio che pone che ogni corpo sidereo movendosi |»er IVirza
attrattiva suscita eziandio in se medesimo una virtù
motrice che è sua propriamente ed attiva mentre l'al-
tra è per effetto di azione ricevuta e alla quale gli è
necessità di obbedire. Da ciò segue che il nostro Sole
scorrerà dall'uno ali* altro lembo della via lattea non
rincalcando le stesse orme ma deviandone sempre in
certa misura; e così avverrà che egli per una strada
serpeggiante si condurrà a visitare tutte le parti del
grande anello; e ciò non una volta soltanto ma un
numero indefinito di vdte.
428. — Queste cose presupposte e accettate ognuno
intende che elle si applicano molto bene così al no-
stro Sole come a tutte le stelle che dentro al corpo
della Galassia a lui rassomigliano. Laonde conviene
figurare nella via lattea un intreccio maraviglioso di
astri ed anche di sistemi parziali di astri che scendono
e salgono a manii ra di meandri e non senza modifi-
cazione ed innovazitm*^ nelle qualità di ciascuno. Con-
siderato che [yer avvisare un cotale efletto di mutazione
basta supporre certa varietà originale e costitutiva di
sostanza nei gruppi numerosi di stelle per mezzo ai
quali scenderà prima e quindi risalirà il nostro siAtema
solare o tutto solo od accompagnato con altro maggior
sistema.
429. — Ne qui cadrebbe in acconcio la sentenza
platonica che nulla si move dove tutto si move. Pe-
rocché nella creazione corporale la quiete e la immo-
bilità non essendo termine mai assoluto, basterà dire
che i movimenti delle parti della Galassia sono a prò-
410 LIBRO TKBZU. »
i
porzione delle distanze lentissimi e che nel tempo cbo
un ostro si move, poniamo, dal lembo esteriore inyer&o
del mezzo, un altro per lo contrario vi torna onde hi
massa delP anello può dirsi che rimane sempre d' una
forma e d' una quantità. Oltreché le stelle mezzane
per virtù di equilibrio negli impulsi attrattivi poco o
nulla si sposteranno del luogo antichissimo, e colà
pure avverano esse il grande principio che sempre al-
lato alla mobilita debb' essere la permanenza e allatti
a questa il contrario suo.
LIBRO QUARTO.
DELLA VITA E DEL PINE
NELL' UNIVERSO.
Mamuki — li. tn
CAPO PRIMO.
DEL PRINCIPIO SPIRITUALE NELLA COSMOLOGIA.
I.
1. — Il finito può dilatarsi in due modi; o con
la moliiplicità e contemperanza dei simili e dei diversi,
e questo in varie maniere secondo abbiamo avvisato
più volte; ovvero con lo spiegamento e perfezionamento
successivo deir individuo, mediante una potenza di
facoltà originarie neir individuo inserite per atto di
creazione. Noi insino a qui abbiamo piuttosto accen-
nato cbe definito l'essere individuale fornito d'assai
facoltà ed invece venimmo designando, come portava il
subbietto, le limitazioni estreme e non valicabili entro
le quali egli debbe rimanersi per le deficienze generali
e non correggibili della finità. Oltreché, era conveniente
i'onsiderare da prima il finito nella sua molti pi icità
essenziale e le relazioni scambievoli delle sue parti,
a cosi domandarle, in quanto possono fare ufficio di
mezzo.
2. — Noi delineammo nel primo Libro ì confini
estremi e negativi dell' individuo e vale a dire 1' ul-
tima attenuazione dell'essere di là dalla quale più
420 LIBRO QUARTO.
non esiste subbietto alcuno determinato e concreto.
Conviene al presente avvisare il termine opposto e
cioè insino a qual segno può venire alzata original-
mente la forma individuale e impartibile d'un ente fi-
nito e particolare. Gonciossiachè in questa soltanto dei*
potersi attuare il fine della creazione che è la dispen-
sazione massima del bene assoluto. E la capacità del
bene guardato soprattutto nella specie più alta che è
la beatitudine, ricérca gran perfezione di essere. Kt»
basta che la natura inferiore aiuti e cooperi tutta-
quanta in condizione di mezzo e strumento. Imperoccliè
né i mezzi né gli strumenti valgono a tramutare la
essenza del subbietto sostanziale che ne fa uso. Senza
dire eh' egli debb' esser fornito della facoltà per ap-
punto di coordinarli e metterli in opera; e tanto me-
glio vi riesce quanto più signoreggia ì mezzi e gli
strumenti. Cotesto finito, pertanto, che dee racchiudei-e
in sé una qualche ragione di fine, dee per ciò racchiu-
dere molta perfezione propria e maggioreggiar gran-
demente in fra la moltitudine sterminata degli enti
che anno sola ragione di mezzo.
3. — E subito si raccoglie da ciò perchè entrando
a meditare sul Fine l'abbiamo altresì chiamato il
principio spirituale della cosmologia. L' individuo ca-
pace di bene è per necessità incorporeo; stantechè in-
dividuo vero non sarebbe, se non fosse impartibile e
semplice perfettamente ; e non sarebbe partecipe d'al-
cun vero bene, quando fosse sfornito di volontà e con-
sapevolezza le quali sono potenze che non anno na-
tura estesa e materiale. Per dilatazione poi dimanderemo
spirituale eziandio l'essere provveduto di virtù appe-
titiva piuttosto che di volontà, e lì cui beni sono cenni
e vestigi del bene vero come scorgesi chiaramente nogli
animali bruti.
DELLA VITA E DKL FINE NELL'UNIVERSO. 421
II.
4. — Però incontro alle toccate perfezioni dell'in-
dividuo stanno le perpetue necessità del finito che
noi rassegnammo nel primo Libro. Egli debbe posse-
dere neir intimo suo, e cioè nel subhietto siccome tale,
una forma di essere tanto determinata quanto sem-
plice. Quindi egli non può assumere questa entità e
quella e queir altra ad un tempo. A guardar la cosa
in astratto, diresti che gli possono venire attribuite
originalmente moltissime facoltà ed anzi innumerevoli.
Ma prima, dovendo riuscire omogenee col loro princi-
pio o subbietto, ognun vede che al numero e alla va-
rietà loro sono assegnati certi confini di là dai quali
quelle potenze e attitudini o comincerebbono a farsi
non coerenti e sproporzionate o l'adoperamento loro
non tornerebbe agevole, simultaneo e fruttuoso quanto
conviene, e diverrebbe di più in più complicato e con-
fuso. Tutto il che viene a ripetere la sentenza espressa
nel cominciamento di questo trattato, e cioè che il
finito è l'opposto della Unità; e l'individuo non può
aver perfezione se non in quanto partecipa della uni-
tà; e s' intende della piena unità, non della vuota ed
astratta.
5. — In secondo luogo osserviamo che l'individuo
del quale si parla non dee venir riguardato rispetto
solo air infinito di potenza che crea il mondo. Impe-
rocché simile potenza à quattro termini esteriori in
veduta e sono, qualmente si spiegò nel secondo Libro,
la Possibilità, la Convenienza, l' Attività e la indefinita
Partecipazione. La potenza increata ricusa per sé di
riconoscere altri limiti salvo quelli del possibile. £
tV nUra parte la infinita sapienza ponendo con inefifa-
422 LIBRO QUAKTO.
bile arte ogni cosa in suo luogo, tempo e congiunture
migliori serve mirabilmente alla latitudine sterminata
dei possibili. Seguita la bontà seropiteraa, che volendo
attribuire la massima fruizione del bene agli enti finiti
debbe condurli al grado massimo dell' attività, che è
insieme là pienezza e V apice della vita. In ultimo,
tutto questo debbe venire distribuito sì fattamente, che
ne risulti sempre ed in ogni dove il bene maggiore
al maggior numero di creature. Quindi bisogna che
r attività e la vita si compiano nella intuizione e
partecipazione diretta dell'Assoluto. Da ciò risulta
che le molte necessità e angustie avvertite nel pri-
mo Libro intorno alla finità, non pure non si dile-
guano mai assolutamente sotto gl'influssi dell'infinito;
ma nem manco nel generale possono gli enti finiti ri-
moverle e dilungarle a un tratto da sé con ismisu-
rato intervallo; ma ogni cosa nel mondo comparirà
procedere verso la perfezione sua con gradazione, tar-
dità, contrastamento e lavoro.
III.
6. — Pur nullameno, quel quanto di vera unità e
di vera individualità che possiede il finito capace di
alcun grado di bene lo rende altamente superiore di
nobiltà, di efficacia e di virtiì organatrice a tutti gli
elementi del mondo meccanico e chimico e a tutti i com-
posti loro. Per fermo, ciascuno di tali elementi è agli al-
tri simigliantìssimo in quanto uè li soverchia di potenza
e di facoltà in modo da subordinarli a sé, uè molU»
né poco a sé li assimila sottraendoli in parte o in
tutto al giogo ed alla efficacia delle leggi lor proprie:
e quando anche stia come centro in fra loro, é centro
materiale ed accidentale. L'atomo adunque e molt4.i
DELLA VITA E DEL FINE NELL' UNIVERSO. 425
laeno il composto di atomi ed ogni elemento del mondo .
meccanico non è un individuo neir accezione più
razionale e dignitosa della parola. Individuo può dirsi
•in concetto negativo perchè non à parti separabili,
ma pel rìmanente non già. È per esempio, il Sole
lisulta di un composto di atomi che può risolversi
tutto ne' suoi elementi senza che nulla rimanga per-
duto e disfatto dì lor natura. Per simile, nel Sole non
è vero centro; e il punto in cui s'equilibrano i suoi
componenti è matematico e astratto; e però significa
non già qualcosa di sostanziale e d' indivisibile ma il
risultamento d' un gran complesso di forze bilanciate
e omogenee. Del pari, il Sole sebbene occupa il mezzo
d' un ampio sistema mondiale e ne determina i moti, ciò
accade per la ragione delle masse non per la sua pe-
ttnliare e individua; e i pianeti che lo circondano forse
Io vincono a gran pezza di attribuzioni e d' efficacia
accogliendo sulla superficie loro le combinazioni della
vita vegetativa ed animale.
7. — Vero è d' altro lato che pur V individuo ca-
pace di qualche finalità rimane soggetto alle insuffi-
cienze da noi ricordate segnatamente nell' aforismo XV
e nel XVIII (Capo quinto, Libro primo) e però gli
sarà d' uopo di allargare il proprio essere coordinando
appo sé certo sistema e certa cooperazione di mezzi,
levandosi i quali, poco o nulla gli gioverebbero le
molte 0 poche prerogative di sua natura. Ma simile
ordine strumentale avrà condizioni differentissime da
tutto ciò che succede nel mondo meccanico e chimico,
e piglierà con buon diritto il nome peculiare di orga-
nizzazione; laddove le altre combinazioni e cospira-
zioni, a chiamarle così, di elementi e di forze non
trascendono mai la virtù delP automatismo, o dir vo-
gliamo della macchina.
4^24 LTBUO QUARTO.
8. — Per fermo, la macchina, e sia pure della natura,
non può infondere in se né fuori di sé potenze e leggi
diverse da quelle a cui per essenza propria obbediscono
tutte le parti che la compongono. Invece, nelF individuo-
organato esiste certa unità sostanziale e certo principio
superiore che subordina e modifica il tutto profonda-
mente e v' induce alcune leggi peculiarissime e diverse
a compimento da quelle a cui ciascun elemento mate-
riale di esso tutto obbedirebbe di necessità per la
forma ed essenza propria. Laonde cotesto medesimo
tutto organato e di tal guisa subordinato compone
esso pure una individualità ; e con assai più ragione
debb^ essere domandato un piccolo mondo che non que-
sta terra che abitiamo quando la si avvisi in dispartì;
dalla vita che alberga ma non produce.
IV.
D. — Tali cenni per al presente sono baste voK a
definire la diffei*enza profonda che corre tra il prin-
cipio spirituale ed il materiale o con altro vocabolo
tra la mezzanità e la finalità corrispondendo questa
agli esseri viventi e organati, quella al mondo mecca-
nico e chimico. Il perchè si vede infino in sulla soglia
di tal nuova trattazione come nel creato sono diversi
principj a diversa ragione di atti; e già neir ordina-
mento dei mezzi scorgemmo la necessità di distingue^'
sostanzialmente l'attrazione dalla coesione, questa dal-
l' affinità, r affinità dall' azione eterea e nel medesimo
etere due specie separate sebbene connesse. Il che ri-
petiamo contro coloro che s' infatuano oltre il debito
del simplex duntaXai et unum,
10. — Del rimanente, gli è manifesto ad ognuno
ohe nella creazione tornano necessarj gli esseri stru-
DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 425
mentali quanto ì finali, le masse e i corpi quanto
gl'individui. Di questi ultimi, ripetiamo, risulta il
mondo intero spirituale ; sebbene poi conviene distin-
guere in essi la forma puramente vegetativa dalla sen-
ziente ed intelligente, conforme verrà spiegato con am-
piezza più tardi ; e ciò che in generale separa e diffe-
renzia dalla materia i principj spirituali si è la
individualità e il soggiogar quella e organarla a pro-
prio strumento e sviluppo; e quindi per via di fatto
confermasi la razionale presunzione che V essere che à
ragione di fine non può sortire medesimezza di natuia
con Tessere che à ragione sola di mezzo.
11. — La serie poi dei principj spirituali debbe
rìuscire innumerabile nel quale e nel quanto come
tutte le serie della natura, non dimenticando noi per
altro che laddove apparisce la vera mentalità, la viva
coscienza e simili eccelsi attributi della personalità, co-
mincia una categoria d' individui supremamente più
nobile per lo intervenimento d' un principio al tutto
diverso che è la congiunzione dello spirito con la infi-
nita idealità.
12. — Ora non può negarsi che ragguagliando
r atomo materiale con uno di tali individui, ci pare
di scorgervi una diversità immensurabile. Tuttavolta
essa rivolgesi, chi ben la guarda, in negazione piutto-
sto che in altro ; e s' intende che l' atomo materiale
manca di tutta quanta la nobiltà e splendenza di es-
sere notata qui sopra nell'individuo razionale; e
nondimeno, 1' atomo à questo di comune con esso in-
dividuo che ancora che comparisca sempre esteso e
composto, pure convien pensare che termini in punti
non divisibili o vogliam dire in subbietti semplici e
inalterabili, e che però 1' atomo, o meglio ciascuno di
essi punti può congiungersi all' individuo spirituale
426 LIBRO QUARTO.
con varj legami di causa e di effetto; e cioè, da un
canto con legame reciproco di azione efficiente in
quello che i due subbietti anno di simigliante (sia poco
od assai) e l'individuo à d'inferiore (se può dirsi) nei
gradi dell'essere; e d'altro canto con legame di ecci-
tazione o di semplice occasionalità per le parti supe-
riori e le più differenti dall' uno all' altro.
13. — Ne già si nasconde che la materia pur rice-
vendo l'atto efficiente dello spirito, e quando anche
non lo ricambi, rivela con ciò solo qualche rapporto di
simiglianza; imperocché il tutto diverso nettampoco
è passivo e non à facoltà di accogliere l' atto este-
riore diverso. Ma ricordiamoci che fuori degli op-
posti i quali si negano compiutamente, il simile e il
differente non sono assoluti, e che il tutto diverso
venne per appunto definito da noi quella specie di en-
tità che oltre al differire sostanzialmente da altro es-
sere, nettampoco gli si connette per qualunque rela-
zione causale attiva o passiva.
14. — Nessuna impossibilità metafisica è da ricono-
scere per tanto nella congiunzione temporanea ed ac-
cidentale dello spirito e' della materia. L' atomo ma-
teriale sempre si accompagna coi simili a lui; e intendi
eh' ei si manifesta e opera sempre come un aggregato
e un composto. Ma ninno à provato e non vi perverrà,
credo, giammai che al semplice venga interdetto di
congiungersi in una volta con parecchi semplici ossia
col composto. Che s'egli si può congiungere, può ezian-
dio ricevere i loro atti, tanto che facciano uno dentro
al suo spirito, e fuori dello spirito si dividano nel mol-
teplice.
15. — Vero è che i semplici corporei, o vogliam
dire gli atomi, sono sempre estesi laddove lo spirito è
compiutamente inesteso. Ma si badi che eziandio gli
DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 427
atomi negli estremi loro elementi sono inestesi salvo
che sono congiunti allo spazio e nello spazio appari-
scono ; quindi V azione loro cumulativa si manifesta
mai sempre in certa estensione e genera il fenomeno
del continuo resistente. E questo medesimo spazio, nel
subbietto universale che à, riesce cosa irapartihile, e
tatti i suoi modi estensivi e quantitativi risolvonsi in
meri fenomeni. Che cosa, impertanto, debbono venir
giudicate le divisioni e separazioni materiali? Certo,
disgiungimenti di gruppi di forze accompagnati sem-
pre da fenomeni rispettivi di estensione e di spazio e
i quali disgiungimenti mai non fanno sparire in com-
piuto modo i gruppi medesimi e solo li smembrano e
li assottigliano.
16. — Ma le forze corporali o gli atomi per essere
immancabilmente congiunti allo spazio non per ciò
s'immedcbimano al tutto con esso. Chi pensa tal cosa,
confonde la identità dell'essere con la congiunzione
degli esseri. E parimente la espressione che gli atomi
sono nello spazio vuole a giusto modo significare certo
atto di congiunzione e non mica una sostanziale ine-
renza come parrebbe indicare il segnacaso in e come
si avvera, per esempio, nella virtù motrice ; dacché la
virtù motrice è inerente in fatto agli atomi o forze
movevoli ancoraché l'effetto si manifesti quindi al
di fuori per fenomeni di spazio.
17. — Perchè poi ciascun atomo di materia si
trovi in questo originale e, a ciò che sembra, essen-
ziale congiungimento con lo spazio di guisa che ogni
operato loro non mai si discioglie da qualche fenome-
no di estensione, io non l' andrò ricercando ; atteso che
credo dover rimanere sepolto alla umana meditazione,
e solo é da concederne la notizia e la scienza a coloro
che convertono lo spazio nella esteriorità dell'idea e
428 LIBRO QUARTO.
creano l'estensioue col punto e col tempo; il prima
che non à fiato di estensione, il secondo che à succes-
sione ma non à spazio ne moto.^
18. — La monade spirituale perfetta del sicuro è
fuor dello spazio e la sua essenza non punto la lega
ad esso a maniera indissolubile. Tuttavolta, congiun-
gendosi intrinsecamente con gli atomi materiali, si
congiunge altresì allo spazio sebbene accidentalmente
e mediatamente; e ancora che non sia estesa, opera
nello es'teso. Intendo per monade spirituale perfetta
r anima razionale. Rispetto alle monadi vegetative ed
organiche, le quali per dilatazione appelliamo principi
spirituali, discorreremo tra breve.
19. — Dopo ciò, dimostrato avendo che tra la ma-
teria e lo spirito non sono impossibili le relazioni
causali e la penetrazione degli atti, noi per iscansare
la malagevole spiegazione e dichiarazione di tali rap-
porti non cadremo in vernn paradosso, come fecero più
metafisici, ora negando la esistenza della materia, ora
quella dello spirito ed ora trasformando a piacere
r uno neir altro, ovvero immaginando teoriche le quali
se forse scampano dalla suddetta difficoltà, rovinano
in parecchie contraddizioni, siccome incontra, per mio
giudicio, all'ipotesi dell' armonia prestabilita e alla
dottrina che domandano occasionalismo.
20. — Per fermo, qualora si ammetta come verità
chiara e patente che la idea o possibilità astratta che
la si chiami tiene facoltà di attuarsi nella natura
finita e particolare e dall'eterno discendere nel tem-
porale, dall'assoluto involgersi nel relativo e farsi
larga, lunga e profonda, ogni cosa apparentemente è
spiegata e tutto può uscire da tutto. Ma cotesto me-
Hegel.
DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 429
tamorfosi sono più incredibili assai di quelle dei poeti,
e convien ripetere con V Alighieri
« Taccia di Cadmo e d'Aretusa Ovidio. »
V.
21. — Né d'altra parte professandosi invittamente
da noi la dottrina delle essenze diverse ed inalterabili
possiamo in nulla partecipare alla opinione oltremodo
diffusa al dì d'oggi in Alemagna che la materia e lo
spirito sieno termini relativi e nulla d' assoluto non
sia neir uno e nelF altro. Vero è bene che non accade
di porre fra la materia e lo spirito quell'abisso pro-
fondo né quella specie dì alienazione e di odio che vi
j)one il volgo, tanto che la materia diviene sinonimo
di tutti ì mali e d' ogni sconcezza e bruttura. Che so
fosse tale, nemmanca sarebbe mezzo e strumento a
buon fine.
22. — Alla psicologia poi appartiene il mostrare
con prova apodittica che la sensazione e la percezione
porgono notizia certa e scientifica della sussistenza dei
subbietti esteriori corporei e dovere in questi spiegarsi
un ordine di qualità e di atti correspettivi ai feno-
meni eh' essi subbietti medesimi promovono od occa-
sionano dentro di noi.
Similmente mostrano le dottrine da me professate
che il concetto chiaro e peculiarissimo del fuori di noi
ci attesta per sé solo la realità dello spazio ; tuttoché
non sappiasi definire preciso nei fenomeni dell' esteso e
del resistente continuo quello che lo spirito v'intro-
duce, ossia il modo col qual riceviamo l' atto della re-
sistenza esteriore corporea e più in generale le forme
e determinazioni dello spazio.
430 LIBRO QUARTO.
23. — Concedesi volentieri che la distinzione fra I0
ijualità primarie e le secondarie de' corpi non esce da
divei'sità veruna di essenza; e che le une e le altre
serbano T alternazione di una serie di fenomeni alla
quale risponde una serie obbiettiva e reale di qualità,
di atti e di relazioni. Per fermo le qualità domandate
primarie sono le più generali e costanti. Laddove le se-
condarie dipendono in buona parte dalla costituzione e
passione de' nostri organi. Ma questi medesimi organi
sono pur fuori deir anima, e la loro sostanza e disposi-
zione soggiace a frequentissime modificazioni dallo spi-
rito indipendenti. Egli è il vero, per via d' esempio, che,
tolto di mezzo l'apparecchio dell'organo dell'udizione,
non si sveglierebbe entro noi la sensazione dei rumori
e dei suoni. Ma eziandio quell' apparecchio mirabile
tornerebbe inoperante ed inutile, quando 1' aria non
fosse capace di quei tremori così svariati le cui leggi
impariamo nei libri di Acustica.
24. — Rimane, pertanto, certissimo che fuori dello
spirito sussistono i corpi ; ed ogni genere di percezione
rinviene all'esterno un certo ordine correspettivo di
fatti e certe rispondenze continue ed esattissime nello
stato di essi corpi.
25. — Queste generali distinzioni e definizioni tra
la natura di mezzo e la natura di fine occorrevano al
principio del Libro presente; le quali poi ci condussero
per legamento logico a discorrere per sommi capi della
diversità e dei legamenti causali tra la materia e lo
spirito. Seguita che noi raccogliamo, secondo nostro
uso, la sostanza del tutto in certo numero di aforismi,
porgendo al lettore quel saggio di teorica deduttiva
che non è temerario oggi d' iniziare e di esporre in-
torno al proposito.
DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 481
CAPO SECONDO.
PRIMI AFORISMI SULLA FINALITÀ
DEGLI ENTI CRBATL
Afomsmo I.
26. — Poiché v' à uno stupendo e immenso apparec-
chio di mezzi, certo l'universo racchiude eziandio altret-
tanta varietà e immensità di esseri in cui si attua e
splende la ragione del fine. E come per la contempla-
zione del fine siamo pervenuti a determinare per ad-
dietro la natura dei mezzi e degli apparecchi, ora dalla
cognizione di tutti questi procederà la notizia deter-
minata e particolare degli enti inverso de' quali sono
disposti e coordinati.
A.
27. — Gli enti con ragione di fine parrebbe doves-
ì>ero riuscire più numerosi degli altri in quanto la na-
tura pone volentieri in opera un mezzo solo al conse-
guimento di più fini, come la lingua e il palato che
servono si al tatto, al gusto e alla prima digestione
e si alla parola ed al canto e quindi al pensiere ed
air arte musica. Ma viceversa, la natura adopera al-
cune altre volte più mezzi in verso ad un solo fine ;
come quando nei vegetabili accerta la propagazione
delle specie e con la fecondazione e con i tralci e i
germogli e persino con le semplici foglie. Ma questo
432 LIBRO QUARTO.
computo non' è agevole a farsi ed anzi impossibile.
Dacché i fini relativi e inferiori sono mezzi e strumenti
a fini pili alti e prossimi all'assoluto. E d'altra par-
te, se ogni atomo di materia à ragione di mezzo e tu
lo consideri com' esistenza separata, la loro moltipli-
cità oltrepassa ogni proporaone con l'altre sorte di
esseri. Ad ogni modo, 1' esperienza ed il raziocinio s'ac-
cordano ad attestare che quanto gli esseri sono più
perfetti e però partecipano con più abbondanza del
fine, altrettanto riescono meno numerosi perchè sono
r ultimo eflFetto del travaglioso operare di mille cause
minute e l'ultimo risultamento di lunghe serie di
ostacoli superati e d'insufficienze supplite.
Aforismo n.
28. — Chiaro è che la onnipotenza della cagione
spiega eziandio negli enti finali la sterminata moltipli-
cazione dei generi e però del diverso; e nei generi la
sterminata moltiplicazione delle specie e però del vario ;
spiega poi altrettanta moltiplicazione degli individui
e però del simile in ciascuna diversità di genere e
varianza di specie.
19. — Ne appo gli enti che chiamiamo finali il di-
verso si stringe alla sfera della quale ci è lecito pi-
gliare alcuna notizia od alcuna divinazione; ma qui
pure noi replichiamo che i confini dell' affatto diverso
si stanno estremamente remoti e di là dal segno
d'ogni nostra immaginazione e cogitazione. Eccetto
che, trattandosi di esistenze in cui s'adempie il bene
vero e reale, forza è che vi apparisca 1' unità del-
l'individuo l'attività e l'intendimento; soppressi i
quali, è pure il bene vero soppresso, nel modo che
venimmo sponendo in altra parte dell'opera.
DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 433
Aforismo III.
30. — Nessun principio ristringe la reiterazione di
ne medesimo qualora non ne venga impedito ; quindi
né la reiterazione pure degli enti finali à per sé alcun
termine. Imperocché noi vedemmo nei Libri anteriori
che la creazione é incessabile ed é tale in tutte le cose
e non meno rispetto alla quantità che alla qualità. I
limiti poi dell' una e dell' altra provengono dal dover
essere i finiti mutuamente compossibili e del pari dal
non riuscir compossibili certe mischianze molto com-
plesse e estremamente implicate dell' identico e del
diff'erente. Perciò nel generale tanto pili di leggieri
moltiplicano gli enti organati quanto sono più sem-
plici.
31. — Ma la vita sarà da per tutto dov' è materia cn -
pace di qualche organismo ed avrà limite più pre^^to
dal lato della materia che dal lato dei principj vivifica-
tori ; conciossiachè a questi non sono prescritti i confini
di certo spazio e di certa misura come al pianeta ch^*
abitiamo. La qual verità é testimoniata con abbon-
danza dal fatto. Che veramente i germi vitali sono in-
finiti né v' à minima parte dell' aria, della terra e del-
l' acqua dove non dimorino, solo aspettando ohe io
forze e disposizioni ambienti permettano loro di svi-
lupparsi. E quello che l' esperienza ci mostra d'intorno
a noi dobbiamo pensare che accada in qualunque lato
del mondo visibile dove sia materia disposta ad orga-
nizzazione e in altri mondi eziandio non visibili, ai
quali non può mancare né l'ordine degli enti finali
né certa concomitanza d'idonei mezzi e strumenti.
MkHìkni - 11. *iK
434 LIBRO QUARTO.
A.
32. — Degl'insetti si conoscono a un dipresso cento
ventimila specie diverse e v' à alcuni luoghi in Ame-
rica dove sono copiosi e molesti al segno da fare ira-
possibile air uomo il viverci. Né alcuno ricerchi se le
miriadi di tali enti nocivi od inutili adémpiono la fina-
lità ovvero la contraddicono. Primamente, la forza vi-
tale espande sé medesima per la necessità sua intrin-
seca ; e di tutte le combinazioni fattibili fra la materia
e un principio vitale qualchesissia nessuna può man-
care dì effettuazione se forze contrarie non interven-
gono. E le forze contrarie non punto difettano qualora
si volga r occhio alla totalità dei fenomeni. Nel vero,
molte specie d' insetti depongono le uova loro sulle
larve di altri insetti i quali con lo schiudersi di quelle
uova rimangono uccisi ; senza parlare del gran nume-
ro d' uccelli e d' altri animali che se ne cibano conti-
nuamente e pur tacendo della limitazione che reca
assai volte al lor propagarsi la scarsezza delle piante
di cui si nudriscono. Ma l'arte e perseveranza del-
l' uomo giunge a purgarne l'aria ed il suolo con suffi-
cienza; e quando gli fosse sp^diente di far dimora nelle
vallate dell' Orenoco testé ricordate, rinverrebbe certo
alcuna maniera di liberarsi da quelli sciami fastidio-
sissimi.
33. — Del resto, tali cento venti mila specie d'in-
setti ci dimostrano da capo la infinità del possibile a
rispetto dell' organismo. Ma la saggezza altresì infinita
che abbiam chiamata arte divina di Conveni'^.nza ci è
sopramodo più malagevole a discuoprire e ad inten-
dere in tale subbietto perchè dei rapporti innumera-
bili che lega quella sorta di viventi alla economia uni-
DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 435
versale del mondo, appena una minima parie ci è co-
nosciuta.
B,
H4. — Venne fatta da parecchi fisiologi una sin-
golare investigazione e fu di sapere se la quantità
della vita scema sul mondo o s' accresce, ovvero se nei
confini medesimi si conserva. £ come spuntò fuori il
pensiere d'introdurre la quantità nella vita? Puoi tu
contarla veramente a pezzi e minuzzoli? e di qual mi-
sura ti servirai nel tuo calcolo? Certo è impossibile
avvisare e sapere la quantità estensiva degli enti or-
ganati se intendiamo per ciò il numero degl'indivi-
dui ; ed esso non è mai fermo un solo momento ; ma
varia continuo pel variare degli accidenti. Sapere il
numero delle specie è cosa fattibile, sebbene lunghis-
sima e travagliosa e sempre mai incompiuta ; che le
specie minutissime si nascondono ad ogni ispezione la
più diligente; oltre il dover noi per sempre ignorare
le specie innumerabili appai*se nelF epoche geologiche
e delle quali non è rimasta veruna spoglia e vestigio.
Sopra tutto ciò riluce una sola massima generale ac-
cennata da noi delle volte parecchie, e cioè che l' infi-
nito del possibile dee comparire nell'organismo quanto
nella materia inorganica.
35. — Meno singolare a noi sembra il chiedere in-
tomo al proposito la quantità intensiva, e intendiamo
se va declinando o crescendo sulla faccia del globo la
vita più ricca di facoltà e provveduta di maggioro eccel-
lenza di organi. Sotto questo rispetto e ricordando le
cose per addietro ragionate non si dee dubitare che
sul nostro globo crescendo l' attuazione del fine ^i cre-
sce altresì la perfezione della vita ; al che basterebbe
la maggiore propagazione e la migliore civiltà del go-
436 LIBRO QUARTO.
nere umano. Ma v'à di più; che l'uomo, conforme si
toccherà in altro luogo, pur seguitando il proprio m-
teresse e l'intento dell'utile, mantiene e propaga ab-
bondantemente le specie animali meno imperfette cli<^
sono quelle in cui si aduna, per sì dire, la maggiore in-
tensità della tita.
AroBisMo rv.
36. — Ooteste esistenze qualichessieno se anno ra-
gione di fine sono superiori e più nobili al riscontro
di ogni mezzo. Ma nell' ordine delle realità, ciò che è
superiore e più nobile significa una reale maggioranza
nelle primalità dell'essere, come la potenza, l'unità,
la individualità, la vita e simigliane. Maggioreggia.
dunque, cotesto essere, e vale a dire eh' egli è fornito
di più attitudini; quindi partecipa di qualche grado
di più alla unità vera, la quale consiste non nell'at-
tenuazione estrema e indivisibile dell' esistenza ma
nella sua pienezza che è tutto e semplice al tempo
medesimo.
A.
37. — Simile ente finale avanza in dignità e su-
pera d'importanza tutti i sistemi solari aggirantisi per
lo spazio. Onde fu molto bene asserito che la gran-
dezza smisurata d' un astro e la sua lucentezza con-
tinua e la sua durata quasiché eterna e la velocità
portentosa danno meno da pensare e maravigliare ai
filosofo che una farfalla od altra sorta di vivente seb-
bene non vi risplenda se non il fine relativo e qual può
uscire dalla cospirazione di puri mezzi naturali.
38. — Ancora si può notar con ragione quanta
parte del mondo corporeo piglia nobiltà e importanza
DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 437
dal nostro spirito per le relazioni che qnesto v' induce
con r assoluto del vero e del bello. Ne vuoisi dire con
ciò che la natura non sia né vera né bella. Concios-
siachè i termini della relazione come possono rima-
ncrsi alieni dalla essenza di lei ? £ d' altra parte, ogni
rivelazione deir Assoluto neir uomo non è subiettiva
ma sostanziale e obbiettiva. Certo, la soavità e va-
ghezza delle armonie non è originata dalle ondula-
7.i«mi e vibrazioni sonore dell' aria, sì bene dalle in-
tuizioni nostre della bellezza musicale ; e si affermi al-
trettanto per la leggiadria dei colori e la magia delle
prospettive. È il diamante carbone impietrito e la
perla una escrescenza forse morbosa d'alcuni molluschi.
Ji' oro e r argento giacciono informi e appannati den-
tro le roccie. Ma trapassate queste cose alle mani del-
l' uomo acquistano avvenenza, espressione e decoro di
/irte plastica. Per simile, il fluido elettrico gira le sue
<orrenti ordinarie per li fili telegrafici come in altre
infinite sostanze materiali od organiche; ma solo per
r industria dell' uomo fannosi strumento al pensiero e
vincendo tempo e distanza mettono in congiunzione
immediata i divisi intelletti. Di cotal maniera la di-
gnità e nobiltà effettiva dell' ente finale rifluisce sulla
natura e sugli enti inferiori che non possiedono altra
ragione salvo quella del mezzo. £ chi ravvisa in que-
sti fatti solo un accidente dell'essere umano e certa
maniera umana di giudicarli e di farne uso piglia in-
ganno grave, per nostro avviso, e fraintende la vera
realità dell' ordine cosmico.
Afobismo V.
39. — Ma quest' abbondanza di attitudini non solo
è avversata dalle insufficienze e necessità registrate
438 LIBRO QUARTO.
e descritte nel Libro primo, ma sì da quelle che espone il
Libro secondo laddove insegna che ancora che i possibili
sieno infiniti ei non divengono coerenti e non si ordi-
nano e non cooperano al bene, salvo che per la Conve-
nienza che la saggezza eterna introduce fra essi; il
perchè ogni ente finale non può riuscire diverso e mag-
giore di quello che porta il cumulo delle sue relazioni
e delle sue proporzioni, a così chiamarle, con tutto il
rimanente. Sopra ciò, v' è continua ed instante la ne-
cessità neir ente finale di essere attivo e nelF attività
crescere indefinitamente. Da ultimo, la misura dell'es-
sere suo debbe eziandio venir rafi'rontata con lo inten-
dimento perpetuo della bontà sovramondana, la qual
vuole di certo il bene maggiore di ciascun ente finale,
ma in guisa che non tolga mai luogo alla diffusione
perenne di esso bene al maggior numero di creatura*.
Afoeismo vi.
40. — D'altra parte, l'ente finale non meno d' ogni
esistenza finita à mestieri di eccitazione esterna; e si-
milmente compie fuori di sé lo spiegamento delle sue
facoltà, imperocché egli non basta a sé in sé stesso.
(Libro primo, aforismo VIIL)
41. — Chiaro é dunque che all'ente capace di fina-
lità è bisogno l' operar sempre e l' operare utilmente
fuori di sé. Il che porta la esistenza di altri esseri
inferiori e subordinati e forniti per ciò medesimo della
sola ragione di mezzo.
Aforismo VII.
42. — Ma il mezzo non può essere uno numeri-
camente né semplice privativamente; che sarebbe non
DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 439
frequente, non vario e non trasformabile quanto è
mestieri a supplire a troppi bisogni ed insuflSeienze.
43. — Occorre adunque che l'ente finale operi sul
molteplice, e questo possa venire adunato nell' ente
finale, o gli aderisca o gli si accosti sotto qualche forma
di unità.
Ecco il gran punto della congiunzione dello spirito
con ia materia. E nessuna impossibilità interviene fra
la copulazione dell' Uno col Più quando entrambi si
rimangono separati di subbielto e solo interviene la
compenetrazione degli atti.
44. — Che poi il molteplice esterno sia materiale,
e cioè un composto non riducibile e sempre commisto
ai fenomeni dello spazio, non tramuta la essenza del
fatto ; come del pari non è impossibile che tra ter-
mini tanto diversi quanto sono materia e spirito, sem-
plice e composto, uno e molteplice, intervengano rela-
zioni causali di varia sorta e cioè relazioni di eflScienza
di provocazione e- di mera occasionalità. Imperocché
ciò vuol dire unicamente che la difi'erenza di essere
non giunge al segno d'impedire quei difi'erenti rap-
porti causali.
Aforismo Vin.
45. — Che se l'ente finale operar dee sul molte-
plice esterno, e questo essere a lui inferiore e servirgli
in tutto di mezzo e strumento, chiaro è che al molte-
plice dee toccare una forma di essere quale appunto
avvisiamo nella materia. Perocché mentre nel molte-
plice esterno è necessario che sia un qualche principio
intimo e proprio di mutazione, senza il che non sa-
rebbe atto nemmanco alla virtù strumentale, d' altro
lato non vi dee sussistere alcun principio essenzialmente
44() LIBRO QUAUTO.
attivo e spontaneo, atteso eh' ei non serberebbe al-
lora r umile natura di mezzo e non riuscirebbe infe-
riore in ogni frangente e subordinato.
46. — Ciò posto, noi già divisammo nel primo Libro
come lo spazio la estensione ed il moto risolvono co-
testo punto e danno al molteplice esterno la possibi-
lità perenne di mutazione con tale uniformità e fata-
lità inalterabile che sembrano convertirla in qualcosa
di unicamente passivo e d'identico quasi al principio
opposto della inerzia e della immutabilità.
A.
47. — Ma qui pure e' imbattiamo nelle limitazioni
0 discrepanze d' ogni ente creato. Conciossiachè quanto
il mezzo è più subordinato e passivo, altrettanto scema
la varietà delle sue attitudini e la intensità dell'azio-
ne sua sopra le cose esteriori. Quindi si vedrà più in-
nanzi che tra lo spirito e la materia passiva ed inerte è
spediente che intervenga qualche essenza intermedia, la
quale incorporatasi con la materia bruta serva d' istru-
niento flessibile e moltiforme al principio spirituale.
48. — Cotesto chequi accenniamo è legge costante
e generalissiraa che gli sperimenti e giudicj umani tut-
tora confermano. Adoperi tu nelle tue bisogna la ma-
teria bruta più inerte? Ne starai bene, se cerchi e do-
mandi stabilezza, immobihtà e resistenza; ne starai
male, se ti occorre attività, movimento e arrendevolez-
za. Dalla macchina a vapore, invece, la scienza e l'arte
ricavarono un ordigno maraviglioso di attività e di
forza. Ma quanto difiScile e rischioso il maneggiarla e
dirigerla ! L' elettrico ti serve ad usi minuti e delica-
tissimi a' quali farebber difetto le forze meccaniche e
chimiche, ma ti si alterano ad ogni momento i con-
DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 441
g^ni e le uiacchinette e perchè vi è dentro soverchia
mobilità e flussibilità di elementi che assai di leggieri
sottraggonsi alla tua signoria. Ma d; questo hactenus.
Afobismo IX.
49. — Dalle cose poi discorse ne' Libri anteriori noi
siamo chiari che T ente finale operando fuori di sé sul
molteplice dee ri trarne augu mento di essere nei modi
già registrati assai volte, e s' intende con la coopera-
zione del simile, la partecipazione del diverso, la mi-
stione dei due e la cospirazione delle parti o vogliani
dire il macchinismo ; e che tutto ciò gli serva a spie-
gare e applicare le facoltà proprie e native.
Aporismo X.
50. — Ma in questo può di leggieri celarsi una
])etizion di principio. Conciossiachè come diverrà, per
i«emp)o, l'ente finale capace di ordinare il molteplice
in foggia di macchina e convertirlo in proprio stru-
mento, se già non sia provveduto d' alcun macchini-
smo? Che questo è il caso propriamente di chiedere
i|ual fosse dell' incudine o del martello costruito
))rima.
51. — Necessità è dunque che 1' ente partecipe
<lella finalità e del bene assuma per virtù innata certi
rudimenti di naturale e immediata organizzazione ; e
ciò vuol dire che sia in quell' ente la facoltà di at-
trarre a sé ed assimilare il molteplice esterno, modi-
ficando con la virtii propria la essenza di quello tanto
(he componga con esso lui un tutto che si distingua
e ^pari dall' universale e formi un sistema partico-
lare nel grande sistema.
442 LIBRO QUARTO.
52. — Ognun vede che tale attrazione ed assimila-
zione del molteplice esterno snpera di eccellenza qua-
lunque specie di macchinismo e con altro vocabolo
quivi la macchina è in vero organo trasmutata. E deesi
chiamare organo con rigor di espressione quel com-
plesso di forze coordinate al quale V ente finale parte-
cipa la unità e natura propria, di guisa che l'organo paia
esterno ed interno, stia mezzano fra due essenze e obbe-
disca all'ente unificatore con assiduità docilità pron-
tezza e immediatezza perfetta.
A.
53. — Cotesta definizione conferma abbondante-
mente il detto più sopra nella nostra nota all'afo-
rismo VII. Che veramente il cumulo delle doti ed
attribuzioni qui enumerate e onde risulta l' idea com-
piuta dell' ottimo degli strumenti racchiude in se
maggiore sforzo e maggiori difficoltà che altri non
penserebbe. L' organo doeilissimo in ogni tempo ed
azione perdendo della propria energia e acquistando
dell' altrui torna meno efficace sul diverso mondo est*»-
riore al quale meno assomiglia.
AroRisMo XI.
54. — Dopo tali definizioni l' ente finale di cui par-
liamo piglia nome d' individuo, usando cotesta voce nel
silo pieno e legittimo significato, il quale è dell'ente
che partecipa dell'unità in modo da emanarla fuori di
sé e diventare un tutto connesso ed unificato di variate
potenze e determinazioni ; e sarebbe alla greca doman-
dato con gran proprietà ente polidinamos.
55. — Fassi poi evidente che la spiritualità è con-
DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 443
dizione essenziale di simigliante individuo. Imperoc-
ché non solo è uno e semplice, ma dee racchiudere
un qualche principio di schietta spontaneità e di at-
tiviti innata e perenne; e per attingere il bene vero
gli occorrono le doti eccelse della personalità che tutte
sono spirituali; e pure il conseguimento d'alcun bene
caduco ed imperfettissimo ricerca la partecipazione di
qualche attributo dello spirito nella maniera che spie-
gheremo a convenevole luogo
56. — Ora, a questo che domandiamo compiuto
individuo appartengono di necessità le infrascritte
cose. Primamente gli appartiene, come si disse, certa
unità sostanziale e certa potenza unificatrice. Atteso-
ché, se non si appropria intrinsecamente e però non
unifica a sé l'ambiente natura in certa porzione ed
in certo modo, egli rimane incapace di vera dilatazio-
ne di essere. Ma perciò medesimo, tuttoché venga dal
di fuori eccitato, conviene che dal di dentro si attui
ed operi intorno di sé, diversamente da ogni esistenza
del mondo meccanico alla quale fa sempre difetto la
sostanziale unità; e gl'incrementi ed aggiungimenti
succedono sempre dal di fuori e secondo le forze e
gl'impulsi della materia aggregata. In terzo luogo è
da giudicare che non può il prefato individuo adem-
piere in un sol tratto la dilatazione dell'essere pro-
prio e r unificazione dell'ambiente natura. Ma questo
avverrà certamente a grado per grado e vincendo le
resistenze che debbono a forza opporre 1' esterne so-
stanze alla virtù assorbente ed unificatrice ; a tutto il
che l'uso moderno impone il nome di sviluppo e ge-
neralmente si dee chiamare esplicazione e perfeziono
dell'individuo.
57. — Puossi opportunamente fare il quesito se la
materia assimilata rimarrà sempre la stessa od inve-
444 LIBRO QUARTO.
ce le sia necessario di sempre mutare. A ciò la scienza
rende risposta diversa secondo il variare dei supposti.
Che se la natura ambiente diversifica molto poco dal
principio spirituale a cui si annoda e s' incorpora non
à mestieri di mutazióne e flussione continua. Il con-
trario debbe accadere nell' altro supposto. Conciossia-
chè allora il principio spirituale costringe o violenta,
se è lecito dire, l'appropriatasi materia; quindi non
può dimorare assai tempo in condizione contraria alla
essenza sua peculiare ed ingenita. Però si fa necessario
il flusso incessante e rinnovatore delle ambienti so-
stanze.
A.
58. — Da ciò è provenuto che in ogni tempo V uo-
mo à giudicato possibile la costruttura di organi meno
assai corpulenti di quelli onde ora è fasciato; e dietro
tale concetto i poeti d' ogni nazione parlarono di silfi
e di genj tramezzanti tra 1' uomo e gli Dei immortali
e forniti d' un corpo estremamente sottile agile incor-
ruttibile e forse anche invisibile. Il Tasso nel Messag-
giere ragionando in sentenza platonica studia di pro-
var l'esistenza dei dèmoni con l'argomento ingegnoso che
la natura mai non va per isbalzi e che fra gli angioli e
l'uomo dee tramezzare una forma di enteil qual partecipi
delli due, e però non sia tutto spirituale come gli an-
gioli sono e d'altra parte non abbia corpo caduco e
necessariamente mortale come l'abbiamo noi. Non
badò il grand' uomo che innanzi di conchiudere l' ar-
gomento era d' uopo di ben dimostrare che sia possi-
bile in fatto la sussistenza perpetua d' una niateria
organata. Il nostro aforismo significa quello che può
la scienza rispondere intorno al proposito ; ri cord an-
DKLLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 445
I
doci cb^ ella non dee mai confinar se stessa nei ter-
mini soli deir esperienza e nelle combinazioni attuali
o possibili della materia che ne circonda.
AroBiSMo XII.
59. — Fu taluno il quale pensò d'interporre tiji
la materia e lo spirito un elemento mezzano e quasi
palateci pe delle due nature. Qui toccheremo del sub-
bietto non i capi speciali che debbono venir ricercati
laddove sarà discorso distintamente della vita vegetati-
va, ma il concetto più generale e le attinenze che à col
tutto insieme dell' ordine cosmico. Per fprmo, ei si può
domandare se que' tre mondi da noi descritti nel pre-
cedente Libro, pervenuti a certa complessione e a certa
temperie de' loro elementi e principj, sieno preparazio-
ne sufficie;ite a che lo spirito entri in congiungimento
immediato con essi e valga a fabbricarsi la macchina
de' proprj organi e quindi accedere al conseguimento
de' proprj fini.
60. — Sul che quando si voglia discorrere con ar-
gomenti sperimentali, credo la scienza conceda di ri-
spondere risolutamente di no e mostrare per via di
fatto che tra il mondo chimico all' etere mescolato e
il principio spirituale perfetto, o vogliam dire l'anima
razionale, interviene un' altra efficienza domandata
dagli antichi con somma acconcezza anima vegetativa.
61. — Ma ragionandosi a pr /ori, come è nostro istituti»
negli aforismi, non iscorgiamo con quali massime on-
tologiche e di assoluta dimostrazione sia lecito di pro-
vare la necessità di tale intermezzo.
62. — Salvo che a noi non dee mai cadere della
memoria che l'attività umana intera e tutto l'essere
suo mentale e morale furono prima unicamente in
446 LIBRO QUARTO.
potenza; e per condurli in atto fu senza meno mestieri
d' una lunga serie concatenata d' impulsi esteriori; da
poiché ogni forza attiva creata à il primo impulso
fuori di se.
63. — Non s' intende, per tanto, come essa anima
avrebbesi costruito l'organo intero con le sole sue
facoltà, le quali neir ultimo nulla non anno che fare
con la materia con le forze chimiche e le figure dei
corpi e venendo l'organo stesso fabbricato e foggiato
con fine di suscitare e spiegare esse facoltà.
64. — Dopo questo, diventa chiaro che la risolu-
zione del dubbio teste espresso dipende dalla diversi-
tà dei supposti. Essendo che tu puoi concepire molta,
poca e nessuna omogeneità di natura tra il principio
spirituale e il mondo circostante in mezzo del quale ap-
parisce. Quindi seguita che laddove interviene distanza
grandissima fra i due termini, occorre che alcuna cosa
tramezzi per accostare gli estremi, e il contrario ac-
cada nel contrario supposto. Ciò è lecito di asserire in
universale e per astrazione. Nel caso, dunque, specificato
deir uomo e della materia bruta, la scienza non potrà
spegnere il dubbio in altra maniera salvochè parago-
nando intentivamente i concetti che possiede circa la
natura ed essenza di quei due estremi ; e rliiamandoli
noi di tal guisa, come porta la verità delle loro no-
zioni, pensiamo di non lasciare senza risposta positiva
e precisa il prefeto quesito.
A.
65. — Aggiunge a tutto ciò l' esperienza che veramen-
te la vita vegetativa apparisce spiegata e in certo modo
compiuta eziandio colà dove del sicuro non è anima,
come nelle piante. E la simiglianza negli elementi,
DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 447
nelle forme e nel processo compositivo è tanta, da fare
probabile assai T intervento della cagione medesima
nelle due sfere di viventi. Che se l' uomo fabbricasse
l'intero organo proprio con le sole sue facoltà, onde mai
procederebbe eh' egli non possa governarlo sovente-
mente a sua voglia e la più parte delle funzioni de' vi-
sceri suoi si compiono senza che egli o le cominci o
le tronchi o le modifichi in niuna guisa e n' abbia
per lo manco un sentimento spiccato e immediato?
Del pari, quando sia 1' uomo unico autore e costrut-
tore degli organi proprj diventa inesplicabile quella
soggiogazione asprissima che talvolta gì' impongono e
quella specie di sudditanza continua che ad essi lo
lega per più rispetti e in più cose.
Aforismo XIll.
66. — Debbesi, adunque, affermare che fra il prin-
cipio spirituale perfetto e quella materia predisposta
di cui facemmo descrizione intervenga un altro prin-
cipio non forse materiale ma inetto ancora per sé ad
effettuare il fine, sebbene lo apparecchia meglio di
tutte l'altre disposizioni del mondo fisico; ed è ciò
che i naturalisti anno domandato più propriamente
organismo o forza vitale.
Aforismo XIV.
Questo mena il nostro discorso a ragionar della
vita che è il subbietto fondamentale e il pernio intor-
no di cui si aggira, può dirsi, tuttaquanta la scienza
del Cosmo; perocché ogni ente nella natura vive o
serve alla vita.
67. — Diciamo, avanti ogni cosa, che la vita nel
448 LIBRO QUARTO.
SUO concetto più universale e più vero è sinoninia essa
ancora della finalità e del principio spirituale perfet-
to, siccome vedemmo questo medesimo diventar sino-
nimo della perfetta individualità. Cotesti termini,
adunque, si convertono tutti V uno nell' altro, perchè
<»sprimono in sostanza una cosa identica.
68. — Salvoohè il concetto di vita è degli altri
più sintetico; né solo racchiude la idea del fine attuato
0 che viensi attuando, ma collegasi in modo strettis-
simo all'idea del mezzo e dello strumento. Concios-
siachè noi dobbiamo definire la vita in universale: la
esplicazione e perfezione delV individuo in ordine ni
bene mediante un acconcio organismo,
69. — Qui, come scorgesi a prima giunta, viene
contemplato il principio spirituale perfetto, dappoiché
tale è il vero individuo. Del pari, vi viene contemplata
la finalità, perocché questa convertesi in tutto col
possedimento del bene; e l'attuarsi di lei importa pre-
ciso la esplicazione e perfezione dell'individuo in or-
dine al bene. E ancoraché la finalità richiami per se
medesima il concetto respettivo del mezzo, pur nondi-
meno l'idea universale di vita lo richiama ad una e
lo determina quanto bisogna, perchè costringe a pen-
sare al mezzo acconciamento disposto e coordinato ad
intima unione con l'individuo.
Aforismo XV.
E non meno evidente che in questa nostra defini-
zione la vita è assunta nella sua verità e pienezza
quanto al mondo creato; che della vita sempiterna di
Dio non esitiamo a dichiararci molto ignoranti.
70. — Perciò, se la vita non prosegue a tradursi
in esplicazione e perfezione dell' individuo in ordine al
DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. U*J
bene, noi manteniamo che sarà vita dimezzata e noTi
vera, come non vero e dimezzato e solo apparente
riuscirà il fine ed il bene che debbe quella infor-
mare.
71. — Chiamisi pure organismo la vita e facciasi
pure tutta la vita consistere nell'organismo; questa
accezione è meramente fisiologica ed un accomunn-
mento di nome alla parte strumentale insieme ed
alla finale. Laddove poi balena il senso la fantafiia
r istinto ed altri cenni fugaci di alta e spirituale unità,
come appo gli animali bruti, quivi dimora non la pi<^-
nezza ma la più o meno partecipazione della vita. Né di-
ciamo diversamente per la esistenza stessa dell' uomo
individuo s'egli interrompe ed annulla l'esplicazione
o perfezione del proprio essere in ordine al bene. Che
se tale svolgimento e progresso adempiesi invece per
la maggior parte nel corpo sociale umano e per la
virtii e r opera di esso corpo, noi dobbiamo nondi-
meno valutarlo unicamente per quella porzione che ne
deriva a ciascun individuo, a cui cresce effettualmente
la perfezione crescendo la civiltà generale.
72. — Concludiamo che per la nostra definizion<^
l' ente organato vegeta bensì ma non vive; l' ente ani-
mato non provvisto di ragione e moralità nemmanco
vive ma solo partecipa tanto o quanto all' atto di vita.
E che similmente sarebbe da dire partecipe soltantc
di vita ogni uomo individuo quando egli non isten-
desse nella eterna durata V esplicazione del proprio
essere mediante l' attività propria sovvenuta da con-
veniente organismo.
73. — La vita adunque non è delle cose comuni-
(^abili ma si ristringe nell' individuo. Quindi se fuori
dell' unità sostanziale si spegne, la vita dei generi en-
tra nell'ordine delle astrazioni.
IIaputii. — II. 29
450 LIBRO QUARTO.
Apobismo XVI.
74. — Eziandio, per la definizione addotta, quanto
è necessarìo il concorso deir organismo altrettanto
egli può risultare di essenza differentissima ; e dalle
forme materiali ascendere in altri mondi a forme so»
praeccellenti e proporzionate a principj spirituali molto
più alti o meglio assortiti.
75.— Perciò nell'ordine intero del mondo organato
e vitale la natura dee procurar sempre di giungere
air unimento migliore dell' ottima materia organica e
dell' ottimo principio spirituale. Tra questo termine di
perfezione e il più lontano e difettivo cominciamento
ogni cosa piglia luogo nella serie degli organismi in-
termedj e preparatorj. E vuoisi in ciò riconoscere una
massima fondamentale della scienza del Cosmo.
A.
76. — Se pertanto nel mondo vitale terreno l'uomo
è comparso nell' ultima consumazione dei trasmuta-
menti materiali ed organici, egli congiunge del sicuro
nell'essere proprio la perfezione ed unione migliore
dei due termini anzidescritti, sebbene noi la giudi-
chiamo divisa per troppo grande intervallo dall' arche-
tipo eccelso a cui tende egli e sospira, tanto che le reli-
gioni pronunziano quasi tutte il dogma della decadenza.
Afobismo XVII.
77. — Ma per compire le dichiarazioni che fanno
mestieri alla nostra definizione la quale dee contenere
tutta la sostanza di questo capo, è bisogno uncor^
DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 451
specular meglio V ultima frase : mediante tm acconcio
organismo, e conoscere se v'è rinchiusa ogni sorta e
ogni condizione di mezzo, ed è capace di tanta gene-
ralità quanta si contiene nella nozione della vita. Ol-
treché bisogna far disparire qualche apparenza di
incongruità che forse taluno crederà scorgere fra l' afo-
rismo precedente ed il VII.
78. — Senza dubio, il mezzo migliore onde l'ente
animato à potenza di operare intorno di se sulle esterne
cose è l'organo, il quale si unisce in modo con lui e
segue e seconda le sue impulsioni al s^no da com-
parire una quasi espansione della propria sostanza. Ma
d'altro canto, tale soggezione medesima e tale adatta-
mento perfetto importano che la natura dell' organo
sia inferiore a quella dell' ente organato. E posto che
sia inferiore, non avrà eflScacia e non recherà utile che
sopra un mondo altresì inferiore. Che è il caso defi-
nito di sopra nell' aforismo VII, e il solo che porge
sabbietto ai nostri studj sperimentali.
79. — Ciò veduto, è da ricordare che il bene, il quale
significa eziandio il fine e però nota il ritorno della
creazione al principio suo, distinguesi in relativo ed in
assoluto. Nel primo è un vestigio e una transitoria
similitudine del secondo, ed è proprio degli enti finiti
in quanto finiti e per ciò che operano nella cerchia dei
beni creati. Seguita che il più maraviglioso ed eflficiente
degli organi, quando anche signoreggi la natura intera
e r usufruisca, non attinge nessuna parte del bene as-
soluto ; il quale poi diviene accessibile a certa schiera
di viventi, conforme il modo e il grado di congiun-
zione che nccade fra lui ed essi, introducendosi nel-
l' ordine della finalità un principio diverso e alla na-
tura superiore. Da ciò discende che l'organo il quale
aiuta al conseguimento dei fini relativi non può non
462 UBKO QUARTO.
differire sostanzialmente da quello che innalza il vi-
vente alla fruizione del bene sovraraondano.
80. — Né solo questo secondo dee differire sostanzial-
mente dall' altro, ma occorre innanzi tutto considerare
se sia conveniente e fattibile. Attesoché abbiamo fer-
mato più sopra che l'organo, quando non muti di so-
verchio la significazione del nome, tramezza tra un
principio spirituale superiore e una creazione inferiore.
Ma trattandosi del bene assoluto, 1' ordine fra il prin-
cipio il mezzo ed il fine è invertito ; e il fine essendo
superiore d'interminata distanza al principio spiri-
tuale, conviene che 1' ente il quale tramezza partecipi
della superiorità del fine ed ecceda per qualche lato
la bontà e nobilita di esso principio spirituale. In tal
caso vede ognuno che il mezzo, o il sistema dei mezzi,
non può assumere convenientemente il nome di orga-
no ; perocché non s'intende, e l'accennammo qua ad-
dietro, come qualcosa di superiore al detto principio
s'immedesimi con esso lui in modo tanto subordinato
da perdere ogni individualità propria e divenire effet-
tualmente porzione integrale dell'essere altrui.
81. — Sarà egli, almeno, strumento staccato sebbene
docilissimo, in quella maniera che si figurano certi genj
dell' aria o del fuoco pronti e obbedienti ad ogni cenno
dell' uomo per opera d' incantesimo ? Ciò, per mio giu-
dicio, é vana fantasia, se non si suppone che quegli
spiriti superiori si sottomettano all' uomo ovvero ad
altro ente morale per atto di amore e di abnegazione.
Ma é più ragionevole il credere che una interposi-
zione sì alta ed eterea (per così chiamarla) non pi-
glierà unque mai la forma e l'abito strumentale; ma
gli enti superiori che l'operano compiranno invece
r ufficio loro con la virtù indipendente di mediatori
sublimi.
DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 45S
A,
82. — Non dicasi che questo tema esce affatto dai
termini della cosmologia, dappoiché trascende la na-
tura e l'universo visibile e tutte- le sorte di organi dei
quali abbiamo notizia. A noi sembra, che volendo la
scienza trattare generalmente dell' ordine di tutta la
creazione piglia obbligo altresì di scrutare l'ordine
delle congiunzioni e partecipazioni ascendenti dello spi-
rito con l'Assoluto, insino al segno al quale può il
raziocinio salire, ragguagliando continuamente le con-
dizioni del finito con gl'influssi salutari e divini del-
l' infinito.
Aforismo XVIII.
83. — Se non che, abbiamo notato in altra parte
della cosmologia dovere l'ente che à ragione di fine
pervenire al possesso del bene per isfbrzo di attività
e volontà propria. Quindi gli conviene inflettere sopra
sé stesso e dispiegare le 3ue facoltà per guisa da cre-
scere con esse e a grado per grado la conquista del
bene assoluto; ovvero raggiungere il fine medesimo
per concorso ed aiuto dei mezzi esteriori. Ma non può
il primo onninamente senza qualche opera del secon-
do. Imperocché alle facoltà sue più nobili e vigorose é
spediente ricevere l' eccitazione iniziale fuori di sé ed
occorre sempre il sovvenimento di qualche sistema di
mezzi, onde supplisca alla insufficienza e limitazione
innata ed inemendabile del proprio essere. Né tale
sistema di mezzi né l' eccitazione iniziale gli può pro-
venire immediatamente dall'Assoluto, che é incommu-
tabile, e il quale, come si scrisse nel Libro terzo, men-
454 LIBRO QUARTO.
tre con un atto infinito e perpetuo produce ogni cosa,
prescrive similmente che le cause seconde facciano
tutto. £ d' altro canto, la congiunzione immediata con
l'Assoluto senza alcuna virtù intermedia che susciti,
serbi e dilati le forze operose della finita creatura, di-
cemmo altra volta doverla attrarre e occupare con tal
veemenza e tale pienezza da mantenerla in sempiterno
nella più profonda passività.
84. — Ora, una eccitazione varia insieme ed assi-
dua, sempre bene proporzionata e per ogni verso con-
veniente e omogenea non può altronde provenire che
da qualche sorta di organo il quale sia parte delF in-
dividuo nel mentre pure che è diverso da lui e alterni
con esso continuamente la causalità e V eifettualità.
r agire e il patire.
85. — Lo inflettere poi dell' anima sopra se stessa
a ciò dispieghi la propria potenza e proceda gradata-
mente e con metodo al conseguimento del fine o del
bene che s' abbia a dire, dee produrre esso medeàimo
una sorta di organo spirituale ; e intendesi che l'anima
adempia intrinsecamente una sequela ed una cospira-
zione tale di atti che le serva di mezzo continuo e
quasi manesco per trapassare regolarmente a innume-
revoli altri atti capaci di vera e progressiva finalità.
Questo à fatto chiamare organo la logica di Aristotele
e l'arte induttiva di Bacone; e di questo nome credo
potrebbero andar fregiate parecchie altre discipline,
secondo sarà veduto nell' ultima parte della Cosmo-
logia.
86. — Deipari, dimanderemo di tal nome cert' ordine
di mezzi esteriori dal quale risulta, per via d'esempio,
r assetto sociale e politico d'una città e d'uno Stato
ovvero un esercito condotto a battaglia od altro corpo
collettivo sì fatto, in cui ogni membro è altrettanto
DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 455
fine che mezzo ed in cui risplende la unità con la va-
rietà, la dipendenza e V obbedienza con la spontaneità
e l' uguaglianza morale. Il che tutto è una forma as-
sai superiore di ciò che delle volte parecchie venne
domandato nel presente volume la cooperazione dei
simili. Qui è bastante il notare che ciascuna delle pre-
fate specie di organo può servir l' anima eziandio
quando si rivolge al conseguimento di qualche parte
del bene assoluto.
87. — Al qual fine altissimo è per ultimo da av-
vertire che può essere mezzo acconcio e proporzionato
pure un organo assai inferiore quante volte operi
con mera virtii occasionale. Stantechè allora egli
non è anello mezzano fra due nature, ma schiude il
varco dall'una all'altra rimovendo gl'impedimenti o
suscitando alcune latenti potenze nel principio spiri-
tuale a cui serve, od operando in qualunque altra ma-
niera consentanea e possibile alle cause occasionali.
Di tal guisa i fantasmi mentali occasionano la visione
della infinita idealità ; e il volto di bella donna im-
presso sensibilmente ne' nostri organi risveglia dentro
l'anima la facoltà estetica e mena il pensiero a con-
siderare il bello assoluto.
88. — Di là da tali supposti ogni progresso in
verso il bene infinito, qualora avvenga per coordina-
zione di mezzi non contenuti nelle potenze immediate
dell'anima, conduce a pensare eh' ei sieno di necessità
mezzi, di superiore natura e quindi operino non a
forma di strumento ma per volontaria e razionale in-
terposizione. Salvochè la difficoltà quivi giacente è ri-
tardata ma non è sciolta. Considerandosi che quegli
spiriti agenti per volontà razionale e per libera in-
terposizione, onde avrebbero essi medesimi ricavato
r ordine dei mezzi conducenti all' ultimo fine ? non si
456 LIBRO QUARTO.
potendo figurare un processo infinito di simili media-
tori.
89. — Impertanto, noi, senza escludere nella eco-
nomia universale dei fini il supposto della superiore
interposizione, dobbiamo attenerci a qualcosa di più
generale e di più positivo. Perciò diciamo che V anima
nello ascendimento suo verso il bene supremo vi ado-
pera 0 le facoltà proprie o gli esterni mezzi od en-
trambe le cose. Nel primo caso, le facoltà debbono
essere provvedute d' una eccitazione organica conve-
niente e continua e talvolta d' una virtù strumentale
insieme ed occasionale che faccia loro accostabile qual-
che modo sopraeminente di congiunzione col bene in-
defettibile. Oltre ciò, debbono sentirsi provedute d'una
attività interiore ed intensa, mediante la quale ogni
partecipazione dell'Assoluto venendo, come usasi dire,
elaborata e coordinata dentro lo spirito, convertesi ella
medesima in una sorta di organo per proseguire con
più successo e più regola nella conquista del fine; e ciò
ripetasi nel progresso del tempo senza mai termine..
Esternamente poi T aiuto e l'incremento nel bene dee
provenir tutto dalla cooperazione dei simili nella ma-
niera che teste abbiamo spiegato con esempj parecchi
(' massimamente con quello del viver civile.
90. — Dopo tutto ciò a noi rimane di ripetere
con sicurezza la definizione della vita più sopra an-
nunziata, solo che dilatiamo a tutte le significazioni
n nziesposte 1' altra parte di lei che dice : mediante un
acconcio organismo.
A.
91. — Cotesto, noi ripetiamo, è il concetto universale
f* sostanzialissimo della vita appresso gli enti dotati di
V
DELLA VITA E DEL FfNE NELL'UNIVERSO. 457
ragione e moralità; il che vuol dire appresso gli enti
capaci di vero fine e di vero bene, due cose le quali
convertonsi con la vita come la vita con esse. Ogni
rimanente è mera e scarsa partecipazione e vestigio
dell'uno e dell'altro termine, e i vocaboli vengono as-
sunti in senso traslato piuttosto che in proprio.
92. — Ma non parve così ai naturalisti e ai fisio-
logi, i quali non pure discoi-sero unicamente della vita
dell'uomo sulla faccia della terra; ma di essa vita
guardarono solo la parte vegetativa, che è strumentale
e non punto finale e perciò apparisce eziandio laddo-
ve il fine è piuttosto accennato che conseguito.
CAPO TERZO.
CONFESSIONE d' UN ERRORE E DEFINIZIONE
DELLA VITA.
I.
93. — Né io mi seppi astenere quanto io dovevo
dalla pregiudicata opinione di questi fisiologi. Laonde
qui pure convienmi guardare con l' occhio della mente
al lettore e dirgli me poBnitet. Nei Dialoghi di Sciepza
Prima, trattando i principj della cosmologia secondo
i canoni della filosofia che chiamai naturale, parvemi
bene di definire la vita assai largamente e descrivendo gli
atti essenziali e proprj dell'organismo quale cel porge
r esperienza. Nò già mi spiace di avere allora descritta
la cosa piuttosto che definita, non vi essendo altra
maniera acconcia ed esatta di farla intendere. Spia-
458 LIBRO QUARTO.
cerni bensì di avere descritto non propriamente e uni-
versalmente la vita ma l' organismo corporeo nel quale
la vita si manifesta e che ad ogni modo costituisce
una forma particolare e transitoria di lei. Né ci si
opponga che alcun' altra forma non è nota e visibile
air uomo. Imperocché appartiene appunto alla metafi-
sica trascendere il senso e girar l'occhio intellettuale
cosi nel rimanente mondo visibile quanto nel mondo
spirituale, dove da ultimo é la cagione e ragione vera
ed originale d'ogni cosa sensata.
94. — Non mi accadde allora, né oggi m'accade,
d' illuminare e corregger la mente con le trattazioni
de' naturalisti e dei medici. Che le più recenti distin-
guonsi dalle piii antiche e viete per questo solo che appo
le moderne abbondano le osservazioni e gli esperimenti,
e i fatti vi si sminuzzano infino all' ultimo apice. Ma
la induzione delle cause e la deduzione dei principj vi è
tanto debole, incerta parziale interrotta e suppositiva,
quanto appresso le più vecchie. Anzi, niun argomento
gitta i fisiologi in confusione maggiore e quasi in di-
sperazione siccome questo del definire la vita e cogliere
il suo principio universalmente e per via scientifica.
95. — Nel vero, mai non é riuscito loro né di ac-
comunarlo con le forze meccaniche e chimiche, né,
separandolo, esprimere quello che sia e in qual modo
dalla materia generale si difi*erenzii e dalle forze che
la governano. Taluno poi ne fece un essere astratto
e un nome senza subbietto. E gli sperimentali e ana-
tomici più rigorosi, che di ciò mossero grave censura,per
rimanere nel positivo additarono molte facoltà ed atti e
funzioni senza legame dialettico e senza unità, mentre
la vita é pure una. Altri infine, per iscansare entrambo
gli scogli, posero in vista uno dei fatti eminenti dell'or-
ganismo corporeo che loro parve essenziale e primario.
DELLA VITA E DEL MNE NELL'UNIVERSO. 459
e iutorno a quello si travagliarono di raccogliere e
^subordinare tutti i fenomeni, ed ora gli detter nome
d' irritazione ora d' eccitabilità ora di assimilazione e
va' proseguendo. Ma fu leggier fatica degli avversarj
mostrarlo parziale ed insufficiente e altri fatti posse-
dere altrettanta ragione e più di essenza e principio.
II.
96. — Ma io pretendo primamente che sotto l'ap-
pellazione generale di vita sono raccolte quattro spe-
cie fra loio diflferentissime ; onde ciò che se ne vuol
cavare di fondamentale e comune è troppo scarso di-
fettivo e indeterminato. A noi sembra certo che la vita
vegetativa diflFerisce sostanzialmente dall' animale e
questa dalla razionale; come queste tre insieme non
danno ancora il concetto della vita diffusa per l'universo
e dimorante nella indefinita varietà e moltiplicità delle
forme respettive; da poiché quando anche pensiamo
alla vita razionale, che è il genere più alto e insieme
più compito, noi per virtù dell'abito la rappresentiamo
sotto il genere particolare dell' uomo e involta nel cor-
porale organismo. Mentrechè, se l' attuazione del vero
fine per entro al vero individuo è vita, il filosofo dee
definirla anzi tutto per tale rispetto generalissimo; e
considerandosi che il fine porta con sé un qualche
ordine di mezzi e il migliore ordine essere quello d'una
specie d'assimilazione del mezzo stesso, noi senza fallo
dovrem pervenire alla definizione espressa nel Capo
anteriore e perciò domanderemo la vita uno spiega-
tnento e perfezionamento delV individuo in ordine al
bene mediante un acconcio organismo; e dell'ultima
parte della definizione oltre il già detto porgono ra-
gione apertissima gli aforismi del Capo secondo.
460 LIBRO QUARTO.
97. — Nella qual cosa poi si vede, e sia detto di
volo, come la giusta definizione dee cercar con Platone
il colmo e la interezza del proprio oggetto e non le
partecipazioni scarse e remote nel modo che si peri-
cola di fare procedendo per via d' astrazione, conforme
usa Aristotele. Nel fatto, la vita in sua verità e ple-
nitudine è r atto dell' esistenza che vuole e conosce
un fine assoluto e verso quello coordina i mezzi; lad-
dove lo stesso nome esteso e applicato alle ultime e
tenuissime partecipazioni esprime non più che certo
composto chimico racchiuso in certo involucro cellu-
lare e capace di riprodur se medesimo. Per fermo co-
testa è r organizzazione o la vita (poniamo) del prò-
tococcos la più semplice forse e la meno vitale che si
conosca dall'uomo. E però giusta i canoni aristotelici
ella sola dee porgere gli elementi della definizione
adattabile a tutte le specie di organismo e di vita.
98. — D'altro canto, noi manteniamo, che se tu esci
<lalle forme del profococcos e degli esseri poco difi'erenti
da lui e ti movi all' inchiesta della pienezza della vita,
la necessità logica ti sospinge a grado per grado in-
stino alla nostra definizione; ovvero tu guarderai l'atto
della vita per un solo rispetto che è lo strumentale;
ed anzi negli infimi gradi della vita lo strumento ri-
marrà solo esso, né vi sarà principio spiritjaale che se
r approprii e 1' adoperi ; cosicché 1' essere vivente sarà
tutto e solo organizzazione; e perchè non vi si potrà
scorgere nemmanco certa rilevata e potente unità, il
vocabolo vita per ultimo si stringerà a significare un
complesso di forze e di atti diverso dalle meccaniche
e chimiche; e di tal guisa ci accosteremo alla defini-
zione paradossa e notissima del Bichat che la vita è
il contrario della morte.
DELLA VITA E DEL FINE NEL L' UNIVERSO. 461
IH.
99. — Io villeggiava, or fa qualche anno, a mezza
costa d' una collina arborata ed agevole e molto pros-
sima di Torino. Quivi tornato alli miei studj razionali
rivolgevo spesso per l' animo questa benedetta idea
della vita, inerescendomi fuor modo la definizione da-
tane altra volta e mal sapendo ancora deliberarmi
sul vero concetto che debbesene comporre e tener pre-
sente ogni sempre. Né per nulla mi avanzavo, siccome
ò testé raccontato, leggendo libri di fisiologi. E per-
chè ò r abito, quando trattasi del significato di pa-
role astratte quanto comuni, di non ispregiar punto ed
anzi cercare con diligenza le interpretazioni e gli usi cho
ne fa il popolo, conciossiachè questo il più delle volte <'
senza avvedersene lasciando parlar la natura fa la spia
della verità, io m'attenni in proposito all'artificio in-
frascritto.
100. — Erano un giorno lassù capitate per ricrearsi
molte educande d' un collegietto privato e i cui rettori
sono da lunghi anni meco legati di cara amicizia. Dopo
colezione, io proposi per giuoco un premio di certo bel
libro bellamente legato a quella fra tutte loro che me-
glio avesse risposto a un quesito chiaro e conciso. Però
sarebbernii venute innanzi l'una dopo T altra per udire
ciascuna il detto quesito e rispondervi di proprio ca])o
a voce e senza por tempo in mezzo. Così fu fatto, e
parvero tutte contente e sicure di sé medesime, do-
vendo nel quesito essere" brevità e chiarezza. Io per-
tanto interrogai ciascheduna alla stessa maniera in
cotal forma: Sei tu vivao morta, mia gentile giovinet-
ta? Viva vivissima, la dio mercè 1 rispondevano subito.
Ed io: Che è dunque la vita? Alcuna rispose: Quello
462 LIBRO QUAETO.
che io fo al presente ; alcuna citò il Catechismo e disse
che la vita è l'atto perpetuo di conoscere, amare e
servire Iddio. Le più, stringendosi nelle spalle e sti-
mando di essere interrogate sulla cosa più patente ed
ovvia del mondo, risposero con poca diversità che la
vita è moversi mangiare dormire studiare e tutte in-
somma le faccende entro casa e fuori. Solo la più
grandicella fra loro con certa tristezza non convene-
vole air età disse che la vita è continuo desiderio d'un
bene che mai non succede.
101. — Ora, non sembra egli al lettore cosa nota-
bilissima quanto a me è sembrato che a ni una di quelle
fanciulle venisse in mente che la vita consisteva nella
struttura del corpo loro e nelle funzioni degli organi
connessi ed unificati; ma tutte invece l'abbiano sen-
tita nella operazione sì del corpo e sì dell'animo? È
dunque la vita, in universale e anzi tutto, una opera-
zione; e come r opera dirìgesi al fine mediante il mezzo,
noi, additando questo nella sua forma migliore che è
l'organica e l'altro nell'essere suo assoluto, perver-
remo da capo ai termini della soprascritta defini-
zione.
CAPO QUARTO.
DELLA VITA VEGETATIVA.
L
102. — Di cotesta vita dei fisiologi occorre, nondi-
meno, di ragionare ; perchè, a creder nostro, non è
dubioso che per tutto l' universo, laddove apparisce
materia e forza, si dee pensare che venga operato
DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 463
eziandio un passaggio a qualche sorta di organismo
tanto che la vita vi si possa manifestare e la finalità
venire in atto di mano in mano con maggior perfe^
zione.
103. — ^Nè poi per questo sidee giudicare che V attua-
zione del fine, o la vita che s' abbia a dire, apparisca
solo dov'è materia e organamento corporeo. Percon-
tra, dee venir reputato che V organamento quale, che
sia di materia corporale costituisce forse l'infimo
grado della finalità e della vita; ed intanto esiste e
si attua, perchè eziandio quell'infimo grado è possi-
bile e vi si può cominciare la partecipazione del bene
e il perchè finale dell' universo. Ma è lecito ed anzi
è altamente razionale il venir figurando sostanze
molto più esquisite capaci di assumere forma ed uffi-
cio organico assai superiore di bellezza di efficacia di
durabilità di energia a tutto quello che 1' esperienza
ci fa conoscere.
U.
104. — Il fatto, im pertanto, dell' organismo corpo-
rale o della vita vegetativa che è esso mai ? proviene
da un principio fontale e specifico e si sustanzia in
qualcosa di peculiare e separato dal tutto, ovvero ri-
sulta meramente da vnrie e profonde modificazioni
che sopravengono alle forze meccaniche e chimiche ed
alle influenze ordinarie del mondo etereo?
105. — V à chi sostiene a' dì nostri, come in antico,
ogni qualunque materia per certa disposizione proteifor-
me avere in sé latenti e permanenti tutte le forze vitali
vegetative, sebbene per palesarsi e operare abbisognino
di certo concorso particolare di cause e di circo-
stanze.
464 LIBRO QUARTO.
106. — Il nostro presente istituto e V indole del no-
stro scritto ci vietano di adoperare in tale subbietto
come in qualunque altro conforme que'modi menu
stringati o meno assoluti di argomentare onde usano
gli studiosi di queste materie. Nullameno a noi è im-
possibile di tralasciare le notizie s|ft»riraentali e le
prove di fatto ; conciossiachè, di tutte le parti e dot-
trine della cosmologia, questa che discorre della vita
vegetativa è forse la meno capace di deduzioni rigo-
rose e di principj ontologici.
107. — Ciò veduto, diciamo che V organismo cor-
porale, 0 la vita vegetativa che tu la domandi, non
apparisce nel mondo per accidente ; dapoichè ella è
cominciamento della finalità e per tal ragione riuscir
debbe più sostanziale o altrettanto d'ogni altra dispo-
zione ed operazione della materia.
Posto ciò, la vita dovrebbe essere da per tutto
dov' è la materia. Conciossiachè l' essenziale è al-
tresì universale e viceversa. Poniamo vi sia realmente
e universalmente, ma solo in potenza. Nella materia
tutte le potenze vengono all' attuazione loro per acco-
stamenti, contatti e mescolamenti di corpi e con V in-
tervento dei massimi eccitatori, come il calore la luce
l'ossigeno l'elettricità e consimili. Vogliamo dire con
ciò che prescindendosi dall'attrazione delle gran masse
in grandi distanze, certo ne' mediocri spazj e tra pic-
cioli corpi l'accostamento, il contatto e il mescola-
mento di loro molecole e l'azione dei massimi eccitatori
è la condizione unica mediante cui le forze virtuali
della materia trapassano all'atto. Ora, in quel tra-
scorso di parecchie migliaia d'anni del quale abbiamo
ricordo e testimonianza storica, tale accostamento eme-
scolamento di materìa e tale moltiforme intervento del
mondo etereo è pur sempre accaduto ed à variato in
DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 465
ispecie e maniere infinite. E nondimeno, )a potenza
(Iella vita vegetativa mai non passò air atto, ma que-
sta è ognor provenuta dai germi preesistenti e sem-
pre r organismo è generato dalP organismo ; tanto che
coloro medesimi i quali si ostinano a credere alla ge-
nerazione spontanea non negano che a lei fa mestieri
la preesistenza d' alcuna materia organata, o, come la
chiamano, marcescibile. Senza dire che tale genera-
zione spontanea restringesi nella cerchia degl'infusorj
e d' altri viventi della sorta la piiì inferiore e imper-
fetta.
108. — Né la scienza umana aspetta che il caso e
uno straordinario concorso di cause e di circostanze
adduca in mezzo certe mescolanze e combinazioni
nuove e singolari di corpi ; ma si le procura con ogni
industria e sveglia e cimenta continuo tutte le forze
latenti della natura ; onde è pervenuta a produrre
combinazioni di corpi o sceveramenti in natura forse
non reperibili e a rifare la costituzione d'innumere-
voli minerali e indovinare facilmente ed esattamente
la costituzione di tutti. Nullameno né la vita vegeta-
tiva né cosa che la somigli é mai balzata fuori dalla
scienza e dalle industrie dell' uomo.
109. — Oltre di ciò, se per suscitare la vita vege-
tativa fanno sommamente mestieri le forze della mate-
ria e certo concorrimento speciale e particolare di cause
e di circostanze altresì materiali, egli accade di avere a
mente che le azioni particolari e specifiche non occul-
tano interamente l' universale a cui appartengono e di
vAxi air ultimo costituiscono un modo e un atto più o
meno diverso. Di tal guisa, sebbene la virtù magne-
tica comparisce spiccata e più assai operosa nelle ca-
lamite, si trovò col tempo che ogni corpo qualechessia
ne partecipa in qualche grado ; e se le affinità, por
Maviìsi. — II. ÓO
466 LIBRO QUARTO.
citare un secondo esempio, dififeriscono profondamente
dalle leggi meccaniche, non però di meno queste fannosi
ravvisare continuamente nei fenomeni chimici, essendo
più generali e più permanenti e dovendo perciò ac-
compagnarli e mescolarsi con essi. Rimane, adunque,
inesplicabile come degli atti più sostanziali e qualita-
tivi della vita nessuna generalità e nessuno indizio
comparisca giammai nella materia inorganica. Per
fermo, in cotesta materia a nessuno venne mai ravvi-
sato qualcosa che faccia indizio della eccitabilità ov-
vero della nutrizione o della prolificazione, qualcosa
di simile alla virtù formativa interiore ed allo svilup-
po, volendosi qui tacere di tuttociò che appartiene,
per nostro giudicio, allo spirito come il sentire e il
volere e più ancora l' intendere e l' altre doti sublimi
della personalità.
m.
110. — L'aver discoperto i moderni con maggiore
esattezza che le leggi comuni della materia proseguono
ad operare nei corpi organati, invece di giovare al
supposto della vita potenziale universa, gli milita con-
tro. Per vero, nessuna di quelle leggi va esente nella
vita eflfettiva da profondissime modificazioni, e talvolta
vi dimorano trasmutate per guisa da faticare assais-
simo r occhio del fisico e del fisiologo per ravvisarle.
Il che è gran pena a spiegare se le leggi della vita e
quelle della materia in essenza non dififeriscono e sono
le une e le altre modificazioni ed effetti delle forze
medesime. D' altro lato, che leggi meccaniche e chimi-
che non annullino per intero l' opera loro nella ma-
teria organata è naturale e necessario, perchè V ultimo
fondo delle essenze persiste e ninna straniera eflScacia
DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 467
le abolisce. Ma bene la modificazione loro sostanziale
ed intrinseca addita evidentemente V azione d' una ef-
ficienza superiore e diversa. Vedi quello che diventano
le leggi idrauliche nei fenomeni della circolazione ani-
male e quello che le leggi della capillarità negli ani-
mali e nelle piante. Imperocché in queste (per citar
pure un qualche particolare) i succhi, giusta le leggi
dell' attrazione capillare, dovrebbero fermarsi nei vasi
ad un' altezza determinata e non ascendere mai insino
all' ultimo vertice. E quando si ricorra ad altro genere
di spi^azione meccanica e (poniamo) all' endesmosi,
dovrebbe V ascendimento dei succhi avvenire in ogni
stagione, considerato che in ogni stagione la costruttura
dei vasi non muta. Spenta anzi la vita stessa del ve-
getabile, dovrebbe l' ascendimento dei succhi ottenersi
artificialmente per tutto quel tempo che i vasi riman-
gonsi inalterati. Per simile, se 1' elevazione dei succhi
procede da causa meccanica, questa non può produrre
l'effetto inverso della discensione, la quale dentro la
Cara si fa ocularmente e succede negli stessi e iden-
tici vasi solo che la parete è scambiata.
111. — Del pari, negli animali dovrebbero gli umori
fermarsi per ostruzione alle boccucce dei vasi più sot-
tili di un centesimo di millimetro, dovechè vi trapas-
sano con velocità indicibile e non ostante la loro so-
stanza oliosa e viscosa.
112. — Vassi predicando che nella materia organata
ogni combinazione di elementi accade per leggi di af-
finità. E così, ripetiamo, debbo succedere. Considerato
che quando quegli elementi si combinassero per una
efficienza al tutto aliena dalla forza chimica, ei si do-
vrebbe giudicare o che la vita distrugge essenzial-
mente le forze mentre queste sono perpetue e incon-
sumabili o che produce originalmente altre forze e le
468 LIBRO QUARTO.
insinua dentro i subbietti che ne sono sprovveduti. Ma
venne ricordato più volte da noi quel principio onto-
logico il quale reputiamo assoluto e però universale,
e cioè che le forze emanano dalla cagione prima e
non da veruna causa inferiore, condossiachè queste
modificano bensì ma non creano.
113. — Ciò non ostante, la efficienza vitale spiega
nell'ordine delle affinità chimiche una tal gagliardezza,
che, dove questa non operasse, troppa gran parte di
quelle giacerebbesi potenziale e inattiva per sempre, o
nel rimanente poi sono indotte modificazioni nuove, sin-
golari e profonde. La virtù sola vegetativa sceglie dalle
sostanze ambienti le convenevoli a se e lascia tutte le
altre ; solo essa trasmuta le composizioni binarie in com-
posizioni molteplici, genera materie e prodotti infiniti
con proprietà fisiche e mediche maravigliose; centuplica
gli atomi in ogni molecola e porge agli organi diffe-
renti facoltà differenti di assimilazione e dì secrezione.
114. — Se la scienza è pervenuta con istento e trava-
glio grande a produrre fra i metalloidi alquanti compo-
sti ternarj e quadernarj, prova unicamente con ciò che
alla forza chimica quei composti non sono impossibili :
ma prova altresì che V intervenimento solo della forza
vitale li sa costringere a venire in effetto continua-
mente e in ogni luogo e tempo dov' ella opera. Le altre
numerose riproduzioni ed imitazioni che fa essa la
scienza delle materie animali e vegetative abbisognano
del fondamento d' una molecola organica; laonde tutte
queste, in cambio di dimostrare parità di natura fra
il mondo vitale e il mondo corporeo, ne confermano
largamente la essenziale differenza.
115. — La chimica senza alcun elemento organico
è pervenuta a comporre l'acido formico, l'alcool ed una
specie di grasso. Ma delle sostanze dov' entra l' azoto
DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 469
e onde si formano il sangue e i semi di tutte le piante
non le è stato possibile di produrre (ch'io sappia) fuor
che l'urea la quale, ben fu notato, tiene uno degli ul-
timi gradi fra le produzioni animali e sembra poter
esser mutata assai di leggieri in composizione binaria.
IV.
116. — Spegnesi la vita vietativa quante Tolte le
bia n^ato di rinnovare di continuo la sua contenenza;
ed è sommamente probabile che ciò provenga dal di-
morare gli elementi e i principj di questa fuori dello
stato lor proprio e che la energia vitale sia valida a tra-
mutarli e predominarli per assai poco tempo. Ora, con-
forme il supposto che combattiamo di parecchi fisiologi,
il subbietto operoso il quale resiste da un lato alle
forze contrarie dell' ambiente materia e dall' altro le
assimila a se con flusso continuo, le violenta e le sot-
tomette al dominio di leggi diverse e non rado opposte,
e pros^ue a così tramutare e governare l' incorpora-
mento delle sostanze esteriori pel corso talfiata di più
d' un secolo, cotesto subbietto, noi ripetiamo, sarebbe
materia esso ancora in circostanze particolari bensì ma
non distinta e non separata dalla forma comune per
veruna essenza speciale e originalmente diversa. 11 che
importa all' ultimo che la materia mediante un certo
concorso di cause non punto diverse per natura da sé
medesima ponesi in lotta con le facoltà e tendenze
proprie e produce effetti diversi e contrarj dalle cagioni.
117. — Nella sola vita poi è capacità e attività di
sviluppo, altra condizione essenziale che ne contiene
parecchie similmente essenziali ed originali ed anzi un
intero mondo di fatti e fenomeni peculiari ed ignoti
al mondo corporeo. Certo, la materia non li conosce.
470 LIBRO QUARTO.
In lei tutte le composizioni meccaniche e chimiche sono
effetto di altrettante scomposizioni anteriori e le at-
tuali debbono disfarsi perchè succedano le future. Ol-
treché, i corpi che si combinano, sebbene mutano di
qualità, non perciò si debbo affermare che in essi ac-
cade aumento di essere e cumulo di proprietà e di
potenze. Il ferro combinandosi con 1' ossigeno e il mer-
curio collo zolfo perdono parecchie loro attribuzioni
e parecchie nuove e diverse ne acquistano. Parimente,
i sali diventano una sostanza affatto dissimile dai com-
ponenti; e mentre assumono qualità ed efficienze par-
ticolari non serbano quelle che negli acidi e negli
alcali si manifestano.
118. — In genere la materia trascorre continuo dalla
potenza all' atto nel modo che toma altresì continua-
mente dair atto alla potenza e non v' è incremento e
guadagno. Per contra, nella vita vegetativa accade un
reale sviluppo; conciossiachè un gran cumulo di po-
tenze e di facoltà vengono all' atto di grado in grado
con ordine con unità con maraviglioso consenso e me-
diante la efficienza ed attività interiore; da onde poi
nasce la composizione d' un tutto progressivamente
maggiore e migliore e così omogeneo nel suo complesso
come diverso nelle parti ; il che importa alla fine un' au-
mentazione vera di essere e certa individualità com-
piuta 0 per lo manco certa totalità peculiare e dal
rimanente mondo separata.
119. — Ora, ciò costituendo un fatto non guari ac-
cidentale, ma generale e perpetuo, quando provenisse
dalle forze sole della materia, questa dovrebbe sempre
ed in ogni dove usare e manifestare alcuno sviluppo.
Dal concorso speciale che si suppone delle cause e
delle circostanze dovrebbe procedere unicamente tale
indole particolare e tale altra di esso sviluppo; ma la
DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 471
virtù sua perenne universale ed ingenita operar do-
vrebbe e dimostrarsi in qualunque materia.
120. — Per fermo, tutti i ragguagli e le somiglianze
che taluno à procacciato di fare scorgere tra le com-
posizioni e trasmutazioni cosmiche e la vita dei vege-
tabili e degli animali sono riuscite romanzesche e fal-
laci e vie maggiormente anno accertato la differenza
non dissipabile fra le leggi meccaniche e fisiche e le
leggi proprie ed essenziali dell'organismo. Debbo io
consumar tempo a provare la vanità delle nozze che
dicono intervenire fra le montagne e la differenza loro
di sesso, ovvero gli alti connubj ideati fra la luna e
i pianeti e V umor seminale raffigurato nelle comete e
simili fantasticherie? Per gli scienziati non anno soli-
dità, per li poeti non anno eleganza.
121. — Vero è che noi trattando nel terzo Libro
del mondo materiale abbiamo accennato più volte alle
sintesi terminative che la natura vi conclude ; e questo
nostro globo fu descritto da noi quale una macchina
(portentosa dove ogni parte risponde al fine del tutto
e dove le ultime trasformazioni compendiano, per così
flire, le precedenti ed apparecchiano con ordine, con
legamento e con armonia il letto nuziale alla vita ; il
che si dirà somigliare grandemente alla virtù di svi-
luppo da noi descritta poc' anzi ed attribuita solo alla
potenza organatrice.
122. — Non ci è malagevole lo sciogliere questo
nodo ; a ciò bastando il mettere in considerazione che
gli sviluppi vitali sono per facoltà interiore ed innata
dell'essere il quale spiega, figura, costruisce ed unifica
sé medesimo. Laddove quel concorso vario ed armonico
degli elementi materiali del globo accade per effetto
d' un ordine prestabilito, al quale obbediscono per ne-
cessità interiore le forze corporee disgiuntamente l' una
472 LIBRO QUARTO.
dair altra e accostandosi V una sostanza all'altra mosse
da legge che anno a comune con tutto il creato visi-
bile, e non alterando minimamente la propria indole
per entro la massa alla quale si uniscono. £ insomm»
intervengono fra la struttura del globo e la composi-
zione organica quelle differenze profonde e qualitative
che notammo pili d' una volta fra la migliore delle
macchine e la inferiore delle sostanze viventi.
123. — Un sol progresso è da notare nella mate-
ria generale che non dipende in particolar modo da
fini prestabiliti ma sì dalla necessità propria ed inge-
nita, e questo è il varcare che fece dalla disgiunziono
alla congiunzione ; perocché, accostandosi gli atomi per
comporre diversi ordini di molecole e queste per com-
porre i piccioli corpi ed i grandi, poterono le virtù
latenti della coesione e dell'affinità chimica venire
air atto ; in quel mentre che per addietro non appa-
rivano. Quindi nella materia fu augumento vero di
essere e di proprietà. Sebbene ciò non accadde al si-
curo per ogni dove, siccome può riscontrarsi negli afo-
rismi genetici del terzo Libro. Ed anche debbe avver-
tirsi che quell'incremento di essere à meno verità in
sé medesimo che rispetto al fine a cui venne coordi-
nato; della qual cosa discorrerà più per minuto
r ultimo Libro.
V
124. — Per verità, sonosi parecchi fisiologi di Ger-
mania avveduti troppo bene di queste intime discre-
panze tra la materia comune e la vita vegetativa.
Però, taluno di loro, e il Trivisanus, fra gli altri, affer-
mava esistere nella natura certa materia particolare
sempre attiva e sempre unita ne' suoi elementi, hi
DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 478
quale per se è informe ed è nuUameno capace di as-
sumere ogni Tarietà di forme; e queste vengono de-
terminate in lei e variate dalle cause esteriori ; il per-
chè durano quelle forme insino a tanto che durano e
perseverano le cause medesime. Mutate queste ed al-
tre forze esteriori operando, subito ella piglia altra
costruttura ed aspetto.
125. — 11 Trivisanus confessa impertanto che la
materia comune non basta a produrre la vita vegeta-
tiva 0 r organismo che si domandi, ma pone in mezzo
altro genere di materia con forze proprie ed originali.
Né di questo vogliam disputare. Solo neghiamo che il
subbietto vivente qualchessia riceva passivamente
dalle cagioni esteriori le forme sue. Per lo contrario,
egli determina e informa se stesso, parte trasmutando
r ambiente natura, cui assimila a sé, e parte adattan-
dosi e modificandosi, giusta le condizioni diverse di essa
natura. Per guisa che, quante volte 1' accordo fra la
virtù formativa intrinseca e l' ambiente estrinseco non
è conseguibile, la vita non incomincia e i germi stessi
attuali e presenti o non isbocciano ovvero periscono.
126. — Altri come il Bourdach con piii elevato con-
cepimento non nega né attenua le diversità essenziali
che separano la materia organica dalla inorganica. Ma
le spiega (secondo lui) con agevolezza, ravvisando nella
vita vegetativa una forma e manifestazione finita e
particolare dell' infinito organismo dell' universo. Il
perchè presume di riconoscere nel sistema planetario
la più parte delle disposizioni proprie e qualitative
degli enti organati ; e il simile con maggior perfezione
immagina che debba succedere nelle innumerevoli ag-
glomerazioni delle stelle fisse.
127. — A noi basterà il rimetterci che facciamo a
rispetto di tal materia alle cose ragionate più sopra
474 LIBRO QUARTO.
intorno al mondo corporeo. Discorrendosi in astratto
e per mera supposizione, ninno al sicuro potrà negare
la possibilità d' un sistema di astri organato e vivente
a guisa d' un vegetabile e d' un animale, figurandosi
certa complessione arcana ed unificata della sostanza
siderea non diversamente forse da quella che appresso
Platone costituisce V anima e V organismo del mondo.
Ciò che affermiamo con certezza in tale proposito si è
che l'esperienza non ci abilita insino al dì d'oggi ad
applicare tale possibilità astratta ai pianeti e alle stelle
che conosciamo e in quanto le conosciamo.
128. — Ed è similmente disforme dalla buona dia-
lettica il credere che il mezzo e il fine non dififeriscano
intrinsecamente ovvero che l'uno si converta nell'al-
tro. Imperocché questo accade talvolta per accidente
e per relazione e partecipazione, come scorgesi nei ve-
fretabili e negli animali bruti che oltre ad essere fine
a sé stessi servono eziandio di mezzo a maggiori viven-
ti. Ma ei sono mezzo per indiretto e dopo essere stati
fine ; quando la natura meccanica e chimica non è
per nulla fine a sé stessa ed è mezzo primo e ante-
riore ad ogni rimanente. E così è necessario che av-
venga in qualunque ordine di esistenze; perlochè se
nelle stelle e nei pianeti y' anno enti con ragione o
natura di fine, è pur necessario che allato ad essi e
prima del lor comparire sieno altri enti costituiti con
ragione e natura essenziale di mezzo; e se le stelle
e i pianeti sono essi medesimi grandi corpi organati
bisogna che altri corpi uguali o maggiori forniscano
loro le materie strumentali e gli antecedenti appa-
recchi inorganici; e torna da ogni parte la distinzione
tra le proprietà e le leggi delle essenze organate e
r altre onde s' informa ed è governata la comune o
universale materia.
DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 475
129. — V à un' altra schiera di fisiologi in Italia
segnatamente, ai quali non sembra da sostenere che
la vita vegetativa è opera generale e continua della
materia, mediante un riscontro speciale di cagioni e
di circostanze. Ricorrono invece all' incognito dei tempi
genetici, e dicono le forze della materìa essere state in
quella epoca straordinaria dotate d'una potenza che
in progresso si è spenta; e insomma attribuiscono il
fatto maraviglioso della vita a cagione insolita e ino-
pinabile sotto il cui influsso nacquero i germi e di
quindi la rinnovazione giornaliera e normale di essa
vita.
130. — Né a costoro sarebbe da obbiettar nulla se
(quella cagione straordinaria invocata fosse di natura
diversa dalla materia. Ma se fu materiale anco essa, e
d' altro canto le essenze e le forme sostanziali non mu-
tano, si à intero arbitrio di chiedere quale delle forze
della materia valse a tanta opera e come accadeva che
la virtù sua portentosa venisse indi al niente.
131. — Parlandosi in genere, lo straordinario è ac-
cidentale; perciocché quello che in un essere è so-
stanziale e qualitativo opera sempre; e se non sempre,
opera almeno con regola ferma di alternazione ; dapoi-
chè la regola esce appunto dal fondo costante e sostan-
ziale dell' essere: Ma 1' accidente, o dir vogliamo la
fugace modificazione e congiuntura delle cose, non in-
duce se non effetti altresì accidentali; e come la ca-
gione fu transitoria, medesimamente sono gli effetti.
Ma è impossibile attribuire il fatto sostanzialissimo
dalla vita vegetativa e il suo rinnovarsi e perpetuarsi
a cagioni accidentali e fugaci. Oltreché, la materia
avrebbe per accidente operato cose più perfette e me-
glio conformi al fine delle esistenze che quando opera
a norma di sua natura propria e costante.
476 LIBRO QUARTO.
132. — Questo medesimo si risponde ai nuovi ma-
terialisti tedeschi e in particolare al signor Biichner,
il quale, per nostro avviso, cade due volte in contraddi-
zione. L' una, attribuendo alla materia la forza vitale
che è-d' altra natura e d' altro principio ; la seconda,
che mentre V attribuisce, la nega implicitamente per-
chè concede che oggidì la materia è incapace di pro'^
durre la vita e questa si mantiene per la successione
dei germi.
133. — Vero è che gli avvenimenti i quali a noi
compariscono straordinarj ed accidentali perchè non
veduti mai prima e perchè li giudichiamo sforniti di
legge e senza tempo determinati, possono al contrario
]>ossedere l' una e V altro perfettamente sebbene in
modo non apprensibile alla nostra esperienza. Vero è
similmente, che posta pure da banda la gretta mate-
ria e invocato per dar nascimento alla vita alcun
altro principio, nondimeno convien riconoscere che in
questo principio medesimo intervenne alcuna cosa
straordinaria e non più ripetuta dappoi. Conciossiachè
la vita, tuttoché operi sempre ed in ogni luogo, ciò fa
mediante la successione dei germi; e vedesi che non
potrebbe in guisa veruna ripigliare il suo corso, inter-
rotta che fosse quella catena riproduttiva.
134. — Noi sopra ciò diciamo per al presente che lo
straordinario è pur anche accidentale e non esce dal
fondo deir essere qualunque volta la causa che opera
non riceve nulla dal di fuori e non intervengono na-
ture sostanziose e affatto diverse alla produzione del
nuovo fenomeno; che era il caso appunto della materia
operante da sé e per sé. Diciamo poi che certamente
al principio vitale, affine che venga in atto, bisognano in
origine alcune occasioni esteriori ed alcuni apparecchi
non dipendenti da lui e levati i quali esso rimane in
DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 477
istato di mera potenza; nel modo che tutte le forze
ed i componenti chimici giacerebbono inattivi e in solo
stato virtuale quando fossero impediti di approssimarsi
fra loro dentro quel termine dove l' attrazione di af-
finità incomincia.
135. — Quello, pertanto, che il nostro discorso esclu-
deva pili sopra in modo assoluto si era che la mate-
ria procreasse la vita con la sola materia quali che
fossero le attitudini e le condizioni delle sue forze e
figurandole a piacer nostro ordinarie o straordinarie,
peculiari o comuni, sostanziali od accidentali operanti
per efiicienza o per occasione ; eccetto sempre, che non
si muti significazione ai vocaboli e la materia venga
ad esprimere cosa troppo diversa da quello che cono-
sciamo sotto tal voce. Ma rimanendo fermo il valor
del vocabolo e concedendo per esso alla natura dei
corpi le qualità sole del mondo meccanico e della chi-
mica inorganica noi manteniamo che nulla giova al
Biichner ed a' suoi consorti l' appellarsi all' autorità e
potenza del tempo e affermare intrepidamente che i
bilioni di secoli valsero a condurre una tenuissima
cellula, organica allo sviluppo varietà e complicazione
del presente organismo. Colui che stupiva dell'avere
san Dionigi recata sulle proprie palme la propria testa
pel tratto di una lega, sentì dirsi con ragione che la
difficoltà consisteva tutta nel primo passo.
136. — Tu mi chiedi nuli' altro che una cellula
microscopica con la virtiì di componie altre a sé si-
miglianti, e sembri la persona piii discreta del mondo.
Ma invece mi chiedi effettivamente ogni cosa, perchè
vuoi ti conceda la forza di organizzar la materia e
mantieni che quella forza debb' essere d' una stessa
natura con la materia medesima.
478 LIBRO QUARTO-
VI.
137. — La causa adunque e il principio della vita
vegetativa dififerisce da tutte le forze che operano
nella materia comune ed è superiore ad esse, dacché
le predomina ed alle leggi sue proprie e particolari le
sottomette.
138. — Simile causa non può risolversi in vuota
astrazione ne mancare d' un subbietto in cui si su-
stanzii; e ciò che domandasi forza vitale vegetativa
debbe riuscire un principio reale e fondamentale di
attività non un modo né un accidente. Quindi da que-
sto lato si mossero censure legittime ai vitalisti che
spesso parlarono in guisa da far della vita qual cosa
d' indeterminato e d' aereo, una certa generalità che
mai non si concreta nel positivo e nel sussistente.
139. — Ma però il subbietto di cui discorriamo nem-
manco debb'essere necessariamente uno ; e se uno sotto
certi rispetti, non può essere assolutamente impartibile
e indivisibile. Conciossiaché V esperienza ne mostra ogni
dì che il ramo d' una pianta può metter radice e fare
pianta da sé ; e molti semplici si moltiplicano mediante
le foglie loro ; ed eziandio la metà d'una foglia, o meno,
è bastevole a ciò. Una foglia d'Omitagalo tirsoide con-
servata nelle cartelle d' un erbario spiegò dentro al
tessuto del suo parenchima gran copia di corpicelli
globulosi, alcuno de' quali messo fra terra con modo
e riguardo germogliò e produsse un nuovo Omitagalo
tirsoide. Che più? Vogliono i botanici che qualunque
cellula di pianta, posto che ogni circostanza sia favo-
revole, può convertirsi in gemma e da questa pullulare
la pianta novella, e se ne à esempio nella origoma
della Lunularia e in qualche altro semplice. Né ciò
DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 479
si avvera unicamente nei vegetabili ; che v' à certa
specie di polipi i quali trinciati a minuzzoli ripigliano
in ciascuno di questi la vita e ciascuno si converte in
polipo nuovo.
140. Ora, se nelle piante e in certi animali infe-
riori il principio vitale fosse uno e impartibile, qua-
lunque membro se ne staccasse dovrebbe perire, o perir
dovrebbe il corpo e vivere il membro; dapoichè quel
principio vitale non può rimanere uno e dividersi in-
sieme insieme tra il corpo principale e il membro
spiccato.
141. — Può darsi, adunque, una vita ed un orga-
nismo vegetativo senza bisogno di sostanziale unità, e
però entrambi non procedono da causa impartibile
come sarebbe ciò che domandasi un' anima. Per altro,
quale che sia cotal causa, ella debb' essere tuttora pre-
sente e operosa in ogni molecola del corpo organato
e debbe almeno costituire un complesso distinto e se-
paratissimo dalla natura fìsica ambiente, serbando
altresì fra le parti una specie di nesso comune ignoto
alle sostanze inorganiche.
142. — E perchè appunto cotesto tutto organato si
scevera profondamente per le sue qualità ed atti dalla
nuda materia, usurpa il nome di vita e di organismo
vegetativo; sebbene la vita vera e perfetta è in esso
appena iniziata, come il progresso di questo trattato
verrà dimostrando.
143. — Imperò, cotesta causa, o virtù eflSciente che la
si chiami, ancora che per gli efifetti visibili paia identica
a sé medesima per ogni parte dell' ente organato, può,
certo, esser molteplice e varia ne' suoi fattori ; e può
eziandio succedere che nell' ente organato non operi e
non disponga, come a dire, una monade sola e sovrana,
ma parecchie e forse anche innumerevoli, unite insieme
480 LIBRO QUARTO.
coordinate e costituenti un sistema particolai'e di azioni
diverse ed ancora opposte all'azione ambiente. Dalla
sfera di quelle azioni interiori e diverse è costituito
r individuo vivente di cui discorriamo ; e quindi corno
l'unità sua è relativa cosi la sua individualità. Lti
vera e assoluta à luogo nel colmo, a così parlare,
della gerarchia dei viventi nel modo che fu accennato
più sopra e ripeteremo qua oltre. Tale sistema d'azioni,
che in sul primo raccogliesi virtualmente dentro i con-
fini del germe, diffondesi poi e dilata a reggere la or-
ganizzazione intera o della pianta o dell' animale infe-
riore.
144. — Teniamo, adunque, per ben dimostrato e ben
saldo che i principj attivi d' un ente organato (guar-
dandosi alla vita sola vegetativa) sono tanti per lo
meno in quante parti si può quello dividere. E per-
chè ciascuna di esse parti divenuta un individuo sepa-
rato e vivente può soggiacere allo smembramento me-
desimo ed ai medesimi effetti, cosi chiunque non isti mi
di riporre nel primo vegetabile o nel primo inferiore
animale comparso nel mondo un numero effettualmente
infinito di monadi sufficiente alla indefinita moltipli-
cazione di quel vegetabile e di quell' animale giù pel
succedere di tutti i secoli, si sentirà violentato ad am-
mettere che v' à negli enti organati non pure un flusso
perpetuo di nuova materia, ma eziandio un flusso scarso
0 copioso, tardo o frequente di principj attivi o monadi
che le si voglian chiamare. Peggior partito sarebbe di
credere che ogni germe nuovo ed ogni membro, ramo
o foglia spiccata, accatta dal germe anteriore e dal
corpo e tronco una emanazione o comunicazione di
principj vitali attivi. Dacché abbiamo riconosciuto qua
poco addietro e cento volte l'abbiam ripetuto nell'Opera
nostra che i principj quanto le forze non si emanano
DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 481
e comunicano da subbietti sostanziali finiti ; imperoc-
ché ciò varrebbe come crearli.
145. — Negandosi poi tutto questo, rimane di ab-
bracciare per realità le astrazioni. Avvegnaché la na-
tura è tuttaquanta costituita di enti particolari ; e per
ciò medesimo noi ripudiamo quelle eflScienze individue
insieme ed universali, i Genj delle sfere, T anima del
mondo, V Archeo e simili esseri misteriosi e d' infinita
potenza. Nessuna cosa, al credere nostro, tolse credito
alla tìsica antica e alle cosmologie del secolo decimo-
sesto e decimosettirao quanto cotali supposti di influenze
e ingerenze universali ed astratte che in niun subbietto
particolare si concretano e si sustanziano. Né perchè
simili fantasie rinascano ora col nome d'Idea Assoluta
tragittantesi per varie trasmutazioni legate insieme da
sola apparenza di necessità fìsica o logica, veggomi
astretto di approvarle e accettarle più volentieri.
146. — Del resto, a noi sembra un voler quasi op-
pugnare la evidenza medesima pereistendo a negare
che nella forza vitale non sia qual cosa di ben defi-
nito di sostanziale e d' intrinseco all' ente particolare ^
in cui si manifesta, e il quale é complessionato via via
e serbato intiero ed incolume sempre da un atto im-
manente di lei. Quindi V operar suo non à somiglianza
con quello, per modo d'esempio, dei fluidi impondera-
bili, la cui natura porta che ancora che compariscano
per ogni dove e sieno come a dire forze concomitanti
e perpetue d' ogni fatto e fenomeno fisico, nullameno
per sé non costituiscono nessun corpo individuo e non
anno forma propria e durevole nella maniera che non
ne à l'aria od altra sostanza gazeiforme.
147. — Quindi, se la forza vitale dimora ed opera
interiormente e sostanzialmente nel corpo entro il quale
si palesa; e d'altro canto, non é una di necessità e
Ma VIARI. —11. SI
482 LIBRO QUARTO.
ìmpartibile ed anzi può dividersi in tanti principj at-
tivi in quanti rami o foglie o semi o membretti si an-
noverano in certa pianta e in certo animale inferiore,
quegli agenti diversi dalla materia a cui demmo
nome di monadi sono cosa reale e provata. Risulta
eziandio dall' osservazione generale e costante sui fe-
nomeni organici e segnatamente sul fatto del conver-
tirsi in nuovo individuo le parti staccate e da ogni
banda separate che un flusso di monadi nuove l' una
air altra succedenti nel corpo organato è verità posi-
tiva e non guari suppositiva.
148. — Ora, aggiungiamo che sebbene per la im-
materialità loro non s' incontri quella dimostrazione
piena e patente che esponemmo di sopra rispetto a
un più alto principio spirituale, non pertanto è assai
ragionevole che le si reputino inestese affatto e incom-
poste ; perocché, da un lato, elle sono prevalenti mai
sempre sulla materia in che operano ; ne dee pensarsi
che quando cessa la vita vegetativa soccombano per
lo contrario alle forze della materia inorganica ; es-
sendoché od elle cessano al tutto ogni attività loro
ed ogni passività, ovvero trapassano ad avvivare altra
materia disposta a ricettarle. D' altro lato, si fanno
esse conoscere sempre quali forze invisibili ; e voglia-
mo significare che niun fenomeno di materia e di spa-
zio può ad esse attribuirsi come loro immediata ine-
renza e accidenza ; ma in quel cambio ogni fenomeno
corporeo manifestasi esternamente quale pertinenza e
modo della materia organata, tuttoché la cagione sua
vera efiìciente ed intrinseca sia di continuo da rico-
noscere neir azione occulta e profonda di quelle forze.
149. — Del pari, il consenso perfetto che lasciasi
scorgere in tutti gli atomi d' un corpo vivente sembra
convenire all'azione di esseri che non conoscono ma-
DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 483
terìale separazione nel comunicarsi la loro virtù e che
ponno farsi presenti in qualunque minima parte sic-
come nel tutto.
150. — Ad ogni modo, se materiali sono le monadi
organatrici, del sicuro la materia loro è dififerentissi-
ma per intima essenza dall' altra comune e della quale
è costituito il mondo meccanico e il mondo chimico.
Per lo contrario, se tali monadi, com' è giusto di cre-
dere, sono sfomite d'ogni materia, operano nondimeno
nello spazio e nei corpi e sono congiunte assai stret-
tamente a qualche forma di estensione per modo che
tolte di là e separate perdono ogni virtù attiva e ri-
cascano nel nudo essere potenziale.
VII.
151. — Coteste monadi poi sono o diverse in fra
loro 0 diversamente operano l'una a rispetto dell'al-
tra o sono e fanno entrambe le cose. Né sembra cre-
dibile eh' elle discordino dalla legge comune a tutto
il creato e la qual pone il contrario dentro alle somi-
glianze medesime e che per taluno fu domandata ele-
gantemente legge di polarità. Conciossiachè negli enti
finiti e corporei non si esce dalla impotente medesi-
mezza eccetto che per alcuna diversità ed eterogeneità
di complessione e di atti. Già notavasi nelle piante
certa specie di polarità fra la più mula e la radichetta
e che il fusto ed ogni altro organo dividesi in due
parti conformi e contrarie insieme; perocché in verso
contrario vanno a congiungersi. Ma di ciò parleremo
ad altra occasione, e gli esempj si ofifrono per sé stessi
dovunque si guardi.
152. — Si aggiunga che negli enti di maggior per-
fezione organica non debbono far mancamento varj
484 LIBRO QUARTO.
ordini di monadi alcune prevalenti ed alcune subor-
dinate. Avvegnaché le parti diverse di un tutto non
bene concordano insieme e non compongono forte e
feconda unità se non per mezzo della suggezione loro
da certa virtii centrale predominante e coordinatrice.
La quàl virtù nondimeno negli enti di cui discorria-
mo è di doppio grado. L' uno è delle monadi bensì
prevalenti ma che per essenza dalle altre non si di-
schierano. Il secondo è delle monadi al tutto spirituali
e dotate per lo meno di facoltà sensitiva ed appetitiva,
e sono perciò quegli esseri a cui si costuma partico-
larmente di dar nome di anime. Tali monadi ciascuno
avvisa che non ponno essere più d'una per ogni vi-
vente; e con l'atto di loro presenza originano una forma
di vivere superiore e diversa dalla pura vegetativa.
vra.
153. — Il germe compito è ciò che risulta dal primo
svegliarsi ed operare delle monadi ; quindi è l' azione
immediata e scambievole di loro forze interiori ed è
un primo dispiegamento della virtù che domande-
remo plastica e del poter loro sulla materia organiz-
zabile entro la quale sonosi, come a dire, annicchiate.
In questo atto le monadi operando non con altro im-
pulso che proprio si equilibrano alla fine e riposano;
come accade a qualunque moto proprio e interiore
della materia imponderabile, e come per alcun grado
di simiglianza può dirsi che incontra nel regno inorga-
nico ai cristalli regolari rispetto alle mutue tendenze
ed affinità delle molecole componenti. Il germe è
del sicuro un cristallo, ma con questa diversità essen-
zialissima che è gravido di virtualità e capace di svi-
luppo e cava le forme plastiche dall'intimo suo fondo,
DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 485
mentre nel cristallo inorganico elle succedono pel so-
prapporsi regolare delle molecole e portando ciascuna
certa sua costruttura e figurazione.
154. — Certo, le monadi organiche non diversamente
da ogni principio attivo creato mancano in sé stesse del
cominciamento iniziale assoluto del proprio operare ; e
mancano di quello eziandio delle successive rimutazioni
in quanto si legano alle circostanze esteriori. Da ciò pro-
viene che ogni virtualità loro di moto e sviluppamento
pericola o di non passare all' atto o di fermarsi per
via in ciascun istante. Anno, invece, in se medesime
la cagion della quiete subito che compiettero e quasi a
dire saziarono certe loro essenziali e native tendenze e
certa loro scambievole polarità. Cosi nel germe qual-
chessia le monadi si riposano col minimo grado di
azione e il massimo della potenzialità; in maniera
peraltro che la forza loro di resistenza riesca tanto
maggiore quanto proviene dall'ultimo fondo dell'essere
e dalle combinazioni immediate ed innaturate che ne
derivano. Il che spiega il fatto costante e comune della
perseveranza dei germi tenuissimi e talvolta invisibili
contro le forze piìi intense e più poderose del mondo
fisico. E appunto, perchè l'atto onde il germe è co-
stituito esce dalla energia essenziale ed originale del
principio organico toma necessario non che naturale
che sempre si rinnovi e ripeta, se altre forze ed ecci-
tazioni non lo rattengono ovvero non lo trasformano.
Di quindi nasce la propensione generale ed assidua
di tutti gli enti organati a riprodurre il germe loro,
ossia tornare alla forma primigenia e normale. Così
la forza riproduttiva di simili enti è analoga in per-
fetto modo alla forza di elasticità nei corpi inorganici.
155. — Se non che, ogni germe deb b' essere altresì
analogo e proporzionato allo sviluppo ulteriore della prò-
486 LIBRO QUARTO.
pria organizzazione. Di quindi la varietà dei germi e la
costituzione loro talvolta progressiva ; di quindi ezian-
dio i metodi differenti della natura per accertarne la
ripetizione pronta perfetta e copiosa.
156. — Puossi concepire un essere organico tanto
semplice che V atto primo delle sue monadi e la prima
esplicazione della sua forza plastica esaurisca quasi la
potenza organatrice la quale per flusso di materia e per
gli stimoli esterni debbo pigliare incremento e sviluppo.
Noi siamo chiari che in tal supposto il germe, ossia la
ripetizione dell'atto primo, consisterà in qualche forma
di cellula la meno composta che sia fattibile e assai
bene rispondente alla semplicità estrema del susse-
guente sviluppo. Nei casi di piii complicata organiz-
zazione il germe porterà seco i rudimenti e il com-
pendio della pianta o dell'animale futuro; e perchè
à complessione più dilicata ed à maggior dipendenza
dalla natura esteriore, perciò avrà seco un apparecchio
nudritivo e preservativo: di quindi la costituzione di
tutti i semi nelle piante e ogni ragione e contenenza
delle uova negli animali ovipari.
157. — Ma perchè il germe, ovverosia la struttura
iniziale dell'ente organato, racchiude tanta maggiore
efficacia quanta è più viva la eterogeneità de' suoi
componenti, e questa risolvesi nell' antagonismo d' un
principio attivo e d' un principio passivo contrapposti
sempre fra loro e sempre ordinati a quotarsi da ultimo
in certa superiore unità, ne segue che la natura nei
viventi meno imperfetti e di più complicato sviluppo
divise i due principj attivo e passivo in fra due sub-
bietti separati, e dispose nondimeno che venissero alla
congiunzione con quella energia e quell'impeto che
avvisiamo tuttodì nelle scariche elettriche.
158. — In ciò, come vede il lettore, consiste la sepa-
DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 487*
razione dei sessi e il procedimento mirabile della fecon-
dazione per effetto della quale al germe primo, troppo
debole e male proporzionato al futuro sviluppo, succede
altro germe elaboratissimo col nome di sementa o d'uovo
o di feto, in cui le monadi organiche non pure rifanno la
complessione loro iniziale, ma vi compendiano i rudi-
menti del già conseguito sviluppo in quanto esso dipende
dalla efficacia interiore e nativa. Quindi è che le mo-
nadi intendono a cotesto lavoro subitochè il travaglio
dello sviluppo tocca il suo termine ed elle possono,
per via di parlare, tornarsene in dietro e produrre
di nuovo quegli atti che loro sono essenziali ed inge-
niti con quel di più di efficacia che rappresenta la
virtualità intera d'ogni incremento e dispiegamento
posteriore. Così il fiore ed il frutto sono l' ultima ope-
razione della pianta già bene conformata e cresciuta
in ogni sua parte, e v' à di quelle che dopo la fecon-
dazione ed il frutto appassiscono e muoiono. Simil-
mente r uovo e la pregnezza accennano alla compitezza
di tutti gli organi e al colmo della vita degli enti nei
quali appariscono; e per la ragione medesima l'ap-
parecchio generativo degli animali si compie insieme
con la maturazione del feto.
159. — Abbiamo discorso qua sopra di quel che ac-
cade nelle organizzazioni semplicissime ; in altre meno
semplici, ma che risultano di parti per affatto similari
(e intendesi quanto alla forma sostanziale), gli è mani-
festo che ogni parte verrà capace per questo medesi-
mo di riprodurre l'intero individuo se le condizioni
esterne la favoriscono ; perocché l' intero individuo non
è molto più che espansione successiva ed ingrandi-
mento della parte similare. Di quindi la moltiplica-
zione di assai vegetabili per ispori, escrescenze, gemme,
rami e foglie. Di quindi accade eziandio che qualun-
488 LIBRO QUARTO.
que ritaglio di certi polipi si trasmuta esso medesimo
in polipo intero.
IX.
160. — Dunque della Tita vegetativa sono due gli atti
e le funzioni principalìssime, assimilazione e riprodu-
zione. Alla prima gli antichi e fra questi Aristotele
dettero più volentieri nome di nutrizione e di accre-
scimento, la quale ultima appellazione risponde con
esattezza a ciò che modernamente usa chiamarsi svi-
luppo.
161. — Della riproduzione abbiamo parlato con suf-
ficienza, e rimane fermo questo concetto eh' ella sia
sempre la rinnovazione dello stato proprio e iniziale
delle monadi organiche, il qual provenendo dalla es-
senza vera, costante ed inalterabile di esse e da quel
primo atto, per cui si dispongono e uniscono nella so-
stanza acconcia ad accoglierle^ dee ricominciare e ri-
petersi di piena necessità ogni volta che gli stimoli
esterni e il flusso della materia ed altri accidenti non
costringe le monadi al lavoro incessante del crescere
e dello svilupparsi. E perchè quel gruppo di monadi
a cui è stato fattibile il rintegrare l' essere loro pri-
mitivo e normale né può mantenerlo intatto, mescolato
siccome è alle forme dello sviluppamento, né abolirlo
e impedire che si ripeta ; perciò proseguendo la neces-
sità primitiva di lor natura ; si scevera al tutto dallo
sviluppo vegetativo di già compiuto e quindi incomin-
cia la esistenza separata d' un nuovo individuo.
162. — Tutto il che è molto diverso dalla spiega-
zione mistica messa innanzi dall' intera scuola peripa-
tetica, dicendo che i vegetabili e gli animali si ripro-
ducono per solo istinto e desiderio d' immortalità ; il
DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 489
perchè, non venendo tal desiderio appagato negP in-
dividui, era provveduto che si appagasse nella conser-
vazione e propalazione della specie.
163. — È chiaro che ciò confonde il fine specula-
tivo con la necessità fisiologica degli enti organati.
Certo, la natura, e qui intendesi la divina mentalità,
mira a perpetuare la vita sotto qualunque sembianza
ed abito; ma quello che alla scienza appartiene di
scoprire si è il modo positivo e la legge fisica e orga-
nica, onde i viventi per forza fatale dell' essere proprio
attingono al fine dalla provvidenza voluto.
164. — I panteisti odierni tedeschi trassero in mezzo
un' altra sorta di ragione meno salda ancora, per mio
sentire, dell'antica d'Aristotele. Dicono, dunque, che
1' uno perfetto e assoluto dee di necessità palesarsi e
dar cosi nascimento al composto e al molteplice; ag-
giungono che il più semplice modo di composizione e
pluralità è la divisione dell'identico in due parti
ugualissime ; e in fine, che tal divisione equivale al
producimento del simile. Sul che io noto che tal ra-
gione generalissima valer dovrebbe nella materia mec-
canica quanto nella organata e che intanto la pri-
ma non genera nulla di simile a sé, ed un minerale
si rimarrà eternamente con 1' aggregato che per acci-
dente si venne dal di fuori formando. In secondo luogo
se la cellula genera un'altra cellula per dividere la
identità propria in due parti ugualissime, ciò dovrebbe
proseguire senza mai termine, conciossiachè nell'ultima
cellula procreata v' è tanta necessità di ripetere sé me-
desima quanta in ogni altra che l' antecede. In fine
qui ei confondono due fenomeni al tutto diversi, e cioè
la reiterazione delle parti similari con la rinnovazione
del germe; e ninno dirà, per via d' esempio, che l'uovo
degli animali rjpetesi in ciascuna cellula del lor tes-
490 LIBRO QUARTO.
8uto per modo che questo risulti d' una coutiuua ag-
glomerazione delle uova germinative.
1G5. — Quanto all' assimilazione, non par difficile
intendere per qual ragione essenziale e perenne l'ente
organato pigli dal di fuori la sua materia e l' aumenti
e informi di sé medesimo, tanto che la conduca a grado
per grado a quella misura e figura che più gli sono
confacevoli. Ma non è altrettanto facile intender bene
la cagione e necessità del flusso continuo e del conti-
nuo permutarsi di sua materia. Nel che, nondime-
no, consiste il fatto più rilevato e il fondamento ge-
nerale di tutta la economia del mondo dei viventi a
noi noti.
166. — Ciò non ostante è da porre V animo a questo
vero solenne e principalissimo nella scienza della vita,
e cioè che V organo quando non tramezzi per sua na-
tura fra r ente che V applica e l' oggetto al quale si
applica diventa incapace del proprio ufficio. Così la
mano, perchè afferri i corpi e li stringa o perchè gli
alzi ed aggiri, conviene sia resistente non meno di essi
e con la forza muscolare e la leva del braccio vinca
la forza del peso loro e voltandosi li volti e pieghi la
palma e le dita secondo i contorni delle loro figvrre.
Di questo nasce che 1' organo sebbene dee prevalere
alla materia comune ed a sé assimilarla, pure non
può eccederla al segno da farsi alieno ad ogni pro-
prietà e forza di lei.
167. — Quindi nasce eziandio che V atto d' assimi-
lazione è una specie di vittoria sopra gli elementi
esteriori e non à carattere durevole. Avvegnaché l' as-
similazione perpetua vorrebbe dire o che la materia
à perduta la sua natura o che V organo poco o nulla
diflferisce dalla materia; due estremi del pari impossi-
bili. Stantechè col primo l'organo cesserebbe di ma-
DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 491
neggiar la materia esteriore e col secondo cesserebbe
di esser vivente.
168. — Rimane che la materia organata fluisca e
muti a ciascun istante; perocché solo in tal caso an-
cora che obbedisca per poco alla violenza della forza
vitale, tuttavolta permane identica a se medesima e
serba incessante la comunicanza e la convenienza tra
la vita e il mondo esteriore.
169. — Il supposto d'una materia non bisognevole
di flussione perpetua ricerca che la non differisca gran
fatto dal principio spirituale e però l'assimilazione
divenga per lei una tal quale modificazione non molto
profonda e in che sia per dimorare senza sforzo nessuno.
Il qual supposto mena poi drittamente alla necessità
dell' altro supposto, e cioè che l' ambiente natura possa
ricevere con prestezza ed arrendevolezza tutti gli im-
pulsi dell'organo; il che importa approssimazione e
omogeneità di essenza. Tutta questa varietà di rap-
porti e di proporzioni non è certo impossibile, ma è
impossibile che si avveri nella materia che conosciamo.
170. — Nel generale poi il flusso della materia or-
ganica costituisce una specificazione molto distinta e
qualificata della polarità fisica e della vitale. Perocché
eziandio in quel flusso avverasi continuamente certa
attrazione del diverso e certa ripulsione del simile ; po-
tendosi senza troppo abusar delle voci chiamare di
cotal nome la reiezione, la quale adempiesi nelle so-
stanze divenute simili all' organismo ma incapaci di
mantenervisi e necessitate di ripigliar 1' abito loro es-
senziale inorganico.
492 LIBRO QUARTO.
CAPO QUINTO.
DELLA VITA ANIMALE.
I.
171. — Adunque, se è proprio il dire che le piante
vivono e qualche animale stremamente imperfetto vive,
noi abbiamo di tale atto determinata la causa e il
principio e lo domandammo virtù e forza vegetativa.
Da lei sono creati individui imperfetti e di vera unità
sforniti ; onde essi piuttosto compongono certa totalità
relativa, in quanto il complesso loro si scevera e diffe-
risce sostanzialmente dalla materia circostante e vi ope-
rano dentro le leggi meccaniche e chimiche ad ogni mo-
mento modificate ed anzi trasmutate; tutto il che pro-
viene da certa unione operosa di forze coordinate e non
materiali che monadi appellammo.
172. — Cotesto monadi, in quanto s' appartiene alla
vita vegetativa, sebbene reagiscano inverso gli stimoli
esterni, in quel modo peculiare dell'organismo che do-
mandiamo eccitabilità od irritazione; sebben'fe eziandio
svegliando insino dal primo atto loro' molta e propria
e diversa virtualità modifichino profondamente le so-
stanze nelle quali risiedono ; e tuttoché, infine, per certo
sistema di azioni scambievoli e per una coordinazione
stretta e continua di moto, di affinità e di forma plastica
producano quello che domandiamo comunalmente svi-
luppo e giungano a costituire un qualche individuo,
imperfetto, è vero, ma separato e diverso dall' ambiente
natura ; ciò non ostante elle operano, a cosi parlare, sul
DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 493
fondo delle foize della materia, commosse per altro e
commutate a maniera che senza quello ingerimento e
mescolamento di forze spirituali mai non conoscerebbero
l'atto di vita. Nullameno questo atto rivelasi unicamente
in combinazioni chimiche peculiari, in forme cristalloidi
e in flussione di sostanze incluse od escluse. Ancora in
simile sorta di vita non apparisce alcuna cosa d' intera-
mente spirituale, e vogliamo dire alcun fatto il quale
sebbene otcasionato dalla materia organica pure ad
essa materia non possa tribuirsi tanto né quanto e non
consista minimamente in una modificazione profonda di
lei cagionatale per ingerimento eflftcace ed intrinseco
delle monadi vegetative.
173. — Ora, 1' atto di vita nel quale ravvisasi pri-
mamente il carattere di che parliamo è la sensasiioiu-
e la volontà; nel primo è la spirituale passività del
principio vivificante, nel secondo è 1' attività; e dicia-
mo spirituale per dinotare che sorge dalla essenza in-
tima e qualitativa di quel principio; e ancora che ab-
bisogni dello stimolo esterno acconciamente disposto
e organato, nientedimanco differisce funditus dalla
materia stessa organata e da qualunque attribuzione
di lei, come da tutte le efficienze che abbiamo insino
a qui divisato e descritto dentro le monadi.
174. — Ma tra la sensazione e la volontà inter-
viene eziandio questa sostanziai differenza, che la se-
conda non traggo dall'organismo occasione all'esistere
se non in quanto tiene dietro alla sensazione; e giunge di
poi negli animali perfetti a deliberare ed a moversi per
cause molto remote dalla sensibilità. Laonde quel primo
grado della facoltà volitiva, del quale parliamo al pre-
sente e che sorge accosto accosto alla sensazione, dovreb-
be, per mio giudicio, pigliar sempre nome di appetito ;
ed è il reagire che fa, secondo sua forma spirituale, la
494 LIBRO QUARTO.
monade sovrana ed unificante inverso lo stimolo estemo
ora fuggendolo ed ora invece accogliendolo con intimo
soddisfacimento.
IL
175. — Seguita di cercare se la sensazione e quel
sensuale volere che è l'appetito domandano la indi-
vidualità perfetta, e intendesi V unità compita e asso-
lutamente impartibile; e però se occorre di attribuire
entrambe a un qualche sistema di monadi, o sola-
mente ad una monade superiore od anima che voglia
chiamarsi.
176. — Per prima cosa, convien notare che la sen-
sazione porta seco una specie particolare di organo e
questo si raccoglie in alcuni centri. Negli animali in-
feriori raccogliesi entro una serie di ganglj fra loro
legati. Ne' superiori vi si aggiunge e connette l'ence-
falo. Per verità, non conosco argomento il quale dimo-
stri per via dialettica che la facoltà sensiva non possa
spartirsi e moltiplicarsi col numero dei centri nervosi
e ganglionari ; e perchè il sentire è potenza più nobile
di tutte le altre vegetative, in quanto à capacità del
piacere e del dolore e in quanto sembra doversi con-
nettere necessariamente con l'appetito; qualora v'abbia
animale in cui la facoltà del sentire non sia una e im-
partibile, ma separata e distribuita in diversi centri
e però inwente in diverse monadi, è ragionevole dire
che ciascuno di essi centri è già per sé un animale, e
il tutto insieme di tale individuo somiglia più presto
ad una madrepora o ad un polipaio che ad altra cosa.
177. — Sebbene è difficilissimo il concepire che sorta
di sensazione sia per riuscire mai quella che si divide
e separa fra tutti i ganglj, e la quale non piglia de-
DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 495
terminazione e forma speciale negli organi propriamente
sensivi o di relazione come usano domandarli i fisiologi.
E animale fornito di veri nervi e privo tutta volta di qua-
lunque organo di relazione non istimo che si conosca.
178. — Ma dove sono cotesti organi torna impossi-
bile che non dimori una monade in cui si radunino le
sparse e differenti affezioni sensive. Perocché, se V udito
e il tatto e la vista non procedessero d' accordo e l' uno
all'altro non si riferissero e tutti poi non mettessero
capo in un che indiviso, come dirigerebbe V animale
i moti del suo appetito e la sequela degli atti che mi-
rano a soddisfarlo? E ciò trasse a forza Aristotele, chi
ben considera, a ragionare del sensorio comune an-
cora che prenda abbaglio nel dargli il cuore per sede.
Vero è che insino dal libro immortale del Redi sugli
animali viventi in altri animali, furono descritte e ana-
tomizzate le vipere da due teste e due colli ; e fu con
rigor dimostrato ch'elle anno a comune tutti i nervi
della spina dorsale mentre il cervello è duplicato e si-
milmente i più nobili visceri e ogni capo à organi
proprj e divisi.
179. — Giudicherei che in cotali vipere come il
cervello 'è replicato così debba esistere doppio e sepa-
rato il sensorio centrale ed unificatore, nel quale poi
i nervi che nel rimanente corpo sono a comune man-
dano le sensazioni loro geminate e ugualissime, e vale
a dire che la impressione medesima è ai due cervelli
comunicata e in ciascheduno il principio spirituale se-
parato la sente e però la impressione è una e due sono
le sensazioni.
180. — Comunque ciò sia, la prova dell' unità della
vita interiore apparisce piena ed irrepugnabile colà
soltanto dove la volontà è mossa dalla intellezione e
dal gindicio e sempre s'accompagna con l'unità di
496 LIBRO QUARTO.
coscienza. Per argomento di analogia siamo indotti
quindi a ravvisarla ed ammetterla in quegli animali
in cui ci sembra veder balenare un vestigio di men-
talità e di ragione e tale armonia e cospirazione di
atti e di moti e, se può dirsi, di desiderj che tolta e
negata ogni qualunque unità interiore e spirituale ci
divengono inesplicabili. Così d' accordo con la opinione
comune conclude la scienza e di poco o nulla s' av-
vantaggia sopra di lei. E qui lasciamo ai libri e trat-
tati particolari di psicologia il decidere (quando pure
lo possano) se all' appetito animale occorre innanzi di
concepire mentalmente V oggetto od un suo fantasma ;
e se r istinto eziandio animale trae seco qualche spe-
cie d'intelligenza e che specie mai possa essere.
III.
181. — Non è, per lo certo, il sistema nervoso una
espansione ed uno sviluppo ulteriore del sistema va-
scolare e circolatorio. Stantechè, sebbene entrambi
s' incontrano e si connettono in ciascuna parte del
corpo animato, pure non si confondono mai, e i centri
e le origini e la costruzione e la sostanza soù